In linea con l’interpretazione agostiniana anche per la Demonologia altomedievale, e in particolare agli scritti di Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, Cassiano e soprattutto Gregorio Magno, il Male è una mancanza, privazione, volontaria. Rifacendosi ai testi biblici, Gregorio interpreta la sofferenza come risultato della caduta di un essere primordiale, Lucifero, ribelle alla volontà divina. E in analogia alla cacciata dall’Eden di Adamo e Eva, la caduta di Lucifero è conseguenza di un atto di orgoglio e invidia nei confronti di Dio. E’ il Diavolo che causa e giustifica la tendenza al peccato propria del genere umano. Essa è anche, però, il mezzo attraverso il quale Dio fortifica gli animi degli eletti. Gregorio definisce “interiorità” la tendenza ad avvicinarsi intimamente all’armonia divina, contrapposta all’ “esteriorità”, ovvero la tendenza al mondano e alla corporeità, che ci aliena dalla verità.
E il Diavolo è l’“alieno”, il diverso, per eccellenza, in quanto distante da Dio e dall’amore per sua stessa volontà. La sua esistenza è funzionale poiché se così non fosse, il male andrebbe imputato a Dio stesso. La riflessione demonologica proseguì nei secoli successivi col fiorire della teologia Scolastica, che eseguì un tentativo di approccio razionale all’analisi della Sacra Scrittura, attraverso il metodo logico-dialettico. Il fine della dialettica scolastica era quello di distinguere chiaramente tra verità ed errore, ortodossia ed eresia. Se al livello della rappresentazione popolare la figura demonica diventava sempre più vivida e vivace, nel campo della riflessione teologica andava sbiadendosi, trasformandosi sempre più in un’allegoria retorica o di propaganda. I primi germi di questa tendenza già li ritroviamo nel De casu Diaboli (1085-99) di Anselmo, arcivescovo di Canterbury, il quale portò avanti la riflessione sul tema del male facendolo coincidere con il concetto del “nulla”. La sua tesi di fondo e che il male in sé non esiste, ma esso è solamente privazione di bene. Ovviamente questa è una spiegazione che non risolve la domanda cruciale: perché esiste il male nel mondo? Il male è principio a sé stante o è frutto di un libero arbitrio? Nel primo caso la causa va attribuita, come quella di ogni altra cosa, a Dio. Nella seconda eventualità, invece, il Diavolo viene introdotto come responsabile del male prima di Adamo. Ma chi è il responsabile del male morale di Lucifero stesso? La Chiesa risolve la questione sollevando la divinità da ogni responsabilità: Dio è consapevole del male del Diavolo, non è una causa o principio preesistente, e Lucifero ha peccato semplicemente perché lo ha voluto, frutto di un atto di libero arbitrio. Verso la metà del XIII secolo Tommaso riprende e sviluppa questa concezione. Nel De Malo distingue concettualmente quattro categorie di Male:
E il Diavolo è l’“alieno”, il diverso, per eccellenza, in quanto distante da Dio e dall’amore per sua stessa volontà. La sua esistenza è funzionale poiché se così non fosse, il male andrebbe imputato a Dio stesso. La riflessione demonologica proseguì nei secoli successivi col fiorire della teologia Scolastica, che eseguì un tentativo di approccio razionale all’analisi della Sacra Scrittura, attraverso il metodo logico-dialettico. Il fine della dialettica scolastica era quello di distinguere chiaramente tra verità ed errore, ortodossia ed eresia. Se al livello della rappresentazione popolare la figura demonica diventava sempre più vivida e vivace, nel campo della riflessione teologica andava sbiadendosi, trasformandosi sempre più in un’allegoria retorica o di propaganda. I primi germi di questa tendenza già li ritroviamo nel De casu Diaboli (1085-99) di Anselmo, arcivescovo di Canterbury, il quale portò avanti la riflessione sul tema del male facendolo coincidere con il concetto del “nulla”. La sua tesi di fondo e che il male in sé non esiste, ma esso è solamente privazione di bene. Ovviamente questa è una spiegazione che non risolve la domanda cruciale: perché esiste il male nel mondo? Il male è principio a sé stante o è frutto di un libero arbitrio? Nel primo caso la causa va attribuita, come quella di ogni altra cosa, a Dio. Nella seconda eventualità, invece, il Diavolo viene introdotto come responsabile del male prima di Adamo. Ma chi è il responsabile del male morale di Lucifero stesso? La Chiesa risolve la questione sollevando la divinità da ogni responsabilità: Dio è consapevole del male del Diavolo, non è una causa o principio preesistente, e Lucifero ha peccato semplicemente perché lo ha voluto, frutto di un atto di libero arbitrio. Verso la metà del XIII secolo Tommaso riprende e sviluppa questa concezione. Nel De Malo distingue concettualmente quattro categorie di Male:
- il “male assoluto” (malum simpliciter), che considera una pura astrazione, dal momento che il male assoluto corrisponde al nulla assoluto
- il “male metafisico”, che considera un’ovvia conseguenza del fatto che gli esseri umani siano stati creati meno perfetti di Dio
- il “male come privazione”
- il “male come peccato morale”
Tommaso si interessa in particolare agli ultimi due concetti di male, quello di privazione e quello morale, dato che il male naturale lo ritiene come prezzo necessario per l’esistenza dell’universo (transitorietà e sofferenza sono parte di un disegno divino che la mente umana non è in grado di comprendere appieno). Per Tommaso il vero male è quello che deriva dalla scelta volontaria. Il “peccato” è, quindi, un atto di orgoglio, un tentativo di voler assomigliare a Dio e ritenere di essere padroni del proprio destino, desiderio e amore di sé al di sopra di ogni regola e ragione. Tommaso supera i pensatori precedenti poiché secondo lui è vero che il peccato è derivante dalla tentazione diabolica, ma se anche il Diavolo non esistesse l’uomo continuerebbe a peccare a causa delle passioni del corpo. Ovviamente il popolo, per la maggior parte illetterato, era estraneo a queste raffinate riflessioni teologiche. Veniva istruito tramite rappresentazioni popolari, come l’arte sacra, il racconto popolare, le fiabe e varie altre forme di tradizione orale. La rappresentazione del demonio, per risultare immediatamente comprensibile, veniva caricata di tinte forti, assolvendo a una doppia funzione: didattica e purificatoria. La raffigurazione del Diavolo, repellente e terrificante, che la Chiesa ammetteva negli edifici sacri, costituiva un deterrente ed un efficace mezzo di ricatto per controllare le pulsioni o i gruppi ritenuti socialmente pericolosi o eversivi. Ma era anche il capro espiatorio per eccellenza delle più varie tensioni sociali e forniva una valida giustificazione alle azioni commesse dal potere ecclesiastico ai danni di coloro che, per vari motivi, erano ritenuti in qualche modo devianti dall’ortodossia (eretici, streghe, e così via). Nell’immaginario collettivo e popolare, la figura del diavolo è un coacervo di influenze ed elementi propri delle tradizioni pagane precedenti: dalle antiche civiltà mediterranee alle saghe nordiche dei Celti e dei Germani. Tutto questo ha comportato, nell’iconografia medievale, una figura del diavolo spesso ambigua e discorde, un po’ addomesticata, ora rappresentato come gran Signore del Male, da temere e rispettare, ora come un buffone, da beffare e ingannare. Si ha, per così dire, un diavolo del “folklore”, un diavolo popolare, lontano dai rigorosi canoni della teologia, che degrada in una figura meno terribile della propaganda ecclesiastica, ora drago, ora mostro, oppure un caprone oggetto di venerazione nei sabba delle streghe. Non solo, ma nelle varie tradizioni folcloristiche, a differenza dell’impostazione teologica ufficiale e scolastica, non si ha una netta distinzione tra il Diavolo principe del male e i demoni suoi seguaci.
Articolo di Aldo Ciaralli. Non può essere nè modificato nè distribuito senza il consenso dell'autore
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