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martedì 18 novembre 2014

L'ALTRA ILIADE L'ALTRA ODISSEA: TESTIMONIANZE TARDO-LATINE E MEDIEVALI SUL CONFLITTO PIU' FAMOSO DELL'ANTICHITA'



Su Troia si è scritto tanto e si continuerà a scriverne: la poesia omerica e il racconto virgiliano sono i pilastri della storia e del mito di questo conflitto. Ma chi abbia anche una semplice infarinatura di studi classici sa bene che ne hanno variamente parlato poeti e prosatori di ogni genere letterario, e ogni elenco ne risulterebbe inevitabilmente incompleto. Pochi saprebbero però, anche tra le persone di media cultura, rispondere magari  approssimativamente ad una domanda in apparenza erudita: chi sono Ditti e Darete, e cosa c’entrano con la letteratura di argomento troiano? Dietro questi pseudonimi (provo a rispondere sinteticamente e senza sfoggio di inutile erudizione) si celano due retori probabilmente greci del I secolo a.C., che si fingono partecipi e testimoni del conflitto come cronisti rispettivamente greco e troiano. Questa singolare intuizione non accresce lo scarso pregio letterario dei loro scritti, ma paradossalmente li presenta come più credibili di quelli di Omero e Virgilio (il grande poeta latino era probabilmente un loro contemporaneo!) agli occhi di un ignaro lettore. Di un espediente simile si avvarrà, come tanti altri, il Manzoni per I promessi sposi, presentati come fedele trascrizione di un inesistente manoscritto secentesco. Ma il grande romanziere non venne creduto da nessuno, mentre paradossalmente la finzione dei due sconosciuti retori venne data per vera e soltanto Giovambattista Vico nel Settecento li avrebbe smascherati. Fra il IV e il VI secolo i due testi originari furono tradotti in latino e così ci sono pervenuti. Dell’antica redazione greca dell’opera di Ditti rimangono solo alcuni frammenti papiracei, nulla invece di Darete. E quando, per circa un millennio, la lingua greca sarebbe divenuta pressoché ignota in Occidente e anche i testi omerici sarebbero stati celebrati ma sconosciuti, la storia della guerra di Troia fu in Europa legata a quanto ne dicono l’Eneide e questi due singolarissimi scritti, avidamente letti e studiati nonostante la loro indiscutibile mediocrità e soprattutto considerati testimonianze veritiere e affidabili di quel mitico evento. Perciò, a partire dall’XI secolo, li si tradusse, commentò e ampliò numerosissime volte nelle lingue della nascente Europa. Mi limito a ricordare qui, tra le tante, la versione che ne fece in Inghilterra Giuseppe Iscano (Joseph of Exeter) in eccellenti esametri latini e quella in ottonari del monaco normanno Benoît de Sainte-Maure, nota come Roman de Troie, tra le opere più antiche in lingua d’oïl. Una successiva redazione in prosa del Roman venne tradotta in latino medievale da Guido delle Colonne, poeta della scuola siciliana ed esponente di rilievo della corte di Federico II. Era il 1287, e il latino era ancora la lingua ufficiale della cultura europea, la res publica clericorum: ma la sua opera venne presto volgarizzata in tutte le nuove lingue germogliate dal latino, mentre continuava nel mondo anglosassone la grande attenzione per il Roman de Troie e l’Ylias di Joseph of Exeter, più volte tradotti. Fino a Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche per Chaucer fino a Shakespeare il racconto di Darete e Ditti sarebbe stato il resoconto storico della guerra di Troia. Solo con il Rinascimento sarebbe ricomparso nella cultura d’Europa Omero, ma si sarebbe continuato a giudicarlo solo un insuperabile poeta. 
*Consulta per la sinossi dei commenti danteschi il bellissimo sito
http://dante.dartmouth.edu/ 

La mattina dopo, Troia ardeva ancora e il fumo acre e denso non si disperdeva nonostante il vento, anzi pesava come una cappa, con il lezzo acre dei tanti cadaveri. Ma i Greci non sembravano curarsene troppo, i loro occhi erano puntati sull’enorme bottino ammucchiato al centro dell’accampamento, dinanzi alla grande tenda di Agamennone. Anche Enea ed Antenore erano là, con i loro familiari ed amici: erano tanti, tremanti e impauriti, ma cercavano di distrarre i piccoli che, ignari, avrebbero voluto scorrazzare tra le tende. Ormai, tutti sapevano: i Greci non avevano fatto prigionieri, alla strage erano scampati solo loro e le donne della famiglia reale, destinate a far da schiave ai superbi sovrani achei. I due traditori ostentavano sicurezza e scambiavano disinvolte battute con i capi greci, specialmente con Ulisse e Diomede, con i quali avevano concordato la consegna del Palladio e le condizioni di resa. in cambio della vita e dei beni loro e dei loro familiari: non c’era ragione di temere che i Greci si rifiutassero di rispettare i patti, il giuramento era stato fatto secondo i riti e romperlo poteva significare per i vincitori incorrere nell’ ira degli dèi. Ma Enea era in realtà teso e preoccupato, non tanto per l’imminente decisione di Agamennone e del suo esercito sulla loro sorte quanto per il futuro, che si presentava incerto e faticoso: dove avrebbe guidato quella moltitudine che solo in lui fidava per la propria salvezza? E i Greci avrebbero davvero lasciato loro le ricchezze senza le quali quella vita sarebbe stata una irrisoria finzione? Provava invidia per l’apparente indifferenza di Anchise e Antenore, quei due vecchi non avevano alcun rimorso per l’orribile tradimento della patria e dei loro concittadini? Agamennone aveva concluso i riti di ringraziamento agli dèi per la vittoria. I soldati e i prigionieri erano rimasti in religioso silenzio, rotto dai latrati dei cani e dal gracchiare dei corvi che cercavano preda anch’essi tra le macerie. Prima di procedere alla divisione del bottino secondo i meriti di ognuno, egli chiese solennemente all’esercito se, come segretamente pattuito, si voleva garantire vita e beni di quelli che avevano reso possibile la conquista di Troia. Il coro di sì fu talmente sonoro che cani e corvi tacquero per un istante, come sgomenti. La lunga fila dei Troiani scampati alla strage seguiva a capo chino Enea. Nel porto, accanto alle navi greche parate a festa e quasi ansiose di partire, c’erano anche quelle che dieci anni prima erano servite a Paride per rapire Elena. I vincitori le avevano conservate intatte, sperando in una sollecita conclusione della guerra, proprio per caricarle di bottino e prigionieri, ma ora le avevano concesse perché i superstiti potessero salpare senza indugio. Allora Enea e Deifobo avevano accompagnato Paride, e ne avevano sostenuto la decisione che avrebbe scatenato il conflitto. Priamo, pochi giorni prima, glielo aveva rinfacciato, quando con Antenore egli aveva proposto di restituire Elena e le sue ricchezze nell’illusione di evitare il disastro. Il re irato non ne aveva voluto sapere. Ma ora salire su quelle navi aveva il sapore di una pena: Enea pensava amaramente che quelle navi maledette li avrebbero riportati su altre rotte maledette.
Ma il figlio di Anchise era angosciato ancor più dal rimorso per il suo tradimento e dal terrore che se ne diffondesse la fama anche dopo la sua morte. Ne erano a conoscenza tutti i Greci e i Troiani superstiti, una vera moltitudine: come si poteva solo pensare che qualcuno tra essi non avrebbe rivelato l’orrendo segreto?
“Certo, disse tra sé Enea, nessuno dei miei compagni lo dirà mai, tutti quelli che si sono salvati lo devono a noi e sono anch’essi complici. Quindi taceranno, anche di fronte ai loro figli. E forse anche i Greci lo dimenticheranno presto. Che interesse avrebbero a far credere che Troia è caduta non per il loro valore, ma grazie al nostro tradimento? Basterà far finta di niente, anche se questo non mi toglierà nessun peso dal cuore”.  La versione mitica del tradimento di Troia da parte di Antenore ed Enea è pochissimo nota, ma attraversa quasi due millenni di testimonianze, a partire dal ciclo omerico fino e oltre la Commedia dantesca. Ne do un elenco che lascerà sbalorditi molti lettori e che rischia di essere tuttavia largamente incompleto, dichiarandomi pronto come faccio da un decennio a fornire via mail a chiunque me li richieda i testi originali. In calce riporto le testimonianze di Darete e Ditti e quella di Brunetto Latini, il maestro di Dante. Che il divino poeta fosse a conoscenza di questa storia è peraltro indiscutibilmente confermato dal nome di Antenòra che egli dà al girone infernale dei traditori della patria e da alcuni commenti contemporanei, che reagiscono sdegnati all’appellativo giusto che Virgilio dà al figliuol d’Anchise nel canto proemiale. Molto significative anche le parole del Boccaccio su Enea nelle Genealogiae deorum gentilium. Darete, La caduta di Troia. Lo stesso giorno si riuniscono di nascosto Antenore, Polidamante, Ucalegone, Anfidamante, Dolone. Dicono di meravigliarsi della pertinacia del re che, assediato, preferiva morire con la patria e i compagni piuttosto che fare la pace. Antenore dice di aver trovato una via d’uscita, utile ugualmente per sé e per loro, ma che bisognava vincolarsi con un giuramento. Tutti si vincolano con giuramento. Antenore, appena si vide vincolato dal giuramento, manda a dire ad Enea che si deve tradire la patria e badare ognuno a sé e ai suoi... Polidamante arriva nell’accampamento dei Greci, si incontra con Agamennone, e gli disse dell’accordo intervenuto. Mentre contendevano tra loro, si stabilì di farsi dire da Polidamante la parola d’ordine, e di servirsene per mezzo di Sinone in un colloquio con Enea, Anchise ed Antenore. Sinone parte per Troia. E poiché le chiavi della porta non ancora erano state date alle guardie di Anfimaco, data la parola d’ordine, Sinone si sentì fare i nomi di Enea, Anchise ed Antenore, e rassicurato lo riferisce ad Agamennone. Allora si decise all’unanimità di dar credito ai congiurati e di confermare con giuramento che si dava assicurazione ad Antenore, Enea, Ucalegone, Polidamante, Dolone e a tutti i loro genitori, figli, mogli e parenti consanguinei e amici che insieme con loro avessero giurato, che fosse loro lecito mantenere intatte tutte le loro cose e indenni i loro beni. Stretto e confermato con giuramento questo patto Polidamante propone che portino di notte l’esercito alla porta Scea, dove all’esterno è dipinta la testa di un cavallo. Dice che lì sono di presidio durante la notte Antenore con Anchise, che avrebbero aperto di notte la porta all’esercito e avrebbero fatto loro luce. Questo sarebbe stato il segnale dell’irruzione in città, perché sarebbero stati pronti lì quelli che li avrebbero condotti alla reggia. La proposta fu accettata e concordata, e Polidamante torna in città, riferisce i fatti, dice ad Antenore e ad Enea e agli altri con i quali era stato stretto l’accordo di portare tutti i loro familiari alla porta Scea, aprire di notte la porta Scea, mostrare il lume, far entrare l’esercito. Antenore ed Enea di notte furono lì alla porta, accolsero Neottolemo, aprirono la porta all’esercito, mostrarono la fiaccola, chiesero che ci fosse la garanzia della fuga per sé e per tutti i loro cari...Quando fece giorno, Agamennone ... chiede all’esercito se voglia che ad Antenore ed Enea, con quegli altri che insieme con loro avevano tradito la patria, venga mantenuto ciò che in segreto essi gli avevano promesso. L’esercito tutto grida che vuole così; e allora, chiamatili tutti, gli restituì tutte le loro cose…
Ditti, Efemeridi della guerra di Troia, passim 
IV 18… Crise fece segno di tacere: si appartò con Eleno e quando tornò riferì ai Greci tutto quel che aveva saputo, aggiungendo quando Troia sarebbe caduta, con l’intervento di Enea e di Antenore…22…I  nobili Troiani, visto l’insistente assalto dei nemici alle mura, e capito che erano ormai  incapaci di resistere,  fanno una sedizione contro Priamo e i principi. Chiamati Enea ed i figli di Antenore decidono di restituire a Menelao Elena con le ricchezze… Priamo se ne sentì cantare molte da Enea e alla fine, con sentenza unanime, ordinò ad Antenore di andare nel campo greco e trattare la fine della guerra...Nestore gli prometteva grandi cose alla distruzione di Troia, e lo esortava a qualche macchinazione con cui poter salvare gli amici e rovinare gli altri Troiani sleali… furono scelti Agamennone, Idomeneo, Ulisse e Diomede, che tenendosi lontani dagli altri concordano il tradimento. Si decide inoltre che ad Enea, sempre che volesse rimanere nell’accordo giurato, venisse concessa una parte del bottino e l’incolumità della sua casa; ad Antenore la metà dei beni di Priamo e il regno per uno dei suoi figli, quello che egli avesse scelto...V 5. Ulisse e Diomede vanno a casa di Antenore, dove vengono tenuti a banchetto e pernottano. E vengono a sapere da Antenore dell’antico oracolo, che sarebbe stata rovina totale di Troia se il Palladio, che era nel tempio di Minerva, fosse portato fuori delle mura... Ai  nostri (i Greci, cioè: è Ditti a parlare) che lo esortavano a fare tutto il possibile per aiutarli Antenore rispose che avrebbe fatto ciò che volevano… (8)…e quella stessa notte Antenore andò di nascosto al tempio di Minerva. Lì, mischiando alla forza molte preghiere, persuase Teano, che era sacerdotessa  di quel tempio, a consegnargli il Palladio, dicendole che ne avrebbe avuto grandi ricompense. Così concluso l’accordo torna dai nostri e consegna loro ciò che aveva promesso. I Greci, avvoltolo bene perché nessuno potesse capire di cosa si trattava, lo mandano su un carro al campo di Ulisse per tramite di  parenti  e fidi servi loro. 10. Diomede ed Ulisse cominciano a giurare che si atterranno a ciò che si era convenuto con Antenore e che ne sarebbero stati testimoni Giove sommo e la madre Terra, il Sole, la Luna e l’Oceano. Antenore conferma il giuramento con la stessa formula. 11… E  a Troia con grande zelo veniva portata nel tempio di Minerva, a cura di Antenore ed Enea, la quantità di oro e di argento stabilita…12… Né con più inerzia si provvide ad incendiare la città, ma solo dopo aver posto delle guardie a difesa delle case di Enea e di Antenore…16… E Antenore con i suoi si mette a pregare i Greci di lasciar perdere le reciproche ire e pensare per il bene comune di partire per mare, essendo ormai il momento propizio per la navigazione. Li invita tutti a banchetto e li colma dei più ricchi doni. Allora i Greci persuadono Enea a navigare con loro verso la Grecia, dicendo che lì gli avrebbero riconosciuto pari diritto di regno.
Brunetto Latini, Li livre dou Trésor, I 33  Come Enea arrivò in Italia
Quando Troia fu presa e messa a ferro e fuoco, e ci si uccideva gli uni gli altri, Enea il figlio di Anchise con il padre e Ascanio se ne uscirono dalla città portandosi un grandissimo tesoro e con una moltitudine di persone si salvarono.  E perciò raccontano gli autori (Ditti e Darete, ndt) che essi parteciparono al tradimento, e parecchi dicono che non ne seppero nulla se non alla fine, quando la cosa non potè esser evitata, ma comunque sia egli e tutta la sua gente se ne andarono per mare e per terra, un’ora prima o dopo, finché giunsero in Italia.
Boccaccio, Genealogiae deorum gentilium, VI 53 
De Enea Anchisis filio, qui genuit Iulium Ascanium et Siluium Postumum…. 
Egli, anche se ha compiuto molte imprese gloriose presso Troia, secondo taluni è segnato dalla macchia del tradimento della Patria, e se ne adduce a prova tra altre cose che gli fu permesso di andarsene incolume con il figlio, le navi e parte delle truppe, mentre contro gli altri si incrudelì. Altri tuttavia dicono che ciò gli fu concesso a titolo di dono, perché egli fu ospite assiduo dei messaggeri greci a Priamo e perché sempre nelle assemblee dei Troiani dichiarò dannoso che si trattenesse Elena e consigliò di restituirla…

Altre testimonianze classiche
  • Ellanico, Hist. Fragmenta 1a,4,F.31.10-71;  
  • Scolii a Licofrone, Alessandra, vv. 1232 e 1264; 
  • Gneo Nevio, Bellum Punicum, frg. 8,10,24,25; 
  • T. Livio, ab Urbe condita, I, 1; 
  • Orazio, Carmen saeculare, vv. 37-44 e commento di Porfirione ad locum; 
  • Dionigi d’Alicarnasso, Antichità romane, I 48; 
  • Dione di Prusa, Orazione XI 137,3-144, passim; 
  • Seneca, ad Helviam matrem 7 e de beneficiis VI 36;  
  • Tiberio Donato, ad Aen. II 200; 
  • Tertulliano, ad Nationes II 9; 
  • Servio, ad Aen. I 241 e 649...; 
  • Anonimo, Origo gentis Romanae, IX 1-4 
  • A queste vanno aggiunte le testimonianze relative ad Antenore:
  • Pausania, X 27, 1; Scholia in Iliadem, 3.205; Scholia in Pindarum, P 5.109; Scholia in Aristophanis aves, 933; Strabone, Geog., 13.1.52-3; Dione Crisostomo, Orationes, 11.137.7; Eliano, Natura animalium, 14.8; Quinto Smirneo, Posthomerica, XIII 300 sgg.; Trifiodoro, La presa di Troia, 651-9; Suda, sub voce Παλλάδιον; Servio, ad Aen., II 15.
  • Altre testimonianze medievali
  • Buoncompagno da Signa, Epistula mandativa ad comites palatinos, VI.
  • Anonimo, Storie de Troia e de Roma, passim
  • Anonimo, Istorietta troiana, passim
  • Dino Compagni, Cronica, I 14
  • Dante Alighieri, Inferno, XXXII 88 e Purgatorio, V 75
  • Giovanni Villani, Nuova Cronica, I 16
  • Andrea da Barberino, Huon d’Auvergne, II, 99
  • Benvenuto da Imola Inferno I 73-75 e XXXII 88-90
  • Chiose Vernon, Inferno,  XXXII 13-69
  • Anonimo Fiorentino, Inferno,  I 73-74 e XXXII  88

GLI ALTRI CAPITOLI DELL’ALTRA ILIADE, L’ALTRA ODISSEA
LE  MORTI  DI  POLIDORO—PENTESILEA--ACHILLE,  AMORE  E  MORTE--PARIDE:  NON SOLO  ELENA--IMPIUS  AENEAS--CALCANTE  TROIANO--GLI  ALTRI  APOLOGHI  DI ULISSE--TELEMACO  E  NAUSICAA--LA  MORTE  DI  ULISSE--DIONE  CRISOSTOMO, DISCORSO  TROIANO
Queste pagine hanno conseguito il premio speciale della giuria al concorso Letizia Isaia, sponsorizzato dal Consiglio dei Ministri e dalla Regione Campania, X edizione, ed il secondo posto per il settore Giornalismo e critica al Premio Mario Soldati 2012. Pur essendo riservati i diritti d’autore è consentito l’uso didattico di queste pagine. Molti approfondimenti dell’autore sull’argomento troiano nel M.E. sono ospitati sul sito www.culturaescuola.it e sugli altri siti web ivi indicati. Di particolare importanza è tra essi il sito in lingua francese  www.mediterranees.net/mythes/troie/chiappinelli, collegato al celebre dizionario Daremberg-Saglio. Chi voglia per qualsiasi motivo contattare l’autore può farlo scrivendogli all’indirizzo E-mail fchiappinelli@libero.it. Allo stesso indirizzo potete richiedere i volumetti IMPIUS  AENEAS e L’ALTRA ILIADE, L’ALTRA ODISSEA.

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