Pagine

Visita il Primo Museo Didattico Templare Permanente in Italia!

Scopri la storia dei Templari con il Primo Museo Didattico Templare Permanente in Italia sito a Viterbo!

Vuoi visitare Viterbo?

Se vuoi visitare Viterbo, l'Appartamento uso turistico di Emiliano e Rosita è il punto ideale per la tua vacanza!

La Grande Storia dei Cavalieri Templari

Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio

La Grande Leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda

I personaggi e i fatti più importanti del ciclo arturiano e della Tavola Rotonda

Le Leggende Medioevali

Personaggi, luoghi e fatti che hanno contribuito a conferire al Medioevo un alone di mistero che lo rende ancora più affascinante ed amato. Dal Ponte del Diavolo ai Cavalieri della Tavola Rotonda passando per Durlindana, la leggendaria spada di Orlando e i misteriosi draghi...

giovedì 31 ottobre 2013

LE ORIGINI DI HALLOWEEN

Halloween è una festività di origine celtica che ha assunto le forme con cui oggi la conosciamo negli Stati Uniti e che si celebra la notte del 31 ottobre. L'usanza si è poi diffusa anche in altri paesi del mondo e le sue caratteristiche sono molto varie: si passa dalle sfilate in costume ai giochi dei bambini, che girano di casa in casa con la formula del dolcetto o scherzetto. Tipica della festa è la simbologia legata al mondo dell’occulto, così come l'emblema della zucca intagliata, derivato dal personaggio di jack-o'-lantern. La storia di Halloween risale a tempi remoti, ovvero in quel periodo dove la Francia, l’Inghilterra, l’Irlanda e la Scozia, facevano parte della cultura celtica, successivamente l’Europa cadde sotto il potere di Roma. Lo storico Nicholas Rogers, ricercando le origini di Halloween, nota che mentre "alcuni studiosi hanno rintracciato le sue origini nella festa romana dedicata a Pomona - dea dei frutti e dei semi - o nella festa dei morti chiamata Parentalia, Halloween viene più tipicamente collegata alla festa celtica di Samhain.  Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell'arcipelago britannico, deriva dall'antico irlandese e significa approssimativamente "fine dell'estate". Nell’840, la festa di Ognissanti fu ufficialmente istituita il 1º novembre mentre era papa Gregorio IV: probabilmente questa scelta era intesa a creare una continuità col passato, sovrapponendo la nuova festività cristiana a quella più antica; a conferma di ciò, Frazer osservava che, in precedenza, Ognissanti veniva già festeggiato in Inghilterra, il 1º novembre. Questa tesi ha avuto amplissima diffusione (per esempio è data per certa dall'Encyclopaedia Britannica). Tuttavia lo storico Hutton l'ha messa in discussione, osservando come Ognissanti venisse celebrato da vari secoli (prima di essere festa di precetto), in date discordanti nei vari paesi: la più diffusa era il 13 maggio, in Irlanda (paese di cultura celtica) era il 20 aprile, mentre il 1º novembre era una data diffusa in Inghilterra e Germania (paesi di cultura germanica). Secondo l'Oxford Dictionary of English folklore: "Certamente Samhain era un tempo per raduni festivi e nei testi medievali irlandesi e quelli più tardi del folclore irlandese, gallese e scozzese gli incontri soprannaturali avvengono in questo giorno, anche se non c'è evidenza che fosse connesso con la morte in epoca precristiana, o che si tenessero cerimonie religiose pagane." L'associazione centrale col tema della morte sembra affermarsi in un periodo successivo, e appare evidente nella più recente evoluzione della festa, quella moderna, con le sue maschere macabre. Dopo che il protestantesimo ebbe interrotto la tradizione di Ognissanti, in ambito anglosassone si continuò a celebrare Halloween come festa laica; in particolare negli USA, a partire dalla metà dell'Ottocento, tale festa si diffuse (specialmente a causa dell'immigrazione irlandese) fino a diventare, nel secolo scorso, una delle principali festività statunitensi.Negli ultimi anni la festività di Halloween assunto carattere consumistico, con un oscuramento progressivo dei significati originari. Festeggiamenti che durano interi weekend sono ormai tipici in tutti gli stati di influenza anglofona. Così quindi in Stati Uniti, Irlanda, Australia e Regno unito, Halloween viene festeggiato come una "festa del costume", dove party in maschera e festeggiamenti tematici superano il tipico valore tradizionale del "dolcetto o scherzetto", per dar vita ad una nuova tradizione di divertimento, tipica di una gioventù cresciuta. La parola Halloween è attestata la prima volta nel XVI secolo, e rappresenta una variante scozzese del nome completo All-Hallows-Eve, cioè la notte prima di Ognissanti (in inglese arcaico All Hallows Day, moderno All Saints). Sebbene il sintagma All Hallows si ritrovi in inglese antico (ealra hālgena mæssedæg, giorno di messa di tutti i santi), All-Hallows-Eve non è attestato fino al 1556. Lo sviluppo di oggetti e simboli associati ad Halloween si è andato formando col passare del tempo. Ad esempio l'uso di intagliare zucche con espressioni spaventose o grottesche risale alla tradizione di intagliare rape per farne lanterne con cui ricordare le anime bloccate nel Purgatorio. La rapa è stata usata tradizionalmente ad Halloween in Irlanda e Scozia, ma gli immigrati in Nord America usavano la zucca originaria del posto, che era disponibile in quantità molto elevate ed era molto più grande – facilitando il lavoro di intaglio. Il simbolismo di Halloween include anche temi come la morte, il male, l'occulto o i mostri mitologici. Nero e arancione sono i colori tradizionali di questa festa. Fare dolcetto o scherzetto è un'usanza di Halloween. I bambini vanno travestiti di casa in casa chiedendo dolciumi e caramelle o qualche spicciolo con la domanda "Dolcetto o scherzetto?". La parola "scherzetto" è la traduzione dell'inglese "trick", una sorta di minaccia di fare danni ai padroni di casa o alla loro proprietà se non viene dato alcun dolcetto ("treat"). "Trick or treat" (dolcetto o scherzetto) in realtà significa anche "sacrificio o maledizione". Esiste una filastrocca inglese insegnata ai bambini delle Elementari su questa usanza. La pratica del travestirsi risale al Medioevo e si rifà alla pratica tardomedievale dell'elemosina, quando la gente povera andava porta a porta a Ognissanti (il 1º novembre) e riceveva cibo in cambio di preghiere per i loro morti il giorno della Commemorazione dei defunti (il 2 novembre). Questa usanza nacque in Irlanda e Gran Bretagna, sebbene pratiche simili per le anime dei morti sono state ritrovate anche in Sud Italia. Gli atteggiamenti cristiani verso Halloween sono diversi. Nella Chiesa Anglicana alcune diocesi hanno scelto di enfatizzare le tradizioni cristiane del giorno di Ognissanti,mentre alcuni altri protestanti celebrano la festività come Giorno della Riforma, un giorno per ricordare la Riforma Protestante.Padre Gabriele Amorth, un esorcista nominato a Roma dal Vaticano, ha detto che "Festeggiare la festa di Halloween è rendere un osanna al diavolo. Il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona."L'Arcidiocesi di Boston ha organizzato una "Festa Santa" in questo giorno cercando di portare la festa alle sue radici cristiane. Molti artisti, organizzatori e partecipanti hanno detto che Saint Fest è una celebrazione della notte prima di Ognissanti o "All Hallows Eve".La chiesa protestante si pronuncia contraria a Halloween, e lo considera una festa di carattere religioso e mistico, ma non cristiano, la cui origine risale ai popoli celtici. Gli evangelici dicono "in questo giorno si spera che il misterioso, diabolico e occulto conviva con gli umani. Al giorno d’oggi, nel mondo intero, Halloween è la festa più importante dell’anno per i seguaci di Satana. In più il 31 ottobre è l’inizio del nuovo anno secondo il calendario delle streghe." Il "World Book Enciclopedia" afferma che è l’inizio di tutto ciò che è "cold, dark and dead": freddo, nero e morte. Alcuni cristiani, in modo particolare dei popoli celti, da cui ha origine la leggenda di Halloween, non ascrivono a esso un significato negativo, vedendolo come una festa puramente secolare dedicata al celebrare "fantasmi immaginari" e a ricevere dolci. Per questi cristiani, Halloween non costituisce una minaccia per la vita spirituale dei bambini: gli insegnamenti sulla morte e la mortalità e le credenze degli antenati celti possono essere una lezione di vita valida e una parte dell'eredità dei loro parroci. Nella Chiesa Cattolica c'è chi ritiene che Halloween abbia delle connessioni col Cristianesimo e le celebrazioni di Halloween sono comuni nelle scuole parrocchiali cattoliche nel Nord America e in Irlanda, ma una sempre maggiore parte della Chiesa Cattolica non approva la festa e sconsiglia di parteciparvi, in quanto avvicina al mondo dell'occulto e al satanismo e distoglie l'attenzione, sminuendola, dalla Festa di tutti i Santi che si celebra il giorno successivo.
In generale comunque il cristianesimo non approva Halloween e rigetta la festività, in quanto ritiene che il paganesimo, l'occulto, o altre pratiche e fenomeni culturali giudicati incompatibili con le loro credenze. Per molte chiese cristiane le origini di Halloween sono strettamente connesse alla magia, alla stregoneria e al satanismo, per questo esso porta all'influsso occulto nella vita delle persone. L'enfasi di Halloween è sulla paura, sulla morte, sugli spiriti, la stregoneria, la violenza, i demoni. E i bambini sono particolarmente influenzabili in questo campo.Una risposta tra alcuni fondamentalisti e chiese evangeliche conservatrici è stato l'uso di opuscoli, o brevi fumetti per usare la popolarità di Halloween come un'opportunità per l'evangelismo.In conclusione il cristianesimo considera in generale Halloween come completamente incompatibile con la fede cristiana,essendo la celebrazione della notte delle streghe ritenuta contraria ai principi biblici.

Fonte: Wikipedia

CHIESA DI SANTA MARIA ANTIQUA AL FORO ROMANO

Santa Maria Antiqua è una delle più antiche chiese dedicate alla Madonna di cui si abbia notizia a Roma. Fondata nel VI secolo in un gruppo di edifici domizianei nel Foro Romano, abbandonata nell'847, sulle sue rovine fu costruita nel 1617 la chiesa di Santa Maria Liberatrice, abbattuta poi nel 1899 per permetterne la "riemersione". La chiesa è situata nel Foro Romano, ai piedi del Palatino, in una serie di costruzioni in una zona che un tempo veniva considerata sede del Tempio di Augusto e che più recenti studi attribuiscono all'epoca di Domiziano, come ingresso e raccordo tra i palazzi imperiali sul Palatino e il Foro sottostante, dove probabilmente stazionava la guardia di pretoriani. Quando nel 552 i Bizantini presero possesso di Roma probabilmente ripristinarono, oltre a mura e acquedotti, anche i vecchi palazzi imperiali e usarono un'aula rettangolare e l'antistante quadriportico per fondare una sorta di "cappella palatina" dedicata alla Madonna. Prima di allora le chiese all'interno delle mura avevano come titolo i nomi degli antichi possessori delle case in cui veniva fondata una chiesa, mentre le nuove chiese sorgevano fuori le mura come luoghi di culto sulle tombe dei martiri. La costruzione di una chiesa in quel luogo "esorcizzava" anche i fantasmi del paganesimo: una leggenda infatti narrava che in quel luogo papa Silvestro I avesse ucciso un "dragone", allusione questa al culto di Vesta, effigiata con un "dragone" nell'attiguo tempio a lei dedicato. La chiesa, continuamente restaurata e abbellita da Martino I, Giovanni VII, Zaccaria, Paolo I e Adriano I, fu abbandonata dopo che un terremoto nell'847 fece franare sopra di essa parte dei palazzi sovrastanti. Papa Leone IV trasferì il titolo in una chiesa costruita ex novo: Santa Maria nova, l'attuale basilica di Santa Francesca Romana. Sui ruderi venne costruita nel XIII secolo una chiesetta, riedificata poi nel 1617 dal Longhi col titolo di Santa Maria Liberatrice. Scavi fortuiti nel XVIII secolo, e più mirati alla fine dell'Ottocento, riportarono alla luce tracce degli antichi affreschi: si decise quindi di abbattere l'edificio del Longhi, che non aveva particolari meriti artistici, per riportare in vita la chiesa originale. Il nome, il titolo di Santa Maria Liberatrice e le icone furono trasferiti nel 1909, alla chiesa di Santa Maria Liberatrice al Testaccio. Recentemente sono stati realizzati restauri accurati per il consolidamento e la protezione degli affreschi, condotti con il contributo di fondazioni di New York ed Oslo. La chiesa è stata aperta per visite solo brevemente durante il 2004, a restauri ancora in corso. Dal novembre 2012 la chiesa è stata riaperta al pubblico. L'edificio romano aveva una forma basilicale: aula rettangolare divisa in tre navate. Nello spessore del muro posteriore fu ricavata una piccola abside, e ai lati del presbiterio vi sono due piccole cappelle. Nel cortile quadrato che fungeva da vestibolo si trovano i resti di un impluvium risalente all'epoca di Caligola e lungo le pareti nicchie, forse per statue di imperatori, e tracce di affreschi dell'epoca di papa Adriano I. A sinistra della chiesa una rampa sale al Palatino.

Fonte: Wikipedia

L'edificio è chiuso al pubblico per tutto il 2013 per restauri in corso. Visitabile solo da studiosi con permessi speciali rilasciati dall' Ufficio Permessi della Soprintendenza Archeologica di Roma - piazza di S.Maria Nova 53.


mercoledì 30 ottobre 2013

I CANTI DEL PELLEGRINAGGIO NEL MEDIOEVO

In occasione dei 150 anni di fondazione del Club Alpino Italiano, la Sezione di Casale Monferrato ha organizzato come evento nazionale una variante della via Francigena che, evitando il lungo tratto di pianura del percorso più famoso, quello descritto dall’Arcivescovo di Canterbury Sigerico nell’anno 990, raggiunta Torino dal valico del Moncenisio percorre la lunga dorsale collinare fino alla nostra città, proseguendo verso Tortona per risalire le valli appenniniche e confluire a Pontremoli sul tratto finale comune a tutti i percorsi Romei. Questo percorso denominato Via Francigena delle Terre Alte, e stato portato a termine il 28 settembre da un gruppo di camminatori, che si sono ritrovati a Roma per la grande festa nazionale con i camminatori di altri due grandi percorsi storici: la Via Micaelica o Francigena del Sud, la Via Salaria da Est.
A conclusione di questo cammino la Sezione casalese del CAI, in collaborazione con L’Associazione Santa Caterina Onlus, vuole ringraziare i camminatori e salutare la cittadinanza con un concerto che riporta alle atmosfere medioevali del Pellegrinaggio. Esecutore AUDITE NOVA che propone da anni un programma di musica antica specificatamente ideato per i luoghi attraverso cui passavano le vie principali di pellegrinaggio. La via Francigena come il cammino di Santiago ci raccontano storie di emozioni umane e religiose ancora vicine, in particolare a chi anche oggi accetta di essere pellegrino. L’esperienza spirituale del cammino è narrata attraverso raffigurazioni, luoghi di culto disseminati lungo il percorso, racconti e anche musiche conservate in antichi manoscritti. Il concerto (lo avevamo anticipato) è programmato alle 17 di sabato 9 novembre in Santa Caterina, splendida chiesa di piazza Castello che versa in un pericoloso stato di degrado (pensate agli affreschi...) degrado che proprio il Santa Caterina Onlus sta combattendo, giusto quindi accendere ancora una volta con un evento i riflettori sul problema.

Fonte: www.ilmonferrato.it

martedì 29 ottobre 2013

FRANCO FRANCESCO - ARTISTA MEDIEVALE, INCISIONI

Francesco nasce a Tripoli (Libia) 50 anni fa e dopo appena due anni la famiglia si trasferisce in Italia in seguito alla morte del padre avvenuta per un incidente di moto. Sarà proprio questo mezzo a due ruote che lo seguirà per tutta la sua esistenza fino ad oggi. Dopo la terza media lascia gli studi e inizia a lavorare come apprendista presso un’officina di moto, dopo soli sei anni apre la sua di officina. L’arte però in qualche modo è già parte di lui e realizza cornici e specchi artistici, lavori che sono esposti in due mostre dell’artigianato, al Palazzo Papale e presso la Fiera di Viterbo. Francesco continua a lavorare sulle moto, realizzando due Special, famose e ricordate a tutt’oggi dagli amanti del settore, innalzando così sempre più le sue capacità tecniche fino a che non è notato da un importante Casa Motociclistica e chiamato per lavorare nel Campionato Mondiale di Motociclismo. Francesco disputa quasi 100 GP in tutte le classi, ma decide di lasciare questo meraviglioso mondo successivamente alla nascita di suo figlio, preferendo crescerlo standogli vicino. Dopo aver lavorato in varie officine del Viterbese e dopo aver costatato che le capacità tecniche da lui maturate in 37 anni di esperienza nel campo delle moto non vengono in nessun modo valorizzate, decide di dare un nuovo corso alla sua vita. Inizia a realizzare degli orologi da parete molto originali, personalizzabili e unici nel loro genere, dopo circa sei mesi allarga le sue realizzazioni all’incisione del vetro e dello specchio, attraverso la sabbiatura e l’incisione a mano libera. Francesco sta cercando di migliorare sempre più questa sua dote con lavori di una sempre più elevata levatura, comincia a sentirsi sempre più un “Artista” così come lo giudicano in molti, e vuole finire questa Sua presentazione citando una frase dettagli quando lui, commentando un suo lavoro, disse che queste cose gli vengono facili: Francesco, questa tua dote l’hai sempre avuta dentro, adesso la stai solo facendo uscire fuori….bè! Francesco in questo ci crede e continuerà ad eseguire lavori sempre più originali ed esclusivi.

Contatti https://www.facebook.com/artfrancesco.franco?fref=ts


Assegnato il Premio Eccellenza Medievale







LA TORRE DEGLI AMIDEI

La torre degli Amidei è un'antica torre di Firenze, situata in via Por Santa Maria, a due passi da piazza della Signoria. Detta anche Bigonciola o Bigoncia, appartenne alla famiglia Amidei, celebre perché dagli scontri di quest'ultimi con i Buondelmonti sarebbero nati i partiti di guelfi e ghibellini a Firenze. L'episodio che fece da scintilla fu l'assassinio del giovane Buondelmonte de' Buondelmonti ad opera di un Amidei, fatto di sangue che avvenne tradizionalmente proprio ai piedi di questa torre. La torre risale all'alto medioevo e si trovava un tempo vicina alla porta cittadina di santa Maria dell'antica cerchia delle mura di Firenze, meglio conosciuta come Por Santa Maria, che da anche il nome alla via. La torre venne scapitozzata con molte altre nel Duecento, cioè venne abbassata di alcuni piani per un regolamento edilizio entrato in vigore in quell'epoca.
In parte ricostruita dopo che le mine tedesche fecero saltare gli accessi al Ponte Vecchio nel 1944, danneggiandola a metà senza però farla crollare completamente, è situata oggi in mezzo a edifici costruiti negli anni '50. Presenta il classico rivestimento in filaretto di pietra, con due alte porte al pian terreno a doppia ghiera, cioè coronate da due archi, uno molto ribassato e uno più alto, in questo caso a sesto acuto. La disposizione delle aperture e degli elementi decorativi è piuttosto inconsueta per l'epoca e in parte dovuta ai radicali restauri ottocenteschi. Sopra le porte sporgono due teste leonine in marmo bianco, delle quali solo una è originale e viene fatta risalire addirittura all'epoca etrusca (ma l'attribuzione di autenticità è discorde). Fu ripescata dalle macerie della torre e quivi ricollocata su incarico della Soprintendenza dopo la seconda guerra mondiale. Per queste figure la torre è talvolta indicata anche come torre dei Leoni'.
La lapide dantesca ricorda la menzione degli Amidei nel canto del Paradiso dove il poeta incontra il suo avo Cacciaguida, che gli cita numerose famiglie fiorentine. Sopra l'iscrizione è stato inserito lo stemma della famiglia a bande orizzontali.

Fonte: Wikipedia

INSTRUMENTUM DOTIS

Lo instrumentum dotis è un atto legale redatto da notaio che si fa in anticipo per matrimoni o per affermazioni che verranno. Nel medioevo, quando, oltre che nel ceto nobiliare anche nel ceto borghese i matrimoni erano combinati prevalentemente nell'interesse delle famiglie, diventò d'uso comune anticipare la regolamentazione patrimoniale dei matrimoni ad una età giovanile. Dante Alighieri nel 1277, all'età di 12 anni, aveva già compiuto l'instrumentum dotis con Gemma Donati. Nella Divina Commedia sarà proprio Dante a contestare questa pratica, :
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre; chè 'l tempo e la dote
non fuggìean quinci e quindi la misura.
(Paradiso 15, 103)

Il solenne impegno di contrarre il matrimonio (sponsio) veniva suggellata dal vincolo notarile è la probabile origine del termine sposi. Il celebre verso dantesco riferito a Pia dei Tolomei inannellata, pria disposando distingue i due momenti: la sponsio costituito dall'instrumentum dotis che precedeva l'inanellamento, elemento esemplificativo del matrimonio canonico vero e proprio. Proprio nella tradizione canonica si distinguevano le sponsalia de presenti (matrimonio vero e proprio), dagli sponsalia de futuro che valevano come promessa solenne di matrimonio che poteva riguardare anche i fanciulli.

Fonte: Wikipedia

GEMMA DONATI

Gemma Donati (Firenze, 3 marzo 1266 – 1329/1332) fu la moglie di Dante Alighieri. Non sappiamo quasi nulla della sua vita, nemmeno la data esatta di nascita; solo che apparteneva alla nobile casata dei Donati, figlia di ser Manetto e cugina di Corso, Forese e Piccarda Donati. Fu presto legata da un "instrumentum dotis" (9 gennaio 1277) a Dante, figlio di Alighiero degli Alighieri, che sposò dopo alcuni anni, attorno al 1285 e a cui diede quattro figli: Iacopo, Pietro, Antonia e Giovanni. Non ci sono nell'opera di Dante allusioni dirette ed esplicite alla moglie. Tuttavia, un riferimento semicriptico compare nell'ultimo verso del canto V del Purgatorio, nelle ultime parole pronunciate da Pia senese: "disposando m'avea con la sua gemma". Non sembra casuale che la prima e l'ultima parola del verso alludano al matrimonio e al nome della moglie di Dante. Inoltre, la donna Petra cui sono rivolte le Rime Petrose potrebbe essere Gemma stessa (Gemma = pietra dura, pietra preziosa). In ogni caso, non sappiamo niente delle vicende coniugali della coppia, né tantomeno della vita di Gemma. Nel 1329 ella reclamò presso le autorità fiorentine la parte della sua dote dai beni confiscati al marito. In un atto notarile del maggio 1332 Gemma è ricordata come già defunta.

Fonte: Wikipedia

VIERI DE' CERCHI

Vieri de' Cerchi (Firenze, metà del XIII secolo – inizi del XIV secolo) è stato un politico e banchiere italiano, protagonista dell'ascesa e del tracollo della famiglia dei Cerchi, capifila del partito dei guelfi bianchi a Firenze.
Contemporaneo di Dante Alighieri, fu un ricchissimo cittadino, tra i protagonisti della Battaglia di Campaldino, combattuta dai guelfi fiorentini contro gli aretini e i ghibellini esiliati pochi anni prima dalla città.
Quando in città si riaprirono le rivalità con la spaccatura in seno al partito guelfo, Vieri fu a capo della fazione dei guelfi bianchi, moderati, contrapposta ai guelfi neri, aristocratici e autoritari, strettamente filopapali, capitanati da Corso Donati. La rivalità nacque da semplici problemi di vicinato, quando i Cerchi, di recente ricchezza, acquistarono le case già dei Conti Guidi adiacenti a quelle dei fieri e nobili Donati.
Osteggiato da Bonifacio VIII, che parteggiava per i guelfi neri, più radicalmente alleati suoi, venne convocato a Roma verso il 1300, dove gli venne richiesto di riappacificarsi con i Donati rinunciando al suo fare "ghibellino", al che rispose ribadendo la sua fede guelfa. Citato da Dino Compagni, fu esiliato dalla città nel 1302 assieme a tutta la sua fazione. La sua fazione infatti, sebbene avesse avuti dei momenti decisamente favorevoli, non seppe mai per villaneria decidere le sorti della situazione fiorentina, dando sempre ai Neri l'occasione per riorganizzarsi, e in questi Vieri e la sua famiglia sono molto biasimati sia da Dante, che li vide come responsabili del proprio esilio, sia dal Compagni.

Fonte: Wikipedia

UGUCCIONE DELLA FAGGIOLA

Uguccione della Faggiola, o Faggiuola (Casteldelci, 1250 – Vicenza, 1º novembre 1319), è stato un condottiero italiano. Capitano di ventura ed uomo politico, fu tra i protagonisti della vita politica e militare del Medioevo in particolare all'interno delle vicende che contrassegnarono lo scontro tra Papato ed Impero.
Nato nel 1250 a Casteldelci, che all'epoca era inserito nel territorio della Massa Trabaria, al confine tra Romagna, Marche e Toscana, fu podestà e signore di Arezzo nel 1295 e signore di Lugo nel 1297. Dopo aver tentato di diventare signore di Forlì (1297), contando sulle simpatie ghibelline della città, fu di nuovo podestà di Arezzo nel 1302 e vicario del re Enrico VII di Lussemburgo a Genova tra il 1311 e il 1312. Nel 1313 fu chiamato a Pisa per esercitarvi la signoria. Il 1315 segna l'anno del massimo fulgore della sua stella nel firmamento del Ghibellinismo toscano, è di quell'anno infatti la Battaglia di Montecatini il fatto d'arme che consolidò ed estese a tutta la penisola la sua fama di abile condottiero. Si trattava in sostanza di uno scontro impari, da una parte c'era Firenze, in quegli anni una delle città più ricche d'Italia e d'Europa alleata con molte altre città: Siena, Prato, Pistoia, Arezzo, Colle di Val d'Elsa, Volterra, San Gimignano, ecc. ed anche con gli Angioini di Napoli. Dall'altra parte stava Pisa, città sostanzialmente in crisi dopo la Battaglia della Meloria e Lucca, città occupata militarmente dallo stesso Uguccione e quindi non del tutto affidabile. In questo contesto di debolezza Uguccione poteva tuttavia contare su un punto di forza rappresentato da un contingente di 1800 cavalieri tedeschi, mercenari che facevano parte delle truppe imperiali e che si posero al servizio di Pisa a suon di fiorini, ma anche animati da un odio profondo verso i Guelfi e gli Angioini. In seguito a questa vittoria per molti versi clamorosa ed inattesa Firenze fu abbandonata da gran parte delle città toscane che si affrettarono a chiedere e a ottenere la pace con Pisa, e riuscì a salvarsi solo grazie ad una ritrovata concordia interna. Nel 1316 i pisani cacciarono Uguccione perché stanchi dei suoi metodi autoritari e dell'esosità delle imposte richieste dalle esigenze militari, questo fatto lo costrinse a cercare rifugio presso Cangrande I della Scala che lo fece podestà di Vicenza. Con questa autorità Uguccione represse duramente la rivolta guelfa del maggio 1317. Durante il suo servizio per il signore di Verona egli guidò anche la guerra contro Brescia e Padova. Uguccione della Faggiola morì il 1º novembre 1319, il suo corpo fu portato da Vicenza a Verona per essere tumulato nella chiesa di Santa Anastasia. Un cronista dell'epoca Agnolo di Tura così conclude la narrazione che portò alla caduta del signore di Pisa e di Lucca: "Questo fu il guiderdone che lo popolo di Pisa rendé a Uguccione da la Fagiuola, che gli avea vendicate di tante vergogne e raquistate tutte le loro castella e degnità e rimisserli nel magiore stato e più temuto da' loro vicini che città d'Italia". Uguccione ebbe amici davvero inconsueti tra i quali Dante Alighieri. Il sommo poeta riponeva molte speranze nella figura di Arrigo VII di Lussemburgo, il quale chiamato da più parti, discese in Italia nel 1310 con lo scopo di pacificare la penisola, ma mentre muoveva all'attacco dell'ostinata Firenze, morì, si dice, avvelenato. In quell'anno pare che Dante profondamente deluso sia andato a Lucca presso Uguccione della Faggiola.
Alcuni commentatori della Divina Commedia vogliono che a lui alluda il sommo Poeta quando, (Inferno, I, 101-102) afferma che verrà il Veltro, il quale disperderà la cupidigia dominante nel mondo. La tesi venne espressa nel 1828 da Carlo Troya nel saggio Del veltro allegorico di Dante e successivamente nel Del veltro allegorico de' Ghibellini (1856). La tesi fu confutata da Niccolò Tommaseo, ma ispirò Cesare Balbo per la sua Vita di Dante. Uguccione conosceva bene anche Corso Donati, che gli diede una delle sue figlie in sposa. Lo stemma araldico di Uguccione era l'Aquila in campo rosso.

Fonte: WIkipedia

CORSO DONATI

Corso di Simone Donati detto Il Grande Barone (Firenze, XIII secolo – Firenze, 6 ottobre 1308) è stato un politico italiano, tra i principali personaggi storici della Firenze medievale. Fu a capo della fazione dei "donateschi", chiamati poi "guelfi neri", fu un uomo facinoroso e fiero, soprannominato anche Il Barone per i suoi modi inclini al motteggio e all'offesa. Verso la fine del Duecento, dopo essere rimasto vedovo, fece una promessa di matrimonio con Tessa Ubertini, imparentata con i Cerchi da parte di padre, ma negò un'eredità che spettava alla donna ai suoi parenti, creando il primo motivo di inimicizia tra Cerchi e Donati. Il matrimonio avvenne nel 1296, ma già nel 1302 egli si risposò per la terza volta con una figlia di Uguccione della Faggiuola. Fu esiliato dai Bianchi nel 1299, ma tornò trionfalmente in città nel 1301 con l'aiuto di Bonifacio VIII, riprendendo i suoi vecchi modi da "barone" e cercando di trarre il massimo profitto dalla sua vittoria e aspirando al governo della città, tanto da inimicarsi i suoi stessi compagni del partito dei Neri. Nel 1304 uscì indenne da un attentato. Nel 1308 fu condannato come ribelle e traditore e un moto spontaneo della folla lo costrinse a fuggire precipitosamente dalla città il 6 ottobre, mentre il popolo saccheggiava le sue case. Inseguito, nella fuga cadde da cavallo rimanendo però impigliato in una staffa: fu così raggiunto dai suoi nemici che lo finirono presso San Salvi. Fu raccolto dai frati vallombrosani e sepolto nell'attigua chiesa. Corso Donati fu favorito in un arbitrato che lo vedeva contrapposto alla madre della sua seconda moglie Tessa, Giovanna degli Ubertini, da parte del magistrato Baldo d'Agugliano. Dante, che lo aveva in odio per i suoi modi riottosi e autoritari, lo citò indirettamente senza riportarne il nome nel Purgatorio (Canto XXIV, v. 79-87) attraverso una profezia fatta recitare da suo fratello Forese Donati. In quei versi è stato notato un certo compiacimento del poeta per la triste sorte dell'avversario:

« La bestia che a ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, finch'ella il percuote
e lascia il corpo vilmente disfatto »
(Purgatorio XXIV, 79-81)

Fonte: Wikipedia

SCOPPIO DEL CARRO

Lo Scoppio del Carro è una manifestazione folcloristica fiorentina. Questa nota cerimonia risale addirittura ai lontani tempi della prima crociata, indetta per liberare il Santo Sepolcro dalle mani degli infedeli.
Nel 1097, al comando di Goffredo di Buglione, Duca della bassa Lorena, i crociati, il cui nome derivò dalla croce rossa cucita sulla spalla destra della tunica bianca che ricopriva l’armatura, partirono per la Palestina e nell’estate del 1099 posero l’assedio alla città di Gerusalemme che espugnarono il 15 luglio.
Secondo la tradizione fu il fiorentino Pazzino de' Pazzi a salire per primo sulle mura della città santa dove pose l’insegna bianca e vermiglia. Per questo atto di valore, Goffredo di Buglione gli donò tre schegge del Santo Sepolcro. Rientrato a Firenze il 16 luglio 1101, il valoroso capitano fu festeggiatissimo ed accolto con solenni onori. Le tre pietre rimasero inizialmente conservate nel Palazzo dei Pazzi e quindi consegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra a Porta in Mercato Nuovo, poi ampliata e rinominata come chiesa di San Biagio fino a quando, nel 1785, questa fu soppressa. Dal 27 maggio di quell’anno le sacre reliquie vennero definitivamente trasferite nella vicina Chiesa di Santi Apostoli dove tuttora sono gelosamente conservate.
Gli storici ci hanno tramandato che dopo la liberazione di Gerusalemme, nel giorno del Sabato Santo, i crociati si radunarono nella Chiesa della Resurrezione e, in devota preghiera, consegnarono a tutti il fuoco benedetto come simbolo di purificazione. A questa cerimonia risale l'usanza pasquale di distribuire il fuoco santo al popolo fiorentino. Difatti, dopo il ritorno di Pazzino, ogni Sabato Santo, i giovani di tutte le famiglie usavano recarsi nella cattedrale dove, al fuoco benedetto che ardeva, accendevano rispettivamente una fecellina (piccola torcia) per poi andare, in processione cantando laudi, per la città a portare la fiamma purificatrice in ogni focolare domestico. Il fuoco santo veniva acceso proprio con le scintille sprigionate dallo sfregamento delle tre schegge di pietra del Santo Sepolcro. Con l'andar del tempo lo svolgimento della festa divenne sempre più articolato per cui venne introdotto l’uso di trasportare il fuoco santo con un carro dove, su un tripode, ardevano i carboni infuocati. Non si conosce quando, in sostituzione del tripode, si usarono i fuochi artificiali per lo "scoppio del carro" ma si ritiene che ciò risalga alla fine del trecento. Alla famiglia Pazzi era affidata l'organizzazione del carro e l'onere delle relative spese. Il privilegio di questa antica famiglia cessò nel 1478, per una provvisione della Repubblica che cacciò i Pazzi dalla città a seguito della famosa congiura ordita da essi contro i Medici. I cospiratori vennero uccisi e la Signoria, per cancellare tutto ciò che era legato alla famiglia caduta in disgrazia, ordinò che non si facesse più lo scoppio del carro mantenendo solo, per tradizione, la distribuzione al popolo del fuoco benedetto, che doveva avvenire fra il Battistero e la Cattedrale. I fiorentini, però, non gradirono l’abolizione spettacolare dello "scoppio" e cercarono con tutti i mezzi di far revocare la provvisione del governo della Repubblica, e ciò non tanto per rispetto verso la famiglia Pazzi ma perché non volevano che l’offerta del fuoco pasquale ritornasse ad essere effettuata alla maniera semplice usata anticamente, senza più la caratteristica e fragorosa cerimonia oramai divenuta una consuetudine. Pertanto la Signoria ordinò ai Consoli dell’Arte Maggiore di Calimala, amministratori del Battistero di San Giovanni, di provvedere ai futuri festeggiamenti così come si usava fare prima della congiura. Nel 1494, scossa dalla predicazione di morale cristiana del frate domenicano Girolamo Savonarola, la città cacciò i Medici e un’altra provvisione governativa restituì alla famiglia de’ Pazzi i suoi antichi diritti e privilegi, compreso quello dell’organizzazione del carro del Sabato Santo. Questo carro era inizialmente molto più semplice di quello attuale, ed a causa delle deflagrazioni e delle vampate che sopportava ogni anno, a cerimonia avvenuta, doveva essere quasi del tutto ripristinato. Parve quindi giusto ai Pazzi allestirne uno molto più solido ed imponente che dovesse durare per sempre. Fu, dunque, costruito il grande carro del tipo "trionfale" a tre ripiani, che da secoli, se pur più volte restaurato (anche dopo la tragica alluvione dell’Arno del 1966), gode ottima salute.
I fuochi di questo carro vengono incendiati da una colomba, o come si dice a Firenze dalla "colombina", la quale altro non è che un razzo dalle sembianze di un bianco piccione.
L’antica festa ha sempre richiamato una gran folla di turisti, di cittadini e di numerosi contadini della campagna fiorentina che traevano gli auspici per il raccolto dal felice esito della corsa della colombina sulla corda, che doveva svolgersi senza alcun intoppo. Se la cerimonia religiosa ha conservato nel tempo quasi immutato il medesimo rituale, l’orario dello scoppio è stato, viceversa, più volte variato. Attualmente nella mattina di Pasqua, scortato da 150 fra armati, musici e sbandieratori del calcio storico fiorentino, il carro del fuoco pasquale, detto affettuosamente dai fiorentini "Brindellone". Tale nome ha origini molto antiche, legate alla festa celebrata dalla Zecca fiorentina in onore del suo protettore, san Giovanni Battista. Ogni 24 giugno un alto carro di fieno partiva dalla torre della Zecca e faceva il giro della città, trainando un uomo vestito di pelo di cammello che rappresentava appunto il santo eremita. L'aspetto trasandato di tale figura lo faceva appunto chiamare "brindellone", cioè straccione, e ciò era accentuato anche dal suo ciondolare specialmente dopo aver mangiato e bevuto nel banchetto offerto in piazza di Santa Maria in Campo. Per analogia si è chiamato poi "brindellone" qualsiasi carro festante che attraversasse la città, compreso quello pasquale.
Il carro si muove dal piazzale di Porta a Prato, trainato da due paia di candidi bovi infiorati ed arriva al solito posto, in piazza del Duomo, fra il Battistero e la Cattedrale. I bovi vengono prontamente staccati ed un più moderno filo di ferro, che sostituisce la corda sugnata, viene teso a circa sette metri di altezza, da una colonna di legno, posta per l’occasione al centro del coro, fino a giungere al carro.
Mentre si procede a questa sistemazione, dalla Chiesa di Santi Apostoli, nella piazzetta del Limbo, ha principio il corteo-processione preceduto dal gonfalone di Firenze e dalla bandiera della famiglia Pazzi, con sacerdoti ed autorità, diretto al Battistero dove incominciano le funzioni religiose. Quindi il corteo si trasferisce in Duomo e, alle ore undici, al canto del Gloria in excelsis Deo, viene dato fuoco alla miccia della colombina che, sibilando, va ad incendiare i mortaretti ed i fuochi d’artificio sapientemente disposti sul Brindellone; una volta incendiati gli artifici, la colombina deve tornare indietro all'Altare Maggiore, da dov'è partita, ripercorrendo da sola il percorso di andata, altrimenti il raccolto dell'anno non avrà buoni auspici. Per la cronaca, l'ultima volta che la colombina fallì tale "missione" fu il 1966, e a novembre, infatti, ci fu l'alluvione.
Inizia con fragore il susseguirsi di esplosioni e spettacoli pirotecnici (il tutto dura 20 minuti circa) e, sia pure in maniera simbolica, la distribuzione a tutta la città del fuoco benedetto. L’imponente mole dell’antico carro si avvolge puntualmente di nubi e scoppi come se l’aria stessa emettesse scintille sempre più luminose. Scintille che ad un tratto non parranno più piccole luci distinte ma una vera pioggia di viola, di rosa, di rosso, di verde, di bianco e di blu. Il profilo del Brindellone scompare del tutto in questo caleidoscopico gioco di colori che, pian piano, unitamente al fumo ed agli assordanti scoppi, si dissipa rendendo nuovamente visibili i marmi del Battistero, della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e del Campanile di Giotto.

Fonte: Wikipedia

BUONDELMONTE DE' BUONDELMONTI

Buondelmonte de' Buondelmonti (... – Firenze, 1216) è un personaggio storico fiorentino del primo Duecento. Giovanni Villani lo descrisse come un personaggio rissoso, fidanzato con una donna di casa Amidei, per sanare una zuffa di pochi mesi prima. Quando Buondelmonte ruppe il fidanzamento perché si era nel frattempo innamorato di una donna di casa Donati, il mancato matrimonio fu visto come una terribile offesa per gli Amidei, i quali giurarono di vendicarsi. Gli Amidei tennero consiglio sul da farsi e, nonostante le molte indecisioni, venne decisa la strada più dura, quella di vendicare l'offesa con l'omicidio di Buondelmonte (famosa è la frase di Mosca dei Lamberti che disse Capo ha cosa fatta, nel senso che una risoluzione per quanto drastica era sempre meglio di uno stallo nell'indecisione). Così Buondelmonte venne assassinato la mattina di Pasqua di quello stesso anno, mentre si recava alle nuove nozze. Il Villani addita quest'episodio di sangue come la prima scintilla che portò la città a spaccarsi nelle fazioni di guelfi e ghibellini attraverso le vendette incrociate delle consorterie. Dante credette ciecamente a questa versione dei fatti e più volte indica il mancato matrimonio e la vendetta degli Amidei come la causa primaria della rovina di Firenze, per esempio nell'episodio di Mosca dei Lamberti (Inf. XXVIII, vv. 103-111) o in quello di Cacciaguida (Pd. XVI, vv. 140-141) dove cita espressamente anche Buondelmonte. La vicenda di Buonedelmonte è inoltre narrata da Matteo Bandello in una sua novella e da Brunetto Latini nelle sue cronache.

Fonte: Wikipedia

AMIDEI E BUONDELMONTI

Gli Amidei e i Buondelmonti furono due nobili e cospicue famiglie fiorentine, la cui storica lite è considerata come l'inizio della lotta tra Guelfi e Ghibellini in Firenze. L'antefatto si ebbe nel gennaio 1216 quando Mazzingo Tegrimi de' Mazzinghi diede una gran festa nel proprio castello di Campi, per festeggiare la sua nomina a cavaliere, festa a cui fu ovviamente invitata tutta la nobiltà fiorentina. Durante il banchetto, un giullare burlone tolse all'improvviso un piatto davanti a Buondelmonte dei Buondelmonti e Uberto degli Infangati: il primo non accettò lo scherzo e se la prese a male e allora un terzo convitato, Odarrigo (o Arrigo) de' Fifanti, noto sobillatore di risse, accusò villanamente Uberto della scomparsa del piatto. Questi rispose a tono ("Tu menti per la gola!") , accusando Oddo di essersi intromesso nella discussione per prendersi il piatto; questi reagì a sua volta lanciando in faccia a Uberto un tagliere pieno di carne. Finito il banchetto, mentre si sparecchiava, si scatenò una rissa durante la quale Buondelmonte aggredì Odarrigo con un coltello e lo ferì al braccio.Secondo le usanze del tempo, la zuffa campigiana doveva essere composta per tutelare l'onore dei contendenti: in un consiglio di casa Arrighi, a cui parteciparono anche le famiglie amiche (Fifanti, Gangalandi, Uberti, Lamberti e Amidei) fu deciso di ripianare la questione con la soluzione classica del matrimonio pacificatore, proponendo a Buondelmonte di sposare una nipote di Oddo, figlia di una sua sorella e di Lambertuccio Amidei. La proposta fu accolta e si stipulò un regolare contratto notarile, con tanto di penale in caso di mancata celebrazione. Le cose sembravano appianate e risolte per il meglio, se non si fosse messa di mezzo Gualdrada Donati, moglie di Forese Donati il Vecchio, che andò a trovare Buondelmonte, accusandolo di aver accettato il matrimonio per paura delle ritorsioni dei Fifanti e dei loro alleati, rinfacciando la poca attrattiva estetica della futura sposa e proponendogli in sposa una propria figlia, rinomata per la bellezza. Gualdrada si offrì persino di pagare la penale prevista, se Buondelmonte accettava di sposarne la figlia. L'allettante proposta ebbe il suo effetto: il 10 febbraio 1216 Buondelmonte non si presentò alla chiesa di Santo Stefano dove lo aspettava la fidanzata ufficiale per celebrare il matrimonio ma se ne andò in casa Donati a contrattare le nuove nozze con Forese e Gualdrada; anzi, lo sposo mancato ebbe la sfrontatezza di entrare a Firenze passando da Por Santa Maria, che si trovava nei pressi della chiesa dove lo stava aspettando la sposa. In casa Amidei ovviamente si scatenò il finimondo e si convocò un consiglio con le famiglie alleate nella chiesa di Santa Maria sopra Porta; mentre alcuni proponevano una vendetta leggera, come una solenne bastonatura o uno sfregio in viso al vituperato Buondelmonte, si alzò Mosca dei Lamberti, proponendo l'assassinio con la celebre frase "Cosa fatta capo ha!", per evitare poi ulteriori ritorsioni. Accettata la proposta, fu deciso di organizzare bene la vendetta e fu stabilito che l'agguato dovesse svolgersi proprio per il giorno delle nozze. La mattina di Pasqua, giorno scelto per il matrimonio, Buondelmonte entrò in Firenze dal Ponte Vecchio, riccamente vestito, per recarsi alla chiesa. Arrivato alla Porta Santa Maria, dove era presente un'antica statua di Marte ("la pietra scema" di cui parla Cacciaguida), sotto alla Torre degli Amidei, Buondelmonte fu prima insultato e poi disarcionato con un colpo di mazza da Schiatta degli Uberti; una volta a terra, fu finito con un coltello da Oddo Arrighi. Dell'aggressione furono ovviamente accusati come mandanti gli Amidei e la città si divise sul fatto, divisione da cui sarebbero sorte le fazioni dei guelfi e dei ghibellini alcuni anni dopo. Da un lato si coalizzarono gli Uberti, i Lamberti e gli Amidei, che avevano tutti le proprie case nel settore cittadino più a meno tra il Ponte Vecchio e piazza della Signoria; dall'altro i Buondelmonti, i Pazzi e i Donati (guelfi), che gravitavano tra via del Corso e la Porta San Piero. Fu per la forte fedeltà degli Uberti all'imperatore che lo schieramento cittadino si raccordò a quello sovraccittadino delle contese tra papato e impero: anticamente però "guelfo" aveva un significato semplicemente di "anti-ghibellino", indipendentemente dall'appoggio al papato.
Questa la leggenda; illuminante per porre la vicenda nei giusti termini è il saggio di Enrico Faini[1], Il convitto del 1216. La vendetta all'origine del fazionalismo fiorentino.

Fonte: Wikipedia

IL VICOLO DELLO SCANDALO

Il Vicolo dello Scandalo è un tortuoso vicolo del centro storico di Firenze che taglia un isolato di edifici tra via del Corso e via degli Alighieri. Il vicolo, ufficialmente detto del Panìco, fu costruito nella prima metà del XIV secolo su ordine della magistratura fiorentina, per cercare di arginare l'insostenibile situazione di pericolo dovuta alla vicinanza tra le famiglie dei Cerchi e dei Donati, dalla cui rivalità erano nate le fazioni dei guelfi bianchi e neri. Queste due famiglie erano acerrimamente in lotta tra di loro e il fatto di avere le proprie case confinanti faceva temere che si arrivasse al punto di abbattere i muri interni di notte per sorprendere i nemici nel sonno. Per questo fu deliberato di separare le rispettive proprietà attraverso un vicoletto che per via della sua funzione fu popolarmente chiamato dello Scandalo. Per avere un'idea di dove si trovassero le case dei Cerchi e dei Donati, si possono ancora vedere alcune torri pertinenti alle due famiglie, sebbene le proprietà familiari (o meglio delle rispettive consorterie cioè gruppi di famiglie alleate) fossero notevolmente più estese.
Oggi il nome di vicolo del Panico (il panico è una graminacea) è dato a un vicolo cieco che va da via Pellicceria. La ridenominazione di quello che era l'antico chiasso di Capaccio risale all'Ottocento, quando, secondo Guido Carocci, "c'era disponibile il nome di vicolo del Panico appartenente a una stradella soppressa che andava dal Corso alla strada di fianco a San Martino e lo applicarono al chiasso di Capaccio [...] alterando così l'autenticità della storia".

Fonte: Wikipedia

CARDINALE GIOVANNI COLONNA

Giovanni Colonna (Roma, ... – Roma, 3/9 febbraio 1245) è stato un cardinale italiano della Chiesa cattolica, nominato da papa Innocenzo III, nel 1212. Giovanni Colonna nacque a Roma da Oddone Colonna. Fu nominato Cardinale da papa Innocenzo III nel concistoro del 18 febbraio 1212 con il titolo di Cardinale presbitero di Santa Prassede. Partecipò ai Conclavi del 1216, del 1227 e del 1241-1243. Dal suo soggiorno in Costantinopoli e in Siria, in cui era stato inviato come Legato pontificio, riportò un frammento della colonna della flagellazione di Gesù Cristo per la chiesa di cui era titolare. Ricoprì l'incarico di Legato anche a Napoli. Morì a Roma il 3 (o 9) febbraio del 1245.

Fonte: Wikipedia

lunedì 28 ottobre 2013

CARDINAL GIACOMO COLONNA

Giacomo (o Jacopo) Colonna (... – Avignone, 14 agosto 1318) è stato un cardinale italiano.
Appartenente alla nobile famiglia romana omonima, fu elevato al rango di cardinale della Chiesa cattolica da papa Niccolò III il 13 marzo 1278, assumendo il titolo di diacono di Santa Maria in Via Lata; nel 1288 divenne anche Arciprete della Basilica Liberiana, titoli che tenne sino al 10 maggio 1297, quando venne deposto da papa Bonifacio VIII appartenente alla famiglia dei Caetani, e rivale dei Colonna, in seguito alla dichiarata nullità che Giacomo e suo nipote Pietro con il manifesto di Lunghezza fecero sulla sua elezione papale. La reazione di Bonifacio VIII non si fece attendere i due cardinali furono destituiti e in una bolla definiti "dannata stirpe e del loro dannato sangue" e costretti a trovare rifugio presso la corte di Filippo IV di Francia detto il Bello, anch'egli in cattivi rapporti con il papato. Si susseguirono il così detto oltraggio di Anagni cui segui poco dopo la morte di Bonifacio VIII, e lo spostamento della sede papale ad Avignone, in Francia. Qui Giacomo Colonna fu reinsediato il 17 dicembre 1305 da papa Clemente V sia come cardinale che come Arciprete della Basilica Liberiana e divenne cardinale protodiacono. Il 7 dicembre 1307 assunse il titolo cardinalizio di San Lorenzo in Lucina. Morì ad Avignone il 14 agosto 1318.

Fonte: Wikipedia

IL MANIFESTO DI LUNGHEZZA

Il manifesto di Lunghezza fu un documento datato 10 maggio 1297, con cui gli avversari di Papa Bonifacio VIII, capeggiati dai cardinali Jacopo e Pietro Colonna (appartenenti alla famiglia Colonna acerrima nemica della famiglia Caetani cui apparteneva Bonifacio VIII), appoggiati da Jacopone da Todi e da alcuni Spirituali francescani, sottoscrissero un memoriale mediante il quale si dichiarava illegittima la sua elezione, perché non valida, a sua volta, l’abdicazione di Celestino V, suo predecessore; il Papa veniva dichiarato decaduto, e si faceva espresso invito ai fedeli a non portare più obbedienza al Caetani. La reazione del Pontefice non si fece attendere: con violenza i due cardinali furono destituiti con la bolla "In excelso throno" che poneva in risalto come la famiglia Colonna fosse da sempre portatrice di disprezzo verso le cose altrui, nonché piena di superbia e oltraggiosa e che, per queste colpe, suscitava soltanto desiderio di annientamento. Si aprì, quindi, un'ulteriore lotta tra il Papa e i Colonna, nella quale questi ultimi speravano in un intervento a loro favore del re di Francia, Filippo il bello. La qual cosa non avvenne in quanto il monarca francese stava trattando proprio in quel momento gli accordi con il Papa per la risoluzione del problema dei tributi agli ecclesiastici in Francia, per cui non aveva alcun interesse ad inimicarsi il Pontefice. Il 16 maggio fece seguito un secondo manifesto che elencava gli addebiti mossi a Bonifacio VIII, compreso il raggiro di Celestino V teso a spingerne l'abdicazione, e che richiedeva un consiglio generale della Chiesa. Il 23 maggio 1297 seguì prontamente un'ulteriore bolla papale denominata "Lapis abscissus" che sottolineava gli oltraggi della loro "dannata stirpe e del loro dannato sangue", che avrebbe voluto sterminare "perché essa sollevava in ogni tempo il suo capo pieno di superbia e di disprezzo": la scomunica veniva estesa ai cinque nipoti di Giacomo ed ai loro eredi dichiarati scismatici. Il 15 giugno, attraverso un terzo manifesto, i due cardinali reagirono alle bolle pontificie protestando per l'ingiusta condotta del Papa ed iniziando a preparare le loro fortezze per la difesa. La lotta tra il Papa e i Colonna si concluse con la sconfitta di questi ultimi. Jacopone da Todi fu rinchiuso prigioniero in un convento e scomunicato. I cardinali Colonna furono scomunicati e dovettero riparare in Francia sotto la protezione di Filippo il bello, e i loro beni furono confiscati e divisi tra la famiglia del Papa e la famiglia degli Orsini, anch'essi acerrimi nemici dei Colonna.

Fonte: Wikipedia

PIETRO COLONNA

Pietro Colonna (Roma, 1260 – Avignone, 14 agosto 1326) è stato un cardinale italiano della Chiesa cattolica, nominato da Papa Niccolò IV il 16 maggio 1288. Era figlio di Giovanni e di una delle contesse dell'Anguillara, e fratello di Giacomo, detto "Sciarra", e di Stefano, "il Vecchio", nipoti del cardinale Giacomo Colonna. Fu elevato al rango di cardinale della Chiesa cattolica da Papa Niccolò IV il 16 maggio 1288, assumendo il titolo di diacono di Sant'Eustachio che tenne sino al 10 maggio 1297 quando venne deposto da Papa Bonifacio VIII, appartenente alla famiglia dei Caetani, e rivale dei Colonna, in seguito alla dichiarata nullità che Pietro, suo zio Giacomo e gli Spirituali Francescani, con il "manifesto di Lunghezza" fecero sulla sua elezione papale. La reazione di Bonifacio VIII non si fece attendere i due cardinali furono destituiti e in una bolla definiti "dannata stirpe e del loro dannato sangue" e costretti a trovare rifugio presso la corte di Filippo IV di Francia detto "il Bello" anch'egli in cattivi rapporti con il papato. Si susseguirono il così detto oltraggio di Anagni cui segui poco dopo la morte di Bonifacio VIII, e lo spostamento della sede papale ad Avignone, in Francia. Qui Pietro Colonna fu reinstaurato il 2 febbraio 1306 da Papa Clemente V e il 7 dicembre 1307 assunse il titolo cardinalizio di Sant'Angelo in Pescheria. Morì ad Avignone il 14 agosto del 1326.

Fonte: Wikipedia

GIACOMO SCIARRA COLONNA

Giacomo Colonna, detto Sciarra (Venezia, 2 marzo 1270 – Venezia, 2 marzo 1329), principe e membro della famiglia Colonna, era fratello del cardinale Pietro Colonna e di Stefano il Vecchio, entrambi nipoti di Giacomo. Fu il padre di Pietro detto "Sciarretta". I Colonna furono acerrimi nemici dei Caetani, di cui faceva parte Papa Bonifacio VIII. Sciarra con l'aiuto di Guglielmo di Nogaret sequestrò il papa e lo tenne prigioniero presso la residenza papale, nell'episodio passato alla storia come "l'oltraggio di Anagni", durante il quale Sciarra Colonna avrebbe addirittura schiaffeggiato il pontefice con uno dei propri guanti di ferro. Filippo il bello si alleò con Sciarra Colonna ed egli partì da Roma con 300 cavalieri alla volta di Anagni, dove il papa si era ritirato presso alcuni suoi possedimenti terrieri. Si dice che questi in un primo momento volesse fingersi morto, ma che alla fine l'orgoglio prevalse e non si abbassò a tali meschinità, ma anzi accolse i suoi avversari sul trono papale con le insegne spiegate. Alcuni documenti storici ci dicono che trovatolo i suoi nemici lo schernirono e lo derisero. L'origine del soprannome del Colonna deriva dall'omonima parola che nel volgare dell'epoca significava "litigioso, attaccabrighe". L'uso è rimasto pressoché invariato in alcuni dialetti del sud (siciliano, calabrese, pugliese) in cui "sciarra" vuol dire "screzio" ed il verbo "sciarriare" "litigare, discutere con violenza". Fratello di Stefano il Vecchio, Sciarra Colonna ebbe un ruolo importante nell'incoronazione di Ludovico il Bavaro.

Fonte: Wikipedia

LA CROCIATA DEI PEZZENTI

La crociata dei poveri (i pauperes) fu un insieme di spedizioni non coordinate che presero parte alla prima crociata. Queste forze, tese allo scontro con i turchi selgiuchidi in Asia Minore, avevano risposto spontaneamente all'appello di Clermont di papa Urbano II del 1095. Alcuni storici (come Franco Cardini) parlano di "crociate" dei poveri a sottolineare come questo movimento fosse frammentato e molteplice.
La crociata "dei poveri" (in contrapposizione a quella "dei nobili", organizzati militarmente) fu effettivamente la prima crociata della storia anche se gli storici moderni, sia per lo scarso successo e sia perché non fu mai ufficializzata dalla Chiesa di allora, la considerano un'avanguardia della prima crociata. Visto che i componenti non avevano esperienza bellica adeguata, finì tragicamente. Questa crociata è anche famosa per il motto che il suo stesso promotore le aveva dato: Deus lo volt (Dio lo vuole). Infatti un religioso francese sosteneva che durante il suo precedente pellegrinaggio a Gerusalemme a lui, giovane scandalizzato dalla brutalità con cui i musulmani trattavano sia i luoghi sacri sia i Cristiani stessi, fosse apparso Dio, mentre era in preghiera nel Santo Sepolcro, e che gli avesse confidato la missione di tornare in occidente a predicare la liberazione dei luoghi sacri. In questo stesso periodo avvenne il primo pogrom ad opera di alcuni gruppi di crociati germanici che, dimenticate le loro benevole intenzioni, furono guidati dal conte Emich di Leisingen in una spedizione contro le comunità ebraiche del Reno. I pellegrini, spinti dalla penuria e dalla convinzione di una sorta di responsabilità ebraica nell'uccisione di Cristo, saccheggiarono e massacrarono gli israeliti nelle città di Spira, Worms, Treviri, Colonia e Magonza. Qualche vescovo locale si adoperò per salvare i malcapitati ma spesso la sua autorità veniva ignorata e addirittura, nella città di Magonza, i soldati di Emicho distrussero il palazzo vescovile dove erano stati ospitati gli ebrei. Tuttavia questi genocidi non ebbero nulla a che fare con la vera e propria Crociata dei Poveri, nessuna di queste spedizioni antiebraiche arrivò mai in Oriente: esse infatti svanirono non appena incontrarono una forte resistenza nelle città. Lo stesso conte Emich di Leiningen venne sconfitto in Ungheria. L'Europa dell'epoca era attraversata da predicatori itineranti e da agitatori religiosi (come i patarini) che avevano infiammato i ceti subalterni durante i decenni della riforma contro il clero simoniaco e concubinario. Con la vincita della fazione riformatrice e la stabilizzazione della situazione questi predicatori-agitatori erano diventati scomodi per il clero, anche perché essi erano rimasti delusi dagli esiti della riforma stessa, che aveva mancato di far nascere la Chiesa di "poveri e uguali" sul modello della supposta Chiesa delle origini. È probabile quindi che Urbano pensasse solo a una spedizione attuata dai signori feudali dell'Europa meridionale e continentale ma l'entusiasmo suscitato nell'opinione pubblica fu tale che a muoversi per prime furono proprio le componenti di pauperes, raccoltesi in modo spontaneo e informale intorno ad alcuni di questi predicatori (come Pietro l'Eremita) e ad alcuni cavalieri (come Gualtieri Senza Averi). Essi vedevano nella spedizione un ritorno alla Casa del Padre, alla Gerusalemme Celeste. Queste schiere di pellegrini erano armate sommariamente e prive di ogni disciplina militare; erano infatti composte prevalentemente da poveri, donne e bambini. La crociata attraversò l'Europa spinta dallo zelo religioso e dalla fede più semplice, tuttavia non mancarono atti di violenza. I pellegrini giunsero infatti con molto anticipo e non erano ancora stati allestiti i mercati per sfamare contingenti così numerosi: furti, saccheggi, sommosse e violenze furono l'inevitabile risultato. Pietro l'Eremita (Pietro d'Amiens) era un predicatore popolare che, per il fatto di girare coperto di stracci e in sella a un umile asino, s'era guadagnato la fama di "eremita". Giunse a Colonia il 12 aprile 1096, dopo aver percorso le terre centrali del Berry, il territorio di Orléans e di Chartres, la Normandia, il territorio di Beauvais, la Piccardia, la Champagne, la valle della Mosella e infine la Renania. Era un personaggio non inquadrato nel sistema ecclesiastico, ma dotato di grande carisma trascinatore ed esercitava un'influenza enorme sulla folla. Con un grosso seguito di francesi e preceduto dal suo motto tardo-latino Deus le volt ("Dio lo vuole"), Pietro giunse a Colonia nella speranza di convincere, in quella ricca città tedesca, qualche ricco signore feudale a unirsi al suo gruppo, mentre Gualtieri Senza Averi (lo stesso nome ricorda come fosse un cavaliere escluso dalla successione ereditaria poiché non primogenito) si mise alla testa di un gruppo alquanto più esiguo di contadini e di cavalieri senza risorse economiche, partendo subito dopo Pasqua alla volta di Costantinopoli. Affermava di essere stato mandato direttamente da Dio e assicurava che, durante un precedente pellegrinaggio, sarebbe rimasto scandalizzato dalla condizione in cui aveva trovato i luoghi sacri e dal dominio musulmano sui cristiani di Gerusalemme. Mentre pregava nel Santo Sepolcro gli sarebbe apparso Cristo per affidargli una missione: tornare in Occidente a predicare la liberazione dei luoghi sacri e dei cristiani d'Oriente. Nel maggio 1096, assai prima della data che il papa aveva previsto, gente d'ogni sorta (poveri, preti, monaci, donne, ma anche soldati, signori e perfino principi) si mise agli ordini di Pietro e si pose in viaggio: sarebbe arrivato a Costantinopoli il primo agosto, cioè 15 giorni prima della data fissata per la partenza da Le Puy della crociata ufficiale. Gualtieri Senza Averi, signore di Poissy, guidava l'avanguardia delle truppe di Pietro l'Eremita. Egli entrò nella valle del Reno per poi dirigersi verso quella del Danubio. La via di terra da lui prescelta comportava tempi lunghi e l'improvvisazione della spedizione mise subito in mostra l'inadeguatezza dell'apparato logistico predisposto. La mancanza di vettovagliamenti portò pertanto gli uomini di Gualtieri a razziare, armi in pugno, quelle contrade e inevitabile fu la reazione del comandante militare della piazzaforte di Belgrado che sanzionò duramente le violenze operate in città dagli uomini di Gualtieri che dovette registrare la morte di numerosi suoi seguaci. Un episodio minore, praticamente una scaramuccia, ebbe poi luogo a Zemun. I 20.000 uomini di Pietro seguirono la stessa via terrestre di Gualtieri. Passarono inizialmente senza troppi problemi attraverso i territori ungheresi di re Coloman, ma a Zemun un incidente si trasformò in scontro aperto fra i seguaci di Pietro e gli Ungheresi. Quattromila di questi ultimi furono trucidati dai Crociati di Pietro e Belgrado parzialmente data alle fiamme. Le autorità bizantine di Niš, guidate dal governatore Nicetas, trucidarono allora buona parte dei Crociati "popolari" che si ridussero alla cifra di 7.500 elementi che giunsero senza ulteriori problemi a Costantinopoli il 1º agosto 1096. Le forze congiunte di Gualtieri e di Pietro furono trasportate il 6 agosto, su ordine dell'Imperatore bizantino, in Asia Minore. Essi si stabilirono nel campo di Kibotos (dai Crociati francofoni chiamato Civetot) ma subito cominciarono a nascere violente divergenze sulle cose da fare. Alla fine i Crociati si divisero in due gruppi, uno composto da francesi, l'altro di germanici: invece di avanzare si diedero ai saccheggi. I soldati francesi attaccarono Nicea e tornarono con un grande bottino, suscitando le invidie dei germanici che vollero imitarli. Tuttavia questa volta i turchi di Rūm e il loro sultano Qilij Arslan ibn Sulayman non si fecero prendere di sorpresa e catturarono l'esercito crociato. Coloro che rinunciavano a Cristo convertendosi all'Islam venivano deportati, gli altri trucidati sul posto.
Alla notizia dell'accaduto si mossero da Civitot i restanti Crociati, malgrado il consiglio di Gualtieri che consigliava di attendere il ritorno da Costantinopoli di Pietro. Prevalse invece il parere di Goffredo Burel e il 21 ottobre i 20.000 Crociati caddero nelle imboscate che il sultano selgiuchide aveva con ampio anticipo con efficienza predisposto. La strage fu immensa -lo stesso Gualtieri cadde sul campo- e i pochi sopravvissuti furono salvati dalle truppe dell'Imperatore bizantino che indussero i Selgiuchidi a tornare nelle loro basi di partenza. Pietro l'Eremita scampò al massacro; egli infatti era ancora a Costantinopoli quando lo raggiunse la notizia del disastro. Decise quindi con i pochi sopravvissuti di attendere l'arrivo del grosso della crociata e si accordò nel 1096 con i crociati nobili.

Fonte: Wikipedia

"DIO LO VUOLE!"

Deus lo volt, o Deus le volt (storpiatura dell'espressione latina Deus vult! col significato di Dio lo vuole) fu il grido di battaglia usato da Pietro l'Eremita nelle sue predicazioni per arruolare crociati per la Crociata dei pezzenti. Con questo motto si invitavano i cristiani alla conquista della Terra Santa, allora sotto il potere dei Selgiuchidi, per liberare il Santo Sepolcro. Fu utilizzato anche in seguito dai guerrieri delle successive Crociate e leggenda vuole che persino Papa Urbano II, Pontefice promotore della prima Crociata, avesse utilizzato questo detto, dopo il celebre discorso tenuto a Clermont, in aiuto della Chiesa d'Oriente, privata della città di Gerusalemme. Deus lo vult è il motto dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Fonte: Wikipedia

PIETRO L'EREMITA: "DIO LO VUOLE!"

Pietro d'Amiens, meglio noto come Pietro l'Eremita (Amiens, 1050 ca. – Neufmoustier, 8 luglio 1115), fu uno dei promotori della prima Crociata, nonché guida della cosiddetta Crociata dei pezzenti. Viene considerato beato dalla Chiesa cattolica e ricordato il giorno 8 maggio. Illustrazione tratta dal manoscritto pergamenaceo Roman du Chevalier du Cygne (1270 ca). Nella sua entusiasmante predicazione filo-crociata che spaziò da Bourges a Colonia, l'eloquenza di Pietro (che peraltro era un uomo di scarsa cultura) sollevò l'entusiasmo di migliaia di cristiani (più di 12.000 persone) che - al grido di Deus le volt - si posero in marcia nel maggio 1096. Essi raggiunsero Costantinopoli alla fine di luglio, raccogliendo lungo la strada altri entusiasti, pur obbligati a subire le dure reazioni delle popolazioni balcaniche da essi percorse, che non gradirono gli atti di requisizione forzata di viveri e altre violenze da parte di quei crociati ante-litteram.
Spintosi fino a Nicomedia, Pietro l'Eremita non riuscì a tenere oltre la già scadente disciplina fra le sue fila e, davanti ai primi segni di degrado, tornò nella capitale bizantina per chiedere l'aiuto del basileus, Alessio I Comneno. Nel frattempo il suo seguito, armato alla bell'e meglio, fu massacrato dai Turchi Selgiuchidi di Rūm sui campi di Civitot (Kibotos) ed egli dovette aspettare l'arrivo dei nobili crociati, cui si unì in una posizione tuttavia non di eccellenza. Quando arrivarono i crociati mandati dagli altri re europei, Pietro li seguì. E durante l'assedio di Antiochia cercò addirittura di fuggire, ma venne subito ricatturato. Dopo qualche mese riprese credibilità fra i crociati, al punto di diventare ambasciatore dei cristiani durante un successivo assedio di Antiochia, questa volta da parte dei musulmani. Quando Gerusalemme fu presa il venerdì 15 luglio 1099, Pietro diventò elemosiniere dell'esercito crociato vittorioso. Il suo sermone sul Monte degli Ulivi fu seguito dal saccheggio della città e dai massacri degli abitanti inermi della Città Santa: altri cattolici, ebrei e musulmani. Tornato nel 1100 a Huy (Belgio), Pietro l'Eremita vi fondò il monastero di Neufmoustier, dove finì i suoi giorni nel 1115.

Fonte: Wikipedia

L'ABBAZIA DI SANTA MARIA DELLA GLORIA

L'abbazia di Santa Maria della Gloria comunemente conosciuta come badia della Gloria è un antico monastero sito nel comune di Anagni in provincia di Frosinone. Il monastero oggi è in stato di abbandono anche se sono in atto progetti di restauro che stanno interessando il complesso monastico. La badia è stata nel XIII secolo, fra le principali residenze dell'Ordine florense. La nascita del complesso monastico dell'abbazia della Gloria, si fa risalire ai primi decenni del XIII secolo, non avendo fondi certi a disposizione che attestino il preciso anno di fondazione. La badia venne realizzata su richiesta del cardinale Ugolino, divenuto in seguito vescovo di Ostia e infine papa Gregorio IX (1227-1241). L'idea dell'allora cardinale era quella di completare la cappella realizzata dal fratello Adenolfo, e da donare ai francescani, in territorio di Arenzano. Il cardinale Ugolino, completò la cappella ideata dal fratello e rimasta inutilizzata per molti anni, dedicando la stessa a san Martino. Nel frattempo papa Gregorio IX su un terreno attiguo alla chiesa stava facendo innalzare un altro monastero, dedicato alla Vergine Assunta in cielo. Le due costruzioni molto vicine fra di loro, furono successivamente unite in un unico complesso monastico, e dall'unione dei due edifici religiosi nacque l'abbazia di Anagni, dedicata a Santa Maria della Gloria. I francescani vennero trasferiti in una località di Anagni che tuttora prende il nome dai religiosi, san Francesco appunto, mentre il complesso venne affidato ai monaci florensi seguaci di Gioacchino da Fiore. La badia venne gestita dall'ordine florense si insediò nella badia dall'abate Giovanni da Ninfa, proveniente dal monastero di monte Mirteto, tra il 1216 e il 1231. La storia dell'abbazia ebbe però vita breve. Infatti già nel 1261, alla morte di papa Alessandro IV, il monastero cominciò a perdere la protezione papale che le era stata garantita fino ad allora. Il processo di decadimento della struttura venne accentuata quando i monaci cominciarono a diminuire in maniera sostanziale, vessati anche da ingenti tasse da pagare. Con il pontificato di Bonifacio VIII la badia chiude definitivamente, e precisamente nel 1297, quando la famiglia Caetani acquistò i terreni in possesso al monastero. L'edificio fu dato in commenda nel 1411 ed infine sconsacrato ed acquistato da un certo Leonardo Martinelli che ne fece una sua tenenza, da utilizzare come edificio agricolo. Nonostante lo stile dell’intera costruzione possieda ancora l'accentuata austerità tipica dello stile romanico, e la povertà stilistica della gran parte degli edifici architettonici florensi, dopo anni di abbandono si presenta costituito da vari corpi di fabbrica, molti dei quali con avanzato stato di decadimento, specie per quanto riguarda i solai della struttura, molti dei quali completamente persi.

Fonte: Wikipedia

UN CASO DI OMICIDIO NEL TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE DI NARNI - LE TECNICHE DI INVESTIGAZIONE DEL XVIII SECOLO E QUELLE DI OGGI A CONFRONTO

NARNI SOTTERRANEA è un sito archeologico/culturale gestito dall'Associazione Culturale Subterranea, associazione esclusivamente formata di volontari con la medesima mission da 30 anni a questa parte: trovare la verità. NARNI SOTTERRANEA offre un importante varietà di ambienti da visitare nell'ambito di un percorso guidato. Durante questa visita si possono ammirare i locali sotterranei dell'antico complesso conventuale di SAN DOMENICO con annessa una chiesa ipogea affrescata nel XIII e XV secolo, una cisterna romana ed una cella ricca di graffiti realizzati dai reclusi del tribunale dell'INQUISIZIONE. Lo stesso tour prevede la visita guidata all' ex cattedrale di San Domenico, dove è possibile ammirare uno splendido mosaico bizantino del VI sec.

Via San Bernardo, 12 05035 Narni (TR) 
fisso: 0744.722292 
cell: 339.1041645 
info@narnisotterranea.it
www.narnisotterranea.it

UN CASO DI OMICIDIO NEL TRIBUNALE 
DELL’INQUISIZIONE DI NARNI
Le tecniche di investigazione del XVIII sec. e quelle di oggi a confronto

Programma 4 dicembre 2013 Aula San Domenico, Narni

9,00 – Saluti delle Autorità
Francesco De Rebotti, Sindaco del Comune di Narni
Prof.ssa Maria Caterina Federici, Università degli Studi di Perugia

Coordinatrice del CdL in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza di Narni
Presiede e modera - Dott.ssa Sabina Curti, Università degli Studi di Perugia

9,30 – Dott. Roberto Nini e Dott.ssa Tamara Pelucchini
Associazione “Narni Sotterranea”
“Il ritrovamento del processo al bigamo omicida”

10,00 - Prof. Adriano Prosperi
Scuola Normale Superiore di Pisa
“Il processo inquisitoriale come modello di giustizia penale”

10,45 – Dott. Fausto Cardella
Magistrato
“Dall’inquisitorio al garantismo: tecniche investigative a confronto”

11,30 – 12,30 Dibattito

12,30 – 13,00 Chiusura dei lavori

Dalle ore 15 – Visite guidate alla “Narni Sotterranea” al prezzo simbolico di 
2 euro (acquisto voucher dalle 9 alle 13 presso Aula San Domenico).

"QUASI RE. VITA DI FORTEBRACCIO CAPITANO DI VENTURA". EVENTO ORGANIZZATO DALL'ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIA MEDIEVALE



L'Associazione Culturale Italia Medievale è lieta di invitarvi sabato 9 novembre 2013 presso lo Spazio Eventi della Libreria Feltrinelli di Via Manzoni, 12 a Miano, ore 17,00, per la presentazione del libro "Quasi Re. Vita di Fortebraccio capitano di ventura" di Marco Rufini (Edizioni Minerva, 2013). Interviene l'autore. Ingresso libero. Affascinante affresco letterario che percorre la vita, tra Medioevo e Rinascimento, del nobile Fortebraccio da Montone, “umbro doc” e capitano di ventura. Diventato signore di Perugia, coltiva “il Grande Sogno”: diventare il primo re d’Italia, cacciando le presenze straniere e limitando il potere papale alle anime. Conquista, quindi, tutta l’Italia centrale, spingendosi fino a Roma. Il sogno sta per realizzarsi, ma il nuovo Papa Martino V (della famiglia romana Colonna, nemica dell’Umbria) simulando un negoziato, ingaggia una guerra all’ultimo sangue, che porterà alla cattura quindi alla condanna definitiva di Fortebraccio da Montone. Marco Rufini è nato a Perugia il 29 giugno 1947 e vive a Capocavallo, nella campagna circostante il Lago Trasimeno. Avvocato specializzato in tecnica legislativa, per molti anni ha diretto i servizi giuridici della Regione Umbria. Si occupa anche di cinema ed è tra i fondatori dell’Umbria Film Festival di Montone. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito www.marcorufini.it.

Marco Rufini ha iniziato a scrivere narrativa dopo i quaranta anni e i suoi romanzi pubblicati sono AFA (2007), Braccio da Montone – Vita d’un capitano di ventura (2004) e Il lago (2003) per le Edizioni e/o di Roma. Con Editoriale Umbra Sotto un cielo lontano (1997). Di questi libri hanno parlato e/o scritto fra gli altri Dacia Maraini, Filippo La Porta, Mariano Sinibaldi, Stefano Giovanardi, Arnaldo Colasanti, Sergio Pent, Maria Laterza, Alessandro D’Alatri, Giuseppe Piccioni, Barbara Palombelli, Piero Dorfles, Mogol, Alain Elkann, Gigi Marzullo.

COMPAGNIA DEL CARDO E DEL BRUGO


L' associazione culturale Compagnia del Cardo e del Brugo nasce dalla passione per la cultura celto-norvegese delle Highlands di un gruppo di amici, nell'inverno del 1999 e si evolve dando vita al Gruppo di Rievocazione Storica che sceglie come propria data di nascita la festività di Imbolc 2002 (02/02/02). Il Gruppo di Ricerca, Divulgazione, Ricostruzione e Rievocazione Storica ricostruisce tre distinti periodi e popolazioni: i celtoliguri Iriates, che nel III sec aC popolavano le valli dell'Appennino Ligure e i celtonorvegesi delle Highlands del X sec d.C. e il medioevo italiano nella veste di mercenari assoldati dal Conte Mainardo del Tirolo o Comunali Milanesi. In questi anni la Compagnia è cresciuta, in molti sensi: si è arricchita di nuovi membri che hanno portato la loro cultura, le loro capacità tecniche e soprattutto il loro entusiasmo ed è cresciuta perchè al suo interno sono andati facendosi sempre più saldi i legami di solidarietà e di amicizia che uniscono i membri dell'associazione. Il nostro è ormai un Clan, nell'accezione più autentica del termine, una famiglia, retta dal forte senso di appartenenza dei suoi membri. Ci riteniamo un'associazione giovane, in cammino, che cerca sempre nuovi stimoli per migliorarsi e progredire, che non cessa di studiare, sperimentare, intraprendere nuove strade e nuove collaborazioni. In questo ultimo anno, la Compagnia ha intrapreso un percorso di sperimentazione didattica relativo alla didattica attiva della storia, che si realizza attraverso specifiche attività proposte ai più giovani durante gli eventi di rievocazione e collaborazioni con scuole Primarie e Secondarie di Primo grado, nelle quali viene trasportato il nostro villaggio itinerante. Attraverso la sperimentazione diretta i bambini ed i ragazzi, guidati dai rievocatori, vengono avvicinati al vivere quotidiano di un villaggio del III sec a.C. La Collana “Il cardo e il brugo”all'interno del panorama editoriale della Wildboar Edizioni di Genova, rappresenta il fiore all'occhiello dell'associazione; ad essa collaborano a vario titolo molti membri della Compagnia del Cardo e del Brugo. Dal 2007 la Compagnia è entrata a far parte del Consorzio Europeo di Rievocazione Storica (CERS).

RIEVOCAZIONE Celti insubri III sec. a.C.

L’accampamento dei celti

I Celti insubri avevano avuto lunghi periodi di aspri conflitti, per il possesso della parte Nord Occidentale dell'Italia, con i Liguri e gli Etruschi. Intorno al III sec. a.C. questa popolazione , divisa in tante piccole tribù, fece fronte comune contro l'avanzata dei Romani, appoggiando Annibale durante la Seconda Guerra Punica.
Nella zona di voghera/tortona , secondo le fonti, si trovava una tribù denominata “Iriates”, della quale noi ci occupiamo. I guerrieri celti sono armati con lance, giavellotti e spade corte di tipo lateniano, hanno scudi ovali dipinti ed i principi indossano cotte di maglia ed elmi; oltre a questo hanno anche archi in legno di frassino, di nocciolo e frombole. Gli uomini indossano brache e tunica con il grande mantello rettangolare a quadri, mentre le donne vestono una tunica lunga, mantello e sono ornate di gioielli a seconda della loro condizione sociale . Nel campo si trovano inoltre antichi mestieri e riferimenti alla spiritualità.
RIEVOCAZIONE Celto-norvegesi /Vichinghi 800/1000 d.C.
L’accampamento dei celto-norvegesi/vichinghi
Nel 794, secondo gli annali della storia irlandese, i Vichinghi invasero l’isola di Skye: da quest'epoca la storia delle Ebridi e delle Highlands si scinde da quella del resto della Scozia. Divenuta nazione dalla fusione del regno celtico di Dalriada con l'antico regno dei Pitti, ad opera di Kennet MacAlpine, con l'avvento dei i Vichinghi per quattro secoli si isolò dalle regole delle Lowlands e dallo sviluppo di un feudalesimo di tipo tradizionale. Prima dell'anno mille il resto della Scozia chiamava le Ebridi “Innse na Gall” , Isole degli Stranieri, poiché erano diventate completamente Vichinghe. La sovranità i vichinga si estese in breve tempo dalle isole a tutta la terraferma dell'Argyle e alle Highlands a Nord di Inverness. I discendenti dei conquistatori vichinghi diedero origine a una aristocrazia che si imparentò strettamente con quella celta autoctona, adottò la lingua del popolo sottomesso e fuse le proprie tradizioni con i costumi gaelici.
Il nostro accampamento è ambientato all'epoca della prima integrazione delle due culture. Nel campo troverete uomini che indossano il feileadh mohr, antichissimo abito delle Highlands o calzoni vichinghi con tunica e mantello mentre le donne vestono tuniche lunghe con il tradizionale grembiule ed hanno il capo coperto. Molte portano gonne a quadri e tuniche con mantelli e scialli antenati del tonnag e arasaid, costumi tradizionali delle Highlands, che compariranno più avanti durante il Medioevo. I combattenti sono armati di spade da 90 cm a una mano, coltelli, asce e lance; portano scudi rotondi ricoperti di cuoio dipinti con un diametro da 55 a 70 cm, i nobili possiedono cotte di maglia o corazze in cuoio ed elmi. Alcuni uomini hanno archi tipo long bow, strumenti da caccia che si mutavano per gli Highlanders in temibili armi da guerra. I combattenti vichinghi hanno in dotazione anche le lunghe asce di tipo danese con un manico da 170 cm. Nel campo troverete anche ricostruzioni di antichi mestieri.

RIEVOCAZIONE Medievale 1100/1200 d.C.

L’accampamento Medievale

Vengono collocate in questo periodo storico le campagne militari degli imperatori del sacro romano impero Federico I detto il Barbarossa e Federico II suo nipote. Oltre a questo troviamo le lotte per le investiture fra Guelfi e Ghibellini e le Battaglie di espansione fra i vari comuni del Nord-Italia. La nostra ricostruzione storica si rifà a due fazioni ben precise: la prima come milites( soldati, combattenti) milanesi Guelfi ,la seconda come mercenari al soldo di Mainardo Conte di Tirolo-Gorizia della parte Ghibellina. Nel nostro campo troverete, in base al ruolo svolto, uomini vestiti come indicava la moda del tempo con brache e calze-brache e tunica oppure pantaloni e tunica diversamente decorata in base alla condizioni sociali. Le donne vestono tuniche lunghe variamente decorate ed hanno il capo coperto se sposate. I vari armati avranno spade, asce, mazze,scudi oppure archi e balestre e elmi e armature. Oltre a ciò si troveranno anche antichi mestieri.

Il giorno 28/10/2013 Sguardo Sul Medioevo ha conferito alla Compagnia del Cardo e del Brugo, l'Attestato di Eccellenza Medievale.




venerdì 25 ottobre 2013

BARBARA FRALE: "L'INGANNO DEL GRAN RIFIUTO - LA VERA STORIA DI CELESTINO V PAPA DIMISSIONARIO" - RECENSIONE

L'11 febbraio 2013, Benedetto XVI sconvolse il mondo con l'annuncio della sua rinuncia al Soglio di Pietro e subito si sono scatenate una ridda di ipotesi su quali fossero le reali motivazioni di tale decisione che rappresenta, senza dubbio, un evento storico. Il parallelismo con il "Gran Rifiuto" di Celestino (ammesso che poi Dante Alighieri si riferisse davvero a lui dato che non disegna inequivocabilmente la figura di quell'ombra che egli riconobbe tra gli ignavi) fu senza dubbio la prima cosa che venne in mente a molti. In realtà si sono seguite anche critiche molto aspre nei confronti di Ratzinger perché a detta di molti, anche di membri eminenti del clero romano, non si abbandona la croce. In realtà l'ignobile assalto mediatico che ha ricevuto il pontefice è assai vergognoso: ricordiamo pur sempre che il papa è un uomo e nello specifico parliamo di un uomo che è sempre stato poco avvezzo alla mediaticità e la mole dei suoi lavori e le numerose pubblicazioni dottrinali ne sono un fulgido esempio di quello che è probabilmente il più grande Teologo a cavallo del XIX e XX secolo. L'Ufficiale dell'Archivio Segreto Vaticano, Barbara Frale già nota per degli studi approfonditi sui Cavalieri Templari e la Sacra Sindone, ha posto l'accento sulla vicenda controversa di Celestino V al secolo Pietro da Morrone e del suo rapporto con Bonifacio VIII.

Pietro da Morrone è famosa per la sua vita da eremita ed asceta: nel 1239 si ritirò nei pressi di Sulmona in una caverna isolata sul Monte Morrone. Quando il 4 aprile del 1492 Papa Niccolò IV morì dodici cardinali si riunirono in conclave e nonostante varie riunioni a Santa Maria Sopra la minerva, a SAnta Maria Maggiore e a Santa Sabina, il Sacro Collegio non riuscì a trovare l'accordo sul successore di Niccolò. Il problema non era solo circa la figura del successore, ma anche una lotta intestina con i sostenitori dei Colonna. Dopo una peste che uccise uno dei cardinali elettori, il conclave si trasferì a Perugia il 18 ottobre del 1293. Nel marzo del 1294 erano in corso le trattative tra Carlo d'Angiò re di Napoli e Giacomo II re di Aragona circa la "questio" dell'occupazione aragonese della Sicilia in seguito allo storico evento dei Vespri Siciliani. Carlo d'Angiò necessitava di un avallo pontificio per rettificare il trattato e dato che ancora si era in sedevacante, si recò a Perugia per sollecitare l'elezione del pontefice: questo gesto fu visto, a ragione, come una prepotenza dal parte del re che fu malamente cacciato anche per iniziativa di benedetto Caetani. 
Pietro da Morrone, benchè lontano dalla mondanità romana, inviò a Latino Malabranca (Decano) una profezia che prediceva gravi castighi per la Chiesa se non fosse stato scelto il nuovo pastore. Lo stesso Decano fece il nome proprio di Pietro da Morrone come nuovo papa dato che la sua figura di asceta, di mistico e di religioso era nota a tutti. Il 5 luglio del 1294 Pietro da Morrone fu scelto all'unanimità dal Sacro Collegio. La notizia fu data di persona da una delegazione di cardinali tra cui Iacopo Stefaneschi autore dell'Opus Metricum in cui affermò che Celestino appariva come «...un uomo vecchio, attonito ed esitante per così grande novità» con indosso «...una rozza tonaca». Alla notizia dell'elezione, Pietro da Morrone si inginocchiò dinanzi ai cardinali e successivamente con grande sofferenza accettò l'elezione. 

Ma chi era Celestino? Abbiamo parlato della sua vita ascetica e religiosa e come spesso capita gesti degni di nota coprono gesti meno nobili, e questo è anche il caso di Celestino. Celestino V dimostrò di non essere un grande amministratore dei beni ecclesiastici e tutte le famiglie nobili romane approfittarono per accumulare benefici, denaro e potere che venivano concesse senza un criterio e solo per togliersi di mezzo tanti intrusi per poi rintanarsi nella sua cella (ne fece creare una appositamente nel suo palazzo) per pregare. Stanco di trovarsi in mezzo ad un mondo che non gli apparteneva, Celestino decise di rinunciare al pontificato: la decisione non colse completamente di sorpresa i cardinali. Benedetto Caetani che era un abile giurista e un uomo non solo di grande cultura ma anche alto esponente della famiglia romana, affermò che a livello giuridico il papa poteva abbandonare la Cattedra di Pietro anche se ciò non era mai accaduta se non in casi di "dimissioni" violente. Proprio come benedetto XVI Celestino decise autonomamente di rinunciare al pontificato pertanto affermare che fu indotto alle "dimissioni" è un fatto che storicamente non può essere vero. 

Come è un errore affermare che il suo successore Benedetto Caetani (Bonifacio VIII) fosse uno dei peggiori pontefici di sempre. Non solo era uomo colto ma soprattutto decise di iniziare a togliere i privilegi che Celestino V aveva concesso a chiunque li chiedesse. Il primo atto del nuovo papa fu tornare a Roma da Napoli e annullò tutte le decisioni assunte dal predecessore. Per evitare che i seguaci di Celestino potessero avere intenzioni scismatiche, Bonifacio, nel mentre in cui Celestino che stava fuggendo in Grecia dopo esser stato braccato nei pressi di Sulmona, fece arrestare l'eremita e lo fece rinchiudere a Fumone dove rimase fino alla sua morte avvenuta per cause naturali e il buco rinvenuto sul cranio di pietro sembra riferirsi ad un ascesso cerebrale. A Bonifacio è legato il famoso evento dello Schiaffo di Anagni (ancora non si sa se per schiaffo si intende la violenza fisica o psicologica inteso come oltraggio) dovuta ad una ormai imminente pubblicazione della Bolla Pontificia Super Petri Solio che conteneva la scomunica del  re. Nonostante la popolazione di Anagni fosse insorta contro Nogaret inviato di Filippo IV Bonifacio risentì molto dell'accaduto e morì poco dopo. La morte del nemico scatenò il Re di Francia Filippo il Bello che ottenne dal successore di Caetani Bertrand de Got (Clemente V) la soppressione dell'Ordine dei Templari proprio come descritto in maniera precisa, semplice e ricca di particolari dalla stessa Frale nel libro I Templari, edito dalla casa editrice Il Mulino.

Il libro di Barbara Frale, pubblicato dalla UTET ed uscito il 17 ottobre 2013, è quasi un romanzo dalle trame misteriose: il modo di raccontare fatti estremamente complessi risulta molto accessibile sia a chi già conosce gli eventi e sia a chi si avvicina a questo periodo per la prima volta. Le circa 150 pagine sono corredate da una ampia bibliografie e da note esplicative di grande utilità. Il libro non è un classico saggio storico, di quelli noiosi e prolissi che spesso fanno annoiare il lettore. Il pregio dell'esperta è quello di tenere l'attenzione sempre a livelli molto alti sia che il testo sia letto da un appassionato o da un accademico più esperto. L'idea di mettere le note a fine del testo e non come spesso capita a pie' di pagina ha permesso al testo di essere particolarmente snello. L'introduzione di Franco Cardini è una garanzia sulla qualità del testo che ha il merito di fare luce con semplicità attraverso un periodo molto complesso ed oscuro della storia della chiesa.

L’inganno del gran rifiuto. La vera storia di Celestino V papa "dimissionario"
di Barbara Fale
Prefazione di Franco Cardini
Editore UTET

ISBN 9788841896877
Pubblicato nel 2013
Formato 10,5 x 17,5 cm

Costo € 10,00
Ebook € 7,99


Sinossi del libro

Il 5 luglio 1294, dopo oltre due anni di Sede vacante, i cardinali riuniti in conclave finalmente convergono su un uomo del tutto estraneo alla Curia Romana, l’eremita abruzzese Pietro da Morrone. Digiuno di politica e lontanissimo dalle logiche del secolo, Celestino V si sente fin da subito a disagio tra i fasti di Roma, al punto che dopo soli cinque mesi comunica ai porporati la decisione di deporre la tiara. Il suo gesto apre la strada all’elezione di Bonifacio VIII, cardinale dalle notevoli doti diplomatiche, una nomina salutata dal mondo intero come provvidenziale. Non è di quest’idea, però, Dante, che nel terzo canto dell’Inferno sembrerebbe riferirsi proprio a Celestino con il verso «colui che fece per viltade il gran rifiuto». Sembrerebbe, appunto.
Barbara Frale ricostruisce in questo libro la storia di Celestino, del suo rapporto con Bonifacio, raccontando eventi poco noti, non di rado delittuosi, risvolti e retroscena, infamie e amare verità che danno a questa biografia le sfumature del romanzo gotico. Protagonisti, insieme a Celestino V e Bonifacio VIII, sono il re di Francia Filippo il Bello, il re di Napoli Carlo II d’Angiò, le grandi famiglie nobiliari romane, i teologi della Sorbona, e un secolo, il Trecento, particolarmente gravato da scandali, processi, dispute dottrinali e lotte di potere, rese più infuocate dalla propaganda di tutte le parti in gioco. Fino a impedire di vedere nel “gran rifiuto” l’inganno che in realtà è stato. (fonte Utetlibri.it)

Barbara Frale

Barbara Frale (Viterbo, 1970) è una storica del Medioevo ed esperta di documenti antichi. Dopo la laurea e il dottorato in Storia presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, nel 2001 è entrata in servizio come Ufficiale presso l’Archivio Segreto Vaticano, dove ha potuto approfondire gli studi sui Templari direttamente sulle carte originali custodite nell’archivio pontificio. Ha collaborato con vari quotidiani ed emittenti televisive italiane ed estere per la realizzazione di servizi e documentari storici. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: I Templari e la Sindone di Cristo (Il Mulino, 2009), La Sindone di Gesù Nazareno (Il Mulino, 2009), Il principe e il pescatore. Pio XII, il nazismo e la tomba di San Pietro (Mondadori, 2011), La lingua segreta degli dei (Mondadori, 2012).

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...