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mercoledì 1 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 4. LA RISCOPERTA DI ARISTOTELE E TOMMASO D’AQUINO

In un contesto sociale e culturale così saturo di pessimismo circa il mondo e la vita terrena, la scoperta del pensiero di Aristotele, agli inizi del ’200, produsse effetti prorompenti. La prospettiva aristotelica metteva, infatti, in discussione l’interpretazione platonica del Vangelo, che si era consolidata nel corso dei secoli precedenti. I magistri delle Università si divideranno proprio su tale questione: rifiutare Aristotele o accettarlo, mettendo, così, in pericolo delle verità che sembravano acquisite una volta per tutte, immutabili ed eterne?
La soluzione del dilemma la propose Tommaso d’Aquino, maggiore intellettuale del tredicesimo secolo, che riuscì ad accogliere e ad armonizzare le principali tesi aristoteliche col platonismo della tradizione cristiana. Il suo fu uno sguardo sul mondo meno pessimista di quello agostiniano, tentando di concepire l’uomo come unione di anima e di corpo.
Anche per Tommaso, nella scia di Agostino, il male è "la privazione di un bene che dovrebbe per natura essere posseduto"(Somma teologica I, 49, 1). E a chi volesse impiegare la presenza del male per negare l’esistenza di Dio, sarebbe facile "rispondere che, al contrario, se il male esiste, Dio esiste. Non c’è infatti male senza bene, di cui il male è privazione. E senza Dio quel bene non esisterebbe"(Contra Gentes III, 71). Tommaso ritiene che l’anima umana sia immortale (d’accordo in ciò con Platone e non con l’Aristotele) e che suoi elementi caratterizzanti siano l’intelligenza e la volontà. L’intelligenza permette di conoscere l’essere in quanto essere; la volontà, desiderio guidato dall’intelligenza, tende, al di là dei singoli beni, al bene infinito, superando la costruzione teorica di Aristotele. La vita contemplativa dell’intellettuale, infatti, per quanto costituisca forse l’esperienza umana di massimo valore, è pur sempre un bene finito, contingente, e quindi non è sufficiente ad appagare completamente l’uomo. È, quindi, evidente per Tommaso che, se la felicità deve esaudire "interamente il desiderio dell’uomo, così che null’altro resti da desiderare" (Somma teologica, I-II, 1, 5), essa non può risiedere che nell’unico bene infinito, appunto Dio. Sue sono le parole: "oggetto della volontà è il bene universale, come oggetto dell’intelligenza è il vero universale. Perciò è evidente che niente può appagare la volontà umana se non il bene universale. E questo non si trova in nulla di creato, ma solo in Dio, poiché ogni creatura non possiede che una bontà partecipata. Quindi solo Dio può colmare la volontà dell’uomo"( Somma teologica, I-II, 2, 8).
Ma, ammesso che Dio sia il fine dell’uomo, come questi potrà “goderlo”? Tale Bene ovviamente non appartiene al mondo dei sensi. La volontà può solo desiderarlo, non accaparrarselo. Il suo “possesso” dunque può essere ottenuto solo attraverso l’intelligenza: a Dio "si accede per mezzo di un’operazione dell’intelletto speculativo" (Somma teologica, I-II, 3, 5). Ma non è sufficiente per la felicità completa avere una conoscenza di Dio vaga come quella che può fornire la ricerca filosofica. L’intelligenza si acquieta solo quando conosce la realtà nella sua essenza: ecco che "il fine ultimo della creatura intellettuale è dunque di vedere Dio nella sua essenza" (Compendium theologiae, cap. CIV). E questa visione è possibile solo a due condizioni: che l’anima sia svincolata dal corpo (non si possono cogliere le entità spirituali fino a quando la conoscenza avviene attraverso i sensi) e che essa ammetta una capacità conoscitiva superiore. Ecco perché Tommaso ammette che, nell’aldilà, l’uomo possa ricevere un dono straordinario, che i teologi chiamano lumen gloriae, che gli permette una capacità sovrannaturale e divina di conoscenza.
Quindi, per Tommaso, essendo Dio concepito come bene infinito, il Male in sé non è qualcosa, cioè un altro principio, poiché è evidente che se di due principi contrari uno fosse infinito (come nel caso di Dio appunto), l’altro sarebbe completamente annientato. E Dio, che è bene assoluto e infinito non può contenere in sé il male, altrimenti dovremmo ammettere che la sua perfezione sia limitata. Al contrario, nel mondo creato il male può esistere poiché il mondo terreno non è un bene assoluto. Il male assume, di conseguenza, una realtà propria solo come privazione di un preciso attributo dovuto ad un ente particolare. Nell’impostazione tomistica il male metafisico, come privazione assoluta o come assoluto non-essere, non trova spazio. Dio, che è assoluta bontà, permette il male nel mondo terreno solo in quanto punizione necessaria a ricostituire l’ordine violato. Ed essendo il male una deficienza di un atto morale, può essere posto in relazione soltanto alla volontà di un essere finito come l’uomo. Si distingue così la pena dalla colpa, e quest’ultima è sicuramente il male maggiore, poiché tende a distruggere l’ordine divino, intrinsecamente buono. Senza colpa la pena non avrebbe ragion d’essere. Il male affonda le sue radici solo ed esclusivamente nella volontà umana, ed è l’uomo la sua causa. È vero che Dio ha donato all’uomo un corpo e dei mezzi tramite i quali poter peccare, ma l’utilizzo errato di questi mezzi è da addebitarsi soltanto ad una sua libera scelta. Non solo, ma come emerge sempre dal sistema tomistico, l’uomo non può neanche rifugiarsi nella possibilità che a corromperlo sia il demonio. Quest’ultimo, infatti, opera non come una causa diretta del peccato, ma indirettamente nella forma di raggiri ed inganni. L’uomo non può fuggire dalle sue responsabilità: è lui la causa del peccato ed è quindi lui soltanto che lo può contrastare. Ma, con il dono gratuito della grazia, Dio gli offre anche un’unica e decisiva possibilità.

Articolo scritto da Aldo Caralli. Non è permesso copiare e distribuire il presente testo senza il consenso dell'autore

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