Nascondere il Nazareno nei panni di un giovane Apollo era utilissimo per scongiurare la denuncia e la persecuzione, inoltre aiutava i cristiani venuti dal paganesimo a prendere confidenza con l’idea di un uomo che era anche divino. Ma se alla fine questo stratagemma avesse magari tratto in inganno molti fedeli, privandoli così della salvezza? Questo ovviamente non andava permesso. Quando la pratica di ritrarre Gesù come un giovane Apollo o un Mitra vittorioso si fece comunemente diffusa, e i tratti del Nazareno divennero un po’ troppo immateriali, gli intellettuali cristiani più illuminati capirono che bisognava reagire. L’opinione di Clemente Alessandrino, Eusebio ed Epifanio non era stata l’unica e l’idea che ci fosse qualcosa di buono, anzi molto importante nei ritratti di Cristo, aveva trovato non solo il favore della gente comune ma anche il sostegno di un grande teologo: Atanasio vescovo di Alessandria (295-373 d.C.). I tempi però non erano ancora maturi, e alla fine il forte ascendente politico di Eusebio sull’imperatore Costantino determinò la sua vittoria. Atanasio credeva che fare ritratti somiglianti di Cristo, anzi più somiglianti possibile, fosse un atto meritorio: non era un’interpretazione sua, ma derivava proprio dal dettato stesso dei vangeli. Nel mistero dell’Incarnazione il Verbo si fa carne, e sceglie di dimorare in mezzo agli uomini: dunque è normale che gli uomini lo vedano, interagiscano con Lui, ed abbiano magari il bisogno di conservarne una memoria concreta, di sapere come fossero le sue esatte fattezze umane.
Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale
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