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mercoledì 21 maggio 2014

LA SCABROSA QUESTIONE DEL SANGUE


Gli attacchi al cuore dell’ideologia cristiana erano parte di una campagna varata dall’autorità imperiale, che giudicava il cristianesimo pericoloso per le sue idee di uguaglianza fra gli uomini (mentre l’impero romano era stato edificato sulla forza-lavoro degli schiavi) e perchè i cristiani avevano un atteggiamento critico verso il servizio militare, quindi venivano considerati dei disfattisti: in un tempo come quello, in cui l’impero doveva difendere i suoi confini dalla pressione dei popoli barbarici, Roma voleva esaltare un’ideologia completamente diversa. I dardi arroventati degli scrittori pagani come Celso procedevano di pari passo con le persecuzioni e le condanne a morte; né i primi né le altre sgominarono la fede della Chiesa primitiva, ma il senso di disagio provato da questi uomini verso l’immagine della croce lo intuiamo benissimo dal modo in cui gli stessi intellettuali più noti glissano elegantemente su di essa. Giustino Martire parla della croce nelle sue opere le la paragona al legno dell’Arca di Noè, all’albero della vita, al bastone con cui Mosè compì i prodigi dettati da Dio: tutte immagini bellissime e molto poetiche, ma nessuna di esse ha qualcosa a che vedere anche da lontano con uno strumento di tortura. Forse la testimonianza più forte di questo pensiero si ha però ancora negli scritti di Clemente Alessandrino. Secondo questo autore.
”il sangue del Signore è doppio: il sangue carnale, per mezzo del quale siamo stati riscattati dalla corruzione, e il sangue spirituale, con il quale siamo stati consacrati. Questo significa bere il sangue di Gesù: partecipare della incorruttibilità del Signore. La forza del Verbo è lo Spirito, come il sangue lo è della carne”.
Anche se non negava che il sangue sparso da Gesù nella Passione fosse servito a redimere gli uomini, Clemente sottolineava soprattutto la forza del “sangue spirituale” di Cristo, che va inteso come la sua parola e il suo insegnamento con cui i fedeli sono stati iniziati alla religione cristiana. Ma tale senso simbolico, interpretativo, non era presente nei vangeli: nessuno degli evangelisti aveva mai parlato di “sangue spirituale” di Gesù, descrivendo invece quello umano, reale, che purtroppo era stato versato a fiotti. Un altro passo di Clemente mostra questa linea di pensiero che dominava la cultura del suo tempo in modo ancora più chiaro. Commentando le parole di san Pietro nella sua Prima Lettera, al passo in cui l’apostolo parla del “sangue prezioso” di Cristo che si è offerto come un agnello senza macchia e con esso ha ricomprato gli uomini liberandoli dal male, Clemente interpreta tali parole in modo simbolico e non concreto: il “sangue prezioso” di Cristo rappresenta a suo giudizio non il vero sangue umano di Gesù bensì la sua anima pura, priva di peccato. Chissà se Simon Pietro, il vecchio pescatore di Galilea, sarebbe stato d’accordo? Bisogna aggiungere che molte persone erano diventate cristiane provenendo da antiche abitudini pagane, nelle quali si celebravano riti propri: i greci e i romani erano abituati ad offrire libagioni di vino agli dèi e anche alle anime dei defunti, e la benedizione di questo calice pieno di vino in ricordo dell’Ultima Cena poteva essere un gesto familiare per molti di loro, che ricordava i riti consueti dei loro antenati. Ma l’idea di dover bere un liquido che era stato e ridiventava sangue, anche se solo in senso Spirituale, per alcuni doveva apparire strana, persino scandalosa.

Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale

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