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domenica 21 aprile 2019

IL VERO SIGNIFICATO DELLA PASQUA


Coniglio, Pasqua, Lepre, Mammifero, Natura


Lungi dall'essere blasfemi in questa giornata di festa, ci piace offrire un punto di vista diverso sulla festività pasquale scevro dalla concezione religiosa. Ebbene, la Passione di Cristo assume, alla luce delle tradizioni precedenti l'avvento del Cristianesimo, un carattere fortemente simbolico, diciamo anche "sostitutivo" delle vecchie concezioni. Tra l'altro è cosa provata come il Cristianesimo si sia appropriato di simboli e luoghi pagani per imporre il proprio credo.

Il termine inglese per indicare la Pasqua è Easter, deriva da Eostre (1) una divinità germanica legata ai molteplici aspetti della vita (vita, fertilità...) e avrebbe come etimologia "Est" (e già questo basterebbe per allungare il nostro discorso con il parallelismo tra Mitra e Gesù nati, guarda caso il 25 dicembre giorno del Sole Nascente, Sol Invictus). In questo contento, già di per sé diverso da come la visione cristiana ha imposto in oltre due mila anni di storia, la Pasqua altro non è che una festa che rende omaggio al Sole segnando l'inizio della Primavera e, quindi, della propria rinascita. Le stesse uova rappresentavano la Vita, o meglio la nascita della vita, solo che in tempi antichi ad essere scambiati erano uova di serpente

Avendo bisogno di un terreno fertile su cui svilupparsi, il Cristianesimo sovrappose a credenze ormai consolidate il "mito" di Gesù Cristo letteralmente creato da Costantino (con il Concilio di Nicea del 325) e Teodosio (che, nel 380 rese il Cristianesimo Religione di Stato...ricordiamo come Costantino si limitò solamente a consentire il culto cristiano, già di per sé una rivoluzione epocale per i tempi senza dimenticare la sua storia cristianizzata figlia proprio della Donazione di Costantino, un falso documento scoperto dal grande umanista Lorenzo Valla su cui la Chiesa ha fondato il suo potere.) consentendo di avere all'impero romano anche un proprio "protettore". 

Sic stantibus rebus, augurare Buona Pasqua seguendo la normale tradizione cristiana, creata, come visto, a tavolino sulla base del potere che voleva sovvertire (e ha sovvertito) conoscenze e credenze precedenti, non ha alcun senso: ben venga l'augurio più simbolico, in cui un rinnovato spirito di conoscenza, una più marcata saggezza e un miglioramento interiore rappresentano davvero le tappe principali della crescita e del consolidamento dello spirito umano.

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(1) Ostara (chiamata anche Eostre, Eastre oppure Eostar) è uno degli otto sabbat pagani; si celebra il giorno dell'equinozio di primavera ed è condivisa relativamente da tutte le religioni pagane moderne.

giovedì 25 gennaio 2018

3 MODI (RACCAPRICCIANTI) DI CURARE LA PESTE NERA


La Peste Nera è, senza dubbio, una delle più più gravi pandemie della storia. Tra il 1347 e il 1353 l'Europa fu falcidiata dalla "Morte Nera" con circa 75 milioni di morti che, in quel periodo, rappresentava circa un terzo della popolazione. Erroneamente attribuita ai topi, la Peste Nera iniziò nella Mongolia e arrivò nei principali porti europei (Venezia, Costantinopoli, Messina, Marsiglia ecc...) proprio grazie a forti legami commerciali.

Gli sventurati che si trovarono a combattere contro la malattia morivano dopo poco tempo con gli ultimi giorni di agonia che erano terribilmente dolorosi: febbre altissima, vomito, sangue dai polmoni e i famosi "bubboni" in prossimità dei condotti linfatici (collo, ascelle e inguine). Ovviamente, la medicina del tempo era ben lontana da quella attuale quindi anche pensare di affrontare una tale epidemia era impensabile. Presi dalla disperazione, ci si affidava a qualsiasi tipo di cura anche folle. 

Il famoso salasso da sanguisughe

Secondo alcune fonti, i primi salassi da sanguisuga risalgono all'800 a.C. e furono usati per moltissime malattie. Il salasso non comportava dolore al malato ma era una pratica decisamente costosa, per questo, coloro i quali non potevano permettersi la cura, usavano tagliarsi le vene facendo cadere il sangue in un recipiente. Le condizioni igieniche di quel periodo rendevano questa pratica ancora più pericolosa e potenzialmente mortale.

Escrementi umani

Detta cosi fa ribrezzo, non credete? Venivano aperti i linfonodi per consentire alla malattia di uscire (o almeno così si sperava); successivamente si applicava una buona quantità di escrementi umani, fiori e resina tenuti fermi da un rigido bendaggio. Questa pratica portava, ovviamente, a nuovi contagi.

Un bagno all'urina

Durante il Medioevo, l'urina era considerata una vera e propria panacea. Chi veniva colpito dalla peste nera si faceva un vero e proprio bagno nelle urine, convinti che ciò avrebbe portato giovamento al corpo. Si arrivava addirittura ad assumerla per via orale! Sempre durante il Medioevo si vendeva e somministrava di continuo urina non infetta ai malati!

Ancora oggi si muore di peste soprattutto nei paesi molto poveri ma, fortunatamente, sono stati scoperti antibiotici e vaccini in grado di minimizzare il contagio e la diffusione della malattia stessa

venerdì 28 ottobre 2016

LE 10 ARMI MEDIEVALI PIÙ DISTRUTTIVE

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Gli amanti della storia, degli antichi armamenti e i collezionisti non avranno di che stupirsi di fronte alle dieci armi medievali più distruttive. Già perché per quanto la tecnologia abbia portato alla creazione di armi sempre più sofisticate, già nel Medioevo armi estremamente pericolose e dall'accuratezza ingegneristica, venivano impiegate in battaglia.

La top ten delle armi pericolose

Reperibili nei musei e facilmente accessibili in sofisticate riproduzioni in vendita nelle armerie online i non esperti del settore avranno difficoltà ad immaginare di cosa si parla quando si dice "armi medievali", perché questa categoria contiene un’enorme varietà di arnesi di differenti dimensioni e ordine di pericolosità. Di seguito si riportano quelle che potrebbero essere considerate le dieci armi più distruttive.

• Spada dentellata: la spada è sicuramente una delle tipologie di arma più antiche e diffuse presso tutti i popoli. Essa rientra nella categoria delle armi bianche ovvero tutte quelle armi che feriscono per mezzo di punta (pugnali e baionette), lama (spade e sciabole), forme contundenti (martelli e arieti); quelle che lanciano oggetti (catapulte) e difendono (scudi). Questa spada in particolare presentava una lama dentellata su entrambi i lati per permettere di arrestare le spade degli avversari e con un semplice colpo del polso si era grado di ferire brutalmente a morte l’avversario.

• Pugnale da duello con lama a seste: il pugnale è un’arma bianca usata nei duelli. Questo pugnale in particolare era dotato di due lame extra che scattavano non appena veniva premuto un pulsante;

• Il mazzafrusto: questa arma era formata da un bastone cui era legata una catena corta con una palla di ferro chiodata all'estremità. Catalogata come bianca, questa era un’arma dalle origini contadine, che poteva essere legata alla mano del cavaliere o alla sella del cavallo in modo che la cavalcata stessa la facesse roteare;

• Trabucco: questa era una macchina d’assedio di enormi dimensioni ed era in grado di lanciare oggetti oltre mezzo miglio, era una forma di catapulta estremamente potente;

• Arbalesta: Più grande di una balestra, questa arma era dotata di un corpo d’acciaio di forza maggiore. Le arbaleste più potenti presentavano una piccola carrucola per il caricamento sprigionando grande potenza ed arrivavano ad essere precise fino a 900 metri di distanza;

• Tribolo: detto anche piede di corvo, questa arma era costituita da una specie di chiodo metallico a tre o quattro punte, di cui una sempre rivolta verso l’alto e le altre a fare da basamento. Veniva usato per arrestare l’avanzata della cavalleria nemica;

• Colubrina: dispositivo bellico chiamato anche volgarmente cannone a mano che veniva usato dai cavalieri come una sorta di fucile;

• Arco lungo: spesso lungo fino a due metri, questo speciale arco richiedeva una straordinaria forza per tendere il filo, ma permetteva di lanciare più frecce in una sola volta;

• Spadone: questo particolare tipo di spada era usata dai cavalieri e dalla cavalleria e poteva senza sforzo tagliare via gli arti al nemico;

• Martello d’armi: antica arma bianca da botta sviluppata partendo dal modello del primitivo martello da guerra. Alla fine del XV secolo aveva manico lungo e rinforzato, testa di martello da un lato e "penna" a becco di corvo dall'altro. 

Armi potenti, terrificanti, alcune delle quali si fa fatica a pensare che siano stato partorite da una mente umana per via del loro potenziale distruttivo. E non erano le uniche, perché durante il medioevo fu vasta la produzione di armi di ogni tipo, con lo scopo di infliggere più danni possibili al nemico. Se siete alla ricerca di un modello in particolare, la suddivisione in  categorie, presente nel sito di un’armeria online, può essere di grande aiuto per trovarlo in maniera semplice e rapida. 

BREVE STORIA DEI TERREMOTI A ROMA


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Tutti i romani avranno sentito sicuramente la seguente affermazione: "A Roma non ci sono terremoti perchè sotto è vuota". Non è così semplice. Roma ha un livello di sismicità davvero molto basso ma la totale mancanza di manutenzione dei monumenti oltre ad una costruzione scellerata nel corso degli anni, pongono la città in posizione di forte vulnerabilità in caso di una scossa che possa avere un epicentro anche a pochi chilometri dalla città. Sono cinque i terremoti che hanno colpito in maniera pesante Roma.

Anno Domini 443

Si narra che nel 443 la città venne colpita da un terremoto che danneggiò la zona del Teatro di Pompeo. Contestualmente crollò una parte della navata maggiore di San Paolo fuori le mura. L'evento fu ricordato dai "Vindobonenses Posteriores" e "Historia Romana". 

Anno Domini 484 (o escondo alcuni fonti 508)

Nel Colosseo troviamo un'epigrafe che racconta di restauri alla struttura a seguito proprio di uno spaventoso terremoto. I lavori furono voluti dal prefetto Deciu Marius che si occupò personalmente delle spese. 

Anno Domini 801

Gli "Annales" di Eginardo ci raccontano di un terremoto avvenuto il 25 aprile dell'801 mentre Carlo Magno era a Spoleto. Di questo terremoto ne parla anche il Liber Pontificali nella vita di papa Leone III «Nella nona indizione, a causa dei nostri peccati, avvenne improvvisamente un terremoto il 30 aprile, la chiesa di S. Paolo Apostolo fu scossa dal terremoto e i suoi tetti crollarono. Il grande ed illustre pontefice vedendo ciò ebbe grande dolore e prese a lamentarsi sia per le suppellettili d'argento, sia per le altre suppellettili che nella chiesa andarono distrutte o rovinate. Ma con l'aiuto e la protezione del Signore, il pontefice, impegnandosi con tutte le sue forze, restaurò la chiesa come si trovava fin dai tempi antichi, rafforzandola grandemente, e ne migliorò l'aspetto decorando con marmo sia il presbiterio che la chiesa e rinnovando i suoi portici.»

Anno Domini 1349

Quello del 1349 è il terremoto più importante per Roma: il sisma che colpì la città il 9 settembre fu molto forte tanto che interessò anche Perugia e Benevento. Secondo Matteo Villani (sec. XIV) «[i terremoti] feciono cadere il campanile della chiesa grande di San Pagolo, con parte della nobile torre delle Milizie, e la torre del Conte, lasciando in molte parti di Roma memoria delle sue rovine». Anche Petrarca, che i trovava a Roma in occaione del Giubileo del 13, affermò che «Roma è stata scossa da un insolito tremore, tanto gravemente che dalla sua fondazione, che risale a oltre duemila anni fa, non è mai accaduto nulla di simile. Caddero gli antichi edifici trascurati dai cittadini ammirati dai pellegrini, quella torre, unica al mondo, che era detta del conte, aperta da grandi fenditure si è spezzata ed ora guarda come mutilata il proprio capo, onore della superba cima sparsa al suolo; inoltre, benché non manchino le prove dell'ira celeste, buona parte di molte chiese e anzitutto di quella dedicata all'apostolo Paolo è caduta a terra la sommità di quella Lateranense è stata abbattuta, tutto ciò rattrista con gelido orrore l'ardore del giubileo».

Segnaliamo l'interessante link http://www.medioevo.roma.it/

giovedì 27 ottobre 2016

IL GUFO E LA CIVETTA NEL MEDIOEVO


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Diciamo la verità: chi pensa al gufo pensa ad Anacleto, il "gufo altamente istruito" di disneyana memoria. In realtà la connotazione che gli autori del capolavoro cinematografico per eccellenza danno al simpatico e scorbutico pennuto non è così lontana dalla visione che aveva il gufo durante il Medioevo. Il solo fatto che è un animale che ama girovagare di notte gli conferiva un'aurea misteriosa e magica allo stesso momento. Fin dalla notte dei tempi i gufi e le civette sono stati visti come forieri di cattiva sorte tanto che, ancora oggi, le loro immagini, i loro versi e i loro comportamenti danno adito a superstizioni e credenzeSe il gufo anziano rappresentava la saggezza, la civetta spaventava per il suo verso del tutto particolare porterebbe cattiva sorte. Dal Medioevo ci arriva una leggenda: si narra che la casa "puntata" dalla civetta sarebbe diventata luogo di sciagure. In realtà l'unico modo per illuminare la propria casa era l'utilizzo di candele o lumini che attiravano zanzare e altri insetti che diventavano prede facili per le civette. Poteva capitare che la candela rimaneva accesa come veglia ad un moribondo per questo l'avvicinarsi del rapace non era visto di buon occhio. 

Anche il gufo, tuttavia, era identificato con la iattura dato che era l'animale in cui si trasformava il demonio che entrava nelle stanze delle donne, non a caso il diavolo era descritto come un essere dalla grande testa e dalle lunghe braccia. Dopo aver consumato l'amplesso, il gufo rapiva per poi riportarle a casa lasciando segni sul corpo.

mercoledì 19 ottobre 2016

DIECI LUOGHI COMUNI SUL MEDIOEVO

Sul Medioevo se ne dicono di tante: ormai è nel linguaggio (ignorante) comune dire "il Medioevo è stato un periodo di ignoranza, grettezza e violenza". Questo a causa della cultura illuministica che non solo ha goduto di un'invenzione medievale (la stampa) per diffondere il proprio pensiero ma ha inculcato delle convinzioni che sono totalmente contrarie ai propri principi di rigore e ricerca scientifica. Leggiamo insieme quali sono i 10 luoghi comuni sul Medioevo che la storia ha sfatato.

1. "Medioevo età buia" No! Nonostante furono gli inglesi a dare per prima la definizione di "periodo oscuro" riferito al Medioevo, l'Età di Mezzo è stato senza dubbio uno dei periodi più rigogliosi della storia: certo, ci sono state torture, carestie, battaglie e nefandezze di ogni tipo, ma basta girare lo sguardo e troviamo il campanile di Giotto, la Divina Commedia di Dante, le opere di Boccaccio, cattedrali e altre meraviglie!

2. "Nel Medioevo credevano che la Terra fosse piatta". Nel Medioevo nacque la consapevolezza che la terra fosse tonda: concetto in realtà già particolarmente diffuso in Grecia. Sul testo Tractatus de Sphaera già era possibile leggere i calcoli che dimostravano inequivocabilmente la vera forma della terra, confermata poi dalle navigazioni di Magellano.

3. "Lo Ius Primae Noctis è una vergogna medievale" È diffusa la leggenda che il signore del villaggio doveva godere delle grazie della neosposa passando con lei la prima notte di nozze. Quello che è passato alla storia come "ius primae noctis" era in realtà una tassa che doveva essere versata da chi comandava sul territorio in cambio della possibilità di contrarre matrimonio. Ah...anche le cinture di castità non esistevano!

4. "Nel Medioevo c'era la tortura!" Si, ma non era così diffusa come nel "luminoso" Rinascimento. Non a caso Innocenzo III nel 1215 decise che le confessioni estorte mediante tortura iniziarono ad essere fortemente screditate preferendo un regolare processo.

5. "Nel Medioevo si cacciavano le streghe!". Falso come una banconota da mille euro. La caccia alle streghe iniziò si nel Medioevo ma praticamente alla fine del periodo stesso per raggiungere l'apice nel '600 e nel '700 sulla base di testi come il Malleus Maleficarum che è datato 1487. Nel Medioevo fu data una caccia senza pietà agli eretici, ma la caccia alle streghe è decisamente post-medievale.

6. "Le gente del Medioevo era sporca". È vero che non ci lavava tutti i giorni ma una "vasca" era sempre presente negli appartamenti. I bagni termali erano un luogo per altolocati, mentre il popolo poteva trovare refrigerio e si poteva lavare nei fiumi. Anche il lavaggio delle mani prime dei pasti era una pratica diffusa così come era di prassi cambiarsi la biancheria con una certa frequenza.

7. "Le strade erano sporche". Non sempre è vero. Naturalmente le strade medievali non avevano i cassonetti della spazzatura ogni cinquanta metri ma, nel corso dei tempi, si sono create rete di fognature e sistemi di spurgo in grado di rendere più gradevole l'aria della città. A Marsiglia, ad esempio, un'ordinanza obbligava i cittadini a tenere pulita la zona antistante la propria casa.

8. "Il Medioevo è il periodo dell'ignoranza". Altra falsità. Quando furono aperte le prime università ad esempio? Addirittura l'istruzione era totalmente gratuita se il ragazzo non aveva sufficienti mezzi per mantenersi gli studi. Nelle scuole, che si trovavano spesso vicino le chiese, si gettarono le basi di quel pensiero scientifico successivamente cavalcato da personaggi quali Galileo Galilei.

9. "La medicina era solo superstizione". Non è vero assolutamente. Ovviamente alcune diagnosi tiravano in ballo fasi lunari, strane congiunzioni astrologiche o il supporto di "farmaci" un po' particolari: tuttavia vi era un corpus di norme notevole da studiare e imparare e si voleva affrontare la "pratica medica" con cognizione di causa. Ancora oggi ci curiamo lievi stati di malessere con camomilla o altre piante proprio sulla base di esperienza e studi dell'antichità.

10. "Si moriva giovani". "Nel mezzo del cammin di nostra vita" recitava Dante affermando proprio che a 35 anni iniziò il suo viaggio all'Inferno. Questo testimonia come la credenza che nel Medioevo si morisse giovanissimi è una bufala: ovviamente i tassi di mortalità erano diversi da quelli odierni,  non c'erano medicine, spesso si moriva per un banale virus o un'influenza ma era facile trovare persone che vivevano anche 60/70 anni.

martedì 18 ottobre 2016

COME SI SMALTIVANO I RIFIUTI NEL MEDIOEVO?

Negli ultimi anni si fa un gran parlare di raccolta differenziata dei rifiuti: vi siete mai chiesti come si smaltivano durante il Medioevo? Ebbene si, le città medievali erano sovente maleodoranti e questo comportava una alta possibilità di incorrere in malattie a larga diffusione. I rifiuti del mondo medievale erano diversi da quelli del mondo consumista degli ultimi decenni: non c'era plastica, niente sostanze chimiche o radioattive. 

Come si riciclavano gli scarti nel Medioevo?

Il cibo, naturalmente, veniva riciclato dagli scarti delle preparazioni casalinghe: ecco perché si dice, ad esempio, che la nostra cucina è "povera" proprio perché fin da tempi remoti siamo stati in grado di trasformare avanzi di cibo in piatti da gourmet. Il problema delle città erano non solo gli scarti delle lavorazioni del cibo ma anche gli escrementi degli animali e quelli umani dato che non c'era, ovviamente, un'urbanizzazione massiccia e organizzata come quella delle città attuali. 

Anche la struttura delle case non favoriva un corretto smaltimento degli scarti; gli appartamenti erano molto piccoli e anche i bagni erano provvisti solamente di una buca che versava le deiezioni direttamente nel canale, in unfossato o in un grande contenitore. Questo se si era fortunati, altrimenti si versavano i propri "scarti" direttamente per strada. Chi si occupava, poi, della pulizia delle strade? Ovviamente non c'erano i netturbini di oggi o aziende municipalizzate che si occupassero di mantenere decorose le strade: per questo ci si affidava alla pioggia o agli animali. Solamente dal XII secolo con la crescita della popolazione arriverà anche una maggiore sensibilizzazione della cura delle città con la creazione di centri più organizzati e con la riqualificazione delle zone già presenti.

I butti e le latrine

Le epidemie e le pestilenze erano ampiamente favorite dalla sporcizia, per questo molti comuni adottarono norme molto severe che vietavano di gettare immondizia per strada favorendo la raccolta degli scarti in una sorta di "isole ecologiche" che si trovavano sotto le proprie case, i "butti". Ovviamente nel butto veniva gettata ogni cosa, dagli scarti, ai vestiti ai propri escrementi e per cercare di arginare l'olezzo che fuoriusciva si metteva un coperchio fatto di pietra o legno: successivamente si utilizzava della cenere o calce viva per disinfettare il pozzo,

Un ottimo esempio di urbanizzazione che strizza l'occhio all'ecologia ci viene dalla Germania, esattamente da Friburgo. La città, fondata nel 1120, prevedeva un sistema di canali che copriva non in maniera capillare l'intera città e che era vietato sporcare in qualsiasi modo. Le norme rigide venivano, tuttavia, completamente disattese dagli abitanti che trasformarono in breve tempo la città in un luogo totalmente malsano. 

Le latrine erano funzionanti, si trovavano dietro le case ed erano costituite da un pozzo ricoperto in calcestruzzo con un buco al centro. Lo svantaggio era lo svuotamento del pozzo che prevedeva l'abbattimento e la successiva ricostruzione della struttura. Altri rifiuti che era facile trovare sparsi nelle città erano gli scarti della produzione artigianali (stoffe, cuoio ecc...). 

Nel 1231, con le Costituzioni di Melfi firmate da Federico II e che costituiscono il primo corpus di leggi in difesa della salubrità delle città, si prevedeva di spostare le lavorazioni nocive al di fuori della cinta muraria cittadina o in zone molto più lontane anche perché la lavorazione del cuoio emetteva nell'atmosfera sostanze decisamente dannose per la salute, basti pensare che la pelle dell'animale doveva essere trattata, essiccata e lavata e, come è facile immaginare, era facile che le acque utilizzate per la detersione del prodotto si inquinavano in maniera repentina. 

Proprio per questo, verso la fine del Medioevo, le lavorazioni artigianali furono completamente portate fuori dalle città senza tuttavia risolvere il problema dei rifiuti e del loro smaltimento. Solamente nel 1500 fu creata la figura del "Maestro di Immondizia", un classico "posto d'oro" come si direbbe ora: il maestro aveva un potere di grande importanza tanto che era facile cadere vittima di omicidi per appropriarsi del posto e che, proprio come oggi, divenne una vera e propria fonte di soldi per la criminalità organizzata.

LA COSCIENZA ECOLOGICA NASCE NEL MEDIOEVO!

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Il termine Medioevo viene ancora oggi affibbiato con disprezzo per indicare un qualcosa di vecchio, antico, anacronistico e retrogrado. Ormai è opinione comune che, in realtà, il Medioevo non è "buio" come ha tentato di inculcarci la cultura illuministica del XVIII secolo, ma è stato un periodo di grande splendore sociale, politico e culturale: basti pensare che le donne potevano ricoprire incarichi di responsabilità, che i concetti di laicità e liberalismo trovano nel Medioevo terreno fertile, come fertile è il terreno dove l'Europa moderna ha visto i suoi prodromi.

Ma forse non tutti sanno che proprio nel Medioevo nacque un'importante coscienza ecologica: la tesi è stata dimostrata da Riccardo Rao autore del libro "I paesaggi dell'Italia Medievale" secondo cui nel Basso Medioevo furono le popolazioni montanare a inaugurare una sorta di cultura ecologista. Infatti il primo documento dal sapore ecologista risalirebbe al 1033 di proprietà del Vescovo di Modena il quale concedette in affitto terre disboscate con il patto di renderle più vive e rigogliose che mai. 

Nel 1113 la contessa Matilde di Canossa ordinò ai monaci di San Benedetto di Polirone di non tagliare più di dodici roveri e cerri in un bosco che cresceva rigoglioso nei pressi del monastero. Ovviamente i provvedimenti descritti in questi documenti medievali sono ben lontani dalla concezione dell'ecologia che abbiamo nei giorni nostri; tuttavia rappresentano un'importante presa di posizione nei confronti dell'ambiente circostante tanto che nel Duecento e nel Trecento alcune norme prevedevano una difesa più importante del bosco proibendo l'abbattimento degli alberi e il diboscamento selvaggio. 

Fu proprio alla fine del Medioevo che si vedrà una brusca inversione di tendenza con una serie di disboscamenti imponenti che dureranno ben seicento anni fino alla fine del XX secolo in cui il concetto di ecologica sembra essere letteralmente tornato in auge

lunedì 18 luglio 2016

LA TAVULA PEUTINGERIANA

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La Tavola Peutingeriana (chiamata così perchè porta il nome dell'umanista Konrad Peutinger) è una copia risalente al XII e XIII secolo di una carta di epoca romana che mostrava le strade dell'Impero. Nel 2007 è stata inserita nel Registro della Memoria del Mondo dall'UNESCO. La tavola consta di undici pergamene e mostra ben duecento mila chilometri di strade, posizioni di città, foreste, mari, fiumi e monti: essa non costituisce una cartina geografica come la intendiamo ora ma va considerata una cartina simile a quelle che vediamo nelle metropolitane, doveva essere un documento che indicasse in maniera semplice come muoversi da una città all'altra senza fornire indicazioni precise sulle distanze. 

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Il manoscritto sarebbe opera di un monaco copista che avrebbe riprodotto un documento molto più antico risalente a dopo il 328 dato che mostra la città di Costantinopoli fondata proprio in quell'anno dall'imperatore Costantino. La tavola originaria era costruita per blocchi basti pensare che, ad esempio, mostra la città di Pompei che dopo l'eruzione del Vesuvio dell'anno del Signore 79 non fu più ricostruita così come sono presenti alcune città della Germania distrutte ed abbandonate dopo il V secolo. 

domenica 10 luglio 2016

IL MONDO DELLA MEDICINA MEDIEVALE



giovedì 16 giugno 2016

NOME, COGNOME, SIGILLO E STEMMA: UN SEGNO DI IDENTITA'


Il nome e il cognome rientrano tra i segni di riconoscibilità e di identità della persona sia come individuo che come membro del gruppo più ampio della cerchia famigliare. Il sigillo e lo stemma adempiono anch' essi al fine di riconoscibilità e, in quanto riferibili al soggetto possessore, fanno parte di una sorta d’identità che viene dispiegata per autenticare documenti e firme e, nel caso del sigillo, a garantire l’inviolabilità del contenuto di documenti da tenere segreti o a garantire i contenitori che vanno protetti per ciò che custodiscono. Altro discorso per lo stemma che è riconoscibilità ed identità del singolo e nel contempo è simbolo di appartenenza ad una determinata ed identificata Famiglia: il Casato. Lo stemma è assimilabile come riconoscibilità al cognome.

Tali segni distintivi non hanno avuto, nel tempo, sempre la stessa valenza e la loro struttura e funzione non è stata così come la conosciamo e pratichiamo al nostro tempo cioè Generalizzata e Regolamentata. Il periodo che ritengo sia stato importante per lo sviluppo e l’evoluzione del nome, del cognome e degli altri segni di identità è quello a cavallo tra l’XI e XII secolo. Con ciò non voglio asserire che prima, di tale epoca, vi erano individui privi del nome proprio di persona o che era completamente inesistente una sorta di cognome. Esisteva una sorta di identificazione basata sull’appartenenza o sulla soggezione ad una Famiglia potente, ricca ed influente basti ricordare la ” GENS” istituzione caratteristica del mondo romano. Stesso discorso per i sigilli che già esistevano fin da epoca remota. Diversa è invece la questione intorno alla nascita e allo sviluppo degli stemmi. La loro rigida regolamentazione (ARALDICA) pone il periodo iniziale proprio a cavallo tra l’XI e il XII secolo e continuerà, con le stesse regole, fino alla nostra epoca.

Il periodo indicato, XI e XII secolo, rappresenta una sorta di rinascita dell’individuo dopo il terrore ancestrale di concludere la propria esistenza e quella del genere umano con lo scoccare dell’anno mille. Ogni millennio, per l’uomo, è fonte di ansia e preoccupazione, suona sempre sinistro il monito : “Mille e non più Mille”. Anche di recente, l’uomo moderno ha predisposto eccezionali misure di sicurezza e di prevenzione per la custodia dei dati elettronici e di allerta per, eventuali, interventi di necessità generici e non bene identificati, ma tutti riconducibili allo scoccare dell’anno 2000.

Durante i primi secoli del secondo millennio si assiste ad un rinnovato potere temporale della Chiesa, che sovrasta tutte le terre e nazioni dell’epoca. Potere che si estrinseca nell’ordinare a re e monarchi di armarsi e di intraprendere costose guerre, in terre lontane, per liberare Gerusalemme il Luogo Santo della Cristianità. Solo chi fosse stato dotato di grande potere e prestigio avrebbe potuto chiedere a condottieri, a cavalieri e soldati di partecipare alle crociate: un potere notevole che andava ben oltre l’ossequio per l’autorità spirituale.

Questo nuovo fermento associato allo sviluppo economico e sociale crea nuove necessità e nuove aspirazioni. Infatti, sorgono regimi feudali in località dove fino ad allora erano sconosciuti (Meridione) mentre cominciano a sorgere e formarsi movimenti e aspirazioni finalizzati a liberarsi dal giogo feudale e a dare vita a nuove forme di amministrazione come le città comunali in contrapposizione all'autorità feudale e regia. (Settentrione).

La Chiesa si riprende ed accentua il controllo di tutte le attività quotidiane del popolo, si libera da quella sorta di soggezione in cui era caduta in concomitanza alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente sopraffatto da orde di popoli pagani.

Ma come si è modificato il nome, come è sorto il cognome che evolverà, nei secoli, fino alla struttura da noi conosciuta e praticata ? E il sigillo come atto di autenticazione e probatorio, che fa sorgere un embrione di diritto all’immagine quando reca incisa l’immagine, l’ effige ? Come nasce e si sviluppa lo stemma, un altro segno di identità, che sarà caratterizzante per tutta l’epopea cavalleresca e delle relative norme araldiche che hanno mantenuto la loro validità fino ai giorni nostri ?

NOME PROPRIO

In qualsiasi vocabolario il lemma “nome” è distinto in comune e proprio, dove il “proprio” può essere di luogo, di popolo, di persona. Il nome proprio di persona è quello per intenderci dell’onomastico che caratterizza la discendenza Famigliare. Come è noto, accanto alla trasmissione del nome in linea paterna vi è anche quella in linea materna. La trasmissione del nome avveniva, uso il passato perché in tempi recenti è invalso l’uso di “imporre” ai figli anche nomi estranei alla cerchia famigliare (casato), con una sequenza mista: i figli ricevevano i nomi dalla famiglia del padre e della madre, in maniera alternativa secondo l’ordine di nascita.

Nell’XI secolo, la Chiesa ha cominciato ad esercitare un controllo più stretto del “nome di battesimo” per poter meglio individuare i gradi di parentela che avrebbero ostato alla celebrazione dei matrimoni tra consanguinei. Spesso il “nome di battesimo” era imposto per strategie matrimoniali e per una convenienza simbolica per future eredità. Infatti, nella trasmissione ereditaria si comprendeva oltre al patrimonio materiale anche tutta una serie di diritti , e il “nome” poteva essere di grande aiuto nel caso di impugnazioni di atti e di contestazioni di eredità. Inoltre, era di grande valenza e prestigio portare il “nome” degli avi più illustri.
Era consentito aggiungere al primo “nome di battesimo” altri nomi, alcuni ispirati da opere letterarie (Lancillotto, Tristano, Parsifal) altri per il richiamo di personaggi illustri (attori, scrittori, musicisti, politici, dittatori).

Dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) e fino all’anno mille,(Alto Medioevo) si comincia a perdere progressivamente l’uso dei TRIA NOMINA dei Latini costituiti da nome, patronimico (cognome), nome dell’antenato o il soprannome. Il nome Latino diviene sempre più raro e non viene più trasmesso nemmeno tra gli appartenenti alla antica e nobile casta dei discendenti dei Senatori Romani. Si afferma così un’influenza sempre più ampia dell’adozione di nomi di origine germanica. Questi nomi erano definiti “nomi programmi” perché contenevano parole che richiamavano la memoria degli avi, le virtù desiderate e la protezione degli dei. (esempio Federico = Fried / pace - Reich / re). La diffusione di tali nomi germanici comincia ad attenuarsi fino a scomparire, per l’azione della Chiesa che osteggia i nomi di origine pagana.

È proprio nel corso dell’XI secolo che si assiste alla notevole riduzione dei nomi di origine germanica a tutto vantaggio di quelli associati al culto dei Santi (onomastico) e ai nomi dei personaggi della Bibbia. Questi nuovi nomi si diffondono con numerose varianti locali e anche con diminutivi. Il nome Nicola origina altri nomi e persino cognomi: Cola, Coletta, Klaus, Nicolet, Colin… quello femminile di Elisabetta si diffonde con le varianti di Elisa, Isabella, Eloisa, Lisa, Lisetta… Una notevole diffusione si registra per il nome Giovanni, imposto in memoria sia del Santo che battezzò Gesù Cristo che dell’Evangelista, che originò anche numerose varianti.

COGNOME

Le nuove esigenze, sia di ordine amministrativo che fiscale, inducono a ricercare un nuovo segno di identità stabile ricollegabile direttamente alla famiglia di appartenenza. Il cognome, quindi, sorge e diviene una sorta di “nome più ampio” ricomprendente più persone della medesima Famiglia, del Casato. Il Cognominare, come atto di designare mediante l’attribuzione di cognome caratterizza il periodo intorno alla fine del 1100. Inizialmente, il cognome consiste nell'adottare il nome del luogo del feudo per i nobili laici, la denominazione della comunità o del luogo dove vi è l’istituzione ecclesiastica per i religiosi. L’attribuzione, l’uso e la diffusione del cognome riguarda tutta la società del tempo e include pure le donne e ha carattere ereditario. Tale struttura è l’origine del nostro attuale sistema che pone di seguito al nome proprio personale il nome di Famiglia (cognome).

Si sono fatte svariate ipotesi sulla nascita e l’affermarsi del cognome, riconducendolo a motivi di radicamento dell’aristocrazia terriera, alla crescita demografica, sia nelle campagne che nelle città, alla maggiore mobilità della popolazione dovuta all'espansione e allo sviluppo economico del XII e XIII secolo. Un ruolo importante si ritiene che l’abbia svolto un’ evoluzione dei costumi, della mentalità e la percezione nuova della persona-individuo. Diverse e svariate sono le tipologie di cognomi, con riferimento ai luoghi di provenienza o di origine territoriale sono quelli di Calabrese/i, Campano, Pugliese/i, Siciliano/i, Toscano/i. Altri cognomi non sono altro che il nome del padre o della madre abbiamo così: Di Giovanni, Di Leo, De Titta, Di Girolamo. 

I soprannomi hanno rappresentato una fonte quasi inesauribile di cognomi. Connotando pregi e difetti, fisici o morali, hanno portato alla formazione dei cognomi: Moro, Belli, Brutto, Piccolo/i, Sordi, Zoppo/i, Malfatti, Boni, Degli Esposti, Esposito, Rosso/i. Non vengono ignorati nella nascita dei cognomi l’esercizio di arti, professioni e mestieri così: Ferraro, Ferrero, Ferrara, Fabbri, Sacchi, Sarti (Schneider), Vaccaro/i (Vacheron), Molinaro/i, Calzolaro (Shumacher), Medici, Martelli.

Il cognome si afferma inizialmente presso le classi feudali aristocratiche. Il processo di sviluppo e diffusione agli altri ceti sociali è stato lento e progressivo raggiungendo solo nel corso del XV secolo una generalizzazione e regolamentazione molto simile a quella attualmente in uso.

MARCHIO - SCRITTURA E FIRMA

Come abbiamo accennato esistono altri segni di identità che sono conseguenza diretta e naturale della formazione del nome e del cognome in capo ad un individuo. Così nella nostra epoca, se associamo un nome, un cognome, un luogo e una data di nascita ricaviamo un codice che serve ad identificarci e a renderci riconoscibili ovunque e per svariate e diverse finalità.(Codice Fiscale)

Nei secoli passati era, invece, l’iscrizione del proprio nome e cognome che serviva per così dire a “marchiare” ogni tipo di oggetto. Si “marchiava”un oggetto per formulare un voto, per ringraziare per grazia ricevuta (ex voto), per memoria perpetua di un fondatore, di un donante, di un defunto si “marchiavano” monumenti e lapidi. Il “marchio” consisteva nel nome e cognome per esteso o anche in forma abbreviata o addirittura ridotto ad un monogramma o alle semplici lettere iniziali del nome e del cognome.
Tra i segni più personali spicca la scrittura e anche in questo caso il nome serve ad autenticare il contenuto e il significato che ne traspare. Nasce così la firma autografa, che diviene un segno di identità che rinforza lo scritto e aumenta l’efficacia e l’effetto probatorio.

Alcune firme del passato vengono apposte con un semplice segno di croce, ma tale grafo non sempre e non necessariamente rappresenta la firma di una persona analfabeta. Spesso questo segno di croce assume, al pari del gesto di segnarsi, una forte valenza simbolica di fronte a Dio e agli uomini. (Si veda la firma di Carlo Magno). La firma per esteso e autografa diviene un nuovo segno personale di identità e la sua pratica si diffonde progressivamente in tutte le classi sociali, infine viene recepita, riconosciuta e tutelata dal Codice Civile.

SIGILLO

Con lo sviluppo economico e il crescente numero di atti e documenti, si fa più pressante la necessità di avere uno strumento idoneo ad autenticare la firma dei contraenti e a cristallizzarne il contenuto, si individua così nel sigillo tale caratteristica. Così per garantire, autenticare il contenuto e/o il segreto di missive, di testamenti o di contenitori era uso apporre il sigillo. Tale oggetto è uno strumento, di metallo o di pietra dura, che reca inciso un simbolo, uno stemma, delle iniziali o delle figure-immagini, che impresso su cera fusa lascia un’impronta in rilievo.

Molto usato fin dall'antichità, a Roma veniva utilizzato sotto forma di anello “sigillare”. Prosegue l’uso dell’anello sigillare anche nell'Alto Medioevo per autentica di diplomi di origine reale. Nel corso dell’XI secolo l’uso viene esteso anche in ambito episcopale e presso i principi. Nel XII e XIII secolo, diviene di uso normale e generalizzato da parte dei notai che se ne servono per validare gli atti giuridici. La forma dell’impronta in genere rotonda o ogivale (a navetta) era impressa nella cera fusa mescolata con resine colorate. L’impronta, in un primo tempo, era apposta in calce alle carte, ma a partire dal XII secolo tali impronte vengono appese ai documenti per il tramite di matassine di seta, di lino o di canapa, con strisce di cuoio o di pergamena.

Onde evitare l’uso fraudolento dell’impronta in cera che poteva essere staccata, dal documento, ed utilizzata per autenticare un altro atto con altro contenuto e quindi un atto falso, si apponeva un controsigillo sul retro della cera, già impressa, creando una seconda impronta. La funzione del sigillo è di identificare pubblicamente il suo possessore (il sigillante) che apponendolo valida i contenuti dell’atto comprese le firme.
La diffusione dell’uso dei sigilli porta alla configurazione del “diritto di immagine” che non ha avuto eguali fino all’invenzione della fotografia. La sfragistica è la scienza che studia i sigilli dal punto di vista tecnico, artistico e storico. Il repertorio degli emblemi dei sigilli è ricchissimo e rappresenta, per quantità e qualità, una fonte importante per lo studio della storia, dell’economia, del diritto, delle istituzioni, del progresso della mentalità, del costume e dello sviluppo materiale e sociale di una comunità.

Altro importante aspetto è che essendo immagine e rappresentazione in effige, il sigillo è anche un’opera d’arte sia come strumento inciso che come impronta lasciata. Ne derivano informazioni, facilmente databili, sul modo di vestire, sul tipo di armature, elmi e scudi dei cavalieri,sull’uso di abiti liturgici, per gli ecclesiastici, e non meno importante la moda e le acconciature delle dame.

STEMMI (Araldica)

Nel XII secolo, come accennato, appaiono gli stemmi che vengono catalogati in un codice sociale aperto, ma rigoroso. Il fatto caratterizzante è proprio l’esistenza di tali regole che formano il sistema araldico e differenziano gli stemmi da altri emblemi anteriori sia militari che civili. Presso le varie culture esistono segni che servono ad indicare l’identità dei singoli e dei gruppi, a far conoscere il loro valore e la posizione che occupano nella gerarchia della comunità. Questi segni si palesano attraverso formule proprie e utilizzano supporti di qualsiasi natura e materiale.

Si formulano numerose ipotesi circa l’origine degli stemmi. Alcune appaiono proprio fantasiose come quelle che farebbero risalire gli stemmi ad Adamo, a Giulio Cesare o a re Artù. Tra le ipotesi che hanno avuto un buon seguito e una lunga durata menzioniamo quella che vorrebbe l’origine degli stemmi in oriente e quindi l’assimilazione, durante la prima crociata, di una cultura musulmana per alcuni, bizantina per altri. Anche questa ipotesi è stata respinta dagli studiosi che si sono dichiarati per ipotesi che tengano conto della trasformazione della società medioevale dopo l’anno mille, dell’evoluzione degli equipaggiamenti militari tra la fine dellXI secolo e i primi decenni del XII.

Anche l’ipotesi dell’origine derivante dall'evoluzione dell’equipaggiamento militare non è idonea a fornire una spiegazione pienamente valida ed accettata. In effetti la comparsa degli stemmi si può collegare più direttamente al nuovo ordine sociale che si andava formando e che interessava tutta la società occidentale in epoca feudale. Nella stessa epoca, XI e XII secolo, nascono i nomi patronimici e gli attributi iconografici, che si concretizzano in immagini. L’araldica, dal canto suo, contiene questi “segni di identità nuove”, di una società in corso di riorganizzazione. Gli individui si collocano in nuovi gruppi e questi gruppi costituiscono il nuovo sistema sociale. 

Per tale motivo gli stemmi che inizialmente rappresentano un emblema individuale, si estendono poi alla cerchia della parentela Familiare. Dalla fine del XII secolo lo stemma diviene, nell'ambito della Famiglia, ereditario. La regola di trasmissione dello stemma prevede che all'interno di una famiglia (casato) un solo individuo abbia il diritto di portare lo stemma nella sua interezza ed originalità, è il primogenito in linea di primogenitura. Agli altri membri della famiglia (fratelli, figli e nipoti) è consentito l’uso dello stemma, ma con modifiche che indichino chiaramente che non sono loro il “capo d’arme” cioè il primogenito della linea di primogenitura.

Senza inoltrarci oltre in argomenti che caratterizzano gli stemmi e che richiederebbero copiose descrizioni di segni, simboli, scudi, colori, corone, elmi … è sufficiente aver dato il concetto di stemma come il complesso delle figure che costituiscono il contrassegno stabile e riconosciuto di persone e famiglie (casato).Il filo logico che ha legato il nome, il cognome, il sigillo e lo stemma sorge e si sviluppa nel corso dell’XI e XII secolo e per certi versi continua il suo cammino attraversando anche il XXI secolo.

Articolo del Cav. Avv. Antonio Fotia 27 maggio 2016

Fonte Foto: Notiziario Araldico

sabato 26 marzo 2016

IL TRADIZIONALE SCOPPIO DEL CARRO A FIRENZE


Il tradizionale Scoppio del Carro di Firenze affonda le sue radici ai tempi della Prima Crociata, indetta per liberare il Santo Sepolcro dai musulmani. Nell'anno 1097 Goffredo di Buglione comandò i crociati alla volta della Palestina dove espugnarono Gerusalemme il 15 luglio 1099.

Secondo quanto riportato dalla tradizione, Pazzino de' Pazzi fu il primo soldato ad arrivare sopra le mura della città dove posò un'insegna bianca e rosso vermiglio: l'atto colpì molto Goffredo che gli consegnò tre schegge provenienti dal Santo Sepolcro. Il 16 luglio 1101 Pazzino tornò a Firenze dove fu accolto con tutti gli onori del caso: le pietre vennero conservate nel Palazzo dei Pazzi e riconsegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra a Porta in Mercato Nuovo.

Dopo la liberazione della Città Santa, nel primo giorno del Sabato Santo, i soldati crociati rimasti in Palestina si incontrarono presso la Chiesa della Resurrezione dove consegnarono a tutti il fuoco benedetto, vero e proprio simbolo di purificazione. Dopo il ritorno di Pazzino, i giovani si recavano nella cattedrale cittadina dove veniva accesa una piccola torcia prima di andare in processione portando la fiamma purificatrice. La fiamma era accesa utilizzando le tre schegge provenienti dal Santo Sepolcro. Nel tempo la cerimonia cambiò e fu creato un carro che, alimentato a carboni infuocati, aveva il compito di trasportare il sacro fuoco. Fu la famiglia Pazzi a essere incaricata dell'organizzazione del carro fino all'anno 1478 quando, a seguito della congiura contro i Medici, i Pazzi furono uccisi arrivando a cancellare tutto ciò che faceva riferimento alla famiglia compreso lo Scoppio del Carro.

Il popolo fiorentino insorse non perché sostenitori dei congiuranti ma perché avevano mostrato di preferire lo Scoppio del Carro alla semplice processione. La Signoria di Firenze ordinò, quindi, si Consoli dell'Arte Maggiore di Calimala di occuparsi dei festeggiamenti così come avveniva prima della drammatica congiura dei Pazzi. Nell'anno 1494 il riformatore Savonarola cacciò i Medici in favore dei discendenti dei Pazzi che si poterono riappropriare dell'organizzazione dello Scoppio del Carro nel Sabato Santo.

Il fuoco si accende grazie a una colomba che altro non è che un razzo avente la forma del sacro pennuto. Lo spettacolo dura circa venti minuti e ha luogo nei pressi del Battistero della Cattedrale di Santa Maria del Fiore dove svetta austero ed elegante il Campanile di Giotto.


giovedì 11 febbraio 2016

I MISTERI DELLA DIVINA COMMEDIA


Ipotizziamo di essere professori liceali...entriamo per la prima volta nella nostra classe con volume dell'Inferno di Dante ancora incelofanato. Poniamo la prima domanda ai nostri studenti: "Chi è Dante?" La risposta che otterremo è "un folle fumato che inventava cose senza senso" (e ho deciso di edulcorare l'espressione che altrimenti sarebbe decisamente più volgare. Questa risposta, che otterremo probabilmente anche al termine del normale ciclo di studi, non è colpa tanto degli alunni, quanto degli insegnanti che non hanno saputo far comprende realmente l'importanza che ha rivestito il grande poeta fiorentino nella letteratura e nella cultura italiana.

Il Linguaggio della Divina Commedia

Dante Alighieri scrive la sua opera magna la "Commedia" utilizzando un linguaggio ricco di simbologie e allegorie di grande impatto e attualità. Sono molte le terzine che trovano un pronto riscontro nella crisi culturale, politica, sociale che stiamo vivendo ormai da anni; ed è ancora più incredibile se pensiamo che il testo è stato scritto nel Medioevo in un momento in cui la Chiesa usava un vero e proprio "macete" culturale per togliere dalla circolazione tutti quei testi che ne potevano minare il dominio sulle menti e sulla vita quotidiana. Non a caso, Dante così come altri compagni d'arte, apparteneva ai Fedeli d'Amore, una sorta di setta poetica i cui testi erano scritti con codici e metafore proprio per essere compresi da menti "eccelse", menti che avevano gl'intelletti sani.

I piani di lettura della Divina Commedia

Concentrarsi solo sul testo spiegando le singole figure retoriche, la vita dei personaggi non serve assolutamente a nulla. L'alunno liceale deve avere in Dante il proprio Virgilio, deve comprenderlo adeguatamente e deve immedesimarsi nello spirito del testo: perché ad esempio non assegnare un personaggio a un alunno? La Commedia si legge su tre piani diversi: lo so, molti accademici letterati e baroni universitari mi lanceranno strali, ma credo, dopo anni di ricerche, di essere sicuro sul fatto che il testo dantesco ha insito vari significati e punti di vista:
  • un piano allegorico
  • storico
  • esoterico-alchemico

Ebbene si...soffermiamoci un istante ad esempio sui colori dei tre gradini prima dell'ingresso al monte del Purgatorio: essi sono bianco, rosso e nero colori che, insieme all'oro e all'argento della serratura del grande portone rappresentano il percorso di Dante verso la Grande Ricerca Alchemica. Non a caso il viaggio di Dante segue il VITRIOL alchemico: la forma dell'inferno è quella di un ventre femminile dove ci si purifica e si rinasce salendo la "montagna" per arrivare alla candida Rosa che rappresenta l'incontro con Dio. Sarà forse un caso che il sigillo della Porta Alchemica abbia proprio in se il disegno dantesco?


Fonte immagine Wikipedia, Autore Sailko

Se poi vogliamo far scoppiare la mente ai baroni universitari, azzardo l'ipotesi che Dante fosse un templare...si...avete capito bene: la critica a Filippo il Bello
Veggio il novo Pilato sì crudele, 
che ciò nol sazia, ma sanza decreto 
portar nel Tempio le cupide vele.
è un palese appoggio al Tempio (che con la T maiuscola indica l'ordine del Tempio, i Templari) che unitamente il farsi accompagnare da San Bernardo in Paradiso diventa la prova lampante che il poeta fiorentino era legatissimo spiritualmente ai Cavalieri Templari. Non ci sono scuse, Dante non era un poeta come tutti gli altri, era una mente brillante e illuminata in grado di scardinare con le figure retoriche le più forti convinzioni e dogmi culturali del periodo. Se avete ancora dubbi ricordate le parole dell'Ulisse Dantesco "fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza".

Per approfondimento e altri spunti rimando all'articolo: Dante, Templare e Alchimista?


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