Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio
Personaggi, luoghi e fatti che hanno contribuito a conferire al Medioevo un alone di mistero che lo rende ancora più affascinante ed amato. Dal Ponte del Diavolo ai Cavalieri della Tavola Rotonda passando per Durlindana, la leggendaria spada di Orlando e i misteriosi draghi...
I filosofi medievali pensavano che il corpo umano, essendo l'uomo creato ad immagine di Dio, fosse una proiezione del cosmo. Essi avevano così stabilito una reciprocità di influssi tra i pianeti allora conosciuti e le corrispondenti parti del corpo umano. Questo principio veniva riassunto nella breve (rase: «come in alto così in basso».
MUSICA COSMICA CORRISPONDENZA TRA I PIANETI
E LE VARIE PARTI DEL CORPO UMANO
Una corda di uno strumento musicale, posta in vibrazione, genera un'onda acustica cui corrisponde una frequenza ben definita, cioè una nota. Se nello stesso ambiente si trova un secondo strumento simile al primo, la corda di esso che per lunghezza e tensione corrisponde alla corda vibrante del primo strumento, si metterà anche lei a vibrare per risonanza. Le onde sonore trasmesse dall'aria al secondo strumento faranno risuonare in esso non solo la stessa nota, ma anche le armoniche e le sub-armoniche. Così, se in una stanza vi sono due pianoforti e premiamo il tasto del DO centrale di uno di essi, cui corrisponde la frequenza di 256 vibrazioni al secondo (Hertz), noi sentiremo un suono rinforzato per il fatto che anche la corda del DO centrale del secondo pianoforte sarà entrata in vibrazione per risonanza, purché, abbassando il pedale di destra, siano stati esclusi gli smorzatori. Non solo, ma risuoneranno anche tutti gli altri DO, da quello più basso della 4a ottava inferiore (16 Hz = 256/16) all'acuto di 4096 Hz (= 256 X 16), della 5a ottava superiore. E' come se 17 dita invisibili avessero premuto altrettanti tasti. Gli strumenti musicali sono un esempio di applicazione del principio della risonanza, perché in essi il suono viene rinforzato mediante l'impiego di casse armoniche, capaci di risuonare (per forma e struttura) con diverse frequenze vibratorie, quali sono quelle delle note fondamentali emesse dallo strumento e delle loro armoniche: i due suoni, quello fondamentale e quello emesso dalla cassa armonica, essendo in risonanza, si sommano producendo il rinforzo. Così, il corpo vibrante che entra in risonanza può rinforzare onde la cui frequenza può essere un multiplo o un sottomultiplo della nota fondamentale. Riassumendo possiamo dire che con la risonanza si ha: 1.trasmissione di energia da un corpo emittente ad uno o più corpi riceventi; 2.questi ultimi risuonano solo se sintonizzati sulla stessa frequenza dell'emittente, o su frequenze multiple e/o sottomultiple (armoniche e subarmoniche); 3.il suono viene rinforzato perché aumenta la sua intensità (ampiezza dell'onda). In virtù dello stesso principio il circuito oscillante di una radio ricevente, sintonizzato sulla stessa frequenza della stazione trasmittente, entra in risonanza con quest'ultima e riceve il segnale trasmesso dalla prima. Ma l'emissione di onde radio riguarda anche i corpi celesti e la radioastronomia ha per oggetto lo studio delle radiazioni elettromagnetiche provenienti dagli spazi cosmici di lunghezza d'onda compresa tra pochi millimetri (microonde) e circa 20 m (radiofrequenze). Attualmente sono state scoperte parecchie migliaia di radio sorgenti, di cui solo poche centinaia sono visibili. Il Sole emette una radiazione a radiofrequenza indipendente dal ciclo solare, alla quale se ne sovrappone un'altra variabile con periodo di circa 27 giorni, che è il periodo di rotazione del Sole. Anche i pianeti e i satelliti sono centri di emissioni di radioonde. A partire dal 1954, quando fu scoperto che Giove è una potente emittente di onde elettromagnetiche, abbiamo potuto accertare che l'intero nostro sistema solare irradia onde elettromagnetiche. Quindi anche i pianeti, essendo corpi vibranti, possono entrare in risonanza. Nel 1968 l'astronomo sovietico A. M. Molchanov affermò di “avere scoperto nel sistema solare una struttura risonante che comprende tutti i pianeti e le loro lune e satelliti”. Questo vuol dire che i pianeti e le loro lune si comportano come corde vibranti munite di casse armoniche capaci di risuonare tra loro su una nota fondamentale e sulle armoniche di ordine superiore e sulle sub-armoniche (sottomultipli della nota fondamentale), cioè con risonanze sulle ottave superiori e su quelle inferiori. La teoria di Molchanov potrebbe spiegare lo strano comportamento del pianeta Venere il quale compie la sua rotazione in 243 giorni volgendo lo stesso lato verso la Terra quando si trova alla minima distanza dalla Terra e dalla stessa parte del Sole. Dunque, il moto di rotazione dipende dal moto di rivoluzione della Terra e sembra proprio che i due pianeti siano collegati da un rapporto di risonanza. Secondo lo scienziato H. P. Sleeper della Northrop Service Inc. anche la rotazione del Sole può essere interpretata come una risonanza orbitale della Terra. Infatti la rotazione sinodica del Sole di 27,04 giorni è un sottomultiplo quasi esatto di due anni terrestri (730,5/27 = 27,05 ). Strane coincidenze esistono tra i multipli dei periodi planetari. Non si tratta di vere e proprie risonanze ma sono note come « quasi commensurabilità ». Esse sono:
4 periodi orbitali di Mercurio = 1 della Terra
5 periodi orbitali di Mercurio = 2 di Venere
3 periodi orbitali di Venere = 1 di Marte
6 periodi orbitali di Marte = 1 di Giove
5 periodi orbitali di Giove = 2 di Saturno
e così di seguito per Urano, Nettuno e Plutone.
Inoltre si è trovato [Paul D. Jose (1965); H. Prescott Sleeper (1972)] che 46 orbite di Mercurio corrispondono ad un ciclo di circa 11,1 anni, ciclo che è comune ai pianeti interni: 18 orbite di Venere, 11 orbite della Terra, 6 orbite di Marte. Vediamo quindi che tutti i pianeti interni sono in relazione armonica con il periodo di attività delle macchie solari, che è appunto di 11,1 anni. Ma il Sole possiede un altro periodo significativo, quello della sua rotazione intorno al centro delle masse del sistema solare: 178,7 anni. Ebbene, i pianeti esterni, eccetto Plutone, hanno una relazione armonica con questo periodo del Sole (Jane Blizard). Siamo di fronte a semplici coincidenze oppure queste «quasi commensurabilità» ci rivelano uno stretto legame interplanetario? Lo spazio che ci circonda sta diventando sempre meno «freddo e muto» e siamo sempre più portati a pensare al nostro sistema planetario come ad un organismo vivente, percorso da energie vibranti e costituito da parti collegate da rapporti armonici. La Legge dell'Ottava Secondo un'antica conoscenza gli eventi procedono in base alla legge del Sette, o legge dell'Ottava. Stando a questa legge, tutto nell'Universo si muove perché riceve un impulso che si propaga per onde in modo discontinuo. Esso infatti non si mantiene costante, ma muta, ad intervalli diseguali, d'intensità e di direzione. Per comprendere bene il significato di questa legge, dobbiamo tenere presente che, secondo questa antica dottrina, tutto l'Universo è pervaso da vibrazioni che si propagano in ogni tipo di materia, dalla più sottile alla più grossolana, e in tutte le direzioni. Possiamo anzi dire che l'Universo stesso consiste in vibrazioni. Si definisce ottava il periodo compreso tra una data frequenza e il doppio, o la metà, di detta frequenza. Esistono due tipi di ottave: discendenti e ascendenti. Tutti i tipi di creazione si sviluppano in ottave discendenti, in cui l'idea originaria si traduce in un progetto dettagliato passando attraverso stadi caratterizzati dalla crescente complessità, varietà, molteplicità, degradazione Le ottave ascendenti costituiscono un riflusso di energia da materia grezza a prodotto raffinato, dall'informe al formato, dal generico al determinato, cosicché la linea di evoluzione si oppone a quella di creazione e si integra con essa. Un'ottava ascendente è compresa tra un certo numero di vibrazioni nell'unità di tempo (frequenza) e il doppio di quel numero. In due punti ben determinati dell'ottava, l'energia che si propaga nello spazio e nel tempo subisce un indebolimento perché in questi due punti diminuisce l'incremento della frequenza. Se in questi punti di crisi non interviene un apporto esterno di energia, l'ottava cambia direzione o cambia natura. E' questo il principio della discontinuità delle vibrazioni. Dopo il primo rallentamento temporaneo, le vibrazioni riprendono ad aumentare (nel caso delle ottave ascendenti) con l'incremento che avevano prima, fino ad un nuovo affievolimento dell' energia. I periodi durante i quali le vibrazioni aumentano in modo costante non sono uguali e i brevi periodi di rallentamento del tasso vibratorio non sono disposti in modo simmetrico entro l'ottava. Questa legge è più evidente nei processi di trasformazione, sia nell'ambito dei fenomeni fisici, sia in quello delle attività umane. Quando un solido, a seguito di somministrazione di calore, passa prima allo stato fuso è poi a quello di vapore, attraversa due fasi durante le quali la temperatura rimane costante. Noi continuiamo sempre a fornire calore, ma durante i due cambiamenti di stato il calore viene utilizzato unicamente per la disgregazione delle molecole, cosicché all'esterno il termometro non segna alcun innalzamento termico. E' il cosiddetto calore latente di fusione e di vaporizzazione. La linea di sviluppo dell'intero processo non è continua ma segue un diagramma a gradini: ai periodi di aumento della temperatura seguono due periodi di stasi. Perché la temperatura possa fare un nuovo balzo è necessario un accumulo di energia. Se questa non viene fornita prontamente nella giusta quantità, il processo si arresta. Un pendolo semplice, scostato dalla posizione verticale, ricade per effetto del suo peso, raggiunge la posizione di equilibrio e, per inerzia, risale. Consumata tutta l'energia acquistata durante la discesa, il pendolo si ferma e inizia il moto di ritorno: si ha così una serie di oscillazioni che le inevitabili resistenze passive vanno a poco a poco smorzando. Sotto l'azione di una forza che varia di intensità e di direzione il pendolo dapprima accelera e poi ritarda fino a fermarsi. Raggiunto il massimo scostamento dalla posizione di equilibrio il moto riprende con la stessa legge, ma in direzione opposta, senza però tornare esattamente nella posizione di partenza: l'oscillazione di ritorno è meno ampia di quella di andata e il grafico che la rappresenta è una figura asimmetrica. Siamo di fronte ad un moto intermittente, nel quale il moto e la quiete si alternano ad intervalli regolari ma non uguali, agli incrementi seguono le diminuzioni, alle salite le discese, allo «sviluppo» segue prima l'arresto poi il regresso. E' lo stesso tipo di moto di cui è animata una corda armonica posta in vibrazione. Se queste vibrazioni sono più di 16 e meno di 20.000 al secondo noi abbiamo la sensazione di suono. Se volessimo ottenere oscillazioni di ampiezza costante dovremmo agire sul pendolo dall'esterno con un impulso, una spinta esercitata al momento giusto, nel punto più appropriato della sua traiettoria. La forza aggiunta deve essere d'intensità e di durata adatte ed in fase col moto. Il pendolo (o una molla) che oscilla e le corde di una chitarra che vibrano sono esempi dello stesso tipo di moto. Ma con la
stessa legge si generano e si propagano le onde elettromagnetiche, e quindi la luce. Tutti questi fenomeni vibratori hanno in comune quei principi che abbiamo visto a proposito della legge dell'ottava e cioè: il principio della discontinuità delle vibrazioni, della deviazione delle forze e quello dell'inevitabilità dell'alternarsi delle crescite alle decrescite. Lo stesso fenomeno possiamo osservare in ogni campo dell'attività umana, sia nella vita individuale che in quella sociale. Nulla resta al medesimo livello. Noi non siamo sempre in grado di distinguere la salita dalla discesa, né di scorgere ciò che avviene dentro di noi, per un difetto di prospettiva. Nello sviluppo di ogni ottava si verificano delle fluttuazioni periodiche. In ogni manifestazione della nostra vita notiamo che tutto evolve perché muta secondo questa legge cosmica della inevitabilità sia della salita che della discesa. «Vi sono nell'uomo forse centinaia di pendoli in movimento. Queste salite e queste discese, queste fluttuazioni dei nostri umori, dei nostri pensieri, sentimenti, energie, determinazioni, corrispondono sia ai periodi di sviluppo delle forze da un intervallo all'altro, sia agli intervalli stessi» (P.D. Ouspensky «Frammenti di un insegnamento sconosciuto »). Fatta eccezione per pochi casi del tutto accidentali, la linea di sviluppo dell'ottava di solito non è retta. Ne consegue che la nostra azione non è libera in assoluto, pur essendo libera la volontà di azione. La nostra libertà di azione è tanto limitata che resta in noi quasi allo stato potenziale. Il nostro diritto è limitato dal diritto degli altri: La nostra azione “è limitata” e condizionata dalla reazione, dalla opposizione di tutte le «volontà» d'azione di tutti gli esseri che ci circondano. Una pietra che ci fa inciampare e cadere, la spina che ci trattiene, l'automobile che ci travolge allorché attraversiamo la strada, sono esempi di ostacoli che fanno deviare la linea di sviluppo dell'ottava dalla direzione originaria. Effettivamente noi vogliamo sempre compiere un atto, ma non sempre possiamo eseguirlo. Poi c'è la volontà opposta (cieca o cosciente) degli uomini, che non invalida tuttavia il principio-volontà che è in noi. Appena è lanciata nell'ambiente vibratorio che ci circonda e ci stringe da ogni parte, la nostra azione non è immediatamente più libera perché viene ostacolata e deviata dalla resistenza o dalla maggiore o minore conformità di direzione degli atti di tutti gli altri esseri componenti questo complesso ambiente multivibratorio che è la Vita. La legge dell'ottava spiega perché in natura nulla si svolge in linea retta. Nel pensare e nell'agire tutto accade, di solito, in modo diverso da come vorremmo, anzi spesso in modo contrario. Nel punto in cui l'onda rallenta la sua frequenza avviene una deviazione dalla direzione originaria. Le deviazioni si sommano e la linea di sviluppo dell'ottava, ripiegandosi su se stessa, può giungere fino ad invertire il senso di propagazione e a chiudersi in cerchio. Noi avremo la sensazione di avere sempre proseguito nella stessa direzione, in realtà siamo tornati al punto di partenza. Lo slancio iniziale dopo qualche tempo s'indebolisce, interviene un periodo di sfiducia e/o di stanchezza. Poi l'entusiasmo riprende ancora per un po' per poi subire un ulteriore calo in corrispondenza del successivo punto critico. Se qui non interviene tempestivamente uno stimolo addizionale di adeguata intensità, l'ottava abortisce e si può ridurre ad una terna. Tuttavia può accadere di osservare in natura uno sviluppo corretto e costante dell'ottava. Anche nei vari campi dell'attività umana, in qualche caso, è possibile imbattersi in ottave che evolvono liberamente, senza interruzioni né deviazioni. Questa rara eventualità sarebbe dovuta allo choc aggiuntivo, indotto in una data ottava da altre ottave che con essa si incrocino nei punti di crisi e ne colmano gli intervalli e il deficit di frequenza vibratoria. Questo accidente può prendere il posto di una ferma volontà, di una precisa intenzione e di una attività costante.
« ... Ma queste linee di sviluppo di forze che sono raddrizzate accidentalmente e che l'uomo può qualche volta vedere, o supporre, o sperare, mantengono in lui, più di ogni altra cosa, l'illusione della "linea retta". In altri termini, crediamo che le linee rette siano la regola e che le linee spezzate e interrotte siano l'eccezione».
ALCHIMIA E MUSICA
Parola del maestro
...il testo che segue è frutto di una riflessione svolta a sostegno degli sforzi che sguardosulmedioevo.blogspot.com compie per far riemergere e attualizzare una dottrina sacra e preziosa. Portare in superficie una verità da sempre nascosta e protetta è un esperimento compatibile con l’era dell’Acquario che abbiamo appena cominciato a vivere. Le parole sono state scelte per essere meditate e nonconsumate inutilmente. L’augurio è che siano utili ad un processo di crescita spirituale e culturale per tutti coloro che avranno la fortuna di approfittare di questa occasione.
Ci si può chiedere se uno studio esclusivo, esoterico ed enigmatico come quello sull'alchimia abbia un ruolo determinante nelle vicende del mondo. Quali benefici può apportare all'umanità, o cosa può aggiungere al patrimonio delle nostre conoscenze, specialmente quando coloro che vi aderiscono ritengono una virtù mantenere il segreto sui loro studi, da confinare solo alla loro cerchia ristretta? Si potrebbe ribattere che ogni filosofia, ogni movimento religioso o studio esoterico, se è essenzialmente vero e sincero, costituisce una base di appoggio per qualsiasi tentativo umano di progresso. Se la sua struttura è radicata in principi universali, in ciò che talora si designa «la filosofia perenne», allora può davvero investire ogni livello dell'esistenza, dal piano spirituale a quello pratico. Anche se gli insegnamenti più riposti rimangono celati, magari per un certo numero di anni, o addirittura per sempre, sarà comunque inevitabile che prima o poi essi abbiano ad influire sul corso della storia umana. Ciò che è esoterico diventa essoterico; la teoria si trasforma in pratica, l'astratto si muta in concreto. Si può dire che la capacità di una tradizione saggia di portare frutto nella vita quotidiana è tanto importante quanto il grado di illuminazione dei suoi seguaci. Nel caso dell'alchimia, la sua influenza può essere individuata nel campo delle scoperte scientifiche, nella letteratura, nelle arti e nello sviluppo della psicologia moderna. Talvolta questi sviluppi furono determinati dalle stesse persone che erano profondamente immerse nello studio dell'alchimia; in qualche caso si trattò di prestiti dalla struttura e dal linguaggio alchimistico. Certe scoperte, segnatamente in campo scientifico, furono frutto di esperimenti condotti nel corso di procedimenti alchimistici, mentre altre applicazioni dell'alchimia ricevettero nuova linfa e furono, per così dire, create ex novo, dopo che si procedette a rielaborare alcuni principi essenziali estratti dalla filosofia e dal simbolismo alchimistici. In questo capitolo si darà uno sguardo al modo in cui l'alchimia svolse, in contesti diversi, una funzione ispiratrice. In alcuni casi il legame è molto immediato, in altri può essere più speculativo o intrecciato ad altre tradizioni occulte o filosofiche. Non è sempre agevole rintracciare i punti in cui l'alchimia ed altre scienze altrettanto esclusive e segrete valicano la soglia che le separa dal mondo esterno; la scoperta di questi punti può comunque dimostrarsi assai eccitante, perché dà modo di rimettersi in contatto con l'energia originale che li ha ispirati e quindi di ampliare e rivitalizzare la visione che si ha in merito all'argomento in questione. Probabilmente non si azzarda troppo quando si dice che questo è un modo per completare il processo della creazione: l'impulso spirituale si fa strada attraverso la forma della materia, poi viene dimenticato, per essere in seguito riscoperto ad opera di uomini di un'epoca e di un paese differente, e legarsi così nuovamente alla forza creatrice divina (si pensi all'etimologia del termine re-ligo, che significa appunto «legare di nuovo"); in questo modo si viene a creare un nuovo collegamento fra la dimensione temporale e quella dell'eternità. A questo punto può verificarsi un'ulteriore creazione: è il caso, per fare un esempio, della filosofia degli antichi maestri Platone ed Aristotele, la quale, insieme con i testi ermetici, ispirò il Rinascimento europeo, periodo che indica, già nel nome, un concetto di «rinascita". E inevitabile che al suo ingresso nel mondo ordinario la conoscenza può subire un processo di dispersione o addirittura venire minata alla radice da tradizioni spirituali preesistenti. Come vedremo nel prossimo capitolo, Isaac Newton fu un mistico appassionato e un adepto dell'alchimia, purtuttavia le sue scoperte scientifiche sfociarono in una scuola di pensiero che rigettava tutto ciò che non si poteva pesare, misurare e quantificare. Dion Fortune, uno scrittore di scienze occulte associato all'Ordine della Golden Dawn e ad altri ordini esoterici, ha tenuto a precisare, in toni piuttosto oscuri, che le tecniche comunemente impiegate dalle agenzie pubblicitarie un tempo erano note solo agli esperti. In tal caso, si potrebbe ipotizzare che queste tecniche, che probabilmente implicano il potere dell'immaginazione e la forza di suggestione, possono essere state rese popolari e addirittura applicate per scopi estremamente ambigui. Esempi di questo tipo spiegano perché gli alchimisti siano così desiderosi di tenere nascosto il proprio sapere, che altrimenti può correre il rischio di cadere nelle mani sbagliate.
ALCHIMIA E MUSICA BAROCCA
La nostra indagine, sulle orme dell’Alchimia che avanza timidamente alle prime luci del giorno, incomincia con uno sguardo ai rapporti che legano alchimia e musica barocca. Raramente si è pensato di associare questi due temi, mentre esiste in realtà uno stretto legame fra di loro. Il più grande compositore del tempo, Claudio Monteverdi, si dedicò a pratiche alchimistiche, e anche altri famosi compositori dell'epoca si diedero a bussare alle fonti dell'antica saggezza e a incanalarle nella propria opera; gli studi di questo tipo, all'epoca fiorenti soprattutto nell'Italia settentrionale, includevano alchimia, neoplatonismo, astrologia e Kabbalah. La musica barocca, termine con cui questa “nuova musica” divenne nota, apparve negli anni fra il 1570 e il 1610. I suoi effetti furono notevoli, perché in quel breve periodo si ebbe una rivoluzione in campo musicale. Furono create nuove forme di canto solistico e di musica strumentale; la musica e il dramma si fusero in modo davvero completo, e dalla loro unione nacquero l'opera e l'oratorio. La sua innovazione preannunciava un'era musicale che durò per circa due secoli e tra le file dei suoi compositori si annoverano nomi del calibro di Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Haendel, Henry Purcell e Antonio Vivaldi. Molte delle forme e delle cifre stilistiche da essa impiegate sono rimaste ancor oggi nel corrente linguaggio musicale e la stessa musica barocca, naturalmente, vive e prospera ancora sui palchi dei concerti. Questa musica sembra, di fatto, godere oggi, più che in passato, di grande apprezzamento; ciò che incanta in maniera crescente è il suo amore per le forme limpide, graziosamente architettoniche, per la sua chiarezza e per la sua bellezza, che si sposano ad una prorompente vitalità. Quando si incomincia a scavare in profondità per scoprire le connessioni fra l'alchimia e la musica barocca, ci si imbatte in prove di carattere differente. Alcuni legami sono diretti: fra questi si può citare il provato interesse di Claudio Monteverdi per l'alchimia e il suo intento dichiarato di intessere nella sua musica verità filosofiche. Fra le deduzioni che si possono trarre c'è quella che la pratica dell'alchimia era all'epoca diffusa nel Nord Italia e che i gruppi di dotti e di compositori che si adoperavano a creare una nuova forma di musica, possono quasi certamente avere incluso l'alchimia fra i loro studi di metafisica e di mistica. Infine, si può tracciare un parallelo fra la pratica alchimistica e la musica barocca, nella misura in cui entrambe mirano ad una comprensione più ampia del processo creativo che sta alla base del lavoro di composizione. Siamo solo agli inizi di questa affascinante esplorazione e penso che gli anni a venire getteranno sempre maggior luce e daranno un più grande numero di prove delle connessioni che legarono queste due arti. Nei prossimi capitoli porterò esempi di ricerche già condotte sui legami fra l'alchimia e altre scienze ed arti; in questo capitolo presenterò l'area che ho indagato personalmente. Un altro parallelo tra l’Alchimia e la musica barocca riguarda la generazione di coppie conflittuali di opposti. Una delle innovazioni radicali della musica barocca fu l'impiego deliberato di acuti contrasti tonali in successione, per accrescere la tensione e innalzare la drammaticità di un testo. Spesso questi contrasti sono piuttosto violenti e ricorrono in una sequenza musicale molto breve, cosicché, per esempio, nel coro di un pezzo di musica sacra si possono udire le voci congiungersi in pochi accordi dolcemente polifonici, per poi mutare improvvisamente in un passaggio vivace. Per l'epoca questo fu alquanto provocatorio, ma indubbiamente molto stimolante. In alchimia, le prime fasi del processo sono contrassegnate da una scissione violenta della Materia Prima in due parti, che liberano così le polarità dinamiche racchiuse al suo interno. Questa fase è spesso dipinta come una battaglia, un duello fra una coppia di uomini, cani o draghi. Questa energia può successivamente venire utilizzata per attivare la trasformazione alchimistica; per giungere ad una soluzione finale e alla trasformazione, bisogna dunque provocare un conflitto. «Ero consapevole del fatto che sono gli opposti a smuovere in modo potente la nostra mente, e... questo è il traguardo che tutta la buona musica si dovrebbe porre»: così scrisse Monteverdi nel tentativo di descrivere la sua ricerca di una forma musicale adatta a rappresentare la conflittualità, una ricerca a cui «[si] dedicò con non poca diligenza e impegno». Questo ci conduce alla prossima corrispondenza, spostandoci da un concetto base di dualità a quello delle tre forze che possono essere viste come un consolidamento sia della composizione musicale sia del processo alchimistico. In musica esse corrispondono a tre «modi» di espressione; in alchimia esse sono il sale, il mercurio e lo zolfo, ossia corpo, anima e spirito. Questa triade fondamentale non è esclusiva dell'alchimia, ma si ritrova, con nomi diversi, nella Kabbalah, nella filosofia platonica e naturalmente nella dottrina cristiana della Trinità. Lavorare in modo attivo con la triade, però, piuttosto che limitarsi al riconoscimento della sua esistenza, è un accentuazione propria dell'alchimia e questo processo di attività con le tre forze può servirci, a mio parere, a cogliere altri dati per interpretare la musica barocca. Fu Monteverdi ad innovare e stabilire questo principio musicale di una triplice possibilità di espressione: «Ho riflettuto sul fatto che le principali passioni o affezioni della nostra mente sono tre, cioè ira, moderazione e umiltà o supplica; i migliori filosofi sostengono questa veduta e la natura stessa della nostra voce ce lo dimostra con i suoi registri alto, medio e basso. L'arte della musica si riferisce a questi tre termini quando parla di "concitato", "molle" e "temperato". In tutte le opere dei precedenti compositori ho scovato degli esempi dello stile "molle" e "temperato", ma mai di quello "concitato". Monteverdi iniziò pertanto a lavorare alla creazione di un modo che rappresentasse musicalmente la guerra, come si è detto sopra. Fondamentalmente, lo stile da lui elaborato, e denominato «concitato», consiste di note velocemente ripetute centrate su una vibrazione regolare, ma adattata al ritmo e al senso delle parole del canto. È possibile che questa triade in dinamica cooperazione possa essere alla base delle composizioni musicali del tempo molto più di quanto finora non ci si sia resi conto. Monteverdi, data la sua formazione platonica e alchimistica, potrebbe avere considerato questa triplicità non solo come un terzetto di emozioni che richiedono di venire espresse, ma come un modo di descrivere le tre forze fondamentali della creazione in termini umani. Michael Maier, nelle sue fughe alchimistiche, fece proprio questo e ricorse al mito classico di Atlanta, la vergine veloce nella corsa, per personificare il mercurio, lo zolfo e il sale rispettivamente in Atlanta, Ippomene e la mela d'oro. Le tre voci qui si rincorrono in alternanza; le loro parti sono strutturate a simboleggiare l'individualità delle loro nature, mentre le armonie e le progressioni musicali rappresentano i mutamenti che intervengono nei loro reciproci rapporti. Sia la prefazione stessa di Maier alla sua opera, sia l'analisi di chi l'ha edita non lasciano dubbi in merito al fatto che intendesse dipingere un ritratto il più dinamico possibile della triade esistente nell'alchimia, volgendo in musica reale il mercurio filosofico, l'infuocato zolfo e lo statico sale. Fino ad ora si è visto che le tre forze creative dell'alchimia possono essere musicalmente strutturate sia in termini di armonia sia di registri stilistici di espressione. È altresì possibile che siano stati utilizzati per fornire alla musica un modello base funzionale, in cui ogni parte della triplicità riceve a tempo debito rilievo. Se si considerano certe composizioni sotto questa luce, si aprono nuove vie interpretative. Si prenda, ad esempio, il Lamento d'Arianna, scritto nel 1608. Si tratta di un prolungato lamento solistico; era il pezzo culminante di un'opera completa di Monteverdi basata sul mito di Teseo e Arianna, all'epoca ritenuta un capolavoro, ma oggi, purtroppo, completamente perduta. Il lamento è basato su una successione complessa delle emozioni provate da Arianna nel momento in cui viene abbandonata, e al sentimento misto di odio e amore che ella prova per Teseo. Se questo pezzo viene suddiviso in tre sezioni, si scoprirà immediatamente che il registro dominante di ciascuna sezione si accorda alla triplicità di «molle», «concitato» e «moderato». Nella prima sezione Arianna chiede alternativamente di poter morire e che Teseo faccia ritorno da lei; questo è il registro «molle», della supplica, della forza d'amore. Nella seconda, il suo rancore e la sua ira prendono il sopravvento; invoca la tempesta e gli uragani, perché vadano a distruggere Teseo che viaggia alla volta di casa. Qui è proprio lo stile «concitato», sia nel tema che nella traduzione musicale. Infine Arianna entra nello stato di «moderato»; il suo dolore persiste, ma si riconcilia con la dignità della sua sorte, si congeda dai suoi genitori e dalla sua patria. Il suo destino, dice, è quello di una persona che ha troppo amato e che ha concesso troppa fiducia. Se usiamo questa triade per farci guidare nell'ascolto e nella comprensione di questo meraviglioso, difficile e lungo pezzo, avremo una notevole chiave interpretativa, una guida sia per il cantante sia per l'ascoltatore. Questo è anche un modo per strutturare il lamento come una tragedia in miniatura completamente autonoma (all'epoca era, di fatto, considerata tale), che aveva la sua conclusione nel registro moderato, con una specie di risoluzione e riconciliazione finale.
Sulle raffigurazioni di capo e coda del drago della Luna:
«Gli antichi raffiguravano anche il capo e la coda del drago della Luna, che aveva l'aspetto di un serpente dalla testa di falco posta tra un cerchio d'aria e uno di fuoco, formanti una figura simile alla «theta» maiuscola dei greci. Lo rappresentavano ogni volta che la testa di Giove occupava il centro del cielo e gli attribuivano un grande influsso sulla possibilità di veder esaudite le proprie richieste; al contempo, ritraendolo come un serpente, intendevano definirne il carattere di demone buono e di buon auspicio. Gli egizi e i fenici collocavano infatti il serpente in cima al regno animale e gli ascrivevano una natura divina, poiché ritenevano che possedesse intelletto e fuoco superiori, come dimostrano il rapido movimento, sia pur in assenza di piedi, mani o altri mezzi, e la capacità di rinnovare spesso la propria pelle e quindi di ringiovanire. Analogamente, essi raffiguravano la coda del drago quando la Luna vi scompariva dietro o quando assumeva una posizione sfavorevole rispetto a Saturno o Marte».
(Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia, 1510)
Con questo discorso dell' Astronomicum Caesareum di Apian è possibile regolare su una data particolare la posizione del nodo ascendente della Luna. I due punti di incrocio tra l'orbita della Luna e l'eclittica vengono chiamati nodi della Luna o punti del drago. Il nodo ascendente è la testa del drago, quello discendente la coda. Entrambi i punti hanno grande rilievo nel calcolo del calendario, e l'astronomia antica li utilizzava soprattutto per determinare il momento delle eclissi solari e lunari.
Alchimia magica - La Separazione - «Sole» e «Luna »
«Natura gode di sé stessa» e «natura domina sé stessa »: possibilità della «natura» di esser desiderio, abbandono a sé stessa, spontaneità, identificazione di autofruimento - oppure possibilità di dir no a sé stessa, di affermarsi come ciò che reagisce contro sé stesso, che domina e trascende sé stesso, si da far nascere la distinzione fra colui che domina (il « maschile », l'attivo) e colui che è dominato (il «feminile »,il passivo), solo nel quale sussiste l'antica natura caotica – tali sono, sub specie interioritatis, i due poli che con la «separazione» si sciolgono l'un dall'altro. Si può anche dire che nell'« uno il tutto» l'« uno» e il «tutto» ora si costituiscono come due principi distinti. L'« Uno» si determina nel significato di un centro che si manifesta in seno al caos (il «tutto») e vi si afferma come un principio di fissità incorruttibile, di stabilità, di trascendenza. Dal segno O - «la materia prima» - passiamo dunque a 0, che è il geroglifico arcaico del Sole. E ciò che nella materia originaria era possibilità indeterminata, attitudine passiva a qualsiasi qualificazione, cangiamento e trasformazione caotica, diviene un principio distinto, a cui nell'ermetismo corrisponde il simbolo femminile della Lunai.
Sole
Luna
Sole Luna Questa è la dualità ermetica fondamentale. Si può dire che la Serpe, moltiplicandosi, si è opposta a sé stessa, e i simboli principali che esprimevano la «materia prima» - la Donna, il Drago, il Mercurio, le Acque - ora passano ad esprimere soltanto la forza lunare. Disgiunta dal centro, questa forza sarebbe un impulso cieco e un selvaggio precipitarsi, e la sua direzione è verso il basso, è una direzione di «caduta» indicata appunto dal geroglifico alchemico del principio Acqua , sotto tale riguardo identico alla Luna .
Acqua
I Draghi (ed anche i Tori) divengono quelli contro cui eroi solari, come Mithra, Eracle, Giasone, Apollo, Horo e così via nell'interpretazione ermetica del mito lottano, chiamati dagli alchimisti « verdi» e «non digesti» per non aver ancor subita la «maturazione», la dominazione che li trasmuta in un potere d'ordine più alto. Al luogo della Donna Primordiale, della Vergine del Mondo solitaria subentrano coppie, nelle quali si esprime la dualità del principio uranico e di quello tellurico: Cielo e Terra. - «In alto le cose celesti, in basso le terrestri - mediante il maschio e la femmina «l'opera è compiuta». Il Mercurio va «fissato» e «coagulato» - tale è il senso della figura di Flamel, che rappresenta una Serpe crocifissa. Se il Drago è di nuovo figura al centro della «Cittadella dei Filosofi» di Khunrath, si tratta tuttavia di un Drago che deve esser vinto ed ucciso: è quello che divora incessantemente sé stesso, è il Mercurio come sete ardente, come brama, fame, impulso di cieco godimento, e quindi «natura vischiosa », principio di identificazione e di immedesimazione - natura «fascinata» e vinta dalla natura. Tale è, macrocosmicamente, il segreto del mondo sub-lunare dei cangiamenti e del divenire di contro alla regione urania dell' essere, alla stabilità disincarnata delle nature celesti che riflettono il modo della pura virilità spirituale. Trasposto in simboli metallurgici ermetici, il principio Sole corrisponde all'Oro, la sostanza che nessun acido può alterare - e il principio Luna corrisponde all'Argento fluido o Acqua-Argento (antico nome del Mercurio). Sotto un certo aspetto, il primo si può mettere in relazione col color rosso, il secondo con quello bianco, che poi possono riportare a Fuoco e Luce. Il Fuoco è la virtù propria al principio solare - non come quel Fuoco che è brama, ardore di generazione, desiderio, ma come fiamma non urens, principio incorporeo di ogni animazione, La Luce, presa in sé, ha piuttosto relazione col principio femminile e lunare, anche come “sapienza”, la quale di fronte ha la stessa natura della luce che la Luna riflette dal principio solare. Uno speciale simbolo alchèmico equivalente in parte come significato al Sole è l'Arsenico: il cui termine greco vuol dire sia arsenico che maschio, virile. Un altro simbolo ancora, è il Nitro o Salnitro, il cui ideogramma indica il predominio di un principio fallico-virile. Il simbolismo del Nitro (Salitter) è molto usato da Bohme, nel quale esprime il «calore che dà attività alla Luce», la «virtù agente e ribollente» delle potenze divine che, in opposto al Mercurius o Suono (corrispondente al principio Luce), è il principio d'ogni individuazione.
La magnificenza e la perfezione del Sole macrocosmico sono evidenti quando il regale Febo sosta al centro esatto del cielo sul suo carro di trionfo e lascia ondeggiare i suoi capelli d'oro. Quale unico sovrano visibile, egli detiene lo scettro reale e l'intero governo del mondo.» (Fludd, Mosaical Philosophy, Londra, 1659)
Nella Divina Commedia di Dante, dall'inferno - descritto come un cono conficcato nella Terra - l'anima sale verso il purgatorio e attraverso le nove tappe dei pianeti, delle stelle fisse e della sfera di cristallo, sempre in movimento grazie al!'intervento degli angeli, giunge in Paradiso, dove trova la propria dimora nella candida rosa dei cieli, illuminata dalla luce divina.
Secondo la concezione gnostica degli Ofiti, il serpente cosmico (Leviathan, Ouroboros), inteso come primaria acqua celeste, costituisce il cerchio più esterno e invalicabile del macrocosmo - mediante la sola esperienza sensibile del mondo della Creazione - che separa quest'ultimo dal divino mondo dell'amore e della luce. Anche la Cabala, che ha ereditato molto dalla tradizione gnostica, crede all'esistenza di un velo tra Dio e la Creazione. Jacob Bohme definisce tale velo “acque superiori” [Ober-Wasser], mentre nel mito di Blake l'uomo vive dai giorni del Diluvio universale nel mare del tempo e dello spazio. Gli gnostici consideravano la vita terrena alla stregua di un oscuro esilio. Secondo Paracelso era addirittura il luogo in cui era stato confinato Lucifero, cioè l'inferno stesso. Alla nascita, l'anima di luce scende le scale delle sette sfere e i pianeti, visti come divinità inferiori e demoni (arconti), la appesantiscono, rivestendola del sudicio involucro della materia. AI suo passaggio, ogni pianeta vi imprime una qualità negativa e la intorbidisce: Venere le trasmette la lussuria, Mercurio l'avidità, Marte la collera, Giove la vanità ecc. Dopo la morte, il corpo terreno rimane come larva nel Tartaro, mentre l'anima risale verso la regione dell'aria (Beemoth), con gli arconti che cercano di impedirne il passaggio. A quel punto, è necessaria la conoscenza (gnosi) esatta dei segni e delle parole d'ordine perché si spalanchi la strada verso le sette tappe della purificazione. La settima sfera è la più difficile da superare. Il suo sovrano, Saturno, secondo la dottrina ofitica, è il demiurgo, il «dio maledetto», creatore del tempo e dello spazio. Egli è il serpente di guardia al Paradiso.
La riforma religiosa evidenziò che non si trattava solo di lottare contro gli ecclesiastici corrotti, ma anche contro la prassi della designazione dei vescovi da parte dell’imperatore o del potere civile a lui legato. La piena attuazione della riforma richiedeva necessariamente l’autonomia della Chiesa nel comporre le sue scelte e designazioni. Questo comportava una forte contrapposizione tra papato e impero, focalizzata, soprattutto, sulle modalità di designazione dei vescovi, da cui il nome “lotta delle investiture”. Protagonista principale fu Ildebrando da Soana, eletto pontefice come Gregorio VII (1073-85). Nel suo Dictatus Papae(1075) ribadì con forza la superiore autorità del papato sia sulla Chiesa che sul potere civile: «Solo il Pontefice romano può a buon diritto essere considerato universale.
La lotta contro gli eretici iniziò per superbia e intolleranza da parte di un clero secolarizzato e arrogante ma, con il passare del tempo, assunse gradualmente i connotati di una vera e propria “crociata”, alla stregua di quella contro gli infedeli. Questa escalation venne a consolidarsi quando fu evidente la “convenienza” della caccia all’eretico ossia quando sia la Chiesa che l’Impero si accorsero che strumentalizzare la demonizzazione degli eretici era la via più semplice per sollevare il popolo contro nemici politici ed economici. L’eresia doveva essere percepita e considerata come un attentato alla “pace di Dio” e alla convivenza tra gli uomini. Già nel canone Sicut ait beatus Leo del terzo concilio lateranense del 1179 troviamo scritto: «poiché in Guascogna, Albigese e Tolosano e in altri luoghi così è cresciuta la dannata perversità degli eretici variamente si siano assunti questo impegno di sconfiggere quelli, nello stesso modo di coloro che visitano il sepolcro del Signore».
La congiuntura di eventi e cause per la crociata interna venne rimandata di circa trent’anni e trovò la sua piena giustificazione, sotto il papato di Innocenzo III, nel canone Excommunicavimus del IV concilio lateranense del 1215: «i cattolici che, assunto il segno della croce, si siano accinti allo sterminio degli eretici, godano di quella indulgenza e siano muniti di quel santo privilegio che sono concessi a coloro che recano aiuto in Terrasanta».
Con questo decreto papale lo status dei “crociati” contro gli eretici veniva definitivamente equiparato a quello dei crociati in Terrasanta, coinvolgendo, oltre agli eretici, anche qualsiasi potere civile li protegga, pponendosi alla repressione antiereticale promossa dalla Chiesa. Queste idee non erano nuove poiché, sin dai primi mesi del suo pontificato, Innocenzo III si era già mostrato deciso a risolvere la questione “albigese” in ogni modo. Già nel 1198, infatti, aveva lanciato un appello per invitare i francesi della Linguadoca a mobilitarsi contro gli eretici, concedendo la stessa indulgenza prevista per coloro che visitavano le tombe degli apostoli Pietro e Giacomo. Come abbiamo già avuto modo di vedere, l’occasione per risolvere una volta per tutte la situazione occitanica e per sradicare l’eresia in quelle terre, fu l’uccisione del legato pontificio Pietro di Castelnuovo nel 1208. Dopo questo fatto Innocenzo III poté lanciare una crociata vera e propria, invitando tutte le forze ecclesiastiche e laiche del regno di Francia a mobilitarsi contro l’eretica pravità. Accanto alla repressione armata, si delineò un’altra forma di contrapposizione nei confronti delle varie sette o movimenti ereticali, in particolare quelle dei catari e dei valdesi. Già nel 1206 Innocenzo III ricordava al suo legato Radulfo, della provincia narbonese, che la difesa dell’ortodossia doveva avvenire anche per mezzo dell’esempio. Dispose, quindi, che venissero individuati dei “viri probati” affinché potessero dedicarsi alla predicazione, seguendo un rigoroso stile di vita pauperistico-evangelico, In questo modo, “imitando la povertà del povero Cristo», tali predicatori, con l’esempio e la predica, dovevano rivolgersi agli eretici per riportarli all’ortodossia. È in questo contesto che Folco, vescovo di Tolosa, istituì nella sua diocesi i «predicatores in episcopatu (...) fratrem Dominicum et socios eius» per contrastare con l’esempio e la parola l’eretica pravità. Due anni dopo, nel 1217, Onorio III definì Domenico e i suoi compagni la militia Christi della parola e gli invicti Christi adlete. Accanto alla milizia della crociata in armi si era aggiunta la milizia della parola. Nel 1220 lo stesso Onorio III interpretò la nascita dell’Ordine dei Frati Predicatori come un segno della volontà divina contro la “peste” dell’eresia. Con Gregorio IX questa “milizia evangelizzatrice” si completerà con l’ingresso dei Frati Minori, accomunati ai Predicatori nella lotta contro “le volpi (gli eretici) nella vigna del Signore». Tra le armi propagandistiche la Chiesa pose un forte accento anche sulla demonizzazione degli eretici definiti come “membra Diaboli” o “ministri Diaboli”. Le accuse più comunemente lanciate contro i dissidenti religiosi riguardano l’ordinamento morale e la sfera sessuale. Denominatore comune, presente, infatti, nelle polemiche cattoliche nei confronti dei vari eterodossi è la partecipazione a orge e incesti sfrenati durante le loro riunioni, indipendentemente dal movimento considerato. Altre accuse frequenti sono atti blasfemi e sacrileghi contro le cose sacre, altari, arredi, immagini, e così via. In questo modo la propaganda cattolico-romana intendeva sottolineare il comportamento perverso e il disordine morale degli eretici, capace di travolgere la vita sociale. Evidenziando la potenzialità corruttrice, indistintamente, di ogni eresia la Chiesa riuscì a mobilitare la collettività in chiave antiereticale e a giustificare la repressione violenta nei confronti dei dissidenti religiosi (un esempio su tutti il massacro degli abitanti della città di Béziers). Inoltre, richiamando alla mente atti corporali e triviali era molto più facile smuovere le masse anziché adducendo questioni teologiche e dottrinali. La demonizzazione degli eretici rese possibile anche la loro criminalizzazione nell’ambito del diritto pubblico. A partire dalla decretale Vergentis in senium del 1199 di Innocenzo III, in cui l’eresia religiosa venne equiparata al crimine lesae maiestatis, e quindi definitivamente collocata in un ambito sociale e politico. Da questo momento in poi, mantenendo viva l’immagine di strette relazioni tra demoni ed eretici, il ricorso alla violenza era giustificato dall’enormità del pericolo rappresentato dagli eterodossi per l’ordinamento religioso e civile nel suo complesso, in altre parole per la cristianità tutta. Per un’istituzione come quella della Chiesa cattolico-romana, impegnata nella realizzazione di un controllo totalizzante della coscienza degli individui e collettiva, la demonizzazione degli eretici si dimostrò uno strumento utile e indispensabile per la propria affermazione. Negando alla radice le argomentazioni addotte dai vari movimenti ereticali e coerentemente all’equazione eretici uguali a demoni e quindi uguali a criminali, a partire dal XIII secolo la persuasione nei loro confronti non poté che avvenire attraverso metodi coercitivi, alimentando continuamente le coscienze con immagini paurose e ignominiose degli eretici, conformando il contenuto degli exempla che li riguardano. Man mano che la demonizzazione degli eretici procedeva, la repressione si faceva più violenta E il passo fu breve perché il rogo divenisse una legittima anticipazione, quasi un atto di giustizia, delle pene eterne. Conseguenza di tutto questo fu che la difesa l’ortodossia equivalse difendere la Chiesa e, quindi, il papato. Chiunque insidiava la libertas ecclesiae, o si opponeva ai mandata ecclesiae, si trasformava in un avversario della Chiesa romana, indipendentemente dalle proprie idee religiose, con non poche strumentalizzazioni. Questa linea la ritroviamo anche negli editti antiereticali emanati da Federico II di Svevia tra il 1220 e il 1239, via via sempre più crudeli, che ricalcavano precedenti provvedimenti ecclesiastici. Non furono, infatti, solo il frutto di un calcolo politico per ingraziarsi il papato, ma anche di una consapevolezza interiore dell’imperatore del proprio dovere di reprimere eretici ed eresie e difendere l’ordinamento sociale voluto da Dio. La persecuzione dell’eresia divenne una questione di diritto pubblico, liberando, di fatto, la Chiesa dall’ambigua ed inaccettabile posizione se mettere a morte o no gli eretici. L’intransigenza e l’intolleranza imperiale è la stessa di quella della Chiesa, stesso è anche il linguaggio impiegato. L’eresia era considerata una vera e propria malattia che minacciava la salute del corpus ecclesiae. Per questo, le punizioni per gli eretici e i loro fautori sono tra le più dure, compresa la pena di morte: per incutere terrore nei “dissidenti” e persuaderli a ritornare nella comunione con la chiesa, o, nel caso di non pentimento, per eliminare fisicamente l’eretico. Ovviamente la lotta antiereticale fu oggetto di inevitabili strumentalizzazioni, sia da parte dell’imperatore, sia da parte dei pontefici. Per Federico II, infatti, combattere il pericolo eterodosso nelle terre lombarde significava poter isolare, ideologicamente e politicamente, l’area italiana nella quale la più forte era l’opposizione nei suoi confronti (dopo essere stato scomunicato nel 1239, Federico II giunse persino ad accusare Gregorio IX di essere un ricettatore di eretici, poiché alleato con la lega lombarda). Dopo la scomunica di Gregorio IX, Federico II si servì delle leggi antiereticali nel Regno di Sicilia per colpire i ribelli senza consentire, ovviamente, che operassero poteri giudiziari autonomi e concorrenti (lui stesso decretò l’espulsione di tutti i membri degli ordini mendicanti, ai suoi occhi agenti del papato). Allo stesso modo, agli inizi del Duecento, i Lombardi, erano stati spesso accusati di eresia dai papi poiché disobbedienti ai mandata della Chiesa romana. Spesso, tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo XIII, nel grande scontro che vedeva coinvolti l’Impero e il Papato, l’accusa di eresia aveva un significato ambiguo e veniva usata come propaganda per colpire l’avversario, o gli avversari.
Quasi mai un eretico di inizio secondo millennio era consapevole di esserlo. Per lo più si è trattato di asceti o missionari di idee che, in perfetta buona fede, nascevano più per aderire meglio ai vangeli che per distorcerne i
significati teologici. E’ la Chiesa che decide di bollare una idea come eretica e questa decisione trova giustificazione nel desiderio di mantenere intatta una ortodossia più funzionale al potere temporale e all’insindacabilità di questo potere che a giudizi di carattere religioso. Queste vicende, rapportate all’incoerenza del clero, tendevano a dimostrare solo che Dio amava ogni uomo mentre la Chiesa amava solo i fedeli ortodossi.
Nel contesto spirituale sviluppatosi nei secoli XII e XIII, a causa della diffusa necessità di rinnovamento religioso per un ritorno al cristianesimo delle origini, presero corpo molteplici sperimentazioni di nuovi modelli religiosi. Tra questi si inserì il movimento degli umiliati, che comparve sulla scena della società medievale, insieme o poco prima dei Valdesi, a Milano e in molte altre città lombarde intorno alla metà del XII secolo. Questi erano gruppi di laici, uomini e donne, in gran parte tessitori e lavoratori della lana, che vivevano spontaneamente in comunità organizzate, praticando la penitenza e la castità e prestando aiuto ai poveri. Il loro ideale era coniugare la vita laica e quella religiosa e affiancare il clero nelle mansioni di mediazione tra Dio e i fedeli. Uno dei propositi principali del movimento era proprio l’apostolato per la difesa della Chiesa e per il recupero di coloro che si sono allontanati dalla fede cattolica.
Il secolo XI segna l’inizio di una profonda trasformazione della società medievale. Se non scomparse, si riducono notevolmente le epidemie e il clima si fa più mite favorendo lo sviluppo dell’agricoltura che, proprio in questo periodo, si avvale di nuove attrezzi come l’aratro di ferro, la ferratura degli zoccoli ai cavalli, e tecniche come la rotazione triennale anziché biennale, ecc. Si assiste un po’ ovunque a una ripresa dei commerci. Tutti aspetti che in qualche modo anticipano la rinascita del Basso Medioevo e, in primo luogo, il sorgere dei Comuni in Italia, e quindi degli Stati nazionali in Europa. Conseguenza di tutto ciò è la spinta, in qualche modo centrifuga, dei laici, soprattutto i ceti emergenti degli artigiani e dei mercanti, per acquisire un’autonomia maggiore e una partecipazione sempre più rilevante nella società del tempo.
Nel corso dell’XI secolo il papato romano si consolidò definitivamente come punto di riferimento essenziale e guida della società medievale in genere. Questo avvenne sull’onda di un movimento passato alla storia come “La riforma ecclesiastica” nata dalla necessità diffusa di un profondo rinnovamento della Chiesa. Le cronache dell’epoca sono, infatti, ricche di lamentele sui costumi di vita di vescovi e prelati, descritti come uomini corrotti e violenti, dediti alle pratiche di simonia, di concubinato (o nicolaismo) per aggirare l’obbligo al celibato. Il nome “nicol aita” proviene da una antica setta eretica nota per gli eccessi di fornicazione, orge, riti pagani a base fortemente erotica.
Prima di proseguire ed inoltrarmi ulteriormente nell’immenso arcipelago delle superstizioni e delle pseudo fedi del basso e alto medioevo, ritengo giusto condividere con il lettore una riflessione. Calcolando l’estensione territoriale delle fedi anomale o eterodosse rispetto alla corrente “principale” del così detto “cattolicesimo” espresso dal papato, sorgono sempre una serie di consistenti sospetti che riassumo in quattro punti:
E’ veramente incredibile come vicende lontanissime del Medioevo abbiamo influenzato e plasmato l’ottocento e il novecento. Nel caso del Catarismo è inoltre complicato districarsi all’interno degli usi strumentali che di esso hanno fatto esoteristi, occultisti, massoni e infine politicanti avvezzi a piegare i miti ai loro fini di manipolazione di massa. Sotto un particolare punto di vista sembra che le persecuzioni adottate all’Inquisizione abbiamo compresso e poi fatto dilagare le idee eretiche in un’epoca nella quale la Chiesa non aveva più armi per difendere la propria ortodossia. In questo senso, a differenza di quanto è avvenuto per la gnosi cristiana tardoantica, cui numerosi pensatori e scrittori contemporanei si sono richiamati come a un ineludibile “modello” speculativo, a partire almeno da Ferdinand Christian Baur - che in Die christliche Gnosis oder die christliche Religionsgeschichte (1835) ricollegò la filosofia di Hegel alla gnosi valentiniana - fino a Jung, a Jonas o a Cioran, il catarismo è stato di norma trattato in epoca moderna più come un mito politico o un tema occultistico che come un capitolo di storia del pensiero o delle religioni.
Nonostante fossero passati poco più di cent’anni dalla crociata albigese e circa cinquanta dalla presa di Montsegur (1244), ultimo baluardo della resistenza catara nel Mezzogiorno francese, nonostante il massiccio esodo di catari dalla Francia verso l'Italia (soprattutto verso la Lombardia), nella contea di Foix, l’attuale Ariège, negli ultimi anni del '200 il movimento cataro riprese nuovo vigore. L’artefice di questo “revival” del catarismo, assolutamente non marginale, con oltre mille proseliti, fu Pierre Authier, di professione notaio ed originario di Ax-les Termes. Convertitosi nel 1296, si recò, assieme al fratello Guillaume e a Pradas Tavernier, un tessitore del villaggio di Prades, nel Pays d'Alion, in Lombardia che era ormai diventata il punto di riferimento per il catarismo dopo le violenti repressioni a seguito della crociata albigese. Nel 1299 tornò nel Sabarthès (contea di Foix) per ricostituire e ridare forza al movimento.
Il 26 Dicembre 1269, morì a Ferrara Armanno Punzilovo o, meglio, Pungilupo, un uomo stimato e in odore di santità, estremamente popolare in città che aveva dedicato la propria vita all'assistenza di malati e carcerati e alle buone opere. La sue salma venne portata in cattedrale e divenne oggetto di culto, non solo da parte dei fedeli ferraresi, ma anche da parte di diverse altre città del Veneto e pure da Bergamo. Poco tempo dopo la sua inumazione cominciarono a circolare voci di miracoli e guarigioni improvvise davanti alla tomba del “santo”. Si procedette alla costruzione di una cappella votiva e, quindi, alla tumulazione dei resti in un antico sarcofago che si diceva provenire da Ravenna, dove era stato inumato lo stesso imperatore Teodosio. L'anno successivo alla sepoltura, però, l’inquisitore frate Aldobrandino scoprì che sedici anni prima il Pungilupo era stato processato con l'accusa di essere un cataro, ma che era stato prosciolto in seguito alla sua abiura.
Il pretesto che venne adottato per muovere la crociata albigese nel 1208, che tante conseguenze porterà nei decenni successivi, non solo nella Linguadoca, ma in gran parte dell’Europa cristiana, fu l'assassinio del legato pontificio Pietro di Castelnau. Fino ad allora Innocenzo III (1198-1216) aveva adottato una linea morbida nei confronti dei catari, fatta di missioni di monaci cistercensi che diedero vita ad interventi più di forma che di sostanza, come la rimozione di quei prelati la cui azione risultava inefficace e la cui vita destava scandalo, oppure organizzando pubblici dibattiti. Anche le missioni nel 1207-1208 di famosi predicatori come Domenico di Guzman (1170-1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di Osma, per arginare la diffusione dei catari, non approdarono ad alcun risultato concreto. Anzi alcuni eretici, come Guilhabert de Castres, uscirono a testa alta nei dibattiti pubblici in cui si cercava di confutare il dualismo cataro.
L’esegetica Catara, a seconda dell’interpretazione accettata della creazione del mondo e del peccato originale, si divise in due filoni:
quella del dualismo assoluto
quella del dualismo mitigato
La corrente del dualismo assoluto sosteneva l’esistenza di due principi assoluti ed in antitesi: il Dio buono aveva creato solo esseri spirituali, invisibili e puri, mentre il Dio malvagio era il responsabile della materia e del mondo visibile e causa del male, sia fisico che morale.
L’Inquisizione, nata per combattere il catarismo, mantenne la sua logica repressiva anche nei secoli successivi nelle persecuzioni contro ebrei, moriscos, streghe, dissidenti e liberi pensatori. La vera e uniformante motivazione di fondo che ha accompagnato questa istituzione era il rifiuto della differenza, o in altre parole, della coscienza libera e individuale. Non poteva essere altrimenti in secoli in cui la religiosità non era esclusiva della spiritualità dell’individuo, ma sociale e quindi apparteneva alla collettività. La fede e le modalità con cui il singolo interpretava la propria religiosità, nella logica medievale aveva una rilevanza pubblica: per colpe del singolo poteva venire macchiata l’intera comunità.
Come abbiamo visto, i catari erano dei cristiani che interpretavano il Nuovo Testamento secondo un schema di tipo dualistico, ma distinto da quello dei manichei, con i quali vennero spesso accomunati dai inquisitori cattolici. Credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, impersonificati, rispettivamente, dal Dio santo e giusto, definito nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico, o Satana. Sostenevano che il Male conducesse una continua ed incessante lotta contro il Bene per contendergli la vittoria. Secondo la dottrina catara il mondo materiale non era stato creato da Dio, ma era interamente opera di Satana e non era altro che una sua manifestazione.
Anche l’origine del corpo umano era considerata diabolica, in quanto creatura di carne. Ma la vita, intesa come anima o spirito, era opera di Dio. Reinterpretando la Genesi, i catari sostenevano che Satana indusse Adamo ed Eva a quell’unione carnale che avrebbe sancito il loro imprigionamento nella materia. Da quel momento in poi, attraverso la procreazione, lo Spirito si sarebbe moltiplicato e suddiviso all’infinito per opera del Demonio che, pur essendo incapace di creare, sapeva essere un grande seduttore di anime. Una volta catturate, le avrebbe poi portate prigioniere sulla Terra, introducendole nella Materia, per principio loro estranea, causa di sofferenza per le anime perché separate dal Dio Buono, con il quale vivevano in beatitudine e a cui anelano di ritornare. I catari proponevano, pertanto, un distacco dal mondo terreno e dai suoi valori per proporre l’attenzione verso un mondo celeste e luminoso di ben altro valore. Il mezzo per cui le anime potevano essere liberate e ritornare alla loro dimensione spirituale, fuori dal tempo, era la conoscenza, la consapevolezza della loro natura. La maggior parte delle sette catare credevano nella trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro, in una sequela di nascite e di morte, con diversi gradi di perfezione. Chi avesse condotto una vita onesta, sarebbe stato ricompensato reincarnandosi in un corpo più favorevole al suo progresso spirituale, fino alla definitiva liberazione. Chi, invece, trascorreva la sua vita nel crimine, si sarebbe degradato, reincarnandosi perfino in un animale. Perché le anime potessero tornare al Dio Buono, che non poteva avere nessun contatto con la Materia, creata dal Principe del Male, Dio inviò un Messia, un Mediatore, Gesù, che secondo i Catari, era anche il più perfetto degli Angeli. Gesù scese nel mondo impuro della Materia, senza incarnarsi, però, perché non aveva corpo. La sua fu solo apparenza, una visione. Secondo l’interpretazione catara del Nuovo Testamento, Gesù, infatti, non ha potuto soffrire e trovare la morte sulla croce perché il suo corpo, che non era fatto di materia, non poteva provare dolore, né morire né risuscitare (aderendo, così, al concetto docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra). Prima di risalire in cielo per tornare alla sua vera essenza, insegnò agli Apostoli la via della salvezza lasciando alla Chiesa in Terra lo Spirito Santo a conforto delle anime esiliate. Il Demonio, però, era riuscito a sopprimere e a sostituire la chiesa di Cristo con un’altra falsa chiesa, quella cattolica, così legata al mondo terreno. L’autentica chiesa cristiana, quella che possedeva lo Spirito Santo, era ovviamente quella catara, mentre la Chiesa di Roma era la Bestia, la prostituta di Babilonia. Per questo i catari sostenevano che chiunque obbedisse alla Chiesa romana non poteva salvarsi. Confutavano anche i sacramenti del battesimo e della comunione poiché, essendo l’acqua del battesimo e il pane dell’ostia fatti di materia impura, non potevano avere in sé lo Spirito Santo. La Croce anziché venerata doveva essere odiata, perché strumento di umiliazione del Cristo. I catari non davano alcuna importanza alle immagini e alle reliquie che la Chiesa cattolica considerava sacre e negavano anche che la Vergine Maria fosse stata la madre di Gesù in quanto, non avendo mai avuto un corpo, non poteva nascere (per i catari ella fu un Angelo che aveva assunto le fattezze di una donna). Per comprendere il significato della rappresentazione catara dell'Evangelo, sia che appartenesse alla corrente dualista radicale o a quella moderata, dobbiamo sempre ricordare che alla base c’era la visione negativa del mondo quotidiano. Solo così possiamo comprendere la durezza di alcuni riti e il rigorismo ascetico di molte delle sue regole, come l'astensione, già menzionata, dai cibi carnei, abolendo dalla dieta non solo la carne, ma anche uova, latte e derivati, e la pratica del digiuno a pane e acqua, che veniva attuata per tre quaresime all'anno (prima di Natale, di Pasqua e dopo Pentecoste) e tre giorni alla settimana. Il rito cataro per eccellenza era quello del Consolamentum (indicato nelle fonti medievali anche con il termine di Baptismum spirituale), un rito complesso fatto con l’imposizione delle mani, che permetteva al semplice fedele di diventare un “perfetto”. In pratica era una cerimonia che racchiudeva in sé il valore dei sacramenti cristiani del battesimo, della cresima, del sacerdozio ed estrema unzione. Per poter ricevere il consolamentum, il fedele doveva superare un lungo periodo di iniziazione e solo dopo aver dato prova della sua reale ed intima vocazione con digiuni, veglie e preghiera. Il giorno della cerimonia veniva introdotto in una casa di fedeli, vestito con una lunga tonaca nera a simboleggiare il distacco dal mondo, mentre tutto intorno c’erano ceri accesi che rappresentavano le fiamme dello Spirito Santo. Il perfetto che officiava la cerimonia spiegava al neofita i doni della religione e gli obblighi morali e spirituali ai quali si sottometteva. Dopo aver recitato il Pater Noster, la più importante, ed in pratica, l’unica vera preghiera riconosciuta dai catari, il futuro perfetto abiurava la fede cattolica. Dopo essersi inginocchiato tre volte, chiedeva di essere accolto nella nuova chiesa, promettendo di non mangiare carne, uova e altri alimenti di origine animale, di astenersi dagli atti sessuali, di non mentire né giurare e di non rinnegare la fede per paura della morte. Confessava pubblicamente i suoi peccati e ne chiedeva perdono. Ricevuta l’assoluzione, il perfetto officiante gli poneva sulla testa il Vangelo (la traditio orationis sanctae) e, insieme ai suoi assistenti, imponeva le mani su di lui pregando Dio di inviargli lo Spirito Santo. Poi recitava nuovamente il Pater Noster e gli dava il bacio della pace, imitato poi dai suoi assistenti. A sua volta il nuovo “consolato” baciava il fedele più vicino tra quelli che assistevano alla cerimonia e questo bacio si trasmetteva tra tutti i presenti (se il nuovo perfetto era una donna, l’officiante le toccava una spalla con il Vangelo e il gomito con il gomito). Da quel momento in poi era un perfetto: il vescovo locale gli assegnava un compagno, scelto tra gli altri perfetti, e come tale doveva lasciare tutti i suoi beni alla comunità per darsi alla vita errante, alla predicazione e alle opere di carità. Il consolamentum era riservato ad un ristretto numero di eletti, mentre al resto dei credenti veniva generalmente impartito soltanto in punto di morte. Era comunque un sacramento “instabile”, mai definitivo, che poteva venire compromesso dal minimo peccato. Da qui non solo la necessità di rinnovarlo ogni qualvolta la presenza di più perfetti lo consentisse, ma anche lo stretto legame con altri due riti: quelli del martirium e dell’endura, entrambi generalmente riservati a coloro che erano in punto di morte. Il primo consisteva nel soffocamento del morente, l'altro nel digiuno totale fino alla morte per inedia. Entrambe le pratiche erano motivate dal fatto che solo nel dolore e nella morte poteva esserci la liberazione compiuta, perfetta ed immediata, dal male, e dalla paura che un'eventuale guarigione potesse trascinare il fedele nuovamente al peccato. Accanto a queste veniva praticata anche la salutatio, o abbraccio, che credenti e perfetti si scambiavano incontrandosi, spesso accompagnata dal melioramentum, un vero e proprio omaggio che il credente rivolgeva con un inchino al perfetto. Al rituale cataro appartenevano anche l’Aparelhament, una confessione pubblica dei propri peccati, e la Caretas, un bacio rituale di pace. Per quanto riguarda la recita del Padre Nostro, in pratica, l’unica preghiera accettata dai catari (tranne alcune invocazioni minori), questa conteneva alcune significative correzioni del testo. In particolare al “dacci oggi il nostro pane quotidiano” si sostituiva l'espressione “dacci oggi il nostro pane soprasostanziale”, con la quale s'intendeva non tanto rievocare l'Ultima Cena o procedere alla consacrazione del pane stesso, ma invocare sui presenti lo Spirito Santo. I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più volte al giorno, abitualmente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o sedici (dobla).
Articolo di Aldo Ciaralli. Non può essere pubblicato né distribuito senza il consenso dell'autore.
L’eresia catara è l’eresia medievale per eccellenza. È l’eresia più importante e diffusa in tutto l’occidente cristiano ed è quella per cui è stata istituita l’inquisizione, frutto della reazione decisa da parte della Chiesa. Fu un ricco movimento, non sempre coerente ed uniforme, che attraversò un lungo spazio di tempo, a cui partecipò un’ampia fascia della società medievale. Contrariamente a quanto si è scritto, l’eresia catara dei secoli XI-XII non fu un risveglio dell’antica dottrina della gnosi, o del manicheismo, ma, pur dualista, rimase sempre nell’ambito del cristianesimo. La loro interpretazione dualistica niente, o poco, aveva del dualismo cosmogonico e metafisico dei manichei e della dottrina di Mani (nei testi catari che sono giunti fino a noi è assente ogni riferimento a testi o comunque a insegnamenti manichei).
È stato aperto il giorno 7 settembre 2019 il primo Museo Templare Didattico in Italia grazie alla sinergia del S.O.M.T. (Sacrum Ordinis Militum Templi), Viterbo Sotterranea Tesori d'Etruria e Sguardo sul Medioevo
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