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lunedì 15 giugno 2015

15 GIUGNO 1215 - 15 GIUGNO 2015 - GIOVANNI CONCEDE LA MAGNA CARTA LIBERTATUM



Il 15 Giugno dell'anno 1215, su pressioni dei baroni del Regno di Inghilterra, il re Giovanni concesse la Magna Carta Libertatum, un documento redatto in latino che, per la prima volta nella storia, mirava a limitare i poteri del sovrano ed è considerato come documento fondante dello stato di diritto, basti pensare che uno dei punti più importanti proibiva al re di imprigionare gli aristocratici senza un regolare processo. La ricorrenza è, naturalmente, festeggiata in tutti i paesi anglosassoni con esibizione di copie del documento origina, rievocazioni storiche e cerimonie. Secondo un articolo sul New Yorker a firma di Jill Lepore, la fama del documento è esagerata dato che, oltre ai limiti del re nei confronti degli aristocratici, puntava ad eliminare tutte quelle norme medievali in disuso oppure eccessivamente bizzarre. Il documento ebbe una vita molto difficile, difatti poche giorni dopo l'approvazione del documento, il re Giovanni scrisse al papa cheidendogli la possibile di rendere nullo il documento che, a detta sua, gli era stato estorto con la forza e con le miacce. Il papa acconsentì ma questo portò a tumulti che sfociarono in una guerra civile. Nel seicento la Magna Carta perse il suo valore dato che i re ritenevano il proprio potere assegnato da Dio. Solamente son la Rivoluzione Inglese che terminò con la decapitazione di un re, il testo tornò in auge e verso la fine del 1700 divenne la fonte della sommossa dei coloni americano contro gli inglesi divenendo il documento fondante anche degli Stati Uniti.

Come si arrivò alla Magna Carta?

Morto Riccardo Cuor di Leone nell'anno del Signore 1199, Giovanni divenne re e iniziò una guerra con la Francia per difendere e conquistare alcuni territori dei Plantageneti. Per finanziare lo sforzo bellico, Giovanni ritenne opportuno imporre una tassa fortemente vessatoria ai baroni che protestarono fino a rifiutare di giurare fedeltà al re Giovanni subito dopo il fallimento della missione. Per stemperare la tensione che stava superando i limiti, il re incontrò i baroni a Runnymede concedendo la Magna Carta con cui erano confermati i privilegi dei feudatari e del clero promettendo di interferire il meno possibile nei loro affari. Un altro aspetto del documento stabiliva che il comune del regno (clero e feudatari) erano gli unici a poter dare il consenso al re per l'imposizione di nuove tasse ai vassalli diretti del re deliberando a maggioranza ma si sanciva l'obbligo di un giusto processo, di una pena commisurata al reato, la libertà della Chiesa Inglese e, soprattutto, una commissione di venticinque baroni che vigilavano sugli impegni sanciti nel documento. 

Il documento fu redatto in latino e ne furono prodotte almeno 13 copie che erano inviate a sceriffi, vescovi e baroni per renderli edotti circa le nuove disposizioni.


lunedì 1 dicembre 2014

FRAMMENTI DEL CAPITOLARE DI QUIERZY

...Se sarà morto un conte, il cui figlio sia con noi, nostro figlio, insieme con gli altri nostri fedeli disponga di coloro che furono tra i più familiari e più vicini al defunto, i quali insieme con i ministeriali della stessa contea e col vescovo amministrino la contea fino quando ciò sarà riferito a noi. Se invero avrà un figlio piccolo, questo stesso insieme con i ministeriali della contea e il vescovo, nella cui diocesi si trova, amministri la medesima contea, finché non ce ne giunga notizia. Se invece non avrà figli, nostro figlio, insieme con i rimanenti nostri fedeli, decida chi, insieme con i ministeriali della stessa contea con il vescovo, debba amministrare la stessa contea, finché non arriverà la nostra decisione. E a causa di ciò nessuno si irriti se affideremo la medesima contea a un altro, che a noi piaccia, piuttosto che a colui il quale fino ad allora la amministrò. Ugualmente, dovrà essere fatto anche dai nostri vassalli. E vogliamo ed espressamente ordiniamo che tanto i vescovi, quanto gli abati e i conti, o anche gli altri nostri fedeli cerchino di applicare le stesse regole nei confronti dei loro uomini... Se qualcuno dei nostri fedeli, dopo la nostra morte ... vorrà rinunciare al mondo, lasciando un figlio o un parente capace di servire lo stato, egli sia autorizzato a trasmettergli i suoi honores ... E se vorrà vivere tranquillamente sul suo allodio, nessuno osi ostacolarlo in alcun modo né si esiga da lui null'altro che l'impegno di difendere la patria...

(Capitolare di Quierzy-sur-Oise, KK 2, cc. 9- 10)

GERBERTO D'AURILLAC E IL PENSIERO SUL REGNO DI OTTONE III

Ottone III assiso in trono circondato dai maggiorenti dell'impero, miniatura di un Evangeliario del X secolo, Bayerische StaatsbibliothekCon la seguente lettera, Gerberto d'Aurillac vuole non solo mostrare ammirazione e appoggio a suo allievo e re ma vuole proporre un programma politico per dare grande potenza a Roma e al suo Imperatore. Queste parole delineano quella Renovatio Imperii che sarà il cardine della politica di Ottone III.

Al glorioso signore Ottone, Cesare sempre augusto, imperatore dei Romani, l'ossequio della a lui dovuta servitù. Ero in Germania durante l'estate, impegnato come sempre, nel servizio dell'imperatore. La vostra divina mente si rivolse silenziosamente tra sé, qualcosa di arcano e ad un tratto diede voce ai moti interiori dell'anima, proponendo all'attenzione vostra soggetti di meditazione che Aristotele e i più grandi filosofi svilupparono nei loro scritti con trattazioni molto complesse. Era meraviglioso che tra le angosce e i pericoli della guerra un uomo potesse conservare nella mente luoghi così remoti ed intatti da far sgorgare come quelli da una purissima sorgente, pensieri così sottili ed elevati. Ricorderete che allora erano con noi molti nobili, eruditi uomini di scuola tra cui anche alcuni vescovi famosi per la sapienza ed insigni per l'eloquenza. Eppure non ve ne fu uno che riuscì a definire correttamente una di quelle questioni: alcune, poco trattate, non erano state dibattute a sufficienza, altre, affrontate spesso, non erano mai state risolte. Perciò la vostra divina prudenza, reputando quelli'ignoranza non degna del sacro palazzo, mi comandò di discutere le opinioni che, in materia della ragione e del suo uso, erano contrapposte da diversi autori in differente modo. Una malattia e più gravi impegni mi costrinsero allora a rimandare. Ora con ili recupero della salute, anche se continuo ad impegnarmi in questioni pubbliche e private, compagno dell'imperatore in questo viaggio attraverso l'Italia e per sempre, finchè avrò vita, al suo servizio metto brevemente per iscritto ciò che ho pensato riguardo alle suddette questioni. L'Italia non deve ritenere che il sacro palazzo sia rimasto dormiente, la Grecia non deve recare, sola, il vanto della filosofia imperiale e della potenza di Roma. Nostro, nostro è l'Impero romano: ci danno forza l'Italia ricca di messi, la Gallia e la Germania ricche di guerrieri; non ci manca neppure il fortissimo regno degli Sciti. E nostro sei tu, Cesare, imperatore dei Romani, Augusto, tu che disceso dal più illustre sangue dei Greci superi i Greci per dignità imperiale, comandi i Romani per diritto ereditario, sovrasti gli uni e gli altri per ingegno ed eloquenza. Al cospetto di un tale giudice esporrò dunque, per iniziare, le opinioni di uomini di scuola o piuttosto di sofisti proseguirò quindi mettendo in luce quanto su questo tema hanno approfondito i filosofi; infine la dialettica multiforme e spinosa, determinerà la conclusione della questione esposta.

Fonte

Patrologia latina, volume 139, colonna 159-160

IL TESTO DEL PRIVILEGIUM OTHONIS

Nel nome del Signore Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo. Io, Ottone, per grazia di Dio imperatore Augusto, e con noi nostro figlio Ottone, re glorioso, garantiamo e confermiamo con questo patto a te, beato Pietro, principe degli apostoli e clavigero del regno dei cieli, e per te al tuo vicario il signore Giovanni XII, pontefice supremo e papa universale, tutto ciò che a partire dai vostri predecessori avete avuto in vostro potere e di cui avete disposto fino ad oggi, vale a dire: La città di Roma con il suo ducato e la zona adiacente alla città, tutti i suoi villaggi e i suoi territori montani e costieri, il suo litorale e i suoi porti. Nella regione della Tuscia romana le città, i castelli, i borghi fortificati e i villaggi di cui seguono i nomi: Porto, Civitavecchia, Cervetri, Bieda, Barbazano, Sutri, Nepi, il castello di Gallese, Orte, Bomarzo, Amelia, Todi, Perugia con le sue tre isole, la grande, la piccola e quella di Polvese, Narni ed Otricoli con tutte le loro pertinenze. Inoltre l’Esarcato di Ravenna integralmente, con le città, popolazioni, luoghi, castelli, che il signor Pipino di pia memoria, ed il signor Carlo, imperatori eccellentissimi, ed invero nostri predecessori, già allora con atto di donazione conferirono al beato Pietro apostolo ed ai vostri predecessori, vale a dire la città di Ravenna e l’Emilia, Bobbio, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola, Bologna, Ferrara, Comacchio, Adria, Gavello con i loro territori e le loro isole per terra e per mare. Contemporaneamente la Pentapoli, vale a dire Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Osimo, Umana, Vallombrosa, Jesi, Fossombrone, Montefeltro, Urbino, Balba, Cagli, Lucioli, Gubbio, con tutte le loro pertinenze. Il territorio di Sabina tutto intero, come fu concesso al beato apostolo Pietro dal nostro predecessore, il signor imperatore Carlo, in un privilegio di donazione. Nella Tuscia longobarda: Città di Castello, Orvieto, Bagnorea, Ferento, Viterbo, Orchia, Marta, Toscanella, Sovana, Piombino, Roselle, con tutte le loro dipendenze in sobborghi, villaggi, riviere marittime e borghi fortificati. E ancora l’isola di Corsica, da Luni a Sarzana, a Berceto, Parma, Reggio, Mantova, Monselice, la provincia di Venezia e l’Istria, tutto il ducato di Spoleto, quello di Benevento, con la chiesa di Santa Cristina posta a quattro miglia da Pavia sul Po. In Campania: Sora, Arce (vicino Napoli), Aquino, Arpino, Capua. I patrimoni che sono in vostro potere e sotto il vostro dominio, come quelli di Benevento, di Napoli, della alta e bassa Calabria, la città di Napoli col territorio, i castelli e le isole che ne dipendono, così come il patrimonio di Sicilia, se Dio vuole che venga nelle nostre mani. Inoltre Gaeta e Fonti con le loro pertinenze. In più offriamo a te, beato apostolo Pietro, al tuo vicario il papa Giovanni ed ai suoi successori, per il bene della nostra anima e di quelle dei nostri figli e dei nostri parenti, alcune città e borghi del nostro regno con le loro zone di pesca, vale a dire Rieti, Aterno, Furcone, Norcia, Valva, Marsica e la città di Teramo con le sue pertinenze. Di tutte le province e città, di tutti i borghi, castelli, villaggi e territori e anche di tutti i patrimoni che sono stati elencati, per il bene della nostra anima, e di quelle dei nostri figli e parenti, per la salvezza di tutto il popolo dei Franchi voglia Dio che lo ha preservato in passato preservarlo anche nell’avvenire noi confermiamo il possesso alla tua chiesa o beato apostolo Pietro, e per te al tuo vicario, il nostro padre spirituale signore Giovanni, pontefice supremo e papa universale, e così ai suoi successori fino alla fine dei tempi, in modo che tutto ciò lo detengano di diritto, sotto la loro autorità di principi e sotto il loro dominio. Parimenti con il presente patto noi confermiamo le donazioni che il signore re Pipino di pia memoria ed in seguito il signore Carlo, eccellentissimo imperatore, hanno spontaneamente offerto al santo Pietro, così come il censo e le altre prestazioni di Toscana e del ducato di Spoleto che erano versate al palazzo del re dei Longobardi; conformemente ai privilegi sopra menzionati, all’accordo intercorso tra il signore imperatore Carlo ed il papa Adriano di santa memoria, e anche secondo i termini del documento pontificio, le prestazioni ed i censi dovranno essere pagati alla chiesa di San Pietro, salvo il nostro dominio sui due ducati e la loro sottomissione al nostro potere e a quello di nostro figlio. Come abbiamo detto altrove, confermiamo con questo patto che tutti i luoghi citati vi apparterranno, e che il vostro potere non sarà sminuito né da noi né dai nostri successori; noi ci interdiciamo ogni lite o intrigo che possa sottrarvi alcunché: né cercheremo noi di farlo né consentiremo che altri cerchino; al contrario promettiamo solennemente di essere, per quanto è in nostro potere, i difensori di tutto ciò che appartiene alla chiesa del Santo Pietro e dei papi che occupano il suo sacratissimo seggio, affinché possano usare, godere e disporre indisturbati di ciò che si trova sotto il loro dominio. Salva in ogni cosa l’autorità nostra e del nostro figlio e dei nostri successori, secondo quanto è contenuto nel patto, nella costituzione e conferma di promessa di papa Eugenio e de’ suoi successori, e cioè che il clero tutto e la nobiltà dell’universo popolo romano, per provvedere alle sue molteplici necessità ed all’intento di ridurre i rigori irragionevoli de’ pontefici ne’ riguardi del popolo loro soggetto, si obblighi con giuramento a che la elezione futura de’ pontefici, si faccia secondo i canoni e con rettitudine; per quanto ognuno possa intendere, e che nessuno acconsenta alla consacrazione del pontefice prima che egli faccia, alla presenza di nostri inviati o del nostro figlio ovvero di tutti quanti, a soddisfazione e per la conservazione futura di ogni cosa, una promessa tale e quale risulta abbia fatto spontaneamente Leone signore e venerando padre spirituale nostro. Inoltre abbiamo previsto d’inserire in questa, altre disposizioni minori: e cioè che all’elezione del pontefice nessuno libero o servo presuma intervenire allo scopo di portar qualche impedimento a quei Romani che per costituzione l’antica consuetudine dei santi padri ha ammesso a questa elezione; e se qualcuno avrà osato intervenire contro questa nostra disposizione, sia inviato in esilio. Inoltre proibiamo che alcuno dei nostri inviati osi avanzar motivo per impedir a chicchessia di partecipare alla detta elezione. Infatti anche questo piacque di stabilire in ogni modo, che chi sia stato accolto sotto la particolare difesa del Signore Apostolico ovvero della nostra, goda della difesa legittimamente impetrata; e se qualcuno presumerà compiere violenza contro uno di quelli che hanno meritato tale protezione, sappia che incorrer in pericolo per la propria vita. E confermiamo anche quella disposizione per cui [i Romani] debbono serbar la debita obbedienza in ogni cosa al Signore Apostolico ed ai loro duchi e giudici per amministrar la giustizia. Infatti giudicammo necessario includere in questa costituzione, che sian sempre stabiliti degli inviati e del Signore Apostolico e nostri, che annualmente siano in grado di riferire a noi, o a nostro figlio, in che modo i singoli duchi e giudici amministrino la giustizia al popolo, in che modo osservino questa costituzione imperiale; e stabiliamo che questi inviati, di tutte le agitazioni che si constatino per la negligenza dei duchi o dei giudici, dapprima dian notizia al Signore Apostolico e questi scelga uno de’ due; o ad opera dei medesimi inviati si provveda a rimediare ai detti inconvenienti; ovvero, sulla base della relazione che ci farà il nostro inviato, si rimedierà a mezzo di nostri missi, mandati da noi. Ed affinché ciò sia tenuto fermo da tutti i fedeli della santa Chiesa di Dio e dai nostri, abbiamo corroborato, col segno della nostra mano e con le sottoscrizioni dei nostri nobili ottimati, questo patto e vi abbiamo fatto apporre la bolla imperiale. Firma del Signor Ottone serenissimo imperatore e dei suoi vescovi, abbati e conti. Nell’anno dell’incarnazione del Signore 962, indizione quinta, giorno 13° del mese di febbraio, 27° anno di regno dell’invitto imperatore Ottone.

Fonte 
Ottone I, Diplomi, DRG 1/2, n. 235 (962).
M.G.H., Diplomata Regum et Imperatorum, I, Hannover, 1884, pp. 322-327

sabato 29 novembre 2014

IL DOMESDAY BOOK


Il Domesday Book è un importante manoscritto che rappresenta un grande censimento che fu completato nell'anno 1086 per ordine di Guglielmo il Conquistatore: «Trascorrendo il periodo di Natale del 1085 a Gloucester, Guglielmo si immerse in profonde conversazioni con i suoi consiglieri, ed inviò [quindi] uomini in tutta l'Inghilterra in ogni contea, per stabilire quanto e che cosa possedesse ogni proprietario terriero in terra e bestiame, e quale ne fosse il valore» (Cronaca anglosassone). Il principale obiettivo dell'indagine era quantificare i beni di tutti i proprietari e le tasse su di essi riscosse da Edoardo il Confessore. Scritto in lingua latino, aveva molte parole di origini anglosassoni che non avevano una traduzione in latino e anche alcune abbreviazioni. Il manoscritto è conservato negli Archivi Nazionali Britannici. Fino al 2011 la consultazione era a pagamento poi il progetto "Open Domesday" rese pubblico l'intero manoscritto. 

La Composizione del Domesday Book

Il Domesday Book è composto da due opere indipendenti, il Little Domesday (con le descrizione di Essex, Norfolk e Suffolk) e il Great Domesday che riguarda le altre parti dell'Inghilterra e del Galles tranne i territori che diverranno Westmorland, Cumberland, Northumberland, e Contea palatina di Durham. Noteremo, leggendo il testo, che manca il censimento di Londra e Winchester...questo non ci deve sembrare strano data l'enorme complessità delle città. Il Little Domesday è il testo più esteso e molto più dettagliato e completo del Great Domesday questo perchè il Little doveva essere considerato come uno studio da cui partire per un corretto censimento, salvo poi vedere che la procedura era, evidentemente, lunga e complessa e quindi il Great altro non è che un compendio e quindi meno curato e meno completo. Per ogni contea i possedimenti reali aprono le liste: si prosegue con i possedimenti ecclesiastici (chiesa in quanto tale e ordini religiosi), i vassalli, i funzionari minori e i semplici privati cittadini. In tutto vengono elencate bel 13148 località elencate in base al contributo che davano alla corona, contributo che spesso era quantificabile con beni in natura come ad esempio una fornitura di miele. Grazie alla Cronaca Anglosassone, veniamo a sapere che il censimento venne stabilito nell'anno 1085 per poi essere concluso un anno dopo. Le contee ricevevano gli ufficiali reali che tenevano una pubblica inchiesta alla presenza dei rappresentanti di ogni centro urbano. L'unità minima di indagine era la "centena", ossia una suddivisione di una contea (una sorta di circoscrizione attuale). 

Ma, perchè si pensò ad un grande censimento?

Dopo lo sconvolgimento politico della conquista normanna, e la confisca dei terreni su larga scala che ne seguì, era nell'interesse di Guglielmo che i diritti della Corona, di cui rivendicava la legittimità, non risultassero diminuiti in tali frangenti. Tanto più che i suoi seguaci normanni, nuovi detentori del potere, erano ben disposti ad eludere gli obblighi nei confronti del sovrano cui invece sottostavano i loro predecessori inglesi. Il cosiddetto "processo di Penenden Heath", intentato contro il fratellastro del re Oddone di Bayeux meno di dieci anni dopo la conquista, fu un esempio del crescente malcontento di fronte agli espropri di terre a favore dei normanni. Il censimento voluto da Guglielmo va quindi considerato alla luce della necessità di disporre di riferimenti precisi riguardo alle proprietà fondiarie della nazione, da utilizzare come base di giudizio per le dispute, oltre che per la tutela dei diritti della Corona stessa. Il censimento registrò i nuovi proprietari e tutti i beni che erano soggetti ad imposta e per volere del re in persona si creò una stima nazionale cercando di quantificare la rendita annuale di tutte le terre della nazione in tre momenti ben distinti: alla morte di Edoardo il Confessore, alla presa di possesso del nuovo proprietario e al tempo del censimento stimando il valore potenziale. L'obiettivo era chiaro...Guglielmo voleva conoscere quali fossero le risorse del suo regno per paragonarle a quelle ottenute in precedenza. Dopo aver stabilito una precisa valutazione della corte, si passava a valutare il numero di aratri, prati, boschi, pascoli, mulini e tutte le altre fonti di reddito secondario...si procedeva con i lavoratori annessi e si esprimeva la rendita annuale della proprietà sia passata che presente. Il censimento consentì al re non solo di valutare l'entità di tutti i possedimenti dei baroni identificando per ogni barone i piccoli proprietari legati da un rapporto vassallatico: questo era molto importante per Guglielmo che voleva, anche per fini politici, legare a se tutti i vassalli dei baroni. Il Domesday Book fu molto importante perchè si può considerare «il più antico registro pubblico d'Inghilterra, e probabilmente il più notevole documento statistico nella storia europea. Il continente non offre documenti comparabili con questa dettagliata descrizione estesa su una così vasta parte di territorio». La stampa del libro iniziò nel 1773 e la pubblicazione avvenne nel 1783 in due libri. Nel 1816 si aggiunse un quarto volume, dopo il terzo nel 1811, che conteneva quattro suddivisioni:

L'Exon Domesday— per le contee sudoccidentali
L'Inquisitio Eliensis
Il Liber Winton — indagine su Winchester della fine del XII secolo
Il Boldon Buke — indagine sulla diocesi di Durham, di un secolo posteriore al Domesday.

Immagini in Fac-Simile furono messe a disposizione di ogni contea tra il 1861 e il 1863 e il Domesday, oggi, si può reperire suddiviso per contee.

Fonte: Wikipedia, Il Medioevo nelle sue fonti, edito da Monduzzi Editore

venerdì 28 novembre 2014

IL TESTO DEL CONCORDATO DI WORMS

Callistus II.pngIl Privilegio dell'Imperatore

In nome della Santa e Unica Trinità, io Enrico, augusto Imperatore dei Rimani per grazia di Dio, con la forza dell'amore che ho nutrito verso Dio, la chiesa romana santa ed il papa Callisto, per la salvezza della mia anima concedo a Dio, ai Suoi apostoli Pietro e Paolo e alla Chiesa cattolica santa tutte le nomine (ecclesiastiche) per mezzo dell'anello e del bastone pastorale; Concedo inoltre che in tutte le chiese, che sono sotto il mio impero o il mio regno, possono avvenire delle scelte ecclesiastiche canoniche e una libera consacrazione. I possedimenti ed i diritti del beato Pietro, che fin dal sorgere di questa discordia ad oggi, vale a dire dal tempo di mio padre al mio, gli furono sottratti, e che ancora oggi posseggo, li restituisco alla Santa Romana Chiesa; quelli che al contrario non sono in mio possesso, farò comunque in modo che gli vengano restituiti. Restituirò inoltre su consiglio dei miei principi o per senso di giustizia i possedimenti di tutte le altre chiese, dei principi e di quanti altri, chierici e laici, che in questo scontro (lotta per le investiture) furono perduti e che ancor oggi sono in mio possesso; quelli che invece non sono in mio possesso farò comunque in modo che Gli vengano restituiti. Concedo inoltre una vera pace a Papa Callisto, alla Santa Romana Chiesa e a tutti colori che militano o hanno militato dalla loro parte; servirò inoltre fedelmente la Santa Romana Chiesa nelle circostanze per le quali richiederà il mio aiuto ed in quelle per le quali mi rivolgerà richiesta, le renderò debita giustizia. Tutto ciò è stato posto in atto col consenso e dietro consiglio di quei principi, i cui nomi sono stati di seguito trascritti: Adalberto, arcivescovo di Magonza, F. arcivescovo di Colonia, H. vescovo di Ratisbona, O. vescovo di Bamberga, B. vescovo di Spira, H. di Augsburg, G. di Utrecht, Ö. di Costanza, E. abate di Fulda, Enrico duca, Federico duca, S. duca, Pertolfo duca, Tepoldo marchese, Engelberto marchese, Goffredo conte di palazzo, Ottone conte di palazzo, Berengario conte. Io Federico Arcivescovo di Colonia e Gran Cancelliere attesto la autenticità di questo atto.

Il Privilegio del Pontefice

Io, Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, concedo a te, diletto figlio Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, che abbian luogo alla tua presenza, senza simonia e senza alcuna violenza, le elezioni dei vescovi e degli abati di Germania che spettino al regno; sì che se sorga qualche ragione di discordia tra le parti, secondo il consiglio e il parere del metropolita e dei comprovinciali tu dia consenso ed aiuto alla parte più sana. L'eletto riceva da te le regalie per mezzo dello scettro e per esse esegua secondo giustizia i suoi doveri verso di te. Colui che è consacrato nelle altre regioni dell'Impero invece riceva da te le regalie entro sei mesi, per mezzo dello scettro, e per esse esegua secondo giustizia i suoi doveri verso di te, salve restando tutte le prerogative riconosciute alla Chiesa Romana. Secondo il dovere del mio ufficio, ti darò aiuto in ciò di cui tu mi farai lagnanza e in cui mi chiederai soccorso. Assicuro una pace sincera, a te e a tutti coloro che sono o sono stati del tuo partito durante questa discordia.

venerdì 22 agosto 2014

LO STATUTO DELLE LIBERTA' O LA CARTA DELL'INCORONAZIONE


Lo statuto delle libertà, o Carta dell'Incoronazione, è un proclama del re d'Inghilterra Enrico I Beauclerc pubblicato nel 1100. Con questo statuto, il re metteva l'accento ad una serie di abusi esercitati dal suo predecessore e fratello Guglielmo II Rufus che tassò duchi e conti favorendo anche la vendita di cariche ecclesiastiche e la simonia. Il testo è un vero e proprio elemento decisivo per le libertà in Inghilterra ma nonostante questo i monarchi inglesi lo ignorarono per ben 100 anni fino al 1213 anno in cui l'arcivescovo di Canterbury Stefano Langton ne ricordò l'esistenza ai nobili. Lo Statuto costituì il nucleo fondante della Magna Carta.

giovedì 12 giugno 2014

TESTO DELL' "EDITTO DI COSTANTINO"


“Già da tempo, considerando che non deve essere negata la libertà di culto, ma dev’essere data all’intelletto e alla volontà di ciascuno facoltà di occuparsi delle cose divine, ciascuno secondo la propria preferenza, avevamo ordinato che anche i cristiani osservassero la fede della propria setta e del proprio culto. Ma poiché pare che furono chiaramente aggiunte molte e diverse condizioni in quel rescritto in cui tale facoltà venne accordata agli stessi, può essere capitato che alcuni di loro, poco dopo, siano stati impediti di osservare tale culto. Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, giungemmo sotto felice auspicio a Milano ed esaminammo tutto quanto riguardava il profitto e l’interesse pubblico, tra le altre cose che parvero essere per molti aspetti vantaggiose a tutti, in primo luogo e soprattutto, abbiamo stabilito di emanare editti con i quali fosse assicurato il rispetto e la venerazione della Divinità: abbiamo, cioè, deciso di dare ai cristiani e a tutti gli altri libera scelta di seguire il culto che volessero, in modo che qualunque potenza divina e celeste esistente possa essere propizia a noi e a tutti coloro che vivono sotto la nostra autorità. Con un ragionamento salutare e rettissimo abbiamo perciò espresso in un decreto la nostra volontà: che non si debba assolutamente negare ad alcuno la facoltà di seguire e scegliere l’osservanza o il culto dei cristiani, e si dia a ciascuno facoltà di applicarsi a quel culto che ritenga adatto a se stesso, in modo che la Divinità possa fornirci in tutto la sua consueta sollecitudine e la sua benevolenza. Fu quindi opportuno dichiarare con un rescritto che questo era ciò che ci piaceva, affinché dopo la soppressione completa delle condizioni contenute nelle lettere precedenti da noi inviate alla tua devozione a proposito dei cristiani, fosse abolito anche ciò che sembrava troppo sfavorevole ed estraneo alla nostra clemenza, ed ognuno di coloro che avevano fatto la stessa scelta di osservare il culto dei cristiani, ora lo osservasse liberamente e semplicemente, senza essere molestato. Abbiamo stabilito di render pienamente note queste cose alla tua cura perché tu sappia che abbiamo accordato ai cristiani facoltà libera e assoluta di praticare il loro culto. E se la tua devozione intende che questo è stato da noi accordato loro in modo assoluto, deve intendere che anche agli altri che lo vogliono è stata accordata facoltà di osservare la loro religione e il loro culto – il che è chiara conseguenza della tranquillità dei nostri tempi – così che ciascuno abbia facoltà di scegliere ed osservare qualunque religione voglia. Abbiamo fatto questo perché non sembri a nessuno che qualche rito o culto sia stato da noi sminuito in qualche cosa. Stabiliamo inoltre anche questo in relazione ai cristiani: i loro luoghi, dove prima erano soliti adunarsi e a proposito dei quali era stata fissata in precedenza un’altra norma anche in lettere inviate alla tua devozione, se risultasse che qualcuno li ha comprati, dal nostro fisco o da qualcun altro, devono essere restituiti agli stessi cristiani gratuitamente e senza richieste di compenso, senza alcuna negligenza ed esitazione; e se qualcuno ha ricevuto in dono questi luoghi, li deve restituire al più presto agli stessi cristiani.

Se coloro che hanno comprato questi luoghi, o li hanno ricevuti in dono, reclamano qualcosa dalla nostra benevolenza, devono ricorrere al giudizio del prefetto locale, perché nella nostra bontà si provvedeva anche a loro. Tutte queste proprietà devono essere restituite per tua cura alla comunità dei cristiani senza alcun indugio. E poiché è noto che gli stessi cristiani non possedevano solamente i luoghi in cui erano soliti riunirsi, ma anche altri, di proprietà non dei singoli, separatamente, ma della loro comunità, cioè dei cristiani, tutte queste proprietà, in base alla legge suddetta, ordinerai che siano assolutamente restituite senza alcuna contestazione agli stessi cristiani, cioè alla loro comunità e alle singole assemblee, osservando naturalmente la disposizione suddetta, e cioè che coloro che restituiscono gli stessi luoghi senza compenso si attendano dalla nostra benevolenza, come abbiamo detto sopra, il loro indennizzo. In tutto questo dovrai avere per la suddetta comunità dei cristiani lo zelo più efficace, perché si adempia il più rapidamente possibile il nostro ordine, così che grazie alla nostra generosità si provveda anche in questo alla tranquillità comune e pubblica. In questo modo, infatti, come si è detto sopra, possa restare in perpetuo stabile la sollecitudine divina dei nostri riguardi da noi già sperimentata in molte occasioni. E perché i termini di questa nostra legge e della nostra benevolenza possano essere portati a conoscenza di tutti, è opportuno che ciò che è stato da noi scritto, pubblicato per tuo ordine, sia esposto ovunque e giunga a conoscenza di tutti, in modo che la legge dovuta a questa nostra generosità non possa sfuggire a nessuno”.

lunedì 9 dicembre 2013

EDITTO DI ROTARI (SELEZIONE DI CODICI)

Nel nome del Signore, io Rotari, eccellentissimo e diciassettesimo re della stirpe dei Longobardi, nell'ottavo anno del mio regno col favore di Dio, nel trentottesimo anno d'età, nella seconda indizione e nell'anno settantaseiesimo dopo la venuta in Italia dei Longobardi, dove furono condotti dalla potenza divina, essendo in quel tempo re Alboino, [mio] predecessore, salute. […] Quanta è stata, ed è, la nostra sollecitudine per la prosperità dei nostri sudditi lo dimostra il tenore di quanto è aggiunto sotto, principalmente per le continue fatiche dei poveri, così come anche per le eccessive esazioni da parte di coloro che hanno maggior potere, a causa dei quali abbiamo saputo che subiscono violenza. Per questo, confidando nella grazia di Dio onnipotente, ci è parso necessario promulgare migliorata la presente legge, che rinnova ed emenda tutte le precedenti ed aggiunge ciò che manca e toglie ciò che è superfluo. Vogliamo che sia riunito tutto in un volume, perché sia consentito a ciascuno vivere in pace nella legge e nella giustizia e con questa consapevolezza impegnarsi contro i nemici e difendere se stesso e il proprio paese.
1. Se un uomo trama o si consiglia [con qualcuno] contro la vita del re, la sua vita sia messa in pericolo e i suoi beni siano confiscati.
2. Se qualcuno si consiglia con il re per la morte di un altro, o ha ucciso un uomo su suo ordine, non sia [ritenuto] colpevole di nulla e né lui né i suoi eredi subiscano mai querela o molestie da parte di quell'altro o dei suoi eredi: infatti, dal momento che crediamo che il cuore del re sia nella mano di Dio, non è possibile che un uomo possa scagionare colui che il re ha ordinato di uccidere.
3. Se qualcuno tenta di fuggire al di fuori della provincia, corra pericolo di morte e i suoi beni siano confiscati.
4. Se qualcuno invita o fa entrare nella provincia un nemico, la sua vita sia messa in pericolo e i suoi beni siano confiscati.
5. Se qualcuno tiene nascoste delle spie nella provincia o fornisce loro dei viveri, la sua vita sia messa in pericolo o almeno paghi al re una composizione di 900 solidi.
6. Se qualcuno durante una campagna militare fomenta una rivolta contro il proprio duca o contro colui che è stato posto dal re al comando dell'esercito, o se induce alla rivolta una qualche parte dell'esercito, il suo sangue sia messo in pericolo.
7. Se qualcuno, combattendo contro il nemico, abbandona il proprio compagno o commette astalin (cioè lo tradisce) e non combatte insieme a lui, la sua vita sia messa in pericolo.
9. Se qualcuno avrà denunciato al re un uomo, accusandolo di aver tentato di ucciderlo, sia lecito all’accusato dimostrare la sua innocenza con il giuramento e discolparsi. E se sarà risultato qualche elemento di sospetto e tale uomo è presente, li sia lecito discolparsi del suo crimine per “camphionem”, cioè combattendo in duello. E se sia provata la sua colpevolezza, sia giustiziato ovvero paghi l’ammenda che al re sarà piaciuto stabilire. Ma se il crimine non sarà stato provato e al contrario si sarà dimostrato che l’accusa era falsa, l’accusatore che non sarà riuscito a provare l’accusa paghi il suo guidrigildo, per metà al re, e per metà a colui che era stato accusato del delitto.
10. Se un uomo libero avrà premeditato di uccidere qualcuno, quand’anche non avesse attuato il suo proposito lo stesso paghi 20 soldi.
13. Se qualcuno avrà ucciso il suo signore, egli stesso venga ucciso. Se qualcuno avrà difeso l’assassino del suo signore, sia condannato ad un’ammenda di 900 soldi, per metà al re e per metà ai parenti del morto; e colui che avrà rifiutato di pagare l’indennizzo per l’ingiuria commessa quando ne sia stato richiesto paghi 500 soldi, per metà al re, e per metà a colui il quale l’indennizzo si stato negato.
26. A proposito di “wegworin”, cioè della donna sposata. Se qualcuno avesse molestato o dato fastidio in qualsiasi altro modo ad una donna o ad una ragazza libera, paghi 900 soldi, metà al re e metà a colei che ha subito il torto .
27. Se qualcuno avesse sorpassato un uomo libero lungo la strada gli paghi 20 soldi nel caso che non gli abbia inflitto alcuna ferita: nel caso che l’avesse inflitta, gli paghi i 20 soldi e infligga delle ferite o delle piaghe a sé stesso, come scritto in questo editto .
28. se qualcuno avesse sorpassato lungo la strada un servo o un’ancella altrui, paghi 20 soldi al suo padrone.
29. Se qualcuno avrà impedito ad altri l’ingresso in suo campo coltivato, o prato o in qualsivoglia proprietà cintata, non sia considerato colpevole come colui che intralcia semplicemente il cammino di un uomo che se ne va per via, perché avrà difeso il suo lavoro.
32. Per quanto riguarda l’uomo libero che nottetempo sia stato sorpreso nella “curtis” altrui e che non abbia immediatamente porto le mani per essere legato, e che sia stato ucciso, i parenti non chiedano alcun risarcimento. E se avrà porto le mani perché lo legassero e sarà stato legato, dia per il proprio riscatto 80 soldi; perché non v’è ragione che un uomo entri senza far rumore, di notte e nascostamente in una “curtis” altrui; nel caso che abbia bisogno di qualche cosa, prima di entrare chiami.
33. Se un servo sarà stato sorpreso nottetempo in una “curtis” altrui non avrà porto le mani per essere legato e quindi sarà stato ucciso, il suo padrone non richieda alcun risarcimento; se avrà porto le mani e sarà stato legato, riscatti la sua libertà pagando 40 soldi.
36. Se qualcuno avrà osato provocare una lite nel palazzo dove il re risiede, sia condannato a morte, ovvero, se il re glielo concederà, riscatti la sua anima.
48. Se qualcuno strappa un occhio ad un altro, si calcoli il valore [di quell'uomo] come se lo avesse ucciso, in base all'angargathungi, cioè secondo il rango della persona; e la metà di tale valore sia pagata da quello che ha strappato l'occhio.
49. Se qualcuno taglia il naso ad un altro, paghi la metà del valore di costui, come sopra.
50. Se qualcuno taglia il labbro ad un altro, paghi una composizione di 16 solidi e se si vedono i denti, uno, due o tre, paghi una composizione di 20 solidi.
51. Dei denti davanti. Se qualcuno fa cadere ad un altro un dente di quelli che si vedono quando si ride, dia per un dente 16 solidi; se si tratta di due o più [denti], di quelli che si vedono quando si ride, si paghi e si calcoli la composizione in base al loro numero.
52. Dei denti della mascella. Se qualcuno fa cadere ad un altro uno o più denti della mascella, paghi per un dente una composizione di 8 solidi.
53. Se qualcuno taglia un orecchio ad un altro, gli paghi una composizione pari alla quarta parte del suo valore.
54. Se qualcuno provoca una ferita al volto ad un altro, gli paghi una composizione di 16 solidi.
44. Se qualcuno avrà colpito un altro con un pugno, componga con soldi 3; se invece l'avrà colpito con uno schiaffo, componga con soldi 6. [...]
70. Se qualcuno ha troncato l'alluce di un altro, si compone (la lite) con sedici soldi.
71. Se ha troncato il secondo dito, si compone con sei soldi.
72. Se ha troncato il terzo dito, si compone con tre soldi.
73. Se ha troncato il quarto dito, si compone con tre soldi.
74. Se ha troncato il quinto dito, si compone con due soldi.
75. Per tutte queste piaghe o ferite sopra descritte che siano accadute tra uomini liberi, abbiamo perciò posto una composizione di maggiore entità rispetto ai nostri predecessori, affinché la faida, che è inimicizia, dopo accettata la sopraddetta composizione, sia posposta e non si richieda più oltre.
77. Se qualcuno avrà picchiato un aldio altrui o un servo addetto ai mestieri, se avrà provocato lesioni e sangue, per una ferita dia 1 soldo, per due ferite 2 soldi, per tre ferite 3 soldi, per quattro ferite 4 soldi; se la vittima avrà ricevuto più di quattro ferite, esse non siano contate.
103. Se qualcuno avrà colpito alla testa un servo rusticano altrui in modo da lacerare soltanto il cuoio capelluto, per una ferita paghi 1 soldo, per due ferite 2 soldi, e in più le giornate di lavoro e l'onorario del medico. Se le ferite inferte al capo saranno state più numerose, non si contino. Ma se avrà rotto le ossa, una o più, faccia composizione con 3 soldi. Più di due [ossa rotte], non si contino.
118. Se taglierà via il quinto dito dalla mano, disponga due soldi, eccetto per i lavori e le prestazioni del medico.
119. Riguardo a un piede reciso a un servo contadino. Se qualcuno mozza un piede a un servo contadino altrui, disponga il giusto pagamento medio, lo stesso come sopra.
120. Riguardo alle dita dei piedi. Se qualcuno taglierà via l’alluce dal piede a un servo contadino altrui, disponga due soldi.
121. Se taglierà via il secondo dito dal piede, disponga un soldo.
122. Se taglierà via il terzo dito dal piede, disponga un soldo.
123. Se taglierà via il quarto dito dal piede, disponga mezzo soldo.
124. Se taglierà via il quinto dito dal piede, disponga mezzo soldo.
144. Se un maestro comacino con i suoi consoci avrà accettato, dopo aver definito il patto sulla ricompensa, di restaurare una casa o di sopraelevarla, e sarà accaduto che qualcuno muoia a motivo della stessa costruzione o per la caduta d'una trave o per la caduta d'una pietra, allora non si richieda la composizione del danno al padrone della casa, qualora il maestro comacino in solido con i suoi consoci non faccia composizione dello stesso omicidio o del danno: infatti, poiché questi ha pattuito il suo guadagno, giustamente deve sostenere anche il rischio.
204 A nessuna donna libera vivente secondo il diritto dei longobardi sia lecito dipendere solo da se stessa ma debba rimanere sempre sotto il potere degli uomini o certamente del re e non abbia la facoltà di donare o vendere alcuna cosa fra quelle mobili o immobili senza la volontà di quello
221. Se un servo avrà osato unirsi in matrimonio a una donna o a una fanciulla libera la sua vita sia messa in pericolo e i parenti di colei che avrà acconsentito di unirsi ad un servo abbiano la facoltà di ucciderla o di venderla fuori dal territorio e di disporre come vogliono dei beni di lei: e se i parenti rinunceranno a farlo, allora il gastaldo del re o lo sculdascio la conduca nella curtis del re e la adibisca alla cucina come serva.

387. Se qualcuno, per sbaglio, non volendo, avrà ucciso un uomo libero, ne faccia composizione nella misura della sua stima e non vi sia luogo a faida poiché non vi fu dolo.  

mercoledì 13 novembre 2013

DICHIARAZIONE DI ARBROATH

La Dichiarazione di Arbroath era una dichiarazione di indipendenza scozzese, fatta per confermare lo status della Scozia di stato indipendente e sovrano e l'uso di azioni militari quando veniva attaccata ingiustamente. Sotto forma di lettera venne presentata a Papa Giovanni XXII, datata 6 aprile 1320. Sigillata da 51 magnati e dai nobili, la lettera è la sola superstite di altre tre scritte nello stesso periodo. Le altre erano una lettera dal Re di Scozia e una lettera dal clero scozzese che probabilmente erano simili a quella superstite. La dichiarazione aveva alcuni punti retorici molto-dibattuti: la Scozia era stata effettivamente sempre indipendente, più a lungo dell'Inghilterra; che Edoardo I d'Inghilterra aveva ingiustamente attaccato la Scozia e perpetrato atrocità; che Robert Bruce aveva portato la Scozia fuori da questo pericolo; e, il più discutibile, che l'indipendenza della Scozia era prerogativa del popolo scozzese, piuttosto che del re di Scozia. In effetti ha anche dato alla nobiltà il potere di deporre il re se questo avesse minacciato l'indipendenza della Scozia.
Mentre spesso è stato interpretato come "sovranità popolare" cioè che i re potrebbero essere scelti dalla popolazione piuttosto che da solo da Dio - può anche essere visto come un passaggio di responsabilità quando si disobbedisce agli ordini papali dal re alla popolo. Ad esempio Roberto I sosteneva che è stato costretto a combattere una guerra ingiusta (secondo la Chiesa) perché altrimenti sarebbe stato deposto.
Fu scritto in latino, si pensa per mano di Bernard, abate dell'abbazia di Arbroath (identificato spesso con Bernard de Linton, anche se il suo cognome è sconosciuto), che era allora il Cancelliere di Scozia; e dal vescovo Alexander Kininmund. Nonostante sia datato il 6 aprile 1320 nell'abbazia di Arbroath, non c'era stata in effetti una riunione dei nobili, invece il documento può essere stato redatto ad una riunione del Consiglio dei nobili nell'abbazia di Newbattle, nel Midlothian, nel mese di marzo del 1320, comunque manca prove attendibili che provano questo fatto. Arbroath era semplicemente il luogo della cancelleria reale, l'ufficio Bernard e la data sono solo la prova che questo prese parte agli atti. I sigilli di otto conti e di 41 nobili scozzesi sono stati allegati al documento, probabilmente a distanza di qualche settimana o mese, come testimoniano i sigilli usati dai nobili. La dichiarazione allora è stata portata alla curia romana ad Avignone.
Il Papa sembra che prestò una certa attenzione alle discussioni contenute nella dichiarazione, anche se la sua influenza non dovrebbe essere stata molto forte. Era in parte dovuta ad un trattato di pace di breve durata tra la Scozia e l'Inghilterra, il Trattato di Northampton, con il quale l'Inghilterra si impegnava a non invadere la Scozia, firmato dal re inglese, Edoardo III d'Inghilterra, il 1º marzo 1328. La copia originale della dichiarazione che è stata trasmessa a Avignone si è persa. Tuttavia, una copia è stata conservata dall'Archivio Nazionale di Scozia a Edimburgo. La traduzione in lingua inglese più conosciuta è stata fatta da sir James Fergusson, precedentemente Custode dei Registri di Scozia.

Fonte: Wikipedia

martedì 29 ottobre 2013

INSTRUMENTUM DOTIS

Lo instrumentum dotis è un atto legale redatto da notaio che si fa in anticipo per matrimoni o per affermazioni che verranno. Nel medioevo, quando, oltre che nel ceto nobiliare anche nel ceto borghese i matrimoni erano combinati prevalentemente nell'interesse delle famiglie, diventò d'uso comune anticipare la regolamentazione patrimoniale dei matrimoni ad una età giovanile. Dante Alighieri nel 1277, all'età di 12 anni, aveva già compiuto l'instrumentum dotis con Gemma Donati. Nella Divina Commedia sarà proprio Dante a contestare questa pratica, :
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre; chè 'l tempo e la dote
non fuggìean quinci e quindi la misura.
(Paradiso 15, 103)

Il solenne impegno di contrarre il matrimonio (sponsio) veniva suggellata dal vincolo notarile è la probabile origine del termine sposi. Il celebre verso dantesco riferito a Pia dei Tolomei inannellata, pria disposando distingue i due momenti: la sponsio costituito dall'instrumentum dotis che precedeva l'inanellamento, elemento esemplificativo del matrimonio canonico vero e proprio. Proprio nella tradizione canonica si distinguevano le sponsalia de presenti (matrimonio vero e proprio), dagli sponsalia de futuro che valevano come promessa solenne di matrimonio che poteva riguardare anche i fanciulli.

Fonte: Wikipedia

venerdì 23 agosto 2013

DECRETUM GELASIANUM

Il Decretum Gelasianum (titolo completo: Decretum Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis) è un documento contenente, tra le altre cose, un elenco di opere religiose da considerare canoniche, una lista dei sinodi e degli scrittori ecclesiastici riconosciuti, e un altro elenco che indica le opere da rigettare. Ci sono pervenute due versioni del decreto gelasiano una detta breve che parte dalla terza parte o capitolo sino al quinto e una lunga dove ci sono tutti e cinque i capitoli del decreto. Tradizionalmente attribuito a papa Gelasio I (492-496), è in realtà originario della Gallia meridionale del VI secolo, anche se alcune parti possono essere fatte risalire a papa Damaso I (di cui riprende il De explanatione fidei) e all'ambiente romano. Comunque sia, pur se rimane dubbia la riconducibilità, anche parziale, a Papa Gelasio I, l'opera rispecchia molto bene le sue idee e il suo pontificato.
L'opera si divide in 5 parti:
  • La prima parte : descrive i sette doni dello Spirito Santo che entrano in Cristo dando per ognuna una definizione, seguita dalle dispensazioni di Cristo e varie relazioni tra Dio Padre, Figlio e Spirito Santo con l'uomo.
  • La seconda parte dice quali libri fanno parte delle Divine Scritture, quali nel Vecchio Testamento e quali nel Nuovo Testamento.
  • La terza parte: decretale sui libri che devono essere accolti e quelli che non devono essere accolti dalla Chiesa
  • La Quarta parte: gli scritti, all'infuori delle Sacre Scritture, che sono accettati dalla Chiesa
  • La Quinta parte: gli scritti rifiutati dalla Chiesa


Fonte: Wikipedia

lunedì 1 luglio 2013

LA MANOMORTA: UN'ALTRA LEGGENDA DI OPPRESSIONE

Oppressione, ingiustizia, delitto: fra gli innumerevoli pesi e le insopportabili sciagure che si immagina fossero sopportati e patite dai sudditi dei feudatari, probabilmente la manomorta condivide il triste primato insieme alla favola dello jus primae noctis. Un povero contadino, dopo una magra esistenza di schiavitù, è costretto a lasciare i suoi miseri beni al nobile-padrone, destinando ai suoi stessi figli solo quella condizione servile cui il destino lo ha condannato già prima della nascita, con l’accondiscendenza della Chiesa che da parte sua detiene già gli stessi innumerevoli diritti di manomorta posseduti dai signori feudali. Sussidiari, romanzi, enciclopedie hanno trasmesso e amplificato queste storie, trasformando e fantasticando in maniera anche togata la realtà dei fatti. La stessa enciclopedia Treccani, riassumendo in forma confusa e quasi incomprensibile il fenomeno, scriveva che “la manomorta feudale nacque con la concessione in  feudo di diritti e beni dello Stato, col frazionamento della autorità pubblica e con la imposizione più o meno abusiva di tributi e oneri alle popolazioni soggette” (vol. VII, 1957). Dirò, tanto per iniziare, che alla manomorta non erano soggette le popolazioni ma i singoli. Concedendo un terreno a un contadino, anche non povero, il signore feudale assicurava a sé stesso e alla comunità una serie di entrate che nel Medioevo e nell’Età moderna non erano quasi mai quantificate in danaro. Quantità di grano, orzo, fave, avena, polli, uova, paglia, cera, giornate di lavoro, erano descritte dettagliatamente nei documenti e riportate nei registri delle entrate. Né le giornate di lavoro devono essere considerate forma di schiavitù, se si considera che uno, due o dieci giorni l’anno di aratura o raccolta, sottratti al normale lavoro in proprio dei campi costituivano un risparmio su un diverso fitto in derrate, e che gli stessi agricoltori erano soliti fornire queste attività fra di loro, persino nel caso di regali nuziali allorchè non era raro leggere nei contratti matrimoniali le descrizioni di giornate di lavoro che, come dono, parenti e amici avrebbero prestato agli sposi. D’altronde, continui affrancamenti, liberazioni di intere comunità che in passato avevano ricevuto boschi e paludi da trasformare in campi, erano spesso andati assottigliando questo diffuso diritto del signore. Ma in che cosa esso consisteva precisamente?
Il tema è ritornato recentemente alle cronache quando qualche mese fa si è scoperto che in Inghilterra, Stato che conserva ancora caratteristiche e usi feudali, il principe Carlo mantiene il diritto di ereditare i beni dei suoi sudditi in Cornovaglia nel caso in cui questi muoiano senza altri eredi. In questo, in ultima analisi, consisteva la manomorta. Accanto ai censi liberi, esistevano quelli dati in manomorta, i cui titolari non potevano alienarli senza il consenso del signore, pena la confisca. Quasi del tutto identici ai primi, i diritti di manomorta concedevano però ai discendenti e concessionari del defunto i suoi beni mobili e immobili solo ove gli eredi si trovassero all’interno della stessa comunità, altrimenti passavano al feudatario. Ecco quella che è stata considerata l’odiosa oppressione. E che in definitiva tendeva anche a salvaguardare l’economia stessa delle comunità, sempre gelose del trasferimento di qualsiasi bene ad estranei. Al signore, nel caso in cui il villano non avesse parenti in paese, restavano case, terre, animali, arnesi di lavori, oggetti. E questi stessi venivano riconcessi a compaesani altrettanto ansiosi di occupare terre, case, pascoli, stalle del compianto, insieme ai suoi armadi e alle sue provviste. Né i contadini soggetti a manomorta erano miseri schiavi. Sovente i canoni irrisori consentivano l’accumulo di beni che altri agricoltori avrebbero invidiato. Lucien Fèbvre elenca esempi significativi, fra cui quello di Pierre Garnier, morto di peste a Ormoy nel 1582, che lasciava innumerevoli provviste (minuziosamente elencate da chi sapeva bene il valore degli alimenti in epoca di freddi ripetuti): grano, avena, orzo, piselli, fave, lardo. E poi 3 cavalli, 12 animali cornuti, 6 maiali, 5 pecore, 2 agnelli, un carro, una carretta ferrata, ottimi aratri, mobilio buono, lenzuola, stoviglie, utensili, attrezzi, casse, denaro, obbligazioni e lettere di credito (Filippo II e la Franca Contea, Torino 1979, pp. 120-121). Insomma, una piccola fortuna accumulata all’ombra di un feudatario lontano che la riceve solo perché il defunto non ha figli e che sarà presto redistribuita con un reciproco vantaggio. Ma tutto questo stenta a crescere nelle nostre conoscenze più diffuse, a scapito delle solite stantie leggende risorgimentali.

Articolo di Carmelo Currò Troiano. Tutti i diritti riservati

martedì 4 giugno 2013

TRATTATO DI MEERSEN

Il Trattato di Meerssen (attualmente nei Paesi Bassi) fu concluso nell'870 tra Carlo il Calvo e Ludovico II il Germanico per confermare la spartizione del regno di loro nipote Lotario II, morto nell'869. L'eredità di Lotario II sarebbe dovuta andare a suo figlio Ugo, che però era stato dichiarato bastardo (figlio illegittimo). Il Papa Nicola I (820-867, papa 858-867) aveva invalidato il matrimonio tra suo padre e sua madre Waldrada; quindi, in mancanza di eredi legittimi sarebbe dovuta andare al fratello di Lotario II, l'imperatore Ludovico II, re d'Italia e dall'863 re di Provenza (ereditata alla morte del fratello Carlo), in modo da riunire in un unico regno la Francia mediana, così com'era stata concepita, al Trattato di Verdun dell'843 (i territori in giallo nella sottostante illustrazione). Ludovico II, però era impegnato a combattere i Saraceni che avevano attaccato il Ducato di Benevento (nell'871 conquistò Bari) e non poté recarsi in Lotaringia a prendere possesso della sua eredità. Gli zii ne approfittarono, si spartirono la Lotaringia e confermarono la divisione del regno con il trattato di Meerssen. Malgrado che le proteste di Ludovico II fossero sostenute dal Papa Adriano II (792-872, papa 867-872), non portarono a nessun risultato concreto. Quando Ludovico II morì, nell'875, lasciando un'unica erede, Ermengarda (855-890) che, nell'876, sposò Bosone I di Provenza e nell'879 divenne regina di Provenza (l'altra figlia Gisella, 852-?, fu badessa del monastero di S. Salvatore di Brescia), le corone d'Italia e di Provenza e la corona imperiale andarono allo zio, Carlo il Calvo. Nell'880, al Trattato di Ribemont i nipoti di Carlo il Calvo, Luigi III e Carlomanno II cedettero la loro parte del regno di Lotaringia a Ludovico il Giovane, figlio di Luigi il Germanico; così la Lotaringia fu nuovamente rimessa insieme.

Fonte: Wikipedia

IL CAPITOLARE DI MERSEN

Il Capitolare di Mersen (o Meerssen) è un testo normativo dell'847, con cui si invitavano gli uomini liberi a individuare un capo, scelto tra il re o tra i signori più potenti del territorio, per ottenere protezione. Prescriveva inoltre che tale rapporto non potesse essere risolto se non per una giusta causa. Promulgato da Carlo il Calvo nell'847, a Meerssen, nei Paesi Bassi. La norma si poneva l'obiettivo di smilitarizzare i ceti più bassi, ma con essa andava affermandosi il principio secondo cui i vassalli dovessero obbligatoriamente seguire il re solo contro nemici stranieri. In questo modo il capitolare sanciva un passaggio di poteri dalla sfera regale a quella dei vassalli e l'avanzata di un sistema di rapporti di potere che costituiva la base per l'affermazione di una società di tipo feudale.

Fonte: Wikipedia

lunedì 13 maggio 2013

MATRIMONIO TRA ALTO E BASSO MEDIOEVO

La cristianizzazione dell'impero romano e le successive invasioni barbariche modificarono tali pratiche. Il modello "un uomo-una donna" per il matrimonio cristiano fu difeso da Sant'Agostino (354-439) con la sua lettera Il buono del matrimonio. Per scoraggiare la poligamia, egli scrisse "era permesso tra padri antichi: se è permesso anche ora, io non vorrei pronunciarmi frettolosamente. Perché non c'è ora necessità di generare figli, come c'era allora, quando, anche se le mogli portavano figli, era permesso, al fine di avere una posterità più numerosa, sposare altre mogli, cose che ora certamente non è legale" (capitolo 15, paragrafo 17). I sermoni dalle lettere di S. Agostino furono popolari e influenti. Nel 534 l'imperatore romano Giustiniano condannò il sesso al di fuori di quello dei confini matrimoniali tra uomo e donna. Il Codice Giustiniano fu la base della giurisprudenza europea per un millennio. Il matrimonio divenne una cerimonia privata, che si svolgeva al domicilio della futura sposa, e dava luogo a dei ricongiungimenti familiari. Talvolta era impartita una benedizione, ma senza che essa avesse valore ufficiale. Il matrimonio era un mutuo contratto, scritto e firmato. Veniva sancito dalla reciproca promessa verbale della coppia che sarebbero stati sposati l'un l'altra; la presenza di un sacerdote o di altri testimoni non era richiesta se le circostanze la impedivano. Questa promessa era conosciuta come il "verbum". In seguito, con il declino dell'impero romano, l'abitudine di firmare uno scritto scomparve progressivamente, lasciando il posto a numerosi abusi: solo dei testimoni (della cerimonia, o della vita coniugale), ormai, potevano giustificare l'esistenza dell'unione. Allo stesso modo, i matrimoni «segreti», i «ratti» (senza il consenso dei genitori della ragazza) e i divorzi divennero frequenti. Si conosce, ad esempio, il caso del rapimento di Matilde da parte di Guglielmo il Conquistatore, e le 5 spose e la mezza dozzina di concubine di Carlo Magno. Con il concilio Lateranense IV nel 1215, la Chiesa cattolica regolamentò ufficialmente il matrimonio per la prima volta:
  • impose l'uso delle pubblicazioni (per evitare i matrimoni clandestini)
  • fu solennemente proclamato che il matrimonio tra cristiani è un sacramento
  • per evitare i divorzi, il matrimonio fu legalmente reso indissolubile anche agli effetti civili, salvo per morte di uno dei due coniugi
  • fu richiesto il consenso libero e pubblico degli sposi, da dichiarare a viva voce in un luogo aperto (contro i ratti e le unioni combinate)
  • fu imposta un'età minima per gli sposi (per evitare il matrimonio di bambini, e in particolare di ragazze molto giovani),
  • fu regolamentato l'annullamento del matrimonio in caso di invalidità del sacramento: violenze sulla persona, rapimento, non consumazione, matrimonio clandestino ecc.

Tale Concilio fissò delle regole largamente riprese in seguito nel matrimonio civile, istituito in Francia nel 1791 durante la rivoluzione francese.

Fonte: Wikipedia

lunedì 14 gennaio 2013

BANNALITA'

Il termine Bannalità deriva dall'antica parola germanica "Ban",che indicava "sia il diritto di convocazione sia il diritto di punizione esercitati dai capi dei clan e della tribù", e quindi il potere supremo e legittimo dei capi germanici. In età medioevale si riferisce al potere dei Signori feudali di imporre monopoli a scapito dei loro censuari. Con la bannalità essi rivendicavano il diritto esclusivo, ad esempio, di fornire, a pagamento, gli animali necessari alla riproduzione delle mandrie, o alla costrizione imposta ai contadini dal Signore, di usare il suo mulino per macinare, cuocere il pane nel suo forno o fare il vino con il suo torchio.
Fonte: Wikipedia

martedì 8 gennaio 2013

MAGNA CHARTA LIBERTATUM

La Magna Carta (Magna Charta Libertatum) è un documento, scritto in latino, che il re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai baroni del Regno, propri feudatari diretti, presso Runnymede, il 15 giugno 1215. Venne chiamata magna per tenerla distinta da un provvedimento minore, una charta rilasciata proprio in quegli anni per regolamentare i diritti di caccia. Quando Enrico II d'Inghilterra morì il 7 luglio 1189, gli succedette il quarto dei suoi figli, Riccardo Cuor di Leone. Durante l'assenza di re Riccardo a causa della III crociata salì al trono il fratello minore Giovanni Senzaterra (John Lackland), chiamato così perché perse i suoi possedimenti in Francia, o forse perché essendo il quintogenito maschio, il padre Enrico non gli lasciò in eredità alcun possedimento territoriale. Giovanni, per difendere e poi riconquistare i possedimenti dei Plantageneti in Francia, dovette ingaggiare una guerra con il regno di Francia, finanziata tramite una forte tassazione dei suoi baroni, che ne denunciarono pubblicamente l'arbitrarietà, segnalando in particolare gravi abusi nell'applicazione dello scutagium. A causa dell'esito negativo della spedizione francese (le truppe inglesi, alleate a quelle dell'imperatore tedesco Ottone IV, vennero sconfitte a Bouvines nel 1214) e della successiva rivolta dei baroni, che il 5 maggio 1215 rifiutarono la fedeltà al re, Giovanni Senzaterra, durante l'incontro con i ribelli avvenuto il 15 giugno nella brughiera di Runnymede, si vide costretto, in cambio della rinnovata obbedienza, a una serie di concessioni che costituiscono il contenuto principale della Magna Charta. La Magna Charta Libertatum è stata interpretata a posteriori come il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini, sebbene essa vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale  in cui, durante il XII e XIII secolo, la concessione di privilegi (libertates) da parte di sovrani a comunità o sudditi, offre altri esempi di natura analoga (Federico Barbarossa alla Lega Lombarda nel 1183, il re Andrea II d'Ungheria ai loro vassalli nel 1222). In sostanza la Magna Charta conferma i privilegi del clero e dei feudatari, eliminando o diminuendo l'influenza del re.
Tra i suoi articoli ricordiamo:
  • il divieto per il sovrano di imporre nuove tasse ai suoi vassalli diretti senza il previo consenso del "commune consilium regni" (consiglio comune del regno, formato da arcivescovi, abati, conti e i maggiori tra i baroni, da convocarsi con un preavviso di almeno quaranta giorni e deliberante a maggioranza dei presenti (articoli 12 e 14)
  • la garanzia, valida per tutti gli uomini di condizione libera, di non poter essere imprigionati senza prima aver sostenuto un regolare processo, da parte di una corte di pari, se la norma era incerta o il tribunale non competente, o secondo la "legge del regno" (articolo 39, in cui si ribadisce il principio del " habeas corpus integrum")
  • la proporzionalità della pena rispetto al reato (articolo 20)
  • l'istituzione di una commissione di venticinque baroni, che, nel caso in cui il re avesse infranto i suoi solenni impegni, doveva fargli guerra, chiedendo la partecipazione di tutti i sudditi (articolo 61, in cui si manifesta il futuro principio della legittima resistenza all'oppressione di un governo ingiusto)
  • l'integrità e libertà della Chiesa inglese (articolo 1), precedentemente messa in discussione sia dalla disputa tra Enrico II, padre di Giovanni, e l'arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket sulla giurisdizione regia nelle cause criminali contro gli ecclesiastici, sia dall'iniziale mancato riconoscimento (compiuto solo dopo la scomunica da parte del papa Innocenzo III con la Bolla Pontificia del 24 agosto 1215) dell'arcivescovo Stephen Langton (tra i maggiori ispiratori della Charta) da parte del re Giovanni.
  • La Magna Charta regolamentava inoltre l'importante legge consuetudinaria detta "della foresta", abolendo i demani regi (in latino foreste) creati sotto il regno di Giovanni e le relative multe comminate ai trasgressori (articoli 47 e 48).
  • In materia economica, la Charta faceva salve le "antiquas libertates" della città di Londra, dei borghi, delle ville e dei porti (articolo 13) e concedeva a tutti i mercanti, esclusi quelli provenienti da paesi in guerra con il re, il diritto gratuito di ingresso e di uscita dal paese (articolo 41); infine per agevolare il commercio, imponeva che in tutto il regno fossero adottate identiche misure per vino, birra e grano ed inoltre che le stoffe fossero confezionate in misure standardizzate (articolo 35).
  • Benché la Magna Charta nel corso dei secoli sia stata ripetutamente modificata da leggi ordinarie emanate dal parlamento, conserva tuttora lo status di Carta fondamentale della monarchia britannica.
  • Una copia ben conservata si trova nella cattedrale di Salisbury.
  • Il documento, nella sua forma definitiva, fu redatto, dopo la morte di Giovanni, dal legato pontificio, Guala Bicchieri, dal Gran Giustiziere, Uberto di Burgh, e dal reggente di Enrico III d'Inghilterra, Guglielmo il Maresciallo.


Traduzione in Italiano del testo tratto da http://www.rivstoricavirt.com

Giovanni, per grazia di Dio re d'Inghilterra, signore d'Irlanda, duca di Normandia ed Aquitania, conte d'Angiò, saluta gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti, i baroni, i giudici, le guardie forestali, gli sceriffi, gli intendenti, i servi e tutti i suoi balivi e leali sudditi.

Sappiate che noi, di fronte a Dio, per la salvezza della nostra anima e di quella dei nostri predecessori e successori, per l'esaltazione della santa Chiesa e per un miglior ordinamento del nostro regno, dietro consiglio dei nostri venerabili padri Stefano, arcivescovo di Canterbury, primate d'Inghilterra e cardinale della santa romana Chiesa, Enrico, arcivescovo di Dublino, Guglielmo di Londra, Pietro di Winchester, Jocelin di Bath e Glastonbury, Ugo di Lincoln, Gualtiero di Coventry, Benedetto di Rochester, vescovi; di maestro Pandolfo, suddiacono e membro della corte papale, fratello Aymerico, maestro dei cavalieri del Tempio in Inghilterra e dei nobiluomini William Marshal, conte di Pembroke, William conte di Salisbury, William conte di Warennie, William conte di Arundel, Alan di Galloway, connestabile di Scozia, Warin figlio di Gherardo, Peter (figlio di Herbert, Hubert de Burg siniscalco del Poitou, Hug de Neville, Mattew figlio di Herbert, Thonas Basset, Alan Basset, Philip d'Aubigny, Robert de Ropsley, John Marshal, John figlio di Hug ed altri fedeli sudditi:

1. In primo luogo abbiamo accordato a Dio e confermato con questa carta, per noi e i nostri eredi in perpetuo, che la Chiesa d'Inghilterra sia libera, abbia integri i suoi diritti e le sue libertà non lese; e vogliamo che ciò sia osservato; come appare evidente dal fatto che per nostra chiara e libera volontà, prima che nascesse la discordia tra noi ed i baroni, abbiamo, di nostra libera volontà, concesso e confermato con la nostra carta la libertà delle elezioni, considerata della più grande importanza per la Chiesa anglicana ed abbiamo inoltre ottenuto che ciò fosse confermato da Papa Innocenzo III; la qual cosa noi osserveremo e vogliamo che i nostri eredi osservino in buona fede e per sempre. Abbiamo concesso a tutti gli uomini liberi del regno, per noi e i nostri eredi tutte le libertà sottoscritte, che essi e i loro eredi ricevano e conservino da noi e dai nostri eredi.

2. Venendo a morte alcuno dei nostri conti o baroni o altri vassalli con obbligo nei nostri confronti di servizio di militare e alla sua morte l'erede sia maggiorenne e debba pagare il , potrà avere la sua eredità solo su pagamento del . Vale a dire che l'erede o gli eredi di un conte o di un barone pagheranno cento sterline per l'intera baronìa; l'erede o gli eredi di un cavaliere al massimo cento scellini per l'intero feudo; e chi deve di meno pagherà di meno, secondo l'antico uso dei feudi.

3. Se l'erede di costoro è un minorenne sotto tutela, quando raggiungerà la maggior età, abbia l'eredità senza pagare riscatto.

4. Il tutore delle terre di un erede minorenne non prenda da essa nulla di più di ragionevoli profitti, di ragionevoli tributi consuetudinari e ragionevoli servizi e ciò senza danni alla proprietà o spreco di uomini e mezzi; se avremo affidato la tutela della terra ad uno sceriffo o ad altra persona responsabile verso di noi per le rendite e questi avrà provocato detrimento o danno di ciò che gli è stato affidato, esigeremo un risarcimento da lui, e la terra sarà affidata a due uomini ligi e prudenti di quel feudo, che saranno responsabili per le rendite, verso di noi o nei confronti della persona alla quale l'avremo affidata; e se noi avremo dato o venduto ad alcuno l'amministrazione di tale terra ed egli ne avrà causato distruzione o danno, egli perderà la tutela della terra, che verrà consegnata a due uomini di legge equilibrati dello stesso feudo, che saranno similmente responsabili verso di noi, come è stato detto.

5. Per tutta la durata della tutela l'amministratore manterrà gli edifici, i parchi, i vivai, gli stagni, i mulini e ogni altra pertinenza, con i proventi derivanti dalla terra stessa; e renderà agli eredi, quando avranno raggiunto la maggiore età, l'intera proprietà fornita di aratri e carri, come la stagione agricola richiede e il prodotto della terra permette di sostenere.

6. Gli eredi non siano dati in matrimonio a persone di ceto inferiore; prima che contraggano il matrimonio, esso deve essere reso noto ai loro parenti prossimi.

7. Alla morte del marito, la vedova abbia la dote e la sua eredità subito e senza ostacoli, né pagherà nulla per la sua quota legittima o la sua dote e per qualsiasi altra eredità che essa ed il marito possedevano nel momento della morte di lui, e rimanga nella casa del marito per quaranta giorni dopo la sua morte, ed entro questo termine le dovrà essere assegnata la sua dote.

8. Nessuna vedova sia costretta a risposarsi fino a quando vorrà rimanere senza marito, a condizione che dia assicurazione che non prenderà marito senza il nostro consenso se è nostra vassalla, o senza l'assenso del suo signore se è vassalla di un altro.

9. Né noi né i nostri balivi ci impadroniremo di alcuna terra o di rendite di chiunque per debiti, finché i beni mobili del debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito, né coloro che hanno garantito il pagamento subiscano danno, finché lo stesso non sarà in grado di pagarlo; e se il debitore non potrà pagare per mancanza di mezzi, i garanti risponderanno del debito e se questi lo vorranno, potranno soddisfarlo con le terre e il reddito del debitore fino a quando il debito non sarà stato assolto, a meno che il debitore non dimostri di aver già pagato i suoi garanti.

10. Se qualcuno ha preso a prestito una somma da Ebrei, sia grande o piccola, e muore prima di aver pagato il debito, questo non produrrà interesse fino a quando l'erede si troverà nella minore età, di chiunque egli sia vassallo; e se quel credito cade in nostre mani, noi non chiederemo null'altro, se non la somma specificata nel documento.

11. E se un uomo muore e deve del denaro ad Ebrei, sua moglie riceva la sua dote senza dover pagare alcunché per quel debito, e se il defunto ha lasciato dei figli in minore età, si provvederà ai loro bisogni in misura adeguata al patrimonio del defunto e il debito sarà pagato con il residuo, a parte quanto dovuto ai signori feudatari; nello stesso modo sarà fatto con persone che non siano ebrei.

12. Nessun pagamento di o sarà imposto nel nostro regno se non per comune consenso, a meno che non sia per il riscatto della nostra persona e per la nomina a cavaliere del nostro figlio primogenito e una sola volta per il matrimonio della nostra figlia maggiore, per tali fini sarà imposto solo un ragionevole ; lo stesso vale per gli della città di Londra.

13. La città di Londra abbia tutte le sue antiche libertà e le sue libere consuetudini, sia per terre sia per acque. Inoltre vogliamo e concediamo che tutte le altre città, borghi, villaggi e porti abbiano tutte le loro libertà e libere consuetudini.

14. Per ottenere il generale consenso per l'imposizione di un , eccettuati i tre casi sopra specificati, o di uno faremo convocare con nostre lettere gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti ed i maggiori baroni, e faremo emettere da tutti i nostri sceriffi e balivi una convocazione generale di coloro che possiedono terre direttamente per nostra concessione, in un dato giorno, affinché si trovino, con preavviso di almeno quaranta giorni, in un determinato luogo; e in tutte le lettere di convocazione ne indicheremo la causa; quando sarà avvenuta la convocazione, nel giorno stabilito si procederà secondo la risoluzione di coloro che saranno presenti, anche se non tutti i convocati si saranno presentati.

15. Noi non concediamo che alcuno chieda un ai suoi uomini liberi, se non per riscattare la sua persona, per fare cavaliere il figlio primogenito o per maritare una sola volta la figlia maggiore e per questi motivi sarà imposto solo un ragionevole.

16. Nessuno sarà costretto a fornire una prestazione gravosa per il possesso di un feudo di cavaliere o di qualsiasi altro libero obbligo.

17. I processi comuni non seguiranno la nostra corte, ma si terranno in un luogo fisso.

18. Le inchieste di , , non si svolgeranno se non nella propria contea e a questo modo: noi stessi o, se ci troveremo fuori del nostro regno, il nostro primo giudice manderemo due giudici in ogni contea quattro volte all'anno; e questi giudici, assieme a quattro cavalieri della contea eletti dalla contea stessa, terranno nella contea, in quel giorno e in quel luogo le predette assise.

19. E se nel giorno stabilito nella contea le assise predette non possono essere tenute, si trattengano tanti dei cavalieri e liberi feudatari presenti nella contea in quel giorno, quanti siano sufficienti per l'amministrazione della giustizia, secondo il numero massimo o minimo dei compiti da svolgere.

20. Nessun uomo libero sia punito per un piccolo reato, se non con una pena adeguata al reato; e per un grave reato la pena dovrà essere proporzionata alla sua gravità senza privarlo dei mezzi di sussistenza; ugualmente i mercanti non saranno privati della loro mercanzia e allo stesso modo gli agricoltori dei loro utensili; e nessuna delle predette ammende sarà inflitta se non con il giuramento di uomini probi del vicinato.

21. Conti e baroni non siano multati, se non dai loro pari, e se non secondo la gravità del reato commesso.

22. Nessun religioso sia multato per il suo beneficio laico se non secondo i modi predetti, e non secondo la consistenza del suo beneficio ecclesiastico.

23. Né villaggio né uomo potrà essere costretto a costruire ponti sulle rive, a meno che non lo debbano fare per diritto e antica consuetudine.

24. Nessuno sceriffo, conestabile, od altro ufficiale reale può tenere assemblee che spettino alla Corona.

25. Ogni contea, , e , manterrà il vecchio canone, senza aumenti, tranne i nostri manieri signorili.

26. Se muore un vassallo che possiede per conto della corona un feudo laico, si presenteranno uno sceriffo od altro ufficiale con un decreto reale di convocazione, per il debito dovuto dal defunto nei nostri confronti, costoro potranno catalogare e sequestrare i beni mobili che si trovano nel feudo laico del defunto, nella misura dell'entità del debito, sotto il controllo di uomini probi, affinché nulla sia rimosso fino a quando non sarà stato pagato il debito verso la corona; e il rimanente sarà dato agli esecutori testamentari per eseguire il testamento del defunto; e se nulla è dovuto alla corona, tutti i beni mobili saranno considerati proprietà del defunto, tranne le ragionevoli parti riservate alla moglie e ai suoi figli.

27. Se un uomo libero morrà senza aver fatto testamento, i suoi beni mobili saranno distribuiti ai parenti ed amici sotto il controllo della chiesa, salvi i debiti dovuti dal defunto a chiunque.

28. Nessun conestabile o altro ufficiale della corona potrà prendere frumento od altri beni mobili da alcuno se non pagandoli immediatamente, a meno che non abbia ottenuto una dilazione per libera volontà del venditore.

29. Nessun conestabile potrà costringere un cavaliere a pagare del denaro in cambio della guardia al castello, se quello vorrà assumersi personalmente la custodia o affidarlo a un uomo probo, qualora non possa farlo per un valido motivo; e se noi lo arruoliamo o lo mandiamo a prestare servizio d'armi, sarà affrancato dalla custodia per tutto il periodo di durata del servizio presso di noi.

30. Nessuno sceriffo, ufficiale reale o chiunque altro potrà prendere cavalli o carri ad alcun uomo libero, per lavori di trasporto, se non con il consenso dello stesso uomo libero.

31. Né noi né alcun ufficiale reale prenderemo legna per il nostro castello o per nostra necessità, se non con il consenso del proprietario del bosco.

32. Noi non occuperemo le terre di coloro che sono dichiarati colpevoli di fellonia per un periodo più lungo di un anno e un giorno, dopo di che esse saranno restituite ai proprietari del feudo.

33. Tutte le reti di sbarramento per catturare i pesci, che si trovino nel Tamigi, nel Medway e in qualsiasi altra parte dell'Inghilterra, fuorché lungo le coste marine, saranno rimosse.

34. Il mandato detto non sarà emesso in futuro per alcuno, in rapporto ad alcuna proprietà, affinché un uomo libero non possa essere privato della proprietà prima del giudizio.

35. Che vi sia una sola misura di vino, birra e frumento in tutto il regno; e cioè il londinese, e un'unica altezza, per panni di diversa (bianca e rossa) tintura, cioè di un braccio da un bordo all'altro; lo stesso sia per i pesi e altre misure.

36. Nulla sarà d'ora in poi pagato od accettato per un mandato di inchiesta per omicidio o ferimento; esso sarà concesso gratuitamente e non sarà negato.

37. Se un uomo possiede una terra per concessione della corona come , o , e possiede pure una terra per concessione di un altro signore contro il servizio di cavaliere, noi non avremo, in virtù di tali , o , la tutela del suo erede né della terra che appartiene al feudo dell'altra persona, a meno che il non comporti un servizio di cavaliere. Noi non avremo la tutela dell'erede o della terra di alcuno che egli possiede per conto di un altro in base ai che egli tiene per conto della corona, per servizio di pugnali, frecce o simili.

38. Nessun balivo d'ora in poi potrà portare in giudizio un uomo sulla base della propria affermazione, senza produrre dei testimoni attendibili che ne provino la veridicità.

39. Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge, esiliato o molestato in alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del regno.

40. A nessuno venderemo, negheremo, differiremo o rifiuteremo il diritto o la giustizia.

41. Tutti i mercanti siano salvi e sicuri di uscire dall'Inghilterra e di entrare in Inghilterra, soggiornare e viaggiare in Inghilterra sia per terra che per acqua per comprare o vendere, liberi da ingiusta tassa secondo le antiche e buone consuetudini; eccetto in tempo di guerra e se appartengano ad un paese nostro nemico; e se tali mercanti si trovassero nel nostro territorio al principio della guerra, saranno trattenuti, senza alcun danno alle loro persone ed alle loro cose, fino a quando noi o il nostro primo giudice non saremo informati in quale modo vengano trattati i nostri mercanti che si trovino nel paese in guerra con noi; e se i nostri lì sono salvi, altrettanto siano salvi gli altri nelle nostre terre.

42. D'ora in poi sarà lecito a chiunque uscire ed entrare nel nostro regno, salvo e sicuro, per terra o per acqua, salva la fedeltà a noi dovuta se non per un breve periodo in tempo di guerra, per il comune vantaggio del reame; eccetto quelli che sono stati imprigionati o messi fuori legge secondo le leggi del regno, e le persone appartenenti ad un paese in guerra con noi, e i mercanti, si farà come è stato sopra detto.

43. Se alcuno possiede una proprietà in come gli di Wallingford, Nottingham, Boulogne, Lancaster, od altre proprietà che sono in nostro possesso e che sono baronie, alla sua morte il suo erede ci dovrà solo il riscatto ed il servizio di cui sarebbe stato debitore verso il barone, se la baronia fosse stata ancora di proprietà del barone; e noi la terremo nello stesso modo in cui la teneva il barone.

44. Gli uomini, che vivono al di fuori della foresta, d'ora in poi non dovranno in futuro venire davanti ai giudici della foresta in seguito ad una citazione comune, a meno che non siano implicati in un'azione legale o non siano garanti per qualcuno che sia stato arrestato per reati contro la foresta.

45. Noi nomineremo giudici, conestabili, sceriffi od ufficiali se non coloro che conoscano la legge del regno e vogliano ben osservarla.

46. I baroni che hanno fondato abbazie e possono provarlo con documenti del regno d'Inghilterra o per antico possesso, potranno amministrare le dette abbazie in vacanza dell'abate, com'è loro diritto.

47. Tutti i territori che sono stati dichiarati foreste durante il nostro regno, perderanno immediatamente tale stato. Lo stesso sarà per le sponde dei fiumi poste sotto riserva durante il nostro regno.

48. Tutte le cattive consuetudini relative alle foreste e alle riserve, alle guardie di foreste e di riserve, sceriffi e loro aiutanti, sponde dei fiumi e loro custodi, siano immediatamente controllate da un comitato di dodici cavalieri giurati della stessa contea che devono essere eletti ugualmente da un comitato di uomini probi, ed entro quaranta giorni dal compimento dell'inchiesta dovranno essere, senza possibilità di revoca, eliminate (lo stesso valga se noi saremo fuori dell'Inghilterra, purché noi o il nostro primo giudice ne saremo stati prima informati).

49. Noi restituiremo immediatamente tutti gli ostaggi e le carte consegnatici dai sudditi inglesi a garanzia della pace e della fedeltà.

50. Rimuoveremo completamente dalle loro cariche i parenti di Gerard de Athée, d'ora in poi non permetteremo loro di avere più alcun ufficio in Inghilterra. Le persone in questione sono: Engelard de Cigogné, Peter e Guy, Andrew de Chanceaux, Guy de Cigogné, Geoffrey de Martigny e i suoi fratelli, Philip Marc con i suoi fratelli e suo nipote Geoffrey, e tutti i loro seguaci.

51. Non appena la pace sarà restaurata allontaneremo dal nostro regno tutti i cavalieri stranieri, balestrieri, sergenti, mercenari che sono arrivati con cavalli e armi con grave danno per il regno.

52. Se qualcuno è stato da noi spossessato o privato senza un legale processo dei suoi pari, di terre, castelli, delle libertà o dei diritti, immediatamente glieli restituiremo; e se sorgono casi controversi, essi saranno decisi dal giudizio dei venticinque baroni cui si fa riferimento sotto relativamente alla sicurezza della pace. Poi per tutte quelle cose di cui qualcuno è stato spossessato senza un processo legale dei suoi pari, da parte di nostro padre re Enrico o di nostro fratello re Riccardo, e si trovi in nostro possesso o nelle mani di altri sotto la nostra garanzia, noi dovremo avere un termine comunemente concesso a chi è segnato della croce; eccetto quei casi in cui sia iniziato un processo o aperta un'inchiesta per nostro ordine, prima della sospensione per la nostra croce; al nostro ritorno dal pellegrinaggio* o in caso di rinuncia al pellegrinaggio, immediatamente sarà resa piena giustizia.

*) Ricordiamo che si consideravano e le crociate erano considerate pellegrinaggi! Si veda l'articolo. .

53. Avremo ugualmente una proroga (e lo stesso sarà nel rendere giustizia) per l'eliminazione del vincolo sulle foreste (o per la sua conservazione), qualora queste siano state afforestate (dichiarate foreste, cioè sottoposte a vincolo regio ndr) da nostro padre Enrico o da nostro fratello Riccardo, e per la custodia delle terre che si trovano nel feudo di un altro, la cui custodia abbiamo avuto fino ad ora a causa di un feudo tenuto per nostro conto da un terzo, in virtù del servizio di cavaliere; lo stesso sarà infine per le abbazie fondate nel feudo di altra persona da noi, qualora questa avanzi delle pretese su di esse; e al nostro ritorno, o nel caso di rinuncia al pellegrinaggio, noi concederemo piena giustizia a tutte le lagnanze riguardanti queste cose.

54. Nessuno sarà arrestato od imprigionato per la morte di una persona su accusa di una donna, a meno che la persona morta non sia il marito della donna.

55. Tutte le somme che ci sono state versate ingiustamente ed in contrasto con la legge del paese, e tutte le ammende da noi esatte indebitamente, saranno interamente restituite; ovvero saranno sottoposte al giudizio dei venticinque baroni cui si fa riferimento più sotto, nella clausola della sicurezza per la pace, o della maggioranza degli stessi, unitamente al predetto Stefano, arcivescovo di Canterbury, se sarà presente e di quanti altri egli vorrà condurre con sè. E se non potrà essere presente, la riunione proseguirà senza di lui; se però uno dei venticinque baroni sarà implicato anche lui in una causa simile, il suo giudizio sarà escluso ed un altro sarà scelto come sostituto dai rimanenti venticinque eletti, dopo aver giurato.

56. Se un Gallese sarà stato da noi privato delle terre, della libertà o qualsiasi altra cosa (in Inghilterra o nel Galles) senza il legale giudizio dei suoi pari, dovrà immediatamente riavere in restituzione quanto perduto: e se la questione dovesse essere controversa, sarà decisa nella Marchia dal giudizio dei suoi pari: per i possedimenti in Inghilterra, secondo la legge dell'Inghilterra per i possedimenti che si trovano nel Galles con la legge del Galles: per i possedimenti della Marchia, secondo la legge della Marchia. Lo stesso facciano i Gallesi con noi e i nostri sudditi.

57. Nel caso in cui un Gallese sia stato privato di qualcosa senza il giudizio legale dei suoi pari, da parte di nostro padre re Enrico o nostro fratello re Riccardo, e si trovi in nostro possesso o nelle mani di persone sotto la nostra garanzia, noi dovremo avere una proroga della durata usualmente concessa ai segnati della croce a meno che un processo non abbia avuto inizio od una inchiesta non sia stata aperta per nostro ordine, prima che noi prendessimo la croce; al nostro ritorno, ovvero all'atto della rinuncia al nostro pellegrinaggio, renderemo immediatamente piena giustizia secondo le leggi del Galles e delle regioni suddette.

58. Restituiremo immediatamente il figlio di Llewelyn, gli ostaggi gallesi e tutte i documenti che ci sono stati dati come pegni per la pace.

59. Noi faremo ad Alessandro, re di Scozia, per quel che riguarda la restituzione delle sorelle e degli ostaggi e le sue libertà ed i suoi diritti, nello stesso modo che verso gli altri nostri baroni d'Inghilterra, a meno che, dai documenti che ricevemmo da suo padre Guglielmo, già re di Scozia, non risulti che egli debba essere trattato diversamente; e ciò sarà stabilito dal giudizio dei suoi pari nella nostra corte.

60. Tutte le consuetudini e le libertà suddette che abbiamo concesse nel nostro regno, e per quanto ci compete, siano osservate da tutti gli uomini del nostro regno, siano ecclesiastici o laici; le osservino, per quanto ad essi compete, nei confronti di coloro ad essi soggetti.

61. Poiché noi abbiamo fatto tutte queste concessioni per Dio, per un miglior ordinamento del nostro regno e per sanare la discordia sorta tra noi ed i nostri baroni, e poiché noi desideriamo che esse siano integralmente e fermamente (in perpetuo) godute, diamo e concediamo le seguenti garanzie:

I baroni eleggano venticinque baroni del regno che desiderano, allo scopo di osservare mantenere e far osservare con tutte le loro forze, la pace e le libertà che ad essi abbaiamo concesso e che confermiamo con questa nostra carta.
Se noi, il nostro primo giudice, i nostri ufficiali o qualunque altro dei nostri funzionari offenderemo in qualsiasi modo un uomo o trasgrediremo alcuno dei presenti articoli della pace e della sicurezza, e il reato viene portato a conoscenza di quattro dei venticinque baroni suddetti, costoro si presenteranno di fronte a noi o se saremo fuori dal regno, al nostro primo giudice, per denunciare il misfatto e senza indugi procederemo alla riparazione. 
E se noi o, in nostra assenza, il nostro primo giudice non faremo tale riparazione entro quaranta giorni dal giorno in cui il misfatto sia stato dichiarato a noi od a lui, i quattro baroni metteranno al corrente della questione il rimanente dei venticinque che potranno fare sequestri ai nostri danni ed attaccarci in qualsiasi altro modo e secondo il loro arbitrio, insieme alla popolazione del regno, impadronendosi dei nostri castelli, delle nostre terre, dei nostri beni o di qualsiasi altra cosa, eccettuate la nostra persona, quella della regina e dei nostri figli; e quando avranno ottenuto la riparazione, ci obbediranno come prima. 
E chiunque nel regno lo voglia può di sua spontanea volontà giurare di obbedire agli ordini dei predetti venticinque baroni per il conseguimento dei suddetti scopi, e di unirsi a loro contro di noi, e noi diamo pubblicamente e liberamente autorizzazione di dare questo giuramento a chiunque lo voglia e non proibiremo a nessuno di pronunciarlo.
Tutti coloro del paese che per se stessi e di loro spontanea volontà non vogliano prestare giuramento ai venticinque baroni per danneggiarci o molestarci insieme a loro, li costringeremo a giurare per nostro ordine, come sopra è stato detto.
E se qualcuno dei venticinque baroni morisse od abbandonasse il paese o fosse impedito in qualunque altro modo dall'adempiere le proprie funzioni, gli altri dovranno eleggere dai predetti venticinque un altro al suo posto, a loro discrezione, e questi dovrà a sua volta prestare giuramento allo stesso modo degli altri.
In tutti gli adempimenti di questi venticinque baroni, se dovesse accadere che i venticinque siano presenti e tra di loro siano in disaccordo su qualcosa o uno di loro che è stato convocato non vuole o non può venire, ciò che la maggioranza dei presenti avrà deciso o ordinato, sarà come se avessero acconsentito tutti i venticinque; e i suddetti venticinque giurino di osservare fedelmente tutte le cose suddette e di fare tutto ciò che è loro possibile per farle osservare.
E noi non chiederemo nulla, per noi o per altri, perché alcuna parte di queste concessioni o libertà sia revocata o ridotta; e se qualcosa sarà richiesta, sarà considerata nulla e invalida e noi non potremo usarla per noi o tramite altri.

62. E ogni malanimo, indignazione e rancore sorti tra noi ed i nostri sudditi, religiosi e laici, dall'inizio della discordia abbiamo a tutti pienamente rimesso e perdonato. Inoltre, tutte le trasgressioni arrecate in occasione della detta discordia, tra la Pasqua del sedicesimo anno del nostro regno, alla restaurazione della pace, a religiosi e laici, per quanto ci compete, abbiamo pienamente condonato. Inoltre abbiamo fatto fare per essi delle 1ettere patenti per testimonianza, del signore Stefano, arcivescovo di Canterbury, del signore Enrico, arcivescovo di Dublino, dei predetti vescovi e maestro Pandolfo, per la sicurezza di questa e delle concessioni predette.

63. Per queste ragioni desideriamo e fermamente ordiniamo che la Chiesa d'Inghilterra sia libera e che i nostri sudditi abbiano e conservino tutte le predette libertà, diritti e concessioni, bene e pacificamente, liberamente e quietamente, pienamente e integralmente per se stessi e per i loro eredi, da noi e dai nostri eredi, in ogni cosa e luogo, in perpetuo, come è stato detto sopra.

Abbiamo giurato, sia da parte nostra sia da parte dei baroni, che tutto ciò che abbiamo detto sopra in buona fede e senza cattive intenzioni sarà osservato in buona fede e senza inganno. Ne sono testimoni le summenzionate persone e molti altri.

Dato per nostra mano nel prato chiamato Runnymede, tra Windsor e Staines, il quindicesimo giorno di Giugno, diciassettesimo anno del nostro regno.

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