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La Grande Storia dei Cavalieri Templari

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mercoledì 30 marzo 2016

SOVRAPPOSIZIONE DEI PIANI INTERPRETATIVI NELLA NUOVA RELIGIOSITA’: I “SANTI VENDICATIVI”


Come abbiamo visto in precedenza, la tematica della convivenza dei vari piani culturali e culturali nell’ambiente rurale altomedievale è stato approfondito da diversi storici, date le sue numerose sfaccettature. La stessa Sofia Boesch Gajano definisce la campagna una “frontiera difficile da smantellare” nel suo saggio “Il demonio e i suoi complici” del 1995. Uno studio schematico di questa realtà lo aveva fatto Jacques Le Goff nel 1977 nel saggio “Cultura clericale e tradizioni folkloriche nella civiltà merovingia”, nel quale parla di tre processi : distruzione (riguardo templi, idoli e temi di letteratura folklorica), obliterazione (ossia la sovrapposizione di monumenti, personaggi e tematiche nuove alle vecchie), e snaturamento (cioè il cambiamento di significato delle vecchie argomentazioni).

Duro da superare era, dunque, l’incontro-scontro tra gerarchie ecclesiastiche, poco intransigenti rispetto ad una religiosità più formale che di contenuto, e le popolazioni rurali, che creavano delle forme sincretiche di culto, nel quale il maggior punto di contatto tra vecchi culti pagani e nuova religiosità cristiana era dato proprio dalla credenza nei demoni. All’inizio la loro figura non aveva delle connotazioni ben precise rispetto a quelle dei santi: essenza demoniaca ed essenza divina, si sovrappongono attraverso sfumature, a volte piuttosto difficili da individuare. Tanti saranno, infatti, i racconti delle avventure di santi vendicativi e demoni bonari, sfruttati, durante le prediche, per catturare l’attenzione di un uditorio poco abituato a concetti elaborati, per spiegare i quali era necessaria una semplificazione che ne colpisse l’immaginario.

Si trovano, a riguardo, infatti, racconti di santi che percuotono i fedeli colpevoli di peccati, o di demoni che fanno buone azioni per giungere in Paradiso. Un esempio si trova nella “Vita Remigii episcopi Remensis auctore Hincmaro” nel quale si racconta del proprietario di un mulino che si contrappone alle rivendicazioni su di esso del vescovo Remigio: la ruota del mulino, per volere del religioso, inizia così a girare al contrario, e, quando il laico, impaurito, accetta le tesi del vescovo, questo fa sprofondare la costruzione. Qui, dunque, un santo compie un atto tradizionalmente demoniaco, cioè invertire il normale moto di un oggetto, metafora dell’inversione del naturale ordine dell’universo, ordinato da Dio.

Articolo di Valentina D'Innocenzi. Tutti i diritti riservati.

sabato 26 marzo 2016

IL TRADIZIONALE SCOPPIO DEL CARRO A FIRENZE


Il tradizionale Scoppio del Carro di Firenze affonda le sue radici ai tempi della Prima Crociata, indetta per liberare il Santo Sepolcro dai musulmani. Nell'anno 1097 Goffredo di Buglione comandò i crociati alla volta della Palestina dove espugnarono Gerusalemme il 15 luglio 1099.

Secondo quanto riportato dalla tradizione, Pazzino de' Pazzi fu il primo soldato ad arrivare sopra le mura della città dove posò un'insegna bianca e rosso vermiglio: l'atto colpì molto Goffredo che gli consegnò tre schegge provenienti dal Santo Sepolcro. Il 16 luglio 1101 Pazzino tornò a Firenze dove fu accolto con tutti gli onori del caso: le pietre vennero conservate nel Palazzo dei Pazzi e riconsegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra a Porta in Mercato Nuovo.

Dopo la liberazione della Città Santa, nel primo giorno del Sabato Santo, i soldati crociati rimasti in Palestina si incontrarono presso la Chiesa della Resurrezione dove consegnarono a tutti il fuoco benedetto, vero e proprio simbolo di purificazione. Dopo il ritorno di Pazzino, i giovani si recavano nella cattedrale cittadina dove veniva accesa una piccola torcia prima di andare in processione portando la fiamma purificatrice. La fiamma era accesa utilizzando le tre schegge provenienti dal Santo Sepolcro. Nel tempo la cerimonia cambiò e fu creato un carro che, alimentato a carboni infuocati, aveva il compito di trasportare il sacro fuoco. Fu la famiglia Pazzi a essere incaricata dell'organizzazione del carro fino all'anno 1478 quando, a seguito della congiura contro i Medici, i Pazzi furono uccisi arrivando a cancellare tutto ciò che faceva riferimento alla famiglia compreso lo Scoppio del Carro.

Il popolo fiorentino insorse non perché sostenitori dei congiuranti ma perché avevano mostrato di preferire lo Scoppio del Carro alla semplice processione. La Signoria di Firenze ordinò, quindi, si Consoli dell'Arte Maggiore di Calimala di occuparsi dei festeggiamenti così come avveniva prima della drammatica congiura dei Pazzi. Nell'anno 1494 il riformatore Savonarola cacciò i Medici in favore dei discendenti dei Pazzi che si poterono riappropriare dell'organizzazione dello Scoppio del Carro nel Sabato Santo.

Il fuoco si accende grazie a una colomba che altro non è che un razzo avente la forma del sacro pennuto. Lo spettacolo dura circa venti minuti e ha luogo nei pressi del Battistero della Cattedrale di Santa Maria del Fiore dove svetta austero ed elegante il Campanile di Giotto.


sabato 12 marzo 2016

LA PASTORALE DI GREGORIO MAGNO


La difficoltà che le gerarchie ecclesiastiche incontrarono nell’affrontare, in età tardoantica e altomedievale, il tema della diffusione di forme ibride di religiosità, determinarono l’accettazione, da parte loro, di forme di compromesso. Spesso, infatti, ci si limitò a “battezzare” i luoghi legati ai culti pagani, come alberi, fonti o pietre, con benedizioni mirate a ricondurne la sacralità nell’alveo del culto cristiano. Quanto detto viene testimoniato, ad esempio, dalla Lettera a Mellito di Gregorio Magno, scritta nell’estate dell’anno 601, in cui l’autore si raccomanda, con le gerarchie presenti nel territorio anglosassone, di procedere in questo modo. 

Gregorio suggerisce, infatti, di non distruggere i templi degli Angli, ma di costruire al loro interno altari cristiani, corredandoli di reliquie, e benedicendoli con l’aspersione di acqua benedetta. Il fine di questa pratica è, per l’autore, quello di fare in modo che la popolazione possa continuare a espletare i riti nel tempio tradizionale, ma, nel contempo, allontanando l’animo dal culto di quelli che lui stesso definisce “demoni”. Inoltre, il fedele potrà, in questo modo, continuare a praticare in luoghi familiari, attraverso sacrifici a lui noti, mutando solo l’animo e la divinità a cui dedicarli. Gli animali si sacrificheranno negli stessi luoghi, ma in onore, ora del vero Dio e non più del diavolo.

Nella conclusione, Gregorio Magno fa un’osservazione psicologica molto acuta; egli, infatti sostiene che: “E’ impossibile tagliar via tutto in un sol colpo da menti indurite, poiché anche colui che si sforza d’innalzarsi in alto, sale gradatamente e a piccoli passi, non a salti: così il Signore (…) comandò di immolare animali per offrirli a lui, perché cambiando disposizione interiore, qualcosa perdessero del sacrificio, qualcos’altro ritenessero”. (Registrum epistolarum VIII-XIV, Appendix, II, a c. di Dag Norberg, Turnhout, 1982, XI, 56, pp. 961-962).

Dunque, per ammissione dello stesso Gregorio, i riti in apparenza saranno identici, ma dovrà essere mutato l’animo di chi li compie, tanto quanto i luoghi, che saranno i medesimi, ma consacrati al nuovo culto, tramite la consacrazione di nuovi altari. Tutto ciò, comunque, non deve trarre in inganno: l’accettazione delle forme ibride sarà valida solo per le zone periferiche; quando c’era notizia di culti eterodossi nel circondario di Roma, la raccomandazione era quella di usare la repressione violenta.

Nei Dialoghi (II, VIII, 10-12) Gregorio infatti racconta che a Cassino era presente una rocca, su cui troneggiava un tempio per Apollo, circondato da boschi sacri dedicati ai demoni. “Appena vi giunse, l’uomo di Dio spezzò l’idolo, rovesciò l’altare, tagliò i boschi. Proprio dove si ergeva il tempio di Apollo costruì un oratorio dedicato a S. Martino; e dove era l’ara di Apollo, una cappella in onore di S. Giovanni”. Quindi, in maniera molto acuta, la pastorale suggerita da Gregorio era in grado di trasformare la propria azione a seconda delle esigenze concrete.

martedì 8 marzo 2016

"IMPAZIENTE DELLA QUIETE". BARTOLOMEO D'ALVIANO, LE FORTUNE DI UN CONDOTTIERO NELL'ITALIA DEL RINASCIMENTO (1455-1515).

Bellini, Giovanni - Giovanni Emo - NGA.jpgIn occasione del cinquecentenario dalla morte di Bartolomeo D'Alviano l'Università degli Studi di Perugia promuove un ciclo di conferenze in collaborazione con il Dipartimento di Lettere, lingue, letterature e civiltà antiche. L'evento è patrocinato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, Comune di Alviano, Città di Todi, Pro Loco Alviano, Ente del Rinascimento di Acquasparta e Regione Umbria.

Bartolomeo d’Alviano (1455-1515) fu uno dei più importanti condottieri del Rinascimento. Discendente da una stirpe feudale insediata tra l’Umbria e il Lazio, ebbe un lungo apprendistato che lo vide coinvolto nei conflitti politici che caratterizzavano lo Stato pontificio. Poi, quando aveva oltre quarant’anni, iniziò la stagione della gloria: dapprima come luogotenente del Gran Capitano Consalvo di Cordova e in seguito in qualità di generale al servizio della Repubblica di Venezia. Bartolomeo diventò una figura centrale della scena politica e militare nel periodo delle guerre d’Italia. Uomo colto nonché consapevole che l’arte della guerra si stava trasformando in una scienza, riorganizzò il sistema di fortificazioni che difendevano il territorio della Serenissima. La sua irruenza in battaglia, ma anche la sua comprovata esperienza colpirono gli osservatori contemporanei che parlarono di lui, da Niccolò Machiavelli, a Francesco Guicciardini, a Marin Sanudo. Per ricordare Bartolomeo d’Alviano a cinquecento anni dalla sua scomparsa, è stato organizzato un programma di conferenze che ripercorreranno i momenti decisivi della vita di un personaggio che volle essere protagonista di un’epoca di grandi trasformazioni. 

Sabato 19 Marzo ore 17:30
Rocca di Alviano
Dott. Emilio Lucci (Dir. Archivio Diocesano di Terni, Narni, Amelia),
Una stirpe feudale umbro-laziale: la Famiglia Alviano tra Medioevo e prima età moderna

Sabato 16 Aprile ore 17:30
Rocca di Alviano
Prof.ssa Nadia Togni (Université de Genève),
Gli Alviano, il Monastero di S. Valentino e la Bibbia Atlantica conservata a Parma

Sabato 28 Maggio ore 17:30
Palazzo Comunale di Todi
Dott. Filippo Orsini (Archivio storico comunale di Todi),
Bartolomeo d’Alviano, Todi e l’Umbria tra XV e XVI secolo

Sabato 18 Giugno ore 16:30
Palazzo Cesi di Acquasparta
Prof. Manuel Vaquero Piñeiro (Università degli Studi di Perugia),
L’affare delle armi. Le condotte militari tra Medioevo ed età moderna
Dott.ssa Nadia Bagnarini (Università degli Studi di Siena),
Le donne dei condottieri: Isabella d’Alviano e la complessa storia di un’eredità

Sabato 25 Giugno ore 17:30
Rocca di Alviano
Prof. Marco Pellegrini (Università degli Studi di Bergamo),
Garigliano, Agnadello, Marignano: tre battaglie che cambiarono la storia d’Italia

Sabato 17 Settembre ore 17:30
Rocca di Alviano
Prof. Andrea Del Ben (Università degli Studi di Udine),
La cultura del Condottiero: Bartolomeo d’Alviano e gli autori classici

Sabato 29 Ottobre ore 16:30
Rocca di Alviano
Prof. Walter Panciera (Università degli Studi di Padova),
La Repubblica di Venezia nelle guerre d'Italia
Prof. Lucio Pezzolo (Università Cà Foscari di Venezia),
Bartolomeo d'Alviano al servizio di Venezia

Sabato 12 Novembre ore 17:30
Rocca di Alviano
Prof.ssa Elena Valeri (Sapienza Università di Roma),
Bartolomeo d’Alviano e gli ambienti culturali del primo Cinquecento

Contatti per maggiori informazioni e orari:

Comune di Alviano - Proloco Alviano
Tel 0744.90.44.21 - Fax 0744.904.678
Mobile: 349.6200.356 329.7219.115 333.5749.553

lunedì 7 marzo 2016

LA SOVRAPPOSIZIONE DELLE PRATICHE CULTURALI NELLO SGUARDO DI ALCUNI STORICI


Nonostante l’evangelizzazione cercasse di eliminare definitivamente le pratiche folkloriche dagli usi religiosi, almeno in una fase iniziale, in un secondo tempo dovette fare i conti con la necessità di farne proprie alcune espressioni, per poter rendersi comprensibili anche alle masse rurali. Jacque Le Goff, nel suo saggio “La civiltà dell’Occidente Medievale” del 1981, sostiene, infatti, che, dopo le invasioni barbariche del V sec., le popolazioni urbane si rifugiarono in campagna, creando, in questo modo, delle unità isolate, che si ripiegarono in sé stesse, scavando un solco sempre più profondo con le élites urbane più acculturate. Egli descrive, a riguardo, “piccole unità ripiegate su sé stesse, poste in mezzo ai deserti: foreste, lande, terreni incolti”.

In questo isolamento demografico, che diventa nel tempo anche, e soprattutto, culturale, si accentua maggiormente la creazione di pratiche ibride di religiosità, ed infatti, come nota sempre le Goff, il VI sec. è il periodo “dei concili e dei sinodi”, tesi a dare ai fedeli delle direttive univoche nel culto, ed espressioni rituali ortodosse accettate da tutti. A riguardo, lo storico parla di “stratificazione”, intendendo, però, esprimere più la compresenza di piani diversi, che non la predominanza di un’unica realtà coesa; tutto ciò, per Le Goff, si ottiene tramite un sistema che definisce quello dell’”istupidirsi per conquistare”, acquisito e riproposto dall’élite culturale cristiana altomedievale, consapevolmente o meno, per cercare di diffondere l’ortodossia. 

A tale riguardo lo storico riporta la posizione di Agostino di Ippona, dichiarerà di preferire essere compreso, piuttosto che l’ammirazione dei retori. Dunque, si può evidenziare la creazione di uno strato intermedio dell’elaborazione di concetti religiosi, sia sul piano delle pratiche rituali, sia su quello del linguaggio e  della comunicazione, dovuta alla difficoltà di assimilazione, da parte delle masse, di concetti elaborati, come anche pone in evidenza Aron Gurevich, nel 1981, nel saggio “Contadini e santi. Problemi della cultura popolare nel Medioevo”.

Anche Santo Mazzarino, nel 1988, attraverso il saggio “La fine del mondo antico”, si pronuncia su questo tema, e afferma che quella che lui definisce “rivoluzione cristiana” si inserisce nell’ampia crisi socio-politica tardoimperiale, che si esprimeva in una durissima repressione delle masse contadine, in cui il piano religioso si sovrappone a quello sociale e politico, dando un’alternativa di speranza di riscatto.

Articolo di Valentind D'Innocenzi. Tutti i diritti riservati.

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