Questo Vangelo è scritto in latino ed è datato intorno al VIII-IX secolo e viene, anche, chiamato Vangelo dell'infanzia di Matteo. Tale testo latino è molto diverso dal precedente latino di Girolamo (342-420) che lo ha tradotto dall'originale testo aramaico. Sembra che il Vangelo dello Pseudo Matteo sia in realtà un adattamento del Protovangelo di Giacomo e del Vangelo dell'Infanzia di Tommaso, datate intorno al II secolo.
In quei giorni c’era a Gerusalemme un uomo di nome Gioacchino, della tribù di Giuda.
Pascolava le sue pecore e temeva il Signore con semplicità e bontà.
All’infuori dei suoi greggi non aveva altre preoccupazioni; da essi nutriva tutti i timorati di Dio, e offriva il doppio a coloro che lo servivano faticando nella dottrina.
Degli agnelli, delle pecore, della lana e di tutte le altre cose che possedeva, egli faceva tre parti: una parte la dava agli orfani, alle vedove, ai pellegrini e ai poveri; la seconda parte la dava alle persone consacrate al culto di Dio; la terza parte la riservava per sé e per casa sua.
Mentre egli così agiva, il Signore gli moltiplicava i greggi, sicché nel popolo d’Israele non c’era uomo come lui.
Aveva iniziato a comportarsi così dall’età di quindici anni.
A vent’anni, prese in moglie Anna, figlia di Achar della sua tribù, cioè della Tribù di Giuda, della stirpe di Davide.
Ma, pur avendo convissuto con lei per vent’anni, da lei non ebbe figli, né figlie.
E avvenne che nei giorni festivi, tra quanti offrivano incenso al Signore, si trovasse pure Gioacchino a preparare le sue offerte alla presenza del Signore.
Un sacerdote di nome Ruben, avvicinatosi, gli disse: “Non ti è lecito stare tra quelli che offrono sacrifici a Dio, poiché Dio non ti ha benedetto dandoti una discendenza in Israele”.
Pieno di vergogna davanti al popolo si allontanò piangendo dal tempio del Signore; e non ritornò a casa, ma si recò dalle sue bestie portando con sé, nei monti, i pastori in una terra lontana; e così per cinque mesi Anna, sua moglie, non poté avere sue notizie.
Essa piangendo nella sua preghiera diceva: “Signore, Dio santissimo di Israele, non mi hai dato figli, e perché mi hai tolto il marito?
Ecco che sono già due mesi che non vedo mio marito.
Non so neppure se è morto!
Se lo sapessi morto gli darei la sepoltura”.
Mentre piangeva abbondantemente, entrò nell’orto di casa sua, si prostrò in preghiera, e innalzò suppliche davanti al Signore.
Poi, levatasi dalla preghiera, alzò gli occhi a Dio e vide un nido di passeri su di un albero di alloro; sospirando, levò una voce al Signore dicendo: “Signore Dio onnipotente che hai dato figli a ogni creatura, alle bestie e ai giumenti, agli animali domestici, agli uccelli e ai pesci, e tutti gioiscono dei loro figli, solo me hai escluso dal dono della tua bontà.
Tu Dio conosci il mio cuore e sai che all’inizio del mio matrimonio ho fatto voto che, qualora tu, Dio, mi avessi dato un figlio o una figlia, te li avrei offerti nel tuo tempio santo”.
Mentre diceva queste cose, improvvisamente le apparve davanti un angelo del Signore, dicendo: “Non temere, Anna, poiché la tua discendenza è nel consiglio di Dio: infatti ciò che nascerà da te, susciterà l’ammirazione per tutti i secoli fino alla fine”.
Ciò detto, si allontanò dai suoi occhi.
Tremante e timorosa per aver visto questa visione e udito il discorso, entrò in camera, si gettò sul letto mezza morta e rimase giorno e notte in gran timore e in preghiera.
Chiamò poi la sua ragazza e le disse: “Tu mi vedi delusa e angosciata per la vedovanza, e non hai voluto venire da me?”.
Con un leggero sussurro lei rispose: “Se Dio ti ha chiuso l’utero e ha tolto da te il marito, che cosa ti posso fare io?”.
Udito questo, Anna emise un grido e pianse.
Nello stesso tempo, mentre Gioacchino era sui monti ove pasceva i suoi greggi, gli apparve un giovane e gli disse: “Perché non ritorni da tua moglie?”.
Rispose: “L’ho avuta per vent’anni e Dio non mi volle concedere figli da lei.
Io quindi, dopo che questo mi fu rinfacciato, mi allontanai dal tempio del Signore con grande vergogna.
Perché dovrei ritornare da lei, una volta che sono stato respinto e disprezzato?
Resterò qui con le mie pecore fino a quando il Dio di questo mondo mi vorrà concedere la luce.
Per mezzo dei miei servi darò generosamente ai poveri, agli orfani, e alle persone addette al culto di Dio”.
Allorché egli finì di parlare, il giovane gli rispose: “Io sono un angelo di Dio e oggi sono apparso a tua moglie piangente e orante, e l’ho consolata; sappi che dal tuo seme concepì una figlia e tu l’hai lasciata ignorandola.
Questa starà nel tempio di Dio; su di lei riposerà lo Spirito santo; la sua beatitudine sarà superiore a quella di tutte le donne sante; nessuno potrà dire che prima di lei ce ne sia stata un’altra uguale: e in questo mondo, dopo di lei un’altra non ci sarà.
Discendi perciò dai monti, ritorna dalla tua sposa e troverai che è in stato interessante. Dio infatti ha suscitato in lei un seme, del quale devi ringraziarlo.
Il suo seme sarà benedetto, e lei stessa sarà benedetta e sarà costituita madre di una benedizione eterna”.
Dopo avere adorato l’angelo, Gioacchino gli disse: “Se ho trovato grazia davanti a te, siediti un po’ nella mia tenda e benedici il tuo servo”.
L’angelo gli rispose: “Non dirti servo, ma conservo; siamo infatti servi di uno stesso Signore.
Ma il mio cibo è invisibile e la mia bevanda non può essere vista da alcun mortale. Perciò non mi devi pregare di entrare nella tua tenda.
Se hai intenzione di darmi qualcosa, offrila in olocausto al Signore”.
Gioacchino prese allora un agnello immacolato e disse all’angelo: “Non avrei osato offrire un olocausto al Signore se il tuo ordine non mi avesse dato il potere sacerdotale per offrirlo”.
L’angelo gli rispose: “Non ti avrei invitato ad offrire, se non avessi conosciuto la volontà del Signore”. Mentre Gioacchino offriva il sacrificio a Dio, salirono in cielo sia l’angelo sia il profumo del sacrificio.
Allora Gioacchino cadde bocconi, e rimase in preghiera dall’ora sesta fino alla sera.
I servi e i mercenari che erano con lui, vedendolo e ignorando il motivo per cui giaceva, pensavano che fosse morto; si avvicinarono a lui, a stento lo sollevarono da terra.
Dopo che narrò ad essi la visione angelica, spinti da grande timore e ammirazione lo esortarono affinché, senza indugio, portasse a compimento la visione dell’angelo tornando prontamente alla sua moglie.
Mentre Gioacchino soppesava in cuor suo se ritornare o meno, fu preso da un sopore e vide in sogno l’angelo, che gli era apparso quand’era sveglio, e che gli disse: “Io sono l’angelo che Dio ti ha dato per custode: discendi sicuro e ritorna da Anna, poiché le opere di misericordia che avete fatto tu e tua moglie Anna sono state riferite al cospetto dell’Altissimo.
Dio darà a voi un frutto che fin dall’inizio non ebbero mai i profeti né mai avrà santo alcuno”.
Destatosi dal sonno, Gioacchino chiamò a sé tutti i servi e mercenari e indicò loro il suo sogno.
Essi adorarono il Signore e gli dissero: “Guarda di non trascurare oltre le parole dell’angelo. Piuttosto alzati, partiamo di qui e ritorniamo lentamente facendo pascolare i greggi”.
Dopo che da trenta giorni erano in cammino per ritornare e ormai vicini all’arrivo, l’angelo del Signore apparve ad Anna mentre se ne stava ritta in preghiera, e le disse: “Va ora alla porta che è detta Aurea, fatti incontro a tuo marito, oggi infatti verrà da te”.
Svelta essa gli corse incontro con le sue ragazze e, supplicando il Signore, restò in lunga attesa presso la porta.
Quando ormai per la prolungata attesa lei stava venendo meno, alzò gli occhi e vide lontano Gioacchino che veniva con le bestie.
Gli corse incontro, si appese al suo collo rendendo grazie a Dio e dicendo: “Ero vedova ed ecco non lo sono più; ero sterile ed ecco ho già concepito”.
Quindi dopo avere adorato il Signore, entrarono. A questa notizia, grande fu la gioia di tutti i suoi vicini e amici, sicché tutta la terra d’Israele si rallegrò di questa notizia.
Natività e infanzia di Maria
Passati nove mesi, Anna partorì una figlia e la chiamò Maria.
Al terzo anno, dopo averla svezzata, Gioacchino e Anna sua moglie andarono insieme al tempio del Signore per offrire a Dio dei sacrifici e affidarono la bimbetta di nome Maria al collegio delle vergini; qui le vergini restavano giorno e notte nelle lodi a Dio.
Giunta davanti alla facciata del tempio, Maria salì velocemente i quindici gradini senza neppure voltarsi indietro né, come fanno i bambini, darsi pensiero dei genitori.
Perciò i genitori si affrettarono entrambi stupiti e cercarono la bambina fino a quando la trovarono nel tempio.
Anche i pontefici del tempio si erano meravigliati.
Allora Anna, ripiena di Spirito Santo, alla presenza di tutti disse: “Il Signore, Dio degli eserciti, ricordatosi della sua parola, ha visitato il suo popolo con una visita buona e santa per rendere umili i loro cuori e rivolgerli a sé.
Ha aperto le sue orecchie alle nostre preghiere e ha allontanato da noi la gioia di tutti i nostri nemici.
La sterile è diventata madre e ha partorito l’esultanza e la gioia di Israele.
Ecco i doni da offrire al mio Signore; i miei nemici non hanno potuto vietarmelo.
Dio volse il loro cuore verso di me e mi ha dato un gaudio sempiterno”.
Maria destava l’ammirazione di tutto il popolo di Israele.
All’età di tre anni, camminava con un passo così maturo, parlava in un modo così perfetto, si applicava alle lodi di Dio così assiduamente che tutti ne restavano stupiti e si meravigliavano di lei.
Essa non era considerata una bambina, ma una persona adulta; era tanto assidua nella preghiera, che sembrava una persona di trent’anni.
Il suo volto era così grazioso e splendente che a stento la si poteva guardare.
Era assidua nel lavoro della lana; e nella sua tenera età, spiegava quanto donne anziane non riuscivano a capire.
Si era imposta questo regolamento: dalla mattina sino all’ora terza attendeva alla preghiera; dall’ora terza alla nona si occupava nel lavoro tessile; dalla nona in poi attendeva nuovamente alla preghiera.
Non desisteva dalla preghiera fino a quando non le appariva l’angelo di Dio, dalla cui mano prendeva cibo: così sempre più e sempre meglio progrediva nel servizio di Dio.
Inoltre, mentre le vergini più anziane si riposavano dalle lodi divine, essa non si riposava mai, al punto che nelle lodi e nelle vigilie non c’era alcuna prima di lei, nessuna più istruita nella conoscenza della Legge, nessuna più umile nell’umiltà, più aggraziata nei canti, più perfetta in ogni virtù.
Era costante, salda, immutabile e progrediva in meglio ogni giorno.
Nessuno la vide adirata né l’udì maledire.
Ogni suo parlare era così pieno di grazia che si capiva come sulle sue labbra c’era Dio.
Assidua nella preghiera e nella meditazione della Legge, nel parlare era attenta a non mancare verso le compagne.
Vigilava inoltre a non mancare in alcun modo con il riso, con il tono della bella voce, con qualche ingiuria, con alterigia verso una sua pari.
Benediceva Dio senza posa, e per non desistere dalle lodi a Dio neppure nel suo saluto, quando era salutata rispondeva: “Deo gratias”.
Quotidianamente si nutriva soltanto con il cibo che riceveva dalla mano dell’angelo; il cibo che le davano i pontefici lo distribuiva ai poveri.
Frequentemente si vedevano gli angeli di Dio parlare con lei e obbedirle diligentemente.
Se qualche malata la toccava, nello stesso istante se ne tornava a casa salva.
Il sacerdote Abiatar presentò ai pontefici un numero infinito di doni per prenderla come sposa di suo figlio.
Maria li respinse dicendo: “Non può essere che io conosca un uomo o che un uomo conosca me”. I pontefici e tutti i suoi parenti le dicevano: “Dio si venera nei figli e si adora nei discendenti, come è sempre stato in Israele”. Maria tuttavia rispondeva dicendo: “Dio si venera nella castità come risulta provato dall’inizio. Prima di Abele infatti tra gli uomini non vi fu alcun giusto ed egli piacque a Dio a motivo delle offerte e fu spietatamente ucciso da colui che a lui non era piaciuto. Ricevette dunque due corone, quella dell’offerta e quella della verginità non avendo mai ammesso una macchia sulla sua carne. Elia invece, essendo in carne, fu assunto in carne, poiché aveva custodito vergine la sua carne. Io poi dalla mia infanzia, nel tempio di Dio, ho appreso che la verginità può essere assai gradita a Dio. E poiché posso offrire qualcosa di gradito a Dio, in cuor mio ho stabilito di non conoscere assolutamente uomo”.
Maria va sposa a Giuseppe
Avvenne che al quattordicesimo anno di età, i farisei ebbero l’occasione di fare rilevare come, per consuetudine, una donna di quell’età non poteva più restare nel tempio.
Fu presa allora la decisione di inviare un banditore di tutte le tribù di Israele, affinché, nel giorno terzo, tutti si radunassero nel tempio del Signore.
Quanto tutto il popolo fu radunato, si alzò il pontefice Abiatar e salì sul gradino più alto per essere udito e veduto da tutto il popolo.
Fattosi un gran silenzio, disse: “Figli di Israele uditemi, prestate orecchio alle mie parole.
Da quando questo tempio fu edificato da Salomone, in esso ci sono state figlie vergini di re e figlie di profeti, di sommi sacerdoti e di pontefici: sono cresciute grandi e ammirevoli.
Ma giunte all’età legale hanno preso marito seguendo la consuetudine di quelle che le avevano precedute, e sono piaciute a Dio.
Soltanto Maria ha trovato un modo nuovo di vivere promettendo a Dio di mantenersi vergine.
Mi pare dunque che per mezzo di una nostra domanda e della risposta di Dio potremmo conoscere a chi dobbiamo affidarne la custodia”.
Questo discorso piacque a tutta l’adunanza.
E dai sacerdoti si gettò la sorte sopra le dodici tribù e la sorte cadde sulla tribù di Giuda.
Il sacerdote allora disse: “Chiunque non ha moglie, venga domani e porti in mano un bastone”.
Avvenne così che Giuseppe, insieme ai giovani, portò un bastone.
Dettero i loro bastoni al sommo pontefice, questi offrì un sacrificio al Signore Dio e lo interrogò.
Il Signore gli rispose: “Introduci i bastoni di tutti nel santo dei santi; i bastoni restino lì.
Ordina poi loro che vengano da te domani a riprendere i loro bastoni; dalla cima di un bastone uscirà una colomba e volerà in cielo.
Maria sarà data in custodia a colui nella cui mano il bastone restituito darà questo segno”.
Il giorno dopo tutti giunsero assai presto.
Il pontefice, compiuta l’offerta dell’incenso, entrò nel santo dei santi e trasse fuori i bastoni.
Distribuitili tutti, da nessun bastone uscì la colomba.
Il pontefice si rivestì allora con i dodici campanelli e con la veste sacerdotale, entrò nel santo dei santi, accese il sacrificio ed elevò preghiere.
Apparve l’angelo del Signore e gli disse: “C’è qui un bastone piccolissimo, del quale tu non hai fatto caso alcuno, l’hai messo con gli altri, ma non l’hai tirato fuori con essi. Quando l’avrai tirato fuori e dato a colui al quale appartiene, in esso si avvererà il segno del quale ti ho parlato”.
Quello era il bastone di Giuseppe il quale, essendo vecchio, era avvilito di non poterla prendere; perciò neppure lui voleva ricercare il suo bastone.
Mentre se ne stava umile e ultimo, il pontefice con voce chiara gli gridò: “Giuseppe, vieni e prendi il tuo bastone, tu infatti sei atteso”.
Giuseppe, spaventato che il sommo sacerdote lo chiamasse con tanto clamore, si accostò.
Non appena tese la mano e ricevette il bastone, dalla cima uscì fuori una colomba più bianca della neve e straordinariamente bella: dopo avere volato a lungo per le sommità del tempio, si lanciò verso il cielo.
Tutto il popolo allora si congratulò con il vecchio, dicendo: “Nella tua vecchiaia sei stato fatto beato, o padre Giuseppe, tanto che Dio ti ha indicato degno di ricevere Maria”.
Quando i sacerdoti gli dissero: “Prendila! In tutta la tribù di Giuda, infatti, tu solo sei stato scelto da Dio”, Giuseppe prese a venerarli con vergogna, dicendo: “Sono vecchio e ho figli, perché mi affidate questa bimbetta la cui età è inferiore a quella dei miei nipoti?”.
Allora, il sommo pontefice Abiatar gli disse: “Ricordati, Giuseppe, che Datan, Abiron, e Core morirono perché disprezzarono la volontà di Dio.
Così accadrà pure a te se disprezzerai quanto ti è ordinato da Dio”.
Giuseppe gli rispose: “Io non disprezzo la volontà di Dio, sarò custode fino a quando saprò, secondo la volontà di Dio, quale dei miei figli la potrà avere in moglie.
Le si diano alcune vergini tra le sue compagne, con le quali frattanto possa passare il tempo”.
Il pontefice Abiatar rispose: “Per passare il tempo, le saranno date cinque vergini fino al giorno stabilito nel quale la prenderai: non potrà, infatti, unirsi ad altri in matrimonio”.
Allora Giuseppe prese Maria con le cinque vergini che dovevano restare con lei nella casa di Giuseppe.
Queste vergini erano: Rebecca, Sefora, Susanna, Abigea e Cael.
Il pontefice diede ad esse seta, giacinto, bisso, scarlatto, porpora e lino.
Tra esse, trassero a sorte che cosa ognuna doveva fare: a Maria toccò la porpora per il velo del tempio del Signore.
Quando la prese, le altre vergini le dissero: “Essendo tu l’ultima, umile e più piccola di tutte hai meritato di ottenere la porpora”.
Così dicendo, quasi per gioco, iniziarono a chiamarla regina delle vergini.
Mentre tra di loro facevano questo, apparve in mezzo a loro l’angelo del Signore e disse: “Questa espressione non sarà un gioco, bensì l’espressione di una verissima profezia”.
Spaventate dalla presenza dell’angelo e dalle sue parole, la pregarono di perdonarle e pregare per loro.
Annunciazione - Maria incinta
Il giorno dopo, mentre Maria era alla fontana a riempire la brocca, le apparve un angelo del Signore, che le disse: “Sei beata, o Maria, poiché nel tuo utero hai preparato una abitazione per il Signore. Ecco che dal cielo verrà la luce e abiterà in te e, per mezzo tuo, risplenderà in tutto il mondo”.
Di nuovo, il terzo giorno, mentre con le sue dita lavorava la porpora, entrò da lei un giovane di inesprimibile bellezza.
Vedendolo, Maria ebbe paura e tremò.
Ma egli le disse: “Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno”.
All’udire ciò, tremò ed ebbe paura.
Allora l’angelo del Signore proseguì: “Non temere, o Maria.
Hai trovato grazia presso Dio: ecco che concepirai nell’utero e genererai un re che riempie non soltanto la terra, ma anche il cielo, e regna nei secoli dei secoli”.
Mentre accadevano queste cose, Giuseppe era intento alla edificazione di padiglioni nelle regioni vicino al mare; era, infatti, falegname.
Dopo nove mesi ritornò a casa sua e trovò Maria incinta.
Profondamente angustiato tremò e esclamò dicendo: “Signore Dio, prendi il mio spirito. Per me, infatti, è meglio morire che vivere”.
Le vergini che erano con Maria gli dissero: “Che dici, signor Giuseppe?
Noi sappiamo che nessun uomo l’ha toccata, noi siamo testimoni che in lei restano purezza e integrità.
Noi abbiamo vigilato su di lei: rimase sempre con noi nella preghiera; angeli di Dio parlano quotidianamente con lei; ogni giorno ha ricevuto il cibo dalla mano del Signore.
Non sappiamo come in lei ci possa essere un qualche peccato.
Se vuoi che ti confessiamo il nostro sospetto, non altri la rese incinta se non l’angelo del Signore”.
Rispose Giuseppe: “Perché mi lusingate affinché io creda che l’angelo del Signore l’ha ingravidata?
Può essere che qualcuno l’abbia ingannata fingendosi angelo del Signore”.
Così dicendo piangeva, e aggiunse: “Con qual fronte oserò guardare il tempio del Signore, e con quale faccia vedrò i sacerdoti di Dio? Che farò io?”. Così dicendo pensava di fuggire o allontanarla.
Mentre pensava di allontanarsi, di nascondersi e di abitare in luoghi deserti, nella notte gli apparve in sogno un angelo del Signore, e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua moglie: infatti, quanto è nel suo utero, proviene dallo Spirito santo.
Partorirà un figlio e il suo nome sarà Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Giuseppe, alzatosi dal sonno, rese grazie a Dio e narrò la sua visione.
Si rallegrò a proposito di Maria, dicendo: “Ho peccato nutrendo dei sospetti a tuo riguardo”.
L’acqua della gelosia
Dopo di questo si diffuse la notizia della gravidanza di Maria.
Giuseppe allora fu preso dagli inservienti del tempio e con Maria fu condotto al pontefice che, insieme con i sacerdoti, prese a rimproverarlo, dicendo: “Perché hai ingannato una vergine così eccelsa, che fu nutrita dagli angeli di Dio nel tempio, che mai volle vedere o avere un uomo, che aveva un’istruzione ottima nella Legge di Dio?
Se tu non le avessi usato violenza, ella sarebbe rimasta nella sua verginità”.
Giuseppe assicurò, con giuramento, che non l’aveva mai neppure toccata.
Il pontefice Abiatar gli rispose: “Quant’è vero Dio, ti farò portare ora l’acqua della bevanda del Signore, e subito si svelerà il tuo peccato”.
Si radunò allora una grande moltitudine di popolo, e Maria fu condotta al tempio.
Sacerdoti, affini e parenti, piangevano dicendo a Maria: “Confessa ai sacerdoti il tuo peccato.
Tu infatti eri come una colomba nel tempio di Dio, e ricevevi il cibo dalla mano di un angelo”.
Di nuovo Giuseppe fu chiamato all’altare e gli fu data l’acqua della bevanda del Signore: se un bugiardo l’avesse gustata, dopo avere compiuto sette giri attorno all’altare, avrebbe ricevuto da Dio un qualche segno sulla faccia.
Giuseppe dunque bevette sicuro, compì i sette giri attorno all’altare, e in lui non apparve alcun segno di peccato.
Allora tutti i sacerdoti, gli inservienti e la folla lo dichiararono giusto, esclamando: “Sei stato beatificato perché in te non fu trovata colpa alcuna”.
Chiamarono poi Maria e le dissero: “E tu che scusa puoi avere?
Qual segno può apparire in te che sia maggiore della gravidanza del tuo ventre? Questa ti tradisce.
Poiché Giuseppe è puro a tuo riguardo, a te domandiamo che confessi chi è colui che ti ha tradito.
Poiché è meglio che tu lo sveli con la tua confessione piuttosto che l’ira di Dio ti manifesti infedele in mezzo al popolo imprimendo un segno sulla tua faccia”.
Maria allora, intrepida, disse con fermezza: “Signore Dio, re di tutti, tu conosci i segreti: se in me vi è qualche macchia o peccato, concupiscenza o impudicizia, manifestalo al cospetto di tutti i popoli affinché per tutti io diventi esempio di emendazione”.
Così dicendo si appressò fiduciosa all’altare del Signore, bevve l’acqua della bevanda, fece sette giri intorno all’altare, e in lei non apparve macchia alcuna.
Il popolo era fuori di sé dallo stupore: vedeva il ventre gravido e non scorgeva alcun segno sulla di lei faccia; incominciò allora un subbuglio e un parlare vario e concitato.
Alcuni dicevano: è santa e immacolata; altri invece: è cattiva e contaminata.
Maria allora vedendosi sospettata dal popolo e ritenuta non totalmente esente da colpa, disse a voce chiara per essere sentita da tutti: “ Quant’è vero che vive il Signore Adonai, Signore degli eserciti, davanti al quale sto, io non ho mai conosciuto uomo; sono invece conosciuta da colui al quale ho consacrato la mia mente dall’età della mia infanzia.
Dalla mia infanzia ho fatto a Dio il voto di restare integra per colui che mi ha creato.
Io ho fiducia di vivere solo per lui, e di servire solo lui.
Fino a quando vivrò, rimarrò in lui senza alcuna macchia”.
Tutti allora presero a baciare i suoi piedi e ad abbracciare le sue ginocchia, supplicandola di perdonare i loro cattivi sospetti.
La folla, i sacerdoti e tutte le vergini la condussero a casa sua con esultanza e gioia grande, gridando e dicendo: “Sia benedetto il nome del Signore nei secoli, poiché ha manifestato la tua santità a tutto il suo popolo Israele”.
Nascita di Gesù
Dopo un certo periodo accadde che si facesse un censimento a motivo di un editto di Cesare Augusto, e tutta la terra si fece iscrivere, ognuno nella sua patria.
Questo censimento fu fatto dal preside della Siria, Cirino.
Fu dunque necessario che Giuseppe, con Maria, si facesse iscrivere a Betlemme, poiché Giuseppe e Maria erano di qui, della tribù di Giuda e della casata di Davide.
Mentre Giuseppe e Maria camminavano lungo la strada che conduce a Betlemme, Maria disse a Giuseppe: “Vedo davanti a me due popoli, uno piange e l’altro è contento”.
Giuseppe le rispose: “Stattene seduta sul tuo giumento e non dire parole superflue”.
Apparve poi davanti a loro un bel giovane vestito di abito bianco, e disse a Giuseppe: “Perché hai detto che erano parole superflue quelle dette da Maria a proposito dei due popoli?
Vide infatti il popolo giudaico piangere, essendosi allontanato dal suo Dio, e il popolo pagano gioire, perché oramai si è accostato e avvicinato al Signore, secondo quanto aveva promesso ai padri nostri Abramo, Isacco, e Giacobbe: di fatti, è giunto il tempo nel quale, nella discendenza di Abramo, è concessa la benedizione a tutte le genti”.
Ciò detto, l’angelo ordinò di fermare il giumento, essendo giunto il tempo di partorire; comandò poi alla beata Maria di scendere dall’animale e di entrare in una grotta sotto una caverna nella quale non entrava mai la luce ma c’erano sempre tenebre, non potendo ricevere la luce del giorno.
Allorché la beata Maria entrò in essa, tutta si illuminò di splendore quasi fosse l’ora sesta del giorno.
La luce divina illuminò la grotta in modo tale che né di giorno né di notte, fino a quando vi rimase la beata Maria, la luce non mancò.
Qui generò un maschio, circondata dagli angeli mentre nasceva.
Quando nacque stette ritto sui suoi piedi, ed essi lo adorarono dicendo: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Era infatti giunta la nascita del Signore, e Giuseppe era andato alla ricerca di ostetriche.
Trovatele, ritornò alla grotta e trovò Maria con il bambino che aveva generato. Giuseppe disse alla beata Maria: “Ti ho condotto le ostetriche Zelomi e Salomè, rimaste davanti all’ingresso della grotta non osando entrare qui a motivo del grande splendore”. A queste parole la beata Maria sorrise. Giuseppe le disse: “Non sorridere, ma sii prudente, lasciati visitare affinché vedano se, per caso, tu abbia bisogno di qualche cura”. Allora ordinò loro di entrare. Entrò Zelomi; Salome non entrò. Zelomi disse a Maria: “Permettimi di toccarti”. Dopo che lei si lasciò esaminare, l’ostetrica esclamò a gran voce dicendo: “Signore, Signore grande, abbi pietà. Mai si è udito né mai si è sospettato che le mammelle possano essere piene di latte perché è nato un maschio, e la madre sia rimasta vergine. Sul neonato non vi à alcuna macchia di sangue e la partoriente non ha sentito dolore alcuno. Ha concepito vergine, vergine ha generato e vergine è rimasta”.
All’udire questa voce, Salomè disse: “Permetti che ti tocchi e sperimenti se è vero quanto disse Zelomi”.
Dopo che la beata Maria concesse di lasciarsi toccare, Salomè mise la sua mano.
Ma quando ritrasse la mano che aveva toccato, la mano inaridì e per il grande dolore incominciò a piangere e ad angustiarsi disperatamente gridando: “Signore Dio, tu sai che io ti ho temuto sempre, e ho curato i poveri senza ricompensa, non ho mai preso nulla dalle vedove e dall’orfano, e il bisognoso non l’ho mai lasciato andare via da me a mani vuote.
Ma ora eccomi diventata miserabile a motivo della mia incredulità, perché volli, senza motivo, provare la tua vergine”.
Mentre così parlava apparve a fianco di lei un giovane di grande splendore, e le disse: “Avvicinati al bambino, adoralo, toccalo con la tua mano ed egli ti salverà: egli infatti è il Salvatore del mondo e di tutti coloro che in lui sperano”.
Subito lei si avvicinò al bambino e, adorandolo, toccò un lembo dei panni nei quali era avvolto, e subito la sua mano guarì.
Uscendo fuori incominciò a gridare le cose mirabili che aveva visto e sperimentato, e come era stata guarita; molti credettero a causa della sua predicazione.
Anche i pastori di pecore asserivano di avere visto degli angeli che, nel cuore della notte, cantavano un inno, lodavano il Dio del cielo e dicevano che era nato il Salvatore di tutti, che è Cristo Signore, nel quale sarà ridata la salvezza a Israele.
Una enorme stella splendeva dalla sera al mattino sopra la grotta; così grande non si era mai vista dalla creazione del mondo.
I profeti che erano a Gerusalemme dicevano che questa stella segnalava la nascita di Cristo, che avrebbe realizzato la promessa fatta non solo a Israele, ma anche a tutte le genti.
Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l’asino l’adorarono.
Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia, con le parole: “Il bue riconobbe il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suo signore”. Gli stessi animali, il bue e l’asino, lo avevano in mezzo a loro e lo adoravano di continuo.
Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Abacuc, con le parole: “Ti farai conoscere in mezzo a due animali”.
Giuseppe con Maria, rimase nello stesso luogo per tre giorni.
Il sesto giorno entrarono in Betlemme, dove passarono il giorno settimo.
L’ottavo giorno circoncisero il bambino e gli diedero nome “Gesù”, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito.
Terminati i giorni della purificazione di Maria, secondo la Legge di Mosè, Giuseppe condusse il bambino al tempio del Signore.
Quando il bambino ricevette la “peritomè” (peritomo significa circoncisione), offrirono un paio di tortore o due piccini di colombe.
Nel tempio c’era un certo uomo di Dio, perfetto e giusto, di nome Simeone, di anni centododici.
Questi aveva ricevuto da Dio la promessa che non avrebbe gustato la morte senza avere prima visto, vivo in carne, il Cristo figlio di Dio.
Visto il bambino, egli esclamò a gran voce: “Dio visitò il suo popolo, e il Signore adempì la sua promessa”.
E subito l’adorò.
Dopo lo prese nel suo mantello e baciando i suoi piedi, disse: “Ora, o Signore, lascia andare in pace il tuo servo poiché i miei occhi videro la tua salvezza che hai preparato al cospetto di tutti i popoli, luce per illuminare le genti, e gloria del tuo popolo, Israele”.
Nel tempio c’era pure la profetessa di nome Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Aser, che aveva vissuto con suo marito sette anni dalla sua verginità: ed era vedova già da ottantaquattro anni.
Non si era mai allontanata dal tempio del Signore, ed era dedita a digiuni e preghiere.
Anche lei adorò il bambino affermando che in lui c’è la redenzione del mondo.
I Magi e la fuga in Egitto
Trascorso il secondo anno, dei magi vennero dall’Oriente a Gerusalemme portando grandi doni.
E subito interrogarono i Giudei, dicendo: “Dov’è il re che vi è nato?
In Oriente infatti abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Questa voce giunse al re Erode e lo spaventò così tanto che radunò scribi, farisei e dottori del popolo per interrogarli dove, secondo i profeti, sarebbe nato Cristo.
Essi risposero: “In Betlemme di Giuda.
Sta scritto infatti: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più piccola tra i principi di Giuda.
Da te, invero, nascerà il duce che reggerà il mio popolo Israele”“.
Erode allora convocò i magi presso di sé e da loro indagò diligentemente quando era apparsa ad essi la stella
Mandandoli poi in Betlemme, disse: “Andate e informatevi diligentemente sul bambino.
Quando lo troverete, fatemelo sapere affinché anch’io venga ad adorarlo”.
Mentre i magi se ne andavano, per la strada apparve loro la stella che, precedendoli fino a quando giunsero ove era il bambino, fu quasi la loro guida.
Vedendo la stella, i magi si rallegrarono con grande gioia e, entrati nella casa, trovarono il bambino Gesù seduto sul grembo di sua madre.
Aprirono allora i loro tesori e regalarono grandi doni alla beata Maria e a Giuseppe.
Al bambino poi offrirono ciascuno una moneta d’oro; così pure uno offrì oro, un altro incenso, il terzo mirra.
Volevano ritornare dal re Erode, ma in sonno furono avvertiti da un angelo di non ritornare da Erode. Per un’altra strada se ne ritornarono nella loro regione.
Erode, vedendo che era stato burlato dai magi, si gonfiò in cuor suo, e mandò per ogni strada volendo prenderli e ucciderli.
Non trovandoli, mandò nuovamente in Betlemme e in tutti i suoi confini a uccidere tutti i bambini che si trovavano dai due anni in giù, in base al tempo del quale era stato informato dai magi.
Un giorno prima che avvenisse questo, Giuseppe fu avvertito in sogno da un angelo del Signore che gli disse: “Prendi Maria e il bambino e va in Egitto per la via del deserto”.
Giuseppe, seguendo l’ordine dell’angelo, partì.
Prodigi nel viaggio e in Egitto
Giunti a una grotta vollero riposarsi.
La beata Maria discese dal giumento e, seduta, teneva il bambino Gesù sul suo grembo.
Con Giuseppe c’erano tre ragazzi e con Maria una ragazza che facevano la stessa strada.
Improvvisamente dalla grotta uscirono molti draghi: i ragazzi, vedendoli, furono presi da gran timore e gridarono.
Allora Gesù scese dal grembo di sua madre, stette dritto sui suoi piedi davanti ai draghi: essi però adorarono Gesù e poi se ne andarono via.
Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Davide, con le parole: dalla terra lodate il Signore, o draghi e abissi tutti.
Ma egli, il bambinello Gesù, camminando davanti ad essi, ordinò loro di non fare più male a nessuno.
Maria e Giuseppe temevano che il bambino fosse morso dai draghi; ma Gesù disse: “Non temete, e non pensate che io sia un bambino.
Io infatti sono sempre stato perfetto e lo sono tuttora: è necessario che davanti a me tutte le bestie selvatiche diventino mansuete”.
I leoni e i leopardi lo adoravano e si accompagnavano a loro nel deserto: ovunque andavano Giuseppe e Maria, li precedevano, mostrando la strada, chinando la loro testa; prestando loro servizio, facevano le feste con la coda e lo adoravano con grande riverenza.
La prima volta che Maria vide leoni, leopardi e altre specie di fiere venire attorno a loro si spaventò grandemente.
Guardandola in faccia con volto sereno, Gesù disse: “Mamma, non temere. Non vengono per farti del male, bensì si premurano di ossequiare te e me”.
Con queste parole allontanò il timore dal suo cuore.
I leoni camminavano con essi, con i buoi, gli asini e le bestie da soma che portavano le cose necessarie, e, pur restando insieme, non facevano male ad alcuno, ma rimanevano mansueti tra le pecore e i montoni che avevano condotto seco dalla Giudea e avevano con sé.
Camminavano tra i lupi e non avevano paura di nulla, e nessuno era molesto all’altro.
Si avverò allora quanto era stato detto dal profeta: i lupi pascoleranno con gli agnelli.
Il leone e il bue mangeranno insieme la paglia. C’erano infatti due buoi e un carro nel quale portavano le cose necessarie e lungo il cammino li guidavano i leoni.
Nel terzo giorno di viaggio, gli altri camminavano, ma la beata Maria stanca per il troppo calore del sole del deserto e vedendo un albero di palma disse a Giuseppe: “Mi riposerò alquanto all’ombra di quest’albero”. Giuseppe dunque la condusse premuroso dalla palma e la fece discendere dal giumento. Sedutasi, la beata Maria guardò la chioma della palma, la vide piena di frutti e disse a Giuseppe: “Desidererei, se possibile, prendere dei frutti di questa palma”. Giuseppe le rispose: “Mi meraviglio che tu dica questo, e che, vedendo quanto è alta questa palma, tu pensi di mangiare dei suoi frutti. Io penso piuttosto alla mancanza di acqua: è già venuta meno negli otri e non abbiamo onde rifocillare noi e i giumenti”.
Allora il bambino Gesù, che riposava con viso sereno sul grembo di sua madre, disse alla palma: “Albero, piega i tuoi rami e ristora mia mamma con il tuo frutto”. A queste parole, la palma piegò subito la sua chioma fino ai piedi della beata Maria; da essa raccolsero i frutti con i quali tutti si rifocillarono. Dopo che li ebbero raccolti tutti, la palma restava inclinata aspettando, per drizzarsi, il comando di colui al cui volere si era inclinata. Gesù allora le disse: “Palma, alzati, prendi forza e sii compagna dei miei alberi che sono nel paradiso di mio padre. Apri con le tue radici la vena di acqua che si è nascosta nella terra, affinché da essa fluiscano acque a nostra sazietà”. La palma subito si eresse, e dalla sua radice incominciò a scaturire una fonte di acque limpidissime oltremodo fresche e chiare. Vedendo l’acqua sorgiva si rallegrarono grandemente e si dissetarono con essi anche tutti i giumenti e le bestie.
Resero quindi grazie a Dio.
Il giorno dopo partirono di là.
Quando incominciarono il cammino, Gesù si rivolse alla palma e disse: “Palma, ti do il privilegio, che uno dei tuoi rami sia trasportato dai miei angeli e piantato nel paradiso di mio padre.
Ti conferisco la benedizione che a tutti coloro che lottano e vincono, si dica: sei giunto alla palma della vittoria”.
Mentre diceva questo, l’angelo del Signore apparve dritto sulla palma e, preso uno dei suoi rami, volò al cielo con il ramo in mano.
Ciò vedendo, tutti caddero con la faccia a terra e restarono come morti.
Gesù, rivolto a loro, disse: “Perché la paura ha afferrato il vostro cuore?
Non sapete che la palma che io feci trasferire in paradiso, sarà nel luogo di delizie a disposizione di tutti gli uomini santi, come fu a disposizione nostra in questo luogo solitario?”.
Quelli, allora, tutti pieni di gioia, divennero forti, e si alzarono.
Dopo di questo, mentre erano in viaggio, Giuseppe disse a Gesù: “Signore, questo calore ci cuoce.
Se gradisci, seguiamo la strada lungo il mare affinché possiamo riposarci nelle città marittime”.
Gesù gli rispose: “Non temere, Giuseppe.
Io vi accorcerò la strada sicché, quanto cammino avreste percorso in trenta giorni, lo compirete in questo solo giorno”.
Mentre essi parlavano così, spinsero lo sguardo innanzi e incominciarono a vedere i monti dell’Egitto e le sue città.
Giunsero contenti ai confini di Ermopoli, ed entrarono in una città dell’Egitto chiamata Sotine.
E siccome in essa non vi era nessun conoscente al quale potessero chiedere ospitalità, entrarono in un tempio che era detto campidoglio d’Egitto.
In questo tempio vi erano trecentocinquantacinque idoli, ai quali ogni giorno erano tributati, in modo sacrilego, onori divini.
Gli Egiziani della stessa città entrarono nel campidoglio ove i sacerdoti presero ad ammonirli affinché ogni giorno, come era richiesto dall’onore divino, offrissero i loro sacrifici.
Ma avvenne che, entrata nel tempio la beatissima Maria con il bambino, tutti gli idoli si prostrarono a terra, sicché giacevano tutti con la faccia a terra completamente rovinati e spezzati, mostrando così che non erano proprio nulla.
Si compì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia: “Ecco, il Signore verrà su di una nube leggera, entrerà in Egitto e al suo cospetto saranno scosse tutte le opere manufatte degli Egiziani”.
La notizia fu riferita a Affrodisio, governatore di quella città, ed egli venne al tempio con tutto il suo esercito. Visto che Affrodisio era venuto al tempio con tutto il suo esercito, i pontefici pensavano che fosse venuto soltanto per vendicarsi contro coloro che erano stati causa della caduta degli idoli. Egli, invece, entrato nel tempio, visti tutti gli idoli giacere prostrati faccia a terra, si appressò alla beata Maria che portava il Signore sul suo grembo, l’adorò e disse a tutto il suo esercito e a tutti i suoi amici: “Se questi non fosse il dio dei nostri dèi, i nostri dèi non sarebbero caduti faccia a terra davanti a lui, né giacerebbero prostrati al suo cospetto. Noi tutti dunque se non faremo con maggiore attenzione ciò che vediamo fare dai nostri dèi, potremo incorrere nel pericolo della sua indignazione e andare tutti incontro alla morte, come accadde al faraone re d’Egitto il quale, non avendo creduto a numerosi prodigi, fu sommerso in mare con tutto il suo esercito”.
Tutto il popolo di quella città credette, allora, nel Signore Dio per mezzo di Gesù Cristo.
Ritorno dall’Egitto e primi prodigi. Non molto tempo dopo, un angelo disse a Giuseppe: “Ritorna nella tua terra di Giuda.
Coloro che cercavano la vita del fanciullo, sono morti”.
Dopo il ritorno di Gesù dall’Egitto, mentre era in Galilea, già al principio del quarto anno di età, un giorno di sabato giocava con dei fanciulli presso il letto del Giordano.
Gesù, sedutosi, fece sette laghetti di fango, dotò ciascuno di canaletti per mezzo dei quali, a un suo comando, portava acqua dal torrente al lago e di nuovo la riportava.
Uno di quei fanciulli, un figlio del diavolo, con animo invidioso, chiuse le imboccature dei canaletti che portavano acque nei laghetti e mandò all’aria quanto aveva fatto Gesù.
Allora Gesù gli disse: “Guai a te, figlio di morte, figlio di Satana. Osi tu distruggere quanto io ho compiuto?”.
Colui che aveva agito così, subito morì.
Alzarono allora la voce i genitori del morto contro Maria e Giuseppe; dicevano loro: “Vostro figlio ha maledetto il nostro figlio ed è morto”.
Giuseppe e Maria si recarono subito da Gesù a causa del tumulto dei genitori del ragazzo e dell’assembramento dei Giudei.
Giuseppe disse in segreto a Maria: “Io non oso parlargli. Ammoniscilo tu, dicendogli: perché hai suscitato contro di noi l’odio del popolo, e ci tocca sopportare l’odio molesto della gente?”.
Giunta da lui la madre lo pregò dicendo: “Signore mio, che ha fatto mai costui per morire?”.
Egli le rispose: “Era degno di morte, avendo mandato all’aria quanto io avevo fatto”.
La madre allora lo pregava, dicendo: “No, Signore mio, perché tutti insorgono contro di noi”.
Non volendo rattristare sua madre, con il suo piede destro egli toccò il sedere del morto dicendogli: “Alzati, figlio iniquo. Non sei degno, infatti, di entrare nella pace di mio padre, avendo tu mandato all’aria quanto io avevo fatto”.
Allora colui che era morto risuscitò e se ne andò.
E Gesù, attraverso un canaletto conduceva, al suo comando, le acque nei laghetti.
Accadde dopo che, alla vista di tutti, Gesù prese del fango dai laghetti che aveva fatto e con esso plasmò dodici passeri.
Quando Gesù fece questo era di sabato e con lui c’erano molti fanciulli.
Un giudeo, vedendolo fare questo, disse a Giuseppe: “Non vedi, Giuseppe, che il fanciullo Gesù compie di sabato ciò che non gli è lecito fare?
Con il fango, plasmò dodici passeri”.
Udito ciò, Giuseppe lo rimproverò, dicendo: “Perché fai di sabato cose che non ci è lecito fare?”.
Udendo le parole di Giuseppe e picchiando una mano contro l’altra, disse ai suoi passeri: “Volate!”.
E alla voce del suo comando presero a volare.
Mentre tutti erano lì e vedevano e udivano, disse agli uccelli: “Andate e volate per la terra e per tutto il mondo, e vivete!”.
I presenti vedendo tali prodigi, furono pieni di grande stupore.
Alcuni lo lodavano e l’ammiravano, ma altri lo biasimavano.
Certuni andarono dai principi dei sacerdoti e dai capi dei farisei e annunziarono loro come Gesù, figlio di Giuseppe, avesse compiuto grandi prodigi e miracoli davanti a tutto il popolo di Israele.
Ciò fu annunziato nelle dodici tribù di Israele.
Di nuovo avvenne che un figlio del sacerdote del tempio, Anna, giunse con Giuseppe; alla vista di tutti, tenendo in mano un bastone distrusse con rabbia i laghetti che Gesù aveva fatto con le sue mani e ne disperse l’acqua che vi aveva raccolta dal torrente.
Chiuse e distrusse gli stessi canaletti dai quali entrava l’acqua.
Ciò visto, Gesù disse a quel ragazzo che aveva mandato all’aria i suoi laghetti: “O pessimo rampollo di iniquità, figlio di morte, officina di Satana, il frutto del tuo seme sarà veramente senza forza, le tue radici senza umore, i tuoi rami aridi e sprovvisti di frutto”.
E alla vista di tutti, il ragazzo rimase stecchito e morì.
Giuseppe allora tremò, prese Gesù, se ne tornò a casa sua con lui.
Con lui c’era la madre.
Improvvisamente, dalla parte contraria, un altro ragazzo, anch’egli operaio di iniquità, si buttò di corsa sulla spalla di Gesù con l’intenzione di schernirlo o fargli del male, se avesse potuto. Gesù gli disse: “Che tu non possa tornare sano dalla via sulla quale cammini”.
E subito cadde e morì.
I genitori del morto, che avevano visto l’accaduto, esclamarono: “Donde è nato questo ragazzo?
E’ evidente che ogni parola che dice è vera e spesso si realizza prima ancora che la pronunci”.
I genitori del ragazzo si avvicinarono a Giuseppe e gli dissero: “Togli Gesù da questo luogo! Non può abitare con noi in questo comune. O, almeno, insegnagli a benedire e a non maledire”.
Giuseppe si avvicinò a Gesù e l’ammonì, dicendo: “Perché fai tali cose?
Sono già molti quelli che si lamentano di te; a causa tua ci odiano e sopportiamo, a causa tua, le molestie degli uomini”.
Gesù rispose a Giuseppe, dicendo: “Nessun figlio è saggio se non colui che è stato istruito da suo padre secondo la scienza di questo tempo, e la maledizione del padre nuoce soltanto a quelli che fanno del male”.
Si radunarono allora contro Gesù e lo accusarono presso Giuseppe.
Al vedere questo, Giuseppe fu oltremodo spaventato, temendo la violenza e la sedizione del popolo di Israele.
Ma in quel momento Gesù prese per l’orecchio il fanciullo morto, lo tenne sospeso da terra alla presenza di tutti, e videro Gesù parlare con lui come fa un padre con suo figlio.
Il suo spirito ritornò in lui ed egli rivisse.
E tutti ne furono stupiti.
Gesù a scuola
Un certo maestro giudeo di nome Zachia udì Gesù che pronunciava tali parole e, vedendo che in lui c’era una insuperabile conoscenza della virtù, ne rimase addolorato e incominciò a parlare contro Giuseppe in modo indiscreto, stolto, e senza timore.
Diceva: “Non vuoi tu affidare tuo figlio affinché sia istruito nella scienza umana e nel timore?
Vedo che tu e Maria amate vostro figlio più che le tradizioni degli anziani del popolo.
E’ infatti necessario che noi onoriamo maggiormente i sacerdoti di tutta la chiesa di Israele, e ci preoccupiamo che egli abbia amore verso i bambini, e sia da noi istruito nella dottrina giudaica”.
Giuseppe però gli rispose: “E chi è mai colui che può tenere e istruire questo bambino?
Se tu lo puoi tenere e istruire, noi non siamo contrari che tu l’istruisca in tutte quelle cose che tutti devono imparare”.
Udito quanto aveva detto Zachia, Gesù gli rispose: “I precetti della Legge, dei quali tu hai parlato poc’anzi e tutte le cose alle quali tu ti sei riferito bisogna che siano osservati da coloro che sono istruiti nelle scienze umane; ma io sono estraneo ai vostri tribunali, e non ho un padre carnale.
Tu che leggi la Legge e sei istruito, resta nella Legge; io invece ero prima della Legge.
Mentre tu ritieni di non avere alcun uguale nella dottrina, sarai istruito da me: nessun altro, infatti, può insegnare le cose alle quali tu hai fatto cenno; lo può soltanto colui che ne è degno.
Quando io sarò esaltato da terra, porrò fine a ogni menzione della vostra genealogia.
Tu non sai quando sei nato: io solo so quando siete nati e quanto tempo durerà la vostra vita sulla terra”.
Tutti coloro che udivano queste chiare parole, si stupivano e esclamavano: “Oh, oh, oh, questo è un mistero meravigliosamente grande e mirabile.
Non abbiamo mai udito cose simili.
Mai da alcun altro, né dai profeti, né dai farisei, né dagli scribi, è stato udito o detto qualcosa di simile.
Noi sappiamo dove è nato costui; e ancora non ha raggiunto i cinque anni: e come mai sa dire tali cose?”.
I farisei risposero: “Noi non abbiamo udito mai simili parole da un bambino della sua età”.
Gesù rispose loro: “Voi vi meravigliate che un bambino dica cose simili?
Perché dunque non credete a me per quelle cose di cui vi ho parlato?
Siccome vi ho detto che so quando siete nati, tutti vi meravigliate: vi dirò cose più grandi, e ne resterete ben più meravigliati.
Io vidi Abramo, che voi dite essere vostro padre, ho parlato con lui ed egli mi ha visto”.
Ciò udito, si tacquero e più nessuno di loro osava parlare.
Gesù disse loro: “Sono stato in mezzo a voi con i bambini, e non mi avete conosciuto.
Vi ho parlato come a persone sagge, e non avete distinto la mia voce perché siete minori di me, e di poca fede”.
Il maestro Zachia disse di nuovo a Giuseppe e a Maria: “Datemi il ragazzo e io l’affiderò al maestro Levi affinché gli insegni le lettere e lo istruisca”.
Allora Giuseppe e Maria, accarezzando Gesù, lo condussero a scuola affinché fosse istruito nelle lettere dal vecchio Levi.
Entrato che fu, Gesù taceva.
Il maestro Levi diceva a Gesù una lettera iniziando dalla prima, la lettera alef e gli diceva: “Rispondi!”.
Ma Gesù taceva e non rispondeva.
Il precettore Levi, adirato, prese una verga di storace e lo percosse sulla testa.
Ma Gesù disse al maestro Levi: “Perché mi percuoti?
Sappi che, in verità, io che sono percosso ammaestro colui che mi percuote assai più di quanto io possa essere ammaestrato.
Io, infatti, ti posso insegnare quelle cose che tu stesso dici.
Ma tutti costoro che parlano sono ciechi e ascoltano, come bronzo risonante o cembalo squillante, nei quali non ci sono quelle cose delle quali si intende il suono”.
Gesù soggiunse poi a Zachia: “Ogni lettera, dall’alef fino al tet, si distingue dalla disposizione.
Prima, dunque, tu dì che cos’è la tet, e io poi ti dirò che cos’è l’alef”.
Disse ancora loro Gesù: “Coloro che non conoscono l’alef, come possono insegnare la tet, ipocriti?
Dite prima che cosa è l’alef ed io poi vi crederò quando parlerete della bet”.
Gesù iniziò così a domandare i nomi delle singole lettere, e chiese: “Il maestro della Legge dica che cos’è la prima lettera, perché ha molti triangoli graduati, subacuti, divisi in mezzo, opposti, allungati, eretti, giacenti e in curva”.
All’udire questo, Levi restò stupefatto di una così molteplice disposizione dei nomi delle lettere.
Incominciò allora a gridare a quanti l’udivano, dicendo: “Come può vivere sulla terra costui?
lAl contrario, è degno di essere appeso a una grande croce.
Può, infatti, spegnere il fuoco ed eludere altri tormenti.
Ritengo che egli esisteva prima del cataclisma, ed è nato prima del diluvio.
Qual ventre mai l’ha portato? O quale madre l’ha generato? O quali mammelle l’hanno allattato?
Davanti a lui io fuggo, non potendo resistere alla parola della sua bocca, e il mio cuore resta stupito all’udire simili parole.
Credo che nessun uomo possa intendere la sua parola, a meno che Dio non sia con lui.
Proprio io, infelice, mi sono dato in balia delle sue derisioni.
Mentre pensavo di avere un discepolo, ho incontrato il mio maestro, che ignoravo.
Che dirò? Non riesco a sopportare le parole di questo ragazzo: fuggirò da questo comune, non riuscendo a comprendere queste cose.
Io, vecchio, sono stato vinto da un bambino, poiché non riesco a trovare né l’inizio né la fine delle cose che egli dice.
E’, invero, difficile, da soli, trovare il principio.
Non mento, asserendo che ai miei occhi, l’operare di questo ragazzo, gli inizi del suo parlare e gli scopi delle sue intenzioni non hanno nulla di comune con gli uomini.
Non so se questo è un mago o se è un dio; o, certamente, un angelo di Dio parla in lui.
Donde sia, donde venga, che ne sarà di lui, non lo so”.
Allora Gesù, con il volto sereno, sorrise di lui e disse con autorità a tutti i presenti figli di Israele in ascolto: “Gli infruttuosi fruttifichino, i ciechi vedano, gli zoppi camminino dritti, i poveri godano dei beni, e i morti rivivano affinché ciascuno ritorni al suo stato primitivo e resti in esso, questo è la radice della vita e della dolcezza perpetua”.
Dopo che il bambino Gesù ebbe così parlato, subito guarirono tutti coloro che erano caduti in maligne infermità.
E più non osavano dirgli qualcosa o ascoltarlo.
Altri prodigi di Gesù
Dopo ciò, Giuseppe e Maria se ne andarono con Gesù nella città di Nazaret: e lì egli restò con i suoi genitori.
Un giorno di sabato, Gesù giocava con dei bambini sulla terrazza di una casa, e avvenne che uno dei bambini gettò un altro dalla terrazza giù a terra, e questo morì.
I genitori del morto, non avendo visto la cosa, gridavano contro Giuseppe e Maria, dicendo: “Vostro figlio gettò per terra il nostro, ed è morto”.
Gesù taceva e non rispondeva nulla.
Giuseppe e Maria vennero di corsa da Gesù e sua madre lo supplicò, dicendo: “Signore mio, dimmi se sei stato tu a gettarlo per terra”.
Subito Gesù discese dalla terrazza per terra e chiamò il ragazzo per nome, Zenone.
E quello gli rispose: “Signore”.
Gli disse Gesù: “Sono forse stato io a buttarti giù per terra dalla terrazza?”.
E quegli rispose: “No, Signore”.
I genitori del ragazzo che era stato ucciso si meravigliarono, e in seguito a questo prodigio resero onore a Gesù.
Giuseppe e Maria con Gesù se ne andarono di là a Gerico.
Gesù aveva sei anni e sua madre lo mandò con una brocca ad attingere acqua alla fontana assieme a dei bambini.
E avvenne che, dopo avere attinto l’acqua, uno dei bambini gli diede una spinta e rovesciò la brocca rompendola.
Ma Gesù stese il mantello di cui si serviva, e raccolse nel mantello tanta acqua quanta ne conteneva la brocca, e la portò a sua madre.
A questa vista lei fu presa da meraviglia: meditava tra sé, e riponeva tutto in cuor suo.
Un giorno prese un po’ di grano dal granaio di sua madre e lo seminò in un campo: il grano nacque, crebbe e si moltiplicò in gran quantità; alla fine, egli stesso lo miet‚, ne raccolse i frutti, ne fece tre cori e li donò ai suoi molti discepoli.
C’è una strada che esce da Gerico e va verso il fiume Giordano ove passarono i figli di Israele: si dice che lì si sia fermata l’arca del testamento.
Gesù aveva otto anni, quando uscì da Gerico e andò verso il Giordano; lungo la strada, vicino alla riva del Giordano, c’era una caverna nella quale una leonessa nutriva i suoi piccoli, e perciò nessuno poteva camminare sicuro per quella strada.
Gesù, dunque, venendo da Gerico, sapeva che nella caverna c’era una leonessa con i suoi piccoli, tuttavia vi entrò alla presenza di tutti.
Appena i leoni videro Gesù, gli andarono incontro e l’adorarono; Gesù si pose a sedere nella caverna e i leoncelli correvano qua e là intorno ai suoi piedi, lo accarezzavano e scherzavano con lui.
I leoni più vecchi se ne stavano discosti a testa bassa, adorandolo e facendogli festa con la coda.
Allora il popolo che se ne stava discosto, non vedendo Gesù, disse: “Se costui, o i suoi genitori, non avesse compiuto dei peccati gravi non si sarebbe offerto ai leoni”.
Mentre il popolo pensava queste cose ed era in preda a grande timore, ecco che, al cospetto di tutti, Gesù uscì dalla caverna preceduto dai leoni mentre i leoncelli giocavano tra i suoi piedi.
I genitori di Gesù, a testa bassa, e un po’ discosti, se ne stavano ad osservare; anche il popolo, a causa dei leoni, se ne stava discosto, ma non osavano congiungersi ad essi.
Allora Gesù prese a dire al popolo: “Quanto le bestie sono migliori di voi!
Esse conoscono il loro Signore e lo glorificano mentre voi, uomini, che siete fatti a immagine e somiglianza di Dio, lo ignorate.
Le bestie mi riconoscono e si fanno mansuete gli uomini mi vedono e non mi riconoscono”.
Poi Gesù, sotto gli occhi di tutti, passò il Giordano con i leoni e l’acqua del Giordano si divise a destra e a sinistra.
Disse allora ai leoni, ma lo sentirono tutti: “Andate in pace e non fate male a nessuno; ma anche l’uomo non vi rechi molestia fino a che siate ritornati là donde siete usciti”.
Essi lo salutarono non soltanto con la voce, ma anche con il corpo, e poi se ne andarono nei loro luoghi.
E Gesù se ne ritornò da sua madre.
Giuseppe, essendo falegname, faceva attrezzi di legno, gioghi per buoi, aratri, strumenti per smuovere la terra e adatti alle colture, letti di legno, e un giorno andò da lui un giovane che gli commissionò un letto di sei cubiti.
Giuseppe ordinò al suo garzone di tagliare il legno con una sega di ferro, secondo la misura comandata.
Ma questi non seguì in tutto la misura prescritta, e fece una parte del legno più corta dell’altra.
Giuseppe, tutto impensierito, incominciò a escogitare che cosa gli conveniva fare.
Quando Gesù lo vide così impensierito, poiché la cosa fatta gli pareva irrimediabile, gli rivolse una parola consolatoria: “Vieni, disse, teniamo i capi delle assi, accostiamole insieme capo con capo, e pareggiamole tirandole verso di noi: così potremo renderle uguali”.
Giuseppe obbedì a colui che comandava: sapeva che egli poteva fare tutto quello che voleva.
Giuseppe prese i capi delle assi e le appoggiò a un muro, presso di sé; Gesù tenne i due capi opposti di quelle assi, e tirò a sé l’asse più corta, uguagliandola all’asse più lunga. Poi disse a Giuseppe: “Ora vai a lavorare, e fai quanto avevi promesso di fare”.
Giuseppe fece quanto aveva promesso.
Gesù a scuola
Avvenne che, per la seconda volta, Giuseppe e Maria furono pregati dal popolo affinché mandassero Gesù a scuola per istruirsi nelle lettere. Essi assecondarono questo invito e, secondo il precetto dei vecchi, lo condussero da un maestro affinché lo istruisse nella scienza umana.
Il maestro iniziò con autorità ad ammaestrarlo dicendo: “Dì alfa”.
Gesù però gli rispose: “Tu dimmi prima che cos’è beta ed io ti dirò che cos’è alfa”.
Irato da questo, il maestro percosse Gesù, ma poco dopo averlo percosso morì.
E Gesù se ne ritornò a casa da sua madre.
Giuseppe si intimorì e chiamò a sé Maria; le disse: “Sono veramente triste per questo ragazzo fino a morirne.
Può, infatti, accadere che un giorno o l’altro qualcuno lo percuota maliziosamente ed egli muoia”.
Maria gli rispose: “Non pensare, uomo di Dio, che ciò possa avvenire.
Ritieni anzi per certo che colui che lo ha mandato a nascere tra gli uomini, lo custodirà da ogni malignità e, nel suo nome, lo preserverà dal male”.
I Giudei, per la terza volta, supplicarono Maria e Giuseppe di condurlo, con le loro carrozze, a studiare da un altro maestro.
Temendo il popolo, l’insolenza dei principi e le minacce dei sacerdoti, Giuseppe e Maria lo condussero nuovamente a scuola, pur sapendo che non poteva imparare alcunché dagli uomini colui che solo da Dio aveva una scienza perfetta.
Entrato nella scuola, Gesù, sotto la guida dello Spirito santo, dalla mano del maestro che stava insegnando la Legge davanti a tutto il popolo che vedeva e udiva, prese il libro e incominciò a leggere non già quanto era scritto nel loro libro, ma a parlare nello spirito del Dio vivo come se da una viva sorgente sgorgasse un torrente di acqua e la sorgente restasse sempre piena.
Insegnava al popolo le grandezze del Dio vivo con tale forza che lo stesso maestro cadde a terra e lo adorò.
Il cuore del popolo che era seduto là e l’aveva udito dire tali cose fu preso dallo stupore.
Giuseppe, udito tutto questo, corse da Gesù nel timore che morisse lo stesso maestro; ma appena lo vide, il maestro gli disse: “Tu non mi hai dato un discepolo, ma un maestro: chi può resistere alle sue parole?”.
Si compì allora quanto era stato detto dal salmista: “Il fiume di Dio fu ripieno di acqua.
Hai preparato il loro cibo, poiché tale è la sua preparazione”.
Dopo di ciò, Giuseppe se ne andò via di là insieme a Maria e Gesù per recarsi alla marittima Cafarnao, a causa della malizia degli uomini suoi avversari.
Mentre Gesù abitava a Cafarnao, nella città c’era un uomo molto ricco, di nome Giuseppe; a motivo di una sua persistente malattia, egli morì sul suo letto.
Gesù, avendo uditi i lamenti, i pianti e le grida elevate dalla gente sul morto, disse a Giuseppe: “Perché non offri l’aiuto della tua bontà a costui che ha lo stesso tuo nome?”.
Giuseppe rispose: “Che potere e che facoltà ho io da offrire bontà a costui?”.
Gesù allora gli rispose: “Prendi il fazzoletto del tuo capo, va a porlo sulla faccia del morto e digli: “Cristo ti salvi!”.
E subito il defunto sarà salvo e si alzerà dal suo letto”.
Udito ciò, Giuseppe, al comando di Gesù, andò subito correndo, entrò in casa del defunto, prese il fazzoletto che aveva sul suo capo e lo pose sulla faccia di colui che giaceva sul letto, dicendogli: “Ti salvi Gesù!”.
E subito il morto si levò da letto e domandò chi fosse Gesù.
E da Cafarnao se ne andarono nella città di Betlemme: Giuseppe era a casa sua con Maria, e Gesù con loro.
Un giorno Giuseppe chiamò a sé il suo figlio primogenito, Giacomo, e lo mandò nell’orto della verdura a raccogliere legumi per preparare una pietanza.
Gesù seguì suo fratello Giacomo nell’orto, senza che Giuseppe e Maria se ne accorgessero.
Mentre Giacomo raccoglieva legumi, da un buco uscì una vipera e morse una mano di Giacomo, che per l’atroce dolore si mise a urlare.
Stava svenendo, e diceva con voce amara: “Ahi, ahi, una vipera infame mi ha morso la mano”.
Gesù, che se ne stava dalla parte opposta, all’udire quella voce amara corse da Giacomo, gli prese la mano, e non fece altro che soffiarvi sopra, e la rinfrescò: subito Giacomo guarì, il serpente invece morì.
Giuseppe e Maria ignoravano quanto era avvenuto; ma al grido di Giacomo e al comando di Gesù corsero nell’orto e trovarono il serpente già morto e Giacomo guarito bene.
Gesù in famiglia
Quando Giuseppe andava a un convito con i suoi figli Giacomo, Giuseppe, Giuda, Simone e le sue due figlie, ci andavano pure Gesù e Maria, sua madre, con sua sorella Maria di Cleofa - data dal Signore Dio a suo padre Cleofa e a sua madre Anna perché avevano offerto al Signore Maria, madre di Gesù -: questa Maria fu chiamata con lo stesso nome “Maria”, a conforto dei genitori.
Quando erano insieme, Gesù li santificava e benediceva, ed egli era il primo che cominciava a mangiare e a bere.
Nessuno di loro osava, infatti, mangiare o bere, sedere alla mensa o spezzare il pane, fino a quando egli non avesse fatto ciò per primo, santificandoli.
Se, per caso, era assente, aspettavano fino a quando lo facesse.
Quando poi egli non voleva prendere cibo, se ne astenevano anche Giuseppe, Maria e i suoi fratelli, i figli di Giuseppe. Questi fratelli, avendo davanti ai loro occhi la sua vita, come un faro luminoso, lo rispettavano e lo temevano.
Quando Gesù dormiva, fosse di giorno o di notte, lo splendore di Dio splendeva su di lui.
Al quale sia ogni lode e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
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