Il sovrano aveva anche ordinato ad Anania di ritrarre Gesù nella maniera più somigliante possibile, “per poterne vedere l’immagine, l’aspetto reale, i capelli e tutto il resto”. Anania raggiunse Gesù e gli consegnò la lettera, però non riuscì a rappresentare le sue fattezze in un dipinto. Allora Gesù, letto dentro il suo cuore, chiese di lavarsi: a questo punto, dice testualmente la fonte, “gli dettero un tetràdiplon, e dopo essersi lavato si asciugò il viso: essendo rimasta impressa in quella sindòn la sua immagine, Gesù la consegnò ad Anania.”
Anania la portò ad Abgar e quell’immagine ebbe il potere di guarirlo dalla sua malattia; qui finisce la digressione sull’immagine prodigiosa, poi il testo prosegue per un lungo brano tornando alla missione dell’apostolo Giuda Taddeo. La cosa più interessante è che l’autore anonimo di questo scritto ha creato un neologismo quando ha coniato l’aggettivo tetràdiplon, che significa “piegato in otto” (quattro volte doppio); e alcuni manoscritti portano la forma più completa ràkos tetràdiplon, che è di grande significato. Ràkos è una parola del greco antico ed ellenistico che indica un drappo vecchio, logoro, consunto e lacero: insomma, una specie di straccio; si usava anche per le persone piuttosto malandate, in espressioni che significavano “ridotto ad uno straccio”. La fonte da cui fu preso questo inserto finito nella Dottrina di Addai parlava dunque di un telo piuttosto lungo, che era stato piegato in otto, di fibra di lino (sindòn), e dall’aspetto piuttosto vecchio e consunto. Questo crea però una situazione singolare e paradossale: Gesù chiede di lavarsi il viso, e i suoi discepoli non hanno niente di meglio da dargli se non un vecchio panno consunto, per giunta logoro?
Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale
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