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venerdì 11 ottobre 2013

IL PROCESSO DI CANONIZZAZIONE NEL CORSO DELLA STORIA

Per la "canonizzazione formale" si richiedono due miracoli attribuiti al fedele dopo la morte e un decreto a procedere emanato dalla Congregazione, accompagnato da un giudizio consultivo del Concistoro.
La canonizzazione è la dichiarazione ufficiale della santità di una persona defunta da parte di una confessione cattolica o ortodossa. Emettendo questa dichiarazione, si proclama che quella persona si trova con certezza in Paradiso e in più, rispetto alla semplice beatificazione, ne permette la venerazione come santo nella chiesa universale, mentre con il processo di beatificazione se ne permette la venerazione nelle chiese particolari (ad esempio il Beato Giovanni Paolo II può essere venerato nella Diocesi di Roma, in quanto ne è stato il Vescovo e nelle Diocesi polacche perché nato in Polonia). È una consuetudine in uso presso la Chiesa cattolica (incluse le Chiese di rito orientale) e la Chiesa ortodossa. La Chiesa anglicana non usa la canonizzazione; unica eccezione in tutta la sua storia è la canonizzazione di Carlo I d'Inghilterra. Le Chiese protestanti, invece, rifiutano il concetto stesso di una canonizzazione pronunciata da una qualsiasi autorità ecclesiale, sia essa personale o collegiale: il destino ultimo delle persone è conosciuto soltanto da Dio, e la parola santo viene utilizzata in riferimento non a una persona che si troverebbe già in Paradiso, bensì al credente che "soltanto per grazia" ha ricevuto il dono della fede e della salvezza. Nella Chiesa cattolica, la canonizzazione avviene al termine di un'apposita procedura, che dura in genere molti anni, chiamata processo di canonizzazione (o processo canonico). Tra le altre cose, negli ultimi decenni, è richiesto che vengano riconosciuti dei miracoli attribuiti all'intercessione della persona oggetto del processo. La decisione finale sulla canonizzazione è in ogni caso riservata al Papa, che sancisce formalmente la conclusione positiva del processo canonico attraverso un atto pontificio. Se la venerazione, più o meno marcata, di defunti particolarmente incisivi nella storia del Cristianesimo sorse molto presto, come testimoniano iscrizioni e fonti di vario genere, è solo nel secondo millennio di vita della Chiesa che nasce un vero e proprio processo di canonizzazione. Tuttavia, date le enormi differenze storiche che contraddistinguono la millenaria storia della Chiesa, si suole distinguere sei grandi periodi per quel che riguarda l'evoluzione del processo di canonizzazione, cinque storici più l'attuale.

Nei primi cinque secoli di vita delle comunità cristiane, non si parla propriamente di santi, ma più di martiri: la venerazione dei defunti si focalizza soprattutto su quelle persone che, pur di non rinnegare il Signore e il suo messaggio rivelatore, preferirono immolare la propria vita come testimonianza di fede. Ovviamente non esistevano questioni formali da assolvere per venerare un martire: il martirio era un fatto di dominio pubblico, confermato dalle autorità romane competenti che poi eseguivano la pena capitale. Nascono in questo periodo i martirologi, ovvero cataloghi e raccolte dove venivano inseriti i fedeli secondo nome, giorno della condanna a morte e luogo di sepoltura, probabilmente per onorarli nel sepolcro il giorno della loro morte.
Un cambio radicale si ha nel periodo della fine delle persecuzioni, prima con la pace costantiniana (313) poi con l'editto di Tessalonica. Questa situazione socio-politica porta ad aggiungere al culto dei martiri, quello dei confessori, ovvero fedeli che avevano subito gravi violenze durante il periodo delle persecuzioni ma erano riuscite a sfuggire la morte, oppure persone che si erano conformate a Cristo per la propria vita terrena, con penitenze fuori dal normale, vita ascetica e scelte di vita simili. Si deve notare che i confessori in vita dovevano aver patito sofferenze pari ad un martirio non cruento, così da essere venerati come i martiri.
Sia i martiri che i confessori vengono venerati con moto spontaneo collettivo, senza iniziative o approvazioni di natura ecclesiastica. Non v'è traccia di formalizzazioni processuali, sia per la poco sviluppata organizzazione della Chiesa, sia per la mancanza effettiva della necessità di accertamenti, dato che i segni del martirio o di altre testimonianza di fede così marcate sono evidenti e di pubblico dominio.

È col progressivo crollo dell'Impero romano d'Occidente ed i sempre più frequenti contatti con le varie popolazioni barbariche che si avvia un cambiamento di rilievo, sempre più accentuato con l'inizio del Medio Evo: vede la luce una forma embrionale di processo di canonizzazione, operato dai vescovi che autorizzano la venerazione dopo una sommaria inchiesta e la redazione della Vita del santo, ovvero una sorta di biografia agiografica contenente i suoi miracoli. Si parla in questo periodo di "canonizzazione vescovile". È fino al X secolo che la liceità del culto era determinata dall'approvazione del vescovo: la canonizzazione vescovile risponde allo stimolo della vox populi. È poi nel 993 che per la prima volta il prestigio del caso viene legato al sinodo romano e il 31 gennaio papa Giovanni XV canonizza solennemente sant'Ulrico di Augusta.
La figura del santo comincia a delinearsi in maniera più indipendente e a differenziarsi da quella dei martiri e dei confessori dei primi secoli, visto dal credo popolare più come un intercessore di grazie divine che non un modello a cui aspirare: diventa sempre più forte il legame fra la figura del santo ed il miracolo, da un lato elemento essenziale per la sua canonizzazione, dall'altro via per il popolo per ottenere favori divini per superare le enormi difficoltà materiali del periodo. Per canonizzare un defunto è necessario un concilio o un sinodo dell'episcopato locale, ma a volte è lo stesso pontefice a partecipare, soprattutto per figure di rilievo e prestigio. Una prima forma di processo di canonizzazione si fissa in età carolingia, ma forse addirittura merovingia: requisiti fondamentali erano il miracolo o il martirio, la stesura della Vita, la presentazione all'autorità ecclesiastica competente e la successiva approvazione.

Se Urbano II cominciò un processo di accentramento della questione, inserendo altri requisiti per la canonizzazione come le prove testimoniali, fu papa Alessandro III, nel XII secolo, che rivendicò a sé il potere di riconoscere una persona come santo al fine di mantenere un'uniformità di culto in tutta la Cristianità, inserendo definitivamente i processi di canonizzazione nelle causae maiores Ecclesiae. Tale norma fu poi confermata da Gregorio IX nel 1234, ed inserita successivamente nel Corpus Iuris Canonici.
È opinione comune fra gli studiosi, che il primo processo di canonizzazione di cui ci siano pervenuti gli atti, sia quello relativo a Galgano da Chiusdino, cavaliere poi penitente eremita morto il 30 novembre 1181; il processo, indetto presumibilmente su richiesta del vescovo di Volterra, competente per territorio, da papa Lucio III si tenne nel 1185 (appena quattro anni dopo la morte di Galgano), ma non è certo se, al termine dell'indagine, vi sia stata una sentenza da parte del papa, o piuttosto la commissione pontificia non abbia decretato la canonizzazione del sant'uomo attraverso la cosiddetta jurisdictio delegata, con la quale l'autorità superiore, in questo caso il papa depositario del più alto potere di giurisdizione, trasferisce tale autorità ad una figura gerarchicamente subordinata. Nel XIV secolo, il Papa cominciò ad autorizzare il culto di alcuni santi solo in ambito locale prima che fosse completato il processo di canonizzazione. Tale pratica è all'origine della procedura di beatificazione, in cui una persona è detta beata ed è possibile il suo culto solo in ambiti ristretti (singole diocesi o famiglie religiose). Numerosi cambiamenti ci furono con gli interventi di Sisto V che creò la Congregazione dei riti e di Urbano VIII nella sua Coelestis Hierusalem Cives, che arricchì ed articolò la procedura. Nasce la distinzione netta tra beatificazione e canonizzazione, e la riserva papale viene ulteriormente rafforzata a garanzia con una norma di chiusura, con conseguente divieto di venerazione di defunti che non siano stati riconosciuti come santi. Per la "canonizzazione formale" si richiedono due miracoli attribuiti al fedele dopo la morte e un decreto a procedere emanato dalla Congregazione, accompagnato da un giudizio consultivo del Concistoro. La beatificazione viene successivamente modificata e più precisamente definita da Alessandro VII e Benedetto XIV. Durante i pontificati di papa Pio IX e papa Leone XIII vi fu un notevole incremento del numero dei processi; le canonizzazioni furono settantadue, quante quelle celebrate dall'istituzione della Sacra Congregazione dei Riti.

Tutta la normativa, frutto di elaborazioni millenarie, rimase in vigore fino alla codificazione del 1917, nella quale fu inserita e rielaborata. La procedura inserita nel codice viene disciplinata in maniera molto dettagliata e minuziosa, con un approccio "positivistico giuridico" che risulterà senza eguali. Con l'introduzione presso la già veduta Congregazione dei Riti della Sezione storica e della Consulta medica, nasce un'autentica metodologia investigativa e valutativa che toglie ampio terreno al classico procedimento di natura giuridica.
L'eccessivo positivismo della prima codificazione, che aveva portato all'esclusione delle indagini sinodali e vescovili e allungato e complicato in maniera esponenziale le procedure, indusse Paolo VI a riformare la canonizzazione, separando una sezione apposita dalla Congregazione dei riti e semplificando il processo in due fasi, una istruttoria a livello locale, ed una dibattimentale riservata all'ambiente romano, con una riconsiderazione in positivo del ruolo del Vescovo e delle decisioni sinodali. Un'ulteriore riforma di Giovanni Paolo II inclina il processo di canonizzazione a favore della teologia de-positivizzandolo consistentemente.
Riguardo alla canonizzazione, la maggior parte dei teologi cattolici attribuisce a quest'atto pontificio il carattere dell'infallibilità, mentre lo si esclude se

Canonizzazione e Chiesa Cattolica

Il riconoscimento di un nuovo santo è, per la Chiesa Cattolica, fonte di grande gioia in quanto considerato manifestazione speciale dell'operato di Dio: un nuovo santo è, nel cattolicesimo, un dono che Dio fa alla comunità. Il processo che porta la Chiesa a dichiarare un uomo o donna santo richiede grande attenzione e responsabilità, perché la decisione che ne deriva influenza molte persone: il santo o la santa verrà infatti proposto alla venerazione di tutti i fedeli in tutto il mondo e indicato come esempio da seguire.
Il processo di canonizzazione ha una durata variabile di parecchi anni, ma può arrivare a secoli. Segue due procedure, a seconda che il defunto da canonizzare sia morto di morte naturale o sia stato ucciso come martire. Per il Martire la procedura è in qualche modo semplificata, perché tenderà ad accertare soprattutto se si sia trattato di vero martirio, ossia di morte inflitta in esplicito odio alla Fede e alla Chiesa, e dal martire liberamente e serenamente accettata e sopportata in testimonianza di fedeltà e di amore alla fede e alla Chiesa. Invece, se la persona per la quale si chiede il processo di canonizzazione è morta di morte naturale:
  • il processo di canonizzazione ha origine dalle persone che hanno vissuto con il potenziale santo o santa, che ne conoscono l'operato e lo stile di vita: la comunità della parrocchia, la congregazione religiosa, la comunità in cui ha lavorato, eccetera.
  • questi, detti Attori, incaricano una persona che ritengono adeguata a presentare richiesta al vescovo di riferimento perché apra l'Inchiesta Diocesana su una possibile beatificazione. Chi presenta la domanda viene detto Postulatore della Causa. Se la Santa Sede lo ritiene affidabile, diviene la persona di riferimento per la Congregazione per le cause dei santi, cioè l'organismo della Santa sede che si occupa dei processi di beatificazione. L'inchiesta non può iniziare se non sono trascorsi almeno 5 anni dalla morte della persona, a meno che il Papa in persona non voglia autorizzare una eccezione (come nel caso di Giovanni Paolo II su disposizione di Benedetto XVI). Questo criterio di cautela tende a evitare di farsi trasportare da entusiasmi temporanei e intende aiutare a valutare con criterio i fatti;

La Congregazione per le Cause dei Santi valuta la richiesta del vescovo e risponde con un Nulla Osta (niente si oppone), autorizzandolo a procedere. Da questo punto in poi il potenziale santo o santa viene detto "Servo (o serva) di Dio";
  • si procede intervistando quante più persone possibili, valutando documenti e testimonianze per capire se, tra quanti lo hanno conosciuto, ci sia una cosiddetta fama di santità. Se, durante la vita della persona sono avvenuti episodi inspiegabili che possano essere ritenuti "miracoli", questi verranno verificati e segnalati, sebbene non siano considerati fondamentali. Ne deriva una raccolta di documenti che viene inviata a Roma.
  • la Congregazione per le Cause dei Santi controlla che la raccolta del materiale sia avvenuta in modo corretto, quindi nomina un Relatore della Causa che guiderà l'organizzazione del materiale nella Positio super virtutibus del Servo di Dio. La Positio è quindi un dossier dove si esprime con criterio la "dimostrazione ragionata" (Informatio) delle presunte virtù eroiche, usando le Testimonianze e Documenti raccolti nell'Inchiesta Diocesana (Summarium); Nel 1587 venne istituita una figura, contrapposta al relatore, di Pubblico Ministero (chiamato popolarmente l'Avvocato del Diavolo) che in questa fase cerca le prove contro la santità del candidato: errori nella dottrina della Fede, disobbedienze alla Chiesa, comportamenti palesemente o occultamente peccaminosi o viziosi. Questa figura è stata poi soppressa nel 1983 da parte di papa Giovanni Paolo II per snellire il processo di canonizzazione.
  • si organizza una commissione di 9 teologi, detta Congresso dei Teologi, per l'esame della Positio del postulatore e delle Animadversiones dell'avvocato del diavolo. Se questi danno parere favorevole si ha una riunione di Cardinali e Vescovi della Congregazione dei Santi, terminata la quale il Papa autorizza la lettura del Decreto ufficiale sull'eroicità delle virtù del Servo di Dio. Questi d'ora in poi viene chiamato "venerabile". Questo chiude la prima fase del processo di canonizzazione.
  • La fase successiva è la Dichiarazione di beatificazione, per arrivare alla quale deve essere riconosciuto un miracolo attribuito all'intercessione del venerabile. Qualcuno deve aver pregato la persona e questa deve aver "risposto" venendo in soccorso con un evento inspiegabile e "prodigioso": questo viene ritenuto dalla Chiesa segno inequivocabile che la persona è in Paradiso e di là può e vuole soccorrere i vivi. La cautela in questa fase è ancora maggiore. Perché un miracolo venga preso in considerazione dalla Congregazione dei Santi occorre una Inchiesta Diocesana, approfondita con lo stesso iter indicato sopra, che andrà consegnata alla Congregazione dei Santi.
  • tra gli episodi a cui la Chiesa cattolica più frequentemente attribuisce carattere miracoloso vi sono: l'incorruttibilità del corpo dopo la morte, come per santa Caterina da Bologna, il cui corpo è ancora integro dopo quasi 550 anni dalla morte; la "liquefazione del sangue" durante occasioni particolari, come san Gennaro; l'"Odore di Santità": il corpo emanerebbe profumo di fiori, anziché il consueto odore di morte, come nel caso di santa Teresa d'Avila. Tuttavia il miracolo che si verificherebbe più spesso è quasi sempre una guarigione da malattia grave. Questa deve essere istantanea, senza alcuna spiegazione medica plausibile, definitiva e totale.
  • La Positio sul miracolo viene quindi esaminata da 5 medici: se questi dichiarano di non sapere dare spiegazione razionale e scientifica dell'avvenimento, si configura la possibilità di ritenerla miracolo. L'avvenuto viene valutato da 7 teologi, quindi da vescovi e cardinali.
  • Terminate queste riunioni il Papa (o suo delegato, di norma un cardinale) proclama il venerabile beato o beata in una Messa solenne, quindi stabilisce una data della memoria nel calendario liturgico locale o della famiglia religiosa cui la persona apparteneva.
  • Se viene riconosciuto un altro miracolo, a seguito di una valutazione che ha lo stesso iter e la stessa severità del primo, il beato viene dichiarato santo e il suo culto viene autorizzato ovunque vi sia una comunità di credenti.


Canonizzazione e Chiese Ortodosse

Nelle Chiese ortodosse orientali, la canonizzazione— o più propriamente, nella prospettiva ortodossa, "Glorificazione"— dei santi differisce dalla tradizione cattolica sia per quel che concerne il punto di vista teologico che nella pratica. La Glorificazione di un santo è infatti ritenuta un atto di Dio piuttosto che dei membri della Chiesa, a cui è delegato solo il riconoscimento formale di quanto già avvenuto in sostanza.
Secondo quest'ottica, quando un uomo che ha trascorso la propria vita seguendo scrupolosamente i dettami della Chiesa muore, Dio può scegliere se glorificarlo attraverso la manifestazione di miracoli o meno. In caso positivo la devozione al santo inizia a crescere partendo dal livello più basso, chiamato "radici d'erba". La devozione si sviluppa da tale punto, nel quale non c'è ancora alcun riconoscimento formale ma in cui i devoti possono decidere di celebrare messe in suffragio (greco: Parastas, russo: Panikhida) pregando per lo stesso come si può pregare per un normale defunto che non è stato Glorificato. La Chiesa permette di commissionare in suo onore delle icone, che possono essere tenute in casa ma mai nei luoghi di culto.
Qualora le prove della santità del defunto continuino a manifestarsi, viene iniziata la procedura vera e propria di canonizzazione. La Glorificazione può essere posta in essere da qualsiasi vescovo all'interno della propria diocesi, anche se usualmente questa viene dichiarata da un Sinodo di vescovi. Prima di arrivare alla dichiarazione di santità vera e propria, solitamente vengono compiute accurate indagini sulla fede del defunto, sui suoi comportamenti e sulle sue opere, cercando inoltre di verificare la veridicità dei miracoli attribuiti alla sua intercessione. La Glorificazione finale non rende un individuo santo ma accerta ciò che in ottica ortodossa era stato già reso manifesto da Dio. Talvolta uno dei segni determinanti per la successiva santificazione è la condizione delle reliquie: alcuni santi infatti manterrebbero il proprio corpo incorrotto per lungo tempo dopo la loro morte, senza che questo fosse stato precedentemente trattato con particolari artifici. Alle volte, quando vi sono segni di normale putrefazione, possono manifestarsi altri elementi che dimostrano la santità del defunto, quali il colore mieloso delle ossa o l'aroma di mirra che si spande dai resti del corpo. L'assenza di tali manifestazioni non è comunque una prova sufficiente per dichiarare la non santità di un soggetto. In alcune tradizioni, un individuo già considerato santo dai devoti locali ma per il quale non è ancora iniziato il formale accertamento di Glorificazione, è chiamato "Beato". Tale termine tuttavia è spesso utilizzato anche per coloro i quali è già stata accertata la santità, come per gli Stolti in Cristo (ad esempio, "Beata Xenia") o per coloro per cui questo appellativo è entrato nell'uso comune (come, "Beato Agostino", "Beato Girolamo", e altri). In questi casi il titolo "Beato" non implica il mancato riconoscimento della loro santità da parte della Chiesa. I particolari del Servizio di Glorificazione differiscono da Diocesi a Diocesi ma normalmente prevedono la formale iscrizione finale nel Calendario dei Santi (assegnando al defunto un giorno particolare all'interno dell'anno nel quale sarà celebrata la sua memoria), la composizione di Canti liturgici in onore del Santo (normalmente utilizzando particolari inni precedentemente commissionati che vengono cantati per la prima volta durante la cerimonia di Glorificazione) e la presentazione della sua Icona. Prima della Glorificazione stessa solitamente viene celebrata un'"ultima Panikhida," un Requiem solenne durante il quale la Chiesa non prega per il riposo della anima del defunto (come in precedenza) bensì innalza una Paraklesis o un Moleben per implorare la sua intercessione davanti a Dio. I martiri non necessitano di una Glorificazione formale, poiché, qualora il martirio sia stato conseguenza della loro fede e non ci siano prove di un comportamento non cristiano nel periodo antecedente alla loro morte, è sufficiente la testimonianza del loro sacrificio. Poiché secondo la concezione ortodossa la maggior parte dei Santi non sono palesati da Dio, essi rimangono nascosti agli occhi dei viventi: di loro viene tuttavia celebrato il ricordo durante la domenica di Ognissanti. In alcune Diocesi, la domenica seguente a questa festa, è dedicata alla commemorazione di tutti i Santi (conosciuti e non) della Chiesa locale. Così vi saranno le feste di "Ognissanti delle Montagne Sacre", di "Ognissanti Russi" di "Ognissanti Americani", ecc.

Fonte: Wikipedia

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