1. LA MATRICE CRISTIANA
L’eresia catara è l’eresia medievale per eccellenza. È l’eresia più importante e diffusa in tutto l’occidente cristiano ed è quella per cui è stata istituita l’inquisizione, frutto della reazione decisa da parte della Chiesa. Fu un ricco movimento, non sempre coerente ed uniforme, che attraversò un lungo spazio di tempo, a cui partecipò un’ampia fascia della società medievale. Contrariamente a quanto si è scritto, l’eresia catara dei secoli XI-XII non fu un risveglio dell’antica dottrina della gnosi, o del manicheismo, ma, pur dualista, rimase sempre nell’ambito del cristianesimo. La loro interpretazione dualistica niente, o poco, aveva del dualismo cosmogonico e metafisico dei manichei e della dottrina di Mani (nei testi catari che sono giunti fino a noi è assente ogni riferimento a testi o comunque a insegnamenti manichei).
Il loro era, piuttosto, un dualismo antropologico, dovuto ad una interpretazione particolare delle Scritture neotestamentarie, riferendosi specialmente alle lettere di S.Paolo e al Vangelo di Matteo, costantemente invocate dagli eretici come vere e proprie auctoritates, fonti d'ispirazione di tutta la loro dottrina morale e religiosa. Non a caso i Catari erano soliti chiamarsi Christiani o Boni Christiani (o anche Boni Homines), accettavano il Nuovo Testamento, e credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, rappresentati rispettivamente dal Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo Testamento e padre di Cristo, autore di tutte le cose buone ed eterne, e dal Dio malvagio, o Satana, responsabile delle cose visibili e transitorie. Alla base del loro rifiuto ad accettare i sacramenti, la resurrezione dei corpi, la validità dei suffragi,e dei giuramenti, e la facoltà della Chiesa di condannare e punire, era un’esegesi letterale del Nuovo Testamento e delle lettere paoline.Tra i passi maggiormente citati dai catari per suffragare le loro asserzioni e che spesso facevano parte del loro cerimoniale liturgico, citiamo «Nemo potest duobus dominis servire ... non potestis Deo servire et Mammonae» (Mt. VI, 24) e «Non potest arbor bona malos fructus fecere, neque arbor fiala bonos fructus facere» (Mt. VII, 18). Ricordiamo anche la parabola del buon samaritano, nella quale i «latrones» rappresentavano le potenze del male e il buon samaritano ovviamente Cristo. Ma possiamo anche menzionare le lettere di S.Paolo, adottate dai catari per evidenziare il peso opprimente della carne e del mondo terreno: «Scio enim quia non habitat in me, hoc est in carne mea, bonum» (Rom. VII, 18). A una precisa ispirazione evangelica e apostolica ci riporta anche la liturgia catara, soprattutto il rito del consolamentum, il più importante rito della chiesa catara, e il Pater noster, che costituiva per il cataro la preghiera per eccellenza e che, nella tradizione catara, troviamo preferita la variante «panem supersubstantialem» (del Vangelo di Mt. VI, 11) al posto del classico «panem quotidianum» del rito cattolico. Alla impositio manuum del rito battesimale del cristianesimo apostolico e tradizione liturgica dei primi secoli della Chiesa, caduto poi in disuso nei secoli successivi, si ricollega anche il rituale cataro del consolamentum. I catari che rifiutavano il battesimo d'acqua, amministrato da sacerdoti, ritenuti inadatti, per la loro indegnità, a conferire la grazia dello Spirito Santo, si rifacevano alla testimonianza evangelica relativa al battesimo di Giovanni: «io vi battezzo in acqua a penitenza, ma colui che verrà dopo di me, più potente di me e al quale non sono degno di legare i calzari, vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Interpretavano questo battesimo spirituale, o nello Spirito Santo, come l'autentico ed unico rito d'iniziazione evangelica, celebrato negli Atti degli Apostoli per mezzo della imposizione delle mani. Anche la condanna catara del matrimonio e degli atti carnali è desunta da passi noti neotestamentari e paolini: pensiamo, ad esempio, al testo di S.Paolo nel quale il matrimonio è sconsigliato, o è considerato come puro «remedium concupiscentiae», esaltando, per contro, l'ideale della continenza e della verginità.
Il loro era, piuttosto, un dualismo antropologico, dovuto ad una interpretazione particolare delle Scritture neotestamentarie, riferendosi specialmente alle lettere di S.Paolo e al Vangelo di Matteo, costantemente invocate dagli eretici come vere e proprie auctoritates, fonti d'ispirazione di tutta la loro dottrina morale e religiosa. Non a caso i Catari erano soliti chiamarsi Christiani o Boni Christiani (o anche Boni Homines), accettavano il Nuovo Testamento, e credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, rappresentati rispettivamente dal Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo Testamento e padre di Cristo, autore di tutte le cose buone ed eterne, e dal Dio malvagio, o Satana, responsabile delle cose visibili e transitorie. Alla base del loro rifiuto ad accettare i sacramenti, la resurrezione dei corpi, la validità dei suffragi,e dei giuramenti, e la facoltà della Chiesa di condannare e punire, era un’esegesi letterale del Nuovo Testamento e delle lettere paoline.Tra i passi maggiormente citati dai catari per suffragare le loro asserzioni e che spesso facevano parte del loro cerimoniale liturgico, citiamo «Nemo potest duobus dominis servire ... non potestis Deo servire et Mammonae» (Mt. VI, 24) e «Non potest arbor bona malos fructus fecere, neque arbor fiala bonos fructus facere» (Mt. VII, 18). Ricordiamo anche la parabola del buon samaritano, nella quale i «latrones» rappresentavano le potenze del male e il buon samaritano ovviamente Cristo. Ma possiamo anche menzionare le lettere di S.Paolo, adottate dai catari per evidenziare il peso opprimente della carne e del mondo terreno: «Scio enim quia non habitat in me, hoc est in carne mea, bonum» (Rom. VII, 18). A una precisa ispirazione evangelica e apostolica ci riporta anche la liturgia catara, soprattutto il rito del consolamentum, il più importante rito della chiesa catara, e il Pater noster, che costituiva per il cataro la preghiera per eccellenza e che, nella tradizione catara, troviamo preferita la variante «panem supersubstantialem» (del Vangelo di Mt. VI, 11) al posto del classico «panem quotidianum» del rito cattolico. Alla impositio manuum del rito battesimale del cristianesimo apostolico e tradizione liturgica dei primi secoli della Chiesa, caduto poi in disuso nei secoli successivi, si ricollega anche il rituale cataro del consolamentum. I catari che rifiutavano il battesimo d'acqua, amministrato da sacerdoti, ritenuti inadatti, per la loro indegnità, a conferire la grazia dello Spirito Santo, si rifacevano alla testimonianza evangelica relativa al battesimo di Giovanni: «io vi battezzo in acqua a penitenza, ma colui che verrà dopo di me, più potente di me e al quale non sono degno di legare i calzari, vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Interpretavano questo battesimo spirituale, o nello Spirito Santo, come l'autentico ed unico rito d'iniziazione evangelica, celebrato negli Atti degli Apostoli per mezzo della imposizione delle mani. Anche la condanna catara del matrimonio e degli atti carnali è desunta da passi noti neotestamentari e paolini: pensiamo, ad esempio, al testo di S.Paolo nel quale il matrimonio è sconsigliato, o è considerato come puro «remedium concupiscentiae», esaltando, per contro, l'ideale della continenza e della verginità.
2. LE ORIGINI
Le cronache di Rodolfo Glabro e di Ruggero di Hoveden e, specialmente, gli atti dei sinodi di Orléans e di Arras, parlano di un fiorire di movimenti ereticali in diverse località della Francia, dell'Italia e della Germania nella prima metà dell'XI secolo. Il cronista Ademaro di Chabannes parla per la prima volta dei «manichei» di Aquitania che negavano il battesimo e i sacramenti, astenendosi dai riti e vivendo in castità alla stregua dei monaci. Nel 1025, Gerardo, vescovo di Cambrai e di Arras (1013-1051) interrogò un gruppo di artigiani di Arras, che ripudiavano la Sacra Scrittura, ad eccezione dei Vangeli e degli scritti apostolici, e che manifestavano un disprezzo profondo per le cose del mondo. Non credevano nella salvezza mediante i sacramenti e propugnavano uno stile di vita semplice, casto ed austero. Professavano anche una decisa opposizione alla dottrina della presenza reale del Cristo nell’eucarestia e negavano anche il culto dei santi. Negli stessi anni, nel 1022, una decina di chierici della chiesa di Santa Croce ad Orléans furono accusati di dottrine manichee. Tra loro solo un prete ed una suora abiurarono, mentre gli altri (tra 10 e 14) furono bruciati sul rogo il 28 Dicembre dello stesso anno e questa fu la prima volta che si bruciavano in Occidente degli eretici sul rogo. Quelle giunte a noi sono testimonianze spesso contraddittorie e confuse e non ci permettono di avere una idea esatta sulle effettive interpretazioni di questi movimenti. Ma in qualche modo testimoniano che i primi germi dell’eresia catara stavano già sorgendo nei primi anni del secolo XI. Seguendo questa chiave interpretativa interessanti sono anche le dottrine introdotte dagli eretici di Monteforte che sono, infatti, tra i primi che mostrino concezioni religiose tipicamente dualistiche, professando un radicalismo religioso ed un ascetismo duro e deciso, giungendo perfino alla soppressione dei moribondi (anticipando in qualche modo la prassi dell’endura catara). Praticavano la comunione dei beni, la continenza anche nel matrimonio, l’astensione dal consumo di cibi animali, e digiuni continui. Avevano anche un’organizzazione di tipo ecclesiastico distinguendo i maiores dagli altri adepti. Nonostante le notizie di cui disponiamo siano poco attendibili, Rodolfo Glabro e Landolfo Seniore ammettono che la setta era comunque numerosa, e tra le sue fila figuravano alcuni nobili e la stessa contessa del castello di Monforte. Sono tutti tratti comuni a quelli dei catari. Oltre alla distinzione fra due sfere di influenza del dio buono e del dio malo, tendendo ad attribuire tutto ciò che è carnale a quest’ultimo principio, anche i catari rifiutano il consumo dei cibi di carne e delle uova, il coito, la gerarchia cattolica, negano la validità dei sacramenti, delle preghiere per i defunti e non credono nella maternità di Maria, né nella passione di Cristo. Anche loro dividono i fedeli, suddividendoli in credenti e perfetti, a seconda se hanno o no ricevuto il consolamento. È assai probabile, però, che, nella sua fase originaria, il movimento cataro, oltre ad una reinterpretazione di un humus culturale e religioso, in ebollizione e preesistente, nella Francia meridionale e nell’Italia centro-settentrionale, sia stato influenzato, se non derivato, dal bogomilismo, altro movimento ereticale già fiorente nei Balcani alla fine del secolo X, per cui vale la pena spendere alcune parole. Il movimento dei bogomili - il cui nome deriva da Bogomil, un prete portavoce dei contrasti del mondo contadino slavo con lo zar Pietro (927-969) - si rifaceva direttamente agli ideali evangelici, in aperto contrasto con la Chiesa e gli abusi di un sacerdozio degenere. I principali assunti dell'eresia bogomila erano un fervente rigorismo morale, il distacco dai beni materiali e tangibili, il ripudio dei miracoli, che credevano opera diabolica, e, di conseguenza, il culto dei santi e delle reliquie. Non adoravano la croce, perché era stata lo strumento della tortura e della morte del Redentore, e non credevano che Dio Padre fosse l'autore del mondo visibile, a causa delle tante manifestazioni del male. Sostenevano anche che Cristo e gli apostoli non avevano stabilito né la comunione, né la messa e la liturgia, e non prestavano il culto alla Vergine, a cui tanta importanza la Chiesa aveva ed ha tributato; contestavano pure il culto delle immagini. Identificavano il demonio con il «principe di questo mondo» e di tutte le cose del mondo visibile e, come i catari, ripudiavano il battesimo ed avevano come preghiera principale il Pater noster. Queste sovrapposizioni di pensiero e dottrinali vengono sottolineate anche dai controversisti cattolici dei primi del Duecento, in particolare Rainerio Sacconi, che per ben diciassette anni era appartenuto alla setta catara, che, in più di un’occasione, citano la «Ecclesia Burgariae» e la «Ecclesia Drugunthiae». Questa è una chiara testimonianza delle relazioni esistenti tra le sette catare italiane ed occitane e le sette bulgare dei bogomili, movimento ereticale che si era già affermato nei Balcani fin dal X secolo, relazioni probabilmente nate e sviluppatesi attraverso i maggiori contatti con l'Oriente, a seguito delle crociate, e la diaspora in Occidente di alcuni missionari bogomili, espulsi da Bisanzio nel 1143 per decisione dell’imperatore Manuele Comneno. È assai probabile che l’influenza di queste dottrine, mutuate ed arricchite con tematiche proprie dell’Europa occidentale, abbia partorito un sincretismo che è poi divenuto il Catarismo. Non è un caso che il nome stesso del movimento derivi dal greco Kàtharos (= puro). L’eresia catara conobbe una maggiore diffusione nella Francia meridionale, nelle Fiandre e nell'Italia centro-settentrionale, allora le zone più vive dal punto di vista culturale ed economico, aree socioeconomiche dove si avvertiva con maggiore sensibilità la discrepanza tra i testi evangelici e l’atteggiamento, spesso immorale e simoniaco, della gerarchia ecclesiastica. La liturgia e la ritualità catara rendevano i fedeli partecipi, anche se con livelli e modalità differenziate, soddisfacendo proprio quella domanda di adesione laica che, soprattutto a partire dal XII secolo, si diffuse un po’ in tutta la società medievale. Era il 1143 quando Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153)
per informare sulla presenza nella Renania, a Colonia, di eretici, che accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione. Evervino, riferendosi a loro, parla pure di un episcopus e del battesimo degli adepti per imposizione delle mani. Non passarono che pochi anni quando lo stesso Bernardo si recò nella Francia meridionale, invitato dal legato pontificio cardinale Alberico di Ostia, rendendosi conto in prima persona del grado di diffusione raggiunto dal catarismo in tutta l’Occitania (i catari furono detti anche albigesi per il nome della città di Albi, dove la loro presenza era massiccia).
3. DIFFUSIONE
Come abbiamo accennato, il catarismo si diffuse soprattutto nelle regioni economicamente più attive e socialmente e culturalmente più vivaci dell'Europa occidentale del secolo XII, quali il Mezzogiorno, la Spagna orientale, l'Italia centro-settentrionale, la Borgogna e la Renania. Si trattava di società in rapido sviluppo che conoscevano un complesso fervore creativo. Il catarismo riuscì ad inserirsi in questo contesto dinamico, offrendo un'alternativa religiosa a quella domanda di partecipazione laica che, già a partire dal XI secolo, spontaneamente spingeva gruppi ed individui alla ricerca di una propria identità religioso-culturale. Non a caso tra i credenti e i perfetti catari troviamo sarti, fabbri, conciatori, mugnai, tavernieri, osti, conciatori, pellicciai, tessitori, venditori ambulanti, e artigiani in genere, ma anche appartenenti all’alta borghesia cittadina come proprietari di beni di terreni e immobili in città, mercanti, imprenditori e banchieri. Tra i catari molte furono anche le donne. In un periodo e in aree in cui le forze politiche e sociali, vecchie e nuove, erano in aperto contrasto con i centri di potere ecclesiastici e monastici al fine di eroderne il potere e prestigio, i catari, che non possedevano chiese o sedi, né tanto meno vasti patrimoni fondiari e diritti signorili, come i feudatari ecclesiastici, sia vescovili che monastici, e svincolati da interessi e proprietà materiali, conobbero un consenso non indifferente. Particolarmente recettiva ad accogliere la dottrina catara si dimostrò la Linguadoca dove intorno ai «buoni cristiani», come amavano definirsi, si creò un’estesa rete di solidarietà. Questa regione dal punto di vista politico, linguistico e culturale, era profondamente diversa dal resto della Francia. Parlava la lingua d'Oc e non l'Oil, come nel resto del paese; aveva saputo sviluppare la lirica dei trovatori (molti dei quali, come, ad esempio, Guglielmo Figueira, furono catari); forte era la tolleranza verso gli ebrei e i
pensatori in genere (eterodossi e non). Testimonianza significativa della rilevanza che il movimento aveva saputo assumere nel corso del XII secolo, è il concilio cataro di a Saint Felix de Caraman, una località della Francia meridionale nei pressi di Tolosa, nel 1167, dove si diedero appuntamento i maggiori esponenti dell'eresia catara, alla luce del sole e in aperta sfida alla Chiesa, rendendo così palese l’esistenza di un'organizzazione strutturalmente definita. Lo stesso abate Enrico di Marcy, parlando di Tolosa, dipinge un quadro a tinte fosche e arriva a sostenere che, stando le cose com’erano, nella regione non vi sarebbe stato più un cattolico nel giro di tre anni. Anche i maggiorenti erano o simpatizzavano per i catari: Ruggero II Trencavel, uno dei maggiori signori dell’area, risulta fortemente compromesso con tutta la sua famiglia; sua moglie Adelaide mantiene addirittura a corte Bernardo Raymond, consacrato a St Felix vescovo cataro di Tolosa, e Raimondo di Barniac, uno dei saggi cui era stato affidato il compito, sempre nello stesso concilio, di definire i confini dell'istituenda diocesi catara di Carcassonne. Ma la cosa che ancora più sorprende è che, grazie ad un salvacondotto, troviamo Bernardo e Raimondo a Tolosa, dove dibatterono pubblicamente con Enrico di Marcy, sostenendo apertamente la loro posizione dogmatica, per ritornarsene incolumi e senza restrizione alcuna alla corte di Adelaide. Non abbiamo più, quindi, a che fare con un movimento spontaneo, ma con una struttura di tipo ecclesiale, dotata di una propria gerarchia e liturgia, in grado di soddisfare esigenze spirituali e religiose di vasta portata. Il movimento nella Francia meridionale, già nella seconda metà del XII secolo, era strutturato in quattro chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne. A capo di ogni chiesa era collocato il vescovo, assistito nelle sue funzioni da un «figlio maggiore» e un «figlio minore». In caso di morte del vescovo, il figlio minore provvedeva alla consacrazione vescovile del figlio maggiore e questi, a sua volta, consacrava il nuovo figlio minore eletto dalla comunità. Accanto al vescovo e ai due figli minore e maggiore, in ordine gerarchico, c’erano i diaconi, che svolgevano funzioni similari a quelle di un sacerdote o di un parroco in ambito cattolico, ed infine i «perfetti», il cuore del movimento, accompagnati da un alone di santità e di ammirazione tra i seguaci. Il concilio di St Felix, dove addirittura si parla della presenza di un «papa» cataro, Niceta della chiesa di Dragovitza, proveniente dai Balcani o da Bisanzio, non fu altro che la punta di un iceberg di ben più ampie dimensioni. Questo non spiega soltanto il largo consenso ottenuto dal catarismo presso larga parte della popolazione e a tutti i livelli sociali, ma anche il timore che colpì la Chiesa cattolica (non a caso nel Basso Medioevo il cataro divenne l’eretico per eccellenza). Fu proprio la penetrazione del catarismo che spinse Innocenzo III (1198-1216) a bandire la crociata contro i catari nel Mezzogiorno di Francia nel 1208, trasformatasi poi in una vera e propria guerra di conquista da parte dei signori e nobili
della Francia del Nord, e che si protrasse per oltre un ventennio, fino alla pace di Parigi del 1229, tra violenze e stragi sommarie che sconvolsero la stessa civiltà occitana. Le chiese catare del Sud francese furono decapitate e la repressione antiereticale portò all'istituzione dell'inquisizione, affidata ai frati Predicatori. I perfetti sopravvissuti trovarono rifugio nella clandestinità o nell'esilio, soprattutto nella pianura padana o nella regione dei Pirenei. Assieme alla Francia meridionale, l'altra area geografica dove si diffuse in maniera significativa il catarismo fu l'Italia settentrionale e centrale, in particolare l’area lombardo-veneta (nella metà del Duecento il frate Raniero Sacconi, lui stesso ex-cataro, afferma che fossero erano circa 2.500 i “perfetti”, coloro, cioè, che avevano ricevuto il sacramento del consolamentum e che conducevano un'esistenza ascetica e spirituale). Tra le cause che ne favorirono la diffusione, oltre ai motivi economico-sociali introdotti in precedenza e alla presenza di esuli fuggiti alla repressione scatenata dopo la crociata albigese, dobbiamo annoverare anche il lungo contrasto tra i Comuni e il Barbarossa, che dette vita alla Lega Lombarda, che coinvolse direttamente il Papato. Rispetto al movimento francese, il catarismo italiano si caratterizzò per la sua frammentazione e per i contrasti interni che portarono, in breve tempo, a ben sei chiese, separate le une dalle altre e ognuna con una propria gerarchia e specificità dottrinali:
- la chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda) l’unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e i cui adepti si chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano
- la chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto
- la chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi
- la chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso
- la chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze, di cui fece parte il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, nominato nell'Inferno di Dante
- la chiesa di Spoleto e Orvieto
La chiesa di Concorezzo era quella numericamente più consistente con un numero di perfetti, più di mille e cinquecento, ed era presente in quasi tutta la Lombardia; per importanza seguiva poi la chiesa di Desenzano, con circa cinquecento perfetti e adepti soprattutto in Verona e in molte città padane, poi quella di Mantova con duecento, diffusa anche a Brescia e in Romagna. Le chiese di Vicenza, di Firenze e della valle di Spoleto dovevano, invece, raggiungere il centinaio di perfetti ciascuna. Il catarismo in Italia ebbe un destino diverso rispetto a quello francese, nonostante l’instaurazione dell’inquisizione e l’attività repressiva della Chiesa. Questo essenzialmente per due ragioni principali: la prima è l'appoggio, in funzione antipapale, che spesso le fazioni ghibelline seppero accordare ai catari, almeno fino alla battaglia di Benevento del 1266 che, con la sconfitta di Manfredi e del partito ghibellino, sancì l’egemonia angioina, facendo, così, mancare appoggi politici e di potere goduti fino a quel momento. La seconda ragione è che nell’Italia centro-settentrionale quasi tutte le città conoscevano una situazione politica dinamica e frammentata. Erano governate da regimi comunali e avevano raggiunto una maggiore autonomia giurisdizionale rispetto alle città occitane. I «buoni cristiani» non accumulavano patrimoni fondiari, né pretendevano di esercitare diritti signorili, né intervenivano nella vita pubblica. Non c'era ragione, quindi, di preoccuparsi della loro presenza, né di adeguarsi alle disposizioni delle gerarchie ecclesiastiche. Solo in un secondo momento, le gerarchie ecclesiastiche riuscirono a fare inasprire le normative contro i dissidenti religiosi, inaugurando un processo di vera e propria criminalizzazione degli eterodossi, come pure di tutti coloro che in vario modo li favorissero, obbligando, di fatto, le autorità comunali ad accettare i contenuti della nuova strategia antiereticale. Il momento decisivo fu il moto dell' Alleluia, che intorno al 1233 vide per la prima volta impegnati I membri i nuovi ordini mendicanti, domenicani e francescani, in una vasta e vivace campagna moralizzatrice e pacificatrice. Condannando duramente il lusso, invitando a superare le discordie e le lotte intestine che laceravano le città comunali, riuscirono a portare avanti una predicazione estremamente efficace, che venne accolta da larga parte della popolazione, ottenendo il consenso necessario per dar vita ad una lotta senza quartiere contro eretici ed eresie. Gli ordini mendicanti si adoperarono in tutti i modi possibili per tradurre i loro messaggi in norme antiereticali da inserire negli statuti comunali. In molti casi arrivarono a minacciare le autorità comunali, che si mostravano restie ad accogliere tali provvedimenti, di scomunica e interdetto, determinando l’interruzione delle celebrazioni liturgiche e dell’amministrazione dei sacramenti in quelle città e borghi che non accettavano il nuovo corso degli eventi. Iniziò allora il declino del catarismo anche in Italia che raggiunse l’apice nel 1276 quando venne espugnata la rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e Bagnolo San Vito e con loro numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono arrestati e portati a Verona, e nell’Arena di quella città 174 perfetti trovarono la morte sul rogo nel 1278.
Articolo pubblicato da Aldo Ciaralli. Non può essere distribuito e copiato senza il permesso dell'autore
0 commenti:
Posta un commento