Nessuno dei vangeli parla di immagini rimaste impresse sui lini sepolcrali di Gesù, e non ci sono prove che il misterioso telo figurato di Anablatha fosse proprio la sindone oggi custodita a Torino. Nondimeno, questa testimonianza è ugualmente interessante: infatti l’oggetto sembrerebbe proprio una copia della sindone, o almeno una ricostruzione di come si supponeva essere il telo funebre di Gesù ritrovato dalle donne dentro il sepolcro vuoto. Era una ricostruzione che ne portava sopra l’immagine. Più tardi il vescovo Arculfo, sceso pellegrino in Terrasanta nell’anno 670, vide a Gerusalemme una ricostruzione del sudario di Cristo che era stata decorata a ricamo. Della sindone di Gesù del resto si parlava anche in vari vangeli apocrifi, scritti che non avevano un valore sacro ma venivano comunque apprezzati dai cristiani perchè rappresentavano leggende religiose, dove verità e fantasia si mischiavano insieme un po’ come sarebbe in un romanzo storico.
Secondo il testo detto Vangelo degli Ebrei, scritto in Palestina verso l’anno 150, Gesù risorto aveva affidato la sindone a un servo del sommo sacerdote; un altro scritto risalente nel suo nucleo antico al IV secolo, la Vita di santa Nino, indica la prima custode della sindone in Claudia Procula, la moglie di Ponzio Pilato che era rimasta molto toccata dalla morte di Gesù. L’idea che la prima custodia della sindone fosse passata per mani femminili in un certo senso collima con quanto sappiamo circa il mondo in cui visse, insegnò e morì Gesù. Le donne erano abituate a passare lunghi periodi in condizioni di impurità legale, e questo dipendeva dal flusso del sangue legato alla loro natura fisiologica: ogni ciclo mestruale era segnato da sette giorni di impurità, durante i quali vivevano in casa in isolamento per non contaminare i luoghi e gli altri. Lo stesso accadeva per ogni parto, dopo il quale il flusso naturale del puerperio le obbligava ad altri quaranta giorni di segregazione, prima che intervenisse a purificarle un rito speciale. Il tempo dell’impurità per le donne era dunque ricorrente e in un certo senso abituale. Un oggetto come la sindone, fortemente intriso di sangue, per una donna del mondo ebraico era senz’altro molto meno fastidioso e terribile che per un uomo.
Al di là del loro valore storico che è sempre intessuto di leggenda, gli scritti apocrifi dimostrano senza dubbio un fatto: della sindone di Gesù nei primi secoli si parlava. Se ne parlava e se ne scriveva anche, raccontandone o immaginandone la sorte. Sicuramente era un oggetto molto importante, per i cristiani; eppure tanti documenti mostrano che questo oggetto, se era custodito e venerato, doveva essere circondato dal segreto onde proteggerlo da concreti rischi di distruzione.
Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale
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