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lunedì 13 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 18. PAULICIANI E BOGOMILI

Prima di proseguire ed inoltrarmi ulteriormente nell’immenso arcipelago delle superstizioni e delle pseudo fedi del basso e alto medioevo, ritengo giusto condividere con il lettore una riflessione. Calcolando l’estensione territoriale delle fedi anomale o eterodosse rispetto alla corrente “principale” del così detto “cattolicesimo” espresso dal papato, sorgono sempre una serie di consistenti sospetti che riassumo in quattro punti: 


  • Se le fedi eretiche sono così ben riportate da autorevoli testi, perché la fede ortodossa non è mai illustrata con lo stesso livello di dettaglio e, se possibile, di evoluzione nel tempo?
  • E’ possibile ipotizzare che la diffusione delle eresie, nella loro totalità, fosse ad un livello di gran lunga superiore, sia territoriale sia nel numero di “fedeli”, rispetto alla diffusione della fede ortodossa?
  • Perché il Papato, se la sua fede è minoritaria, ricorre alle repressioni dell’Inquisizione e rinuncia a gestire la pastorale cristiana così come fecero gli apostoli nei primi secoli dopo Cristo?
  • E’ corretto supporre che la teologia eretica fosse di gran lunga superiore sia come adesione ai Vangeli sia come aderenza ai bisogni spirituale del popolo di quanto non lo fosse la teologia ortodossa cattolica?

Questi sono gli interrogativi che si dovrebbe porre un ricercatore serio e rigoroso sia per meglio proseguire le sue ricerche sia per indirizzare un diverso interesse verso l’azione politica, dottrinale e sociale del Papato in ogni tempo. A mio modesto parere studiare la Storia delle Eresie del Medioevo significa dare una dimensione
antropologica e storicizzata anche alla religione egemone nel nostro tempo e quindi sarebbe corretto porre le proprie istanze di chiarezza e i propri dubbi al cospetto degli storici che hanno manipolato fatti ed eventi nel nome del “politicamente corretto” imposto dal Vaticano. Queste parole sono riferite al vezzo di minimizzare gli stermini di massa, i genocidi, le torture e le sofferenze che la chiesa così detta “cattolica” ha somministrato a popolazioni inermi e forse molto più cristiane dei loro persecutori. Mi domando infine con quanta spocchiosa ignoranza si possa sostenere la richiesta di porre un riferimento, nella futura Costituzione europea, alle origini ebraico-cristiane della culla culturale del vecchio continente. Gli stessi esponenti dell’ebraismo ne sono scandalizzati visto che il termine sottende una continuazione dell’ebraismo nel cristianesimo che il loro credo non ha mai riconosciuto.

Se l’orgoglio è uno dei sette peccati capitali, l’ottusa arroganza che peccato è? 

Nel periodo compreso tra i secoli X e XII, la penisola balcanica e vaste aree dell' Asia Minore hanno assistito a una capillare diffusione di due grandi correnti ereticali, probabilmente collegate fra loro: il paulicianesimo e il bogomilismo. L'eresia pauliciana -la cui denominazione rinvia a un qualche eresiarca di nome Paolo o forse allo stesso Apostolo, particolarmente venerato dai suoi aderenti - sembra essere sorta in Armenia: lo storico Pietro di Sicilia, i cui scritti costituiscono la fonte principale per la sua conoscenza, la fa risalire addirittura al III secolo, considerandola una filiazione del manicheismo: ma si tratta di dati puramente leggendari. Il primo personaggio a noi noto è un certo Costantino, detto anche Silvano (nome di un compagno di san Paolo): in seguito alla persecuzione scatenata dal katholikas Narsete III, egli fuggì sulle rive del Mar Nero, dove fondò una Chiesa che per molti anni poté vivere e svilupparsi tranquillamente. Dopo la ripresa delle persecuzioni, la comunità fu riorganizzata verso il 717 a Episparsis nella Phanaroia (odierna Erek) da Ginesio (o Timoteo), figlio di un certo Paolo (da cui potrebbe venire la designazione di Pauliciani). Durante il regno degli imperatori iconoclasti, che avevano tutto l'interesse a mantenere buoni rapporti con loro data la vicinanza delle rispettive posizioni, i Pauliciani costituirono a poco a poco un vero e proprio Stato ai confini orientali dell'Impero, conquistandosi una fama di valorosi soldati: la comunità si strutturò in sei Chiese, tre in territorio bizantino e tre in territorio musulmano, designandole con i nomi delle fondazioni missionarie di san Paolo. Con la fine dell'iconoclastia ripresero anche le ostilità con il potere imperiale, fav6rendo l'alleanza dei Pauliciani con i Musulmani. Ma, nonostante la loro strenua resistenza nella città di Tephriké (odierna Divrigi, nella Anatolia turca), gli eretici furono sconfitti e il generale che li guidava, il valoroso Chrisocheir, fu ucciso. Dopo il loro annientamento militare e politico, parte di essi furono arruolati come mercenari dell’esercito imperiale, mentre numerosi altri furono deportati nei Balcani dove, a quanto pare, svolsero una vivace attività di propaganda religiosa. Gruppi pauliciani sopravvissero a lungo nei paesi slavi, come attesta abbondantemente la toponomastica: ancora nel 1717 Lady Mary Wortley Montagu riferì di averne incontrati alcuni nei dintorni di Filippopoli (Plovdiv, Bulgaria). Il paulicianesimo sosteneva un rigoroso dualismo: al Padre celeste, Dio del mondo futuro, contrapponeva il Dio malvagio, creatore del mondo presente. Conseguenza inevitabile di questa distinzione era - oltre al rifiuto in blocco del Vecchio Testamento, considerato di ispirazione diabolica e pertanto escluso dal canone scritturistico - una cristologia di tipo docetista: l'incarnazione e la passione di Gesù non sarebbero state che apparenza e illusione; la sua missione sarebbe consistita essenzialmente nel portare agli uomini la rivelazione divina. L'odio della materia comportava anche la negazione del valore dei sacramenti, in particolare dell'eucarestia, e una violenta critica del culto della croce, ritenuta un semplice strumento umano di tortura. I Pauliciani condannavano inoltre il matrimonio, affermando che il prolungamento della specie umana è una legge del demonio. Le origini di questa dottrina non sono chiare: anche se per certi
aspetti – dualismo e critica dei sacramenti - il paulicianesimo può richiamare la teologia manichea, nel suo complesso esso appare piuttosto come una tarda reviviscenza, in forma degradata e popolare, del marcionismo, la cui area di diffusione fu del resto assai prossima a quella in cui sarebbe fiorita la nuova eresia. La predicazione pauliciana fu probabilmente all'origine, insieme ad altre cause, della più importante eresia balcanica del Medioevo, quella dei Bogomili. Il loro nome deriverebbe, secondo svariate fonti, da quello di un non meglio noto pop (cioè prete) Bogomil che al tempo dello zar Pietro (927-969) avrebbe diffuso 1' “eresia manichea” in Bulgaria; ma potrebbe anche essere soltanto una denominazione (cari a Dio) con cui gli eretici designavano se stessi. Di Bogomil non fa cenno, in ogni caso, la più antica testimonianza che possediamo su questo movimento religioso, una lettera (redatta fra il 933 e il 956) del patriarca di Costantinopoli Teofilatto allo zar Pietro il quale, allarmato, gli aveva chiesto informazioni in proposito: Teofilatto, che definisce “recente” questa eresia, la descrive genericamente come “un miscuglio di manicheismo e di paulicianesimo”. La prima esposizione dettagliata della dottrina bogomila è contenuta nel Trattato contro i Bogomili (scritto probabilmente fra il 969 e il 972) del prete Cosma, che si basa sulla sua diretta esperienza e su notizie di prima mano. Egli situa la predicazione di Bogomil nella Bulgaria orientale, tra Preslav, residenza dello zar, e Okhrida, nel cuore della Macedonia, mettendone in evidenza gli aspetti di rivolta sociale e politica: “Insegnano ai loro aderenti a non sottomettersi alle autorità, oltraggiano i ricchi, odiano gli imperatori, si fanno beffe dei superiori, insultano i signori, ritengono che Dio aborra coloro che lavorano per l'imperatore e raccomandano a ogni servo di non lavorare per il suo padrone”. La nuova eresia si diffuse rapidamente nella penisola balcanica, raggiungendo la Serbia, la Dalmazia e la Bosnia, dove nel 1199 sarebbe diventata religione di Stato con il ban Kulin per scomparire solo verso la fine del XV secolo in seguito alla conquista turca. Anche la teologia bogomila è, come quella pauliciana, di impronta essenzialmente dualistica: al Padre celeste si contrappone Satana, ordinato re e signore del mondo fisico. Dato che quest'ultimo è identificato a Jahve, il “Dio degli Ebrei”, ne consegue anche il rifiuto - totale o parziale, a seconda dei periodi o delle correnti - del Vecchio Testamento, considerato come «tradizione» del diavolo. Ma si tratta di un dualismo attenuato o di un falso dualismo: Satana non è infatti considerato come un vero e proprio principio, ma come un figlio ribelle di Dio. Come riferisce Eutimio Zigabeno, la cui testimonianza è confermata anche da altre fonti, i Bogomili “dicono che il demonio, chiamato Satana dal Salvatore, è anche il figlio del Padre, e si chiama Satanael, primogenito del Figlio-Verbo, e più potente di lui, in quanto primogenito”. Il mito cosmogonico e soteriologico dei Bogomili - dalla caduta di Satanael, che con il permesso di Dio plasma il mondo materiale e anima i corpi di Adamo ed Eva facendovi entrare con la forza due angeli celesti, fino alla missione di Cristo, inviato dal Padre per salvare il genere umano dalla prigionia diabolica - è dettagliatamente esposto nella Interrogatio Iohannis (vangelo apocrifo in lingua latina), che lo presenta come una esegesi della parabola dell'economo infedele nel Vangelo di Luca. Il demonio, pur essendo riconosciuto come signore del mondo materiale, è dunque subordinato a Dio e da lui ha ricevuto il permesso di ordinare il caos primordiale e di creare gli uomini. Il racconto della Interrogatio è riprodotto con qualche variante, soprattutto per quanto riguarda la creazione del primo uomo, anche dagli eresiologi bizantini e in particolare da Eutimio Zigabeno. Questi ci fornisce alcune informazioni supplementari sulla cristologia bogomila, nettamente docetista come quella dei Pauliciani: “Cristo” racconta “è disceso dal cielo, è calato nell'orecchio destro della Vergine, ha indossato una carne che aveva un aspetto materiale e assomigliava al corpo umano (ma in realtà era immateriale e divina), è uscito da dove era entrato: la Vergine non sentì né l'entrata né l'uscita, ma lo trovò semplicemente disteso e avvolto di fasce nella grotta. Compì e fece ciò che si fa nella carne, insegnò ciò che si trova nei Vangeli, ma solo in apparenza soggiacque alle passioni umane, fu crocifisso, morì e fu resuscitato. Pose termine alla commedia e svelò il mistero deponendo la maschera, confuse l'apostata e lo gettò nel Tartaro, legato a una grossa e pesante catena, togliendogli lo el del suo nome, che era angelico. Lui che era chiamato Satanael finì per chiamarsi Satana”. l La missione di Cristo consistette perciò essenzialmente nella rivelazione del Padre celeste agli uomini e nell'istituzione del suo battesimo, quello dello Spirito Santo, che si contrappone al battesimo nell'acqua di Giovanni Battista (considerato dai Bogomili come un angelo inviato da Satana) ed è il solo in grado di assicurare la salvezza. Non sorprende, nel quadro di questa visione immateriale della figura di Gesù, che i Bogomili interpretassero allegoricamente i miracoli da lui compiuti e la stessa eucarestia: secondo alcuni il corpo e il sangue di Cristo non sarebbero che metafore per indicare rispettivamente i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli, secondo altri il pane rappresenterebbe la preghiera del Padre nostro e il calice il
Testamento evangelico, per altri ancora il pane sarebbe la parola stessa di Cristo.

Articolo di Aldo Ciaralli. Non puè essere pubblicato nè distribuito senza il consenso dell'autore

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