
Dopo qualche anno, invero, la beata Chiara, piegandosi all'insistenza di san Francesco, accettò il governo del monastero e delle sorelle. Questa fu l'albero alto, proteso verso il cielo, dai rami dilatati, che nel campo della Chiesa produsse soavi frutti di religione, e alla cui ombra piacevole e amena molte seguaci accorsero da ogni parte, e tuttora accorrono per gustarne i frutti. Questa fu la nuova donna della valle Spoletana, che aprì una novella sorgente di acqua vitale ristoro e beneficio delle anime, la quale, già diramatasi per vari ruscelli nel territorio della Chiesa, rese prospero il vivaio della religione. Questa fu l'eccelso candelabro di sanctità, che rigulge vividamente nel tabernacolo del Signore; al cui grande splendore accorsero, attratte, e tuttora accorrono moltissime, per accendere a quel lume le loro lampade. Questa, per vero, piantò nel campo della fede e coltivò la vigna della povertà, dalla quale si raccolgono pingui e copiosi frutti di salvezza. Questa, nel territorio della Chiesa, coltivò il giardino dell'umiltà, adorno di ogni specie di povertà, nel quale fiorisce in abbondanza ogni virtù. Questa fabbricò nella cittadella della religione una rocca di rigorosa astinenza, in cui si dispensa larga refezione di alimento spirituale. Questa fu la prima dei poveri, la guida degli umili, la maestra dei casti, l'abbadessa delle penitenti. Questa governò il suo monastero e la famiglia a lei affidata con ogni sollecitudine e prudenza, nel timore e nel servizio del Signore e secondo la perfetta osservanza dell'Ordine.
Vigilante nel dovere, premurosa nell'adempimento del servizio a lei affidato, cauta nelle esortazioni, caritatevole nell'ammonire; nel correggere moderata, temperata nel comando, ammirevole per compassione, discreta nel tacere, assenata nel parlare e accorta in tutto quanto concerne il saggio governo; desiderosa più di servire che di comandare, e di onorare le altre, più che di essere onorata. La sua vita era per le altre ammaestramento e scuola di sapienza. In questo libro di vita, tutte le altre appresero la loro regola di vita, in questo specchi di vita, tutte videro riflesso il sentiero della vita. Col corpo, infatti, era pellegrina sulla terra, ma con lo spirito dimorava in cielo; fu vasello di umiltà, arca di castità, fuoco di carità, dolcezza di bontà, fortezza di pazienza, mediatrice di pace e comunione d'amicizia: mite nelle parole, dolce nell'azione e in tutto amabile e gradita. Affinché, franto il corpo, diventasse più forte lo spirito - poiché ciascuno, appunto, diventa più forte quando èindebolito il suo nemico - aveva per letto la terra nuda e qualche volta dei sarmenti, e per guanciale un duro legno sotto il capo; era contenta di un'unica tonaca con un mantello di vile, rozzo ed ispido panno grossolano: e mentre con così umili vesti copriva il suo corpo, sulla nuda carne si cingeva talora di un aspro cilicio intrecciato con cordicelle di crine di cavallo. Parca nel cibo e sobria nel bere, a tale austerità giungeva la sua astinenza, che per lungo tempo in tre giorni della settimana, cioè il lunedì, il mercoledì e il venerdì non prendeva affatto alcun cibo a sostegno del corpo, e nondimeno negli altri giorni a tal punto si riduceva la quantità di alimento, che le altre si meravigliavano di come potesse reggersi con un rigore di tale genere. Assidua inoltre nelle veglie e intenta alla preghiera, in questo soprattutto spendeva la maggior parte del giorno e della notte. Travagliata, infine, da prolungate malattie, così che non le era dato di levarsi da se stessa per le occupazioni manuali, si faceva sollevare con l'aiuto delle sue sorelle e, sorretta alle spalle da appositi sostegni, lavorava con le sue mani così da non stare oziosa neppure nell'infermità-Onde di quella tela di lino, frutto del suo amoroso lavoro, fece fare molti corporali per il sacrificio dell'altare e li fece distribuire per diverse chiese nella piana e per i monti di Assisi. Fu soprattutto, però, un'innamorata e un'indefessa seguace della povertà; e tanto fissò al suo cuore questa virtù, tanto fu avvinta dal desiderio di possederla, che amandola sempre fermamente e sempre più ardendo nell'abbracciarla, mai si scostò per nessuna ragione dalla sua stretta e piacevole unione. E mai da alcuno, in nessun modo, poté essere persuasa ad acconsentire che il suo monastero possedesse qualche proprietà: quantunque papa Gregorio, di felice memoria, nostro predecessore, volendo fosse intenzionato a dotarlo di possessioni sufficienti ed adeguate al sostentamento delle sorelle. E per vero, poiché una luce grande e fulgida non può rimanere occultata senza irradiare chiarore, così anche durante la sua vita la potenza della sua santità rifulse in molti e svariati miracoli. Infatti, ad una delle sorelle del suo monastero restituì la voce, che aveva perso quasi completamente da lungo tempo; ad un'altra, priva del tutto dell'uso della lingua, rese sciolta la parola. Ad un'altra riaprì all'udito un orecchio affetto da sordità. Conun semplice segno di croce, ne risanò un'altra dalla febbre; un'altra enfiata per idropisia; un'altra ancora piagata da fistola e molte altre oppresse da diversi mali. E guarì un frate dell'Ordine dei Minori affetto da pazzia. Una volta, poi, essendo venuto a mancare completamente in monastero l'olio, ella, fatto chiamare il frate che era addetto a questuare elemosine per il monastero, prese un orciolo e, dopo averlo lavato, lo collocò vuoto accanto alla porta del monastero, perché il frate lo portasse con sé per questuare l'olio. Ma, allorché tale frate andò per prenderlo, lo trovò colmo di olio, elargito per grazia della carità divina. E ancora, non essendovi un altro giorno in tutto il monastero se non mezzo pane per il pasto delle sorelle, comandò che quel mezzo pane fosse tagliato a pezzettini e dispensato alle sorelle.
Ma colui che è il pane vivo e provvede il cibo agli affamati, lo moltiplicò in modo tale fra le mani di colei che lo sminuzzava, che ne furono fatte cinquanta abbondanti porzioni e vennero dispensate alle sorelle già assise a mensa. Per questi ed altri stupendi miracoli, manifestò, ancora vivente, l'eccellenza dei suoi meriti. Mentre poi si trovava agli estremi, fu visto entrare nel luogo dove la serva di Cristo giaceva, un luminoso stuolo di beate vergini, adorne di corone splendenti, tra le quali una appariva più maestosa e più bella delle altre. Esse avanzarono fino al lettuccio di lei, e attorniandola, le prestarono quasi sollievo di visitatrici e conforto di consolazione, con premurosa cura. Dopo la sua morte, poi, fu condotto al suo sepolcro un malato di mal caduco, che non poteva camminare da sé per la contrazione di una gamba: e, lì davanti, la sua gamba risuonò fragorosamente, ed egli fu guarito dall'una e dall'altra infermità. Si videro persone incurvate nella schiena, rattrappite per malattia, pazzi furiosi in preda ad eccessi di demenza, riacquistare al sepolcro di lei perfetta sanità. Un tale che, per un grave colpo aveva perduto l'uso della mano destra, a tal punto che, resa del tutto inutile, non la poteva adoperare in alcun modo, per i meriti della Santa riacquistò completa sanità, riottenendo la sua mano come era prima. Un altro, che aveva perso al vista ed era da lungo tempo cieco, venuto al medesimo sepolcro accompagnato da un altro, vi ricuperò la vista e se ne ritornò senza bisogno di guida. Per questi e per moltissimi altri fatti e meravigliosi miracoli, questa beata vergine diffuse luminoso chiarore, così che in lei si vide evidentemente avverata quella profezia che sua madre udì, a quanto dice, mentre pregava gravida di lei: che cioè avrebbe partorito una luce tale da rischiarare grandemente l'universo.
Gioisca, dunque, la madre Chiesa, per aver generato ed educato una tale figlia, la quale, come madre feconda di tutte le virtù, generò alla religione, con la virtù dei suoi esempi, un gran numero di discepole, e con il suo compiuto ammaestramento, le formò al perfetto servizio di Cristo. Ne gioisca anche la turba devota dei fedeli, perché il Re e Signore dei cieli ha introdotto con tanta gloria nel suo eccelso e splendente palazzo la loro sorella e compagna, che Egli si era eletta per sua sposa. Così come giubilano in festa le schiere dei santi, celebrandosi nella loro celeste patri Le Nozze novelle della sposa del Re. Ora, poiché è conveniente che una vergine da Dio esaltata in cielo, sia venerata in terra dalla Chiesa universale, e poiché, dopo diligente ed attenta inquisizione e rigoroso esame e premessa una solenne discussione, non ci sono dubbi a riguardo della santità della sua vita e sui suoi miracoli; benché siano ormai assai note anche altrimenti, nelle vicine e lontane regioni, le sue chiare gesta, Noi, di comune consiglio e assenso di tutti i nostri Fratelli e prelati, che si trovano attualmente presso la Sede Apostolica, confidando nell'onnipotenza divina, con l'autorità dei beati Pietro e Paolo Apostoli e Nostra, abbiamo ritenuto di doverla iscrivere nel catalogo delle sante vergini. Pertanto, avvertiamo voi tutti ed espressamente vi esortiamo, ingiungendovelo tramite queste lettere apostoliche, di celebrare con ogni devozione e solennità la festa di questa vergine, il 12 di agosto , e di farla celebrare con la medesima devozione dai vostri fedeli, onde possiate meritare di averla presso Dio per vostra buona e sollecita protettrice. E affinché la moltitudine del popolo cristiano accorra al suo venerabile sepolcro con più ardore e in maggior numero, e la sua festa sia celebrata con maggiore concorso di popolo, Noi, per la misericordia di Dio onnipotente e confidando nell'autorità dei beati Pietro e Paolo Apostoli, accordiamo annualmente l'indulgenza di un anno e quaranta giorni a tutti coloro che, veramente contriti e confessati, si recheranno con devozione ed umiltà al sepolcro di questa vergine, nel giorno della sua festa o anche entro l'ottava, per chiedere la sua protezione.
Dato ad Anagni, il 26 settembre, nell'anno primo del nostro pontificato.
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