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mercoledì 7 marzo 2012

ERESIA A PUNTATE: 23. LA CROCIATA CONTRO LE VOLPI NELLA VIGNA DEL SIGNORE

La lotta contro gli eretici iniziò per superbia e intolleranza da parte di un clero secolarizzato e arrogante ma, con il passare del tempo, assunse gradualmente i connotati di una vera e propria “crociata”, alla stregua di quella contro gli infedeli. Questa escalation venne a consolidarsi quando fu evidente la “convenienza” della caccia all’eretico ossia quando sia la Chiesa che l’Impero si accorsero che strumentalizzare la demonizzazione degli eretici era la via più semplice per sollevare il popolo contro nemici politici ed economici. L’eresia doveva essere percepita e considerata come un attentato alla “pace di Dio” e alla convivenza tra gli uomini. Già nel canone Sicut ait beatus Leo del terzo concilio lateranense del 1179 troviamo scritto: «poiché in Guascogna, Albigese e Tolosano e in altri luoghi così è cresciuta la dannata perversità degli eretici variamente si siano assunti questo impegno di sconfiggere quelli, nello stesso modo di coloro che visitano il sepolcro del Signore». 
La congiuntura di eventi e cause per la crociata interna venne rimandata di circa trent’anni e trovò la sua piena giustificazione, sotto il papato di Innocenzo III, nel canone Excommunicavimus del IV concilio lateranense del 1215: «i cattolici che, assunto il segno della croce, si siano accinti allo sterminio degli eretici, godano di quella indulgenza e siano muniti di quel santo privilegio che sono concessi a coloro che recano aiuto in Terrasanta».
Con questo decreto papale lo status dei “crociati” contro gli eretici veniva definitivamente equiparato a quello dei crociati in Terrasanta, coinvolgendo, oltre agli eretici, anche qualsiasi potere civile li protegga,  pponendosi alla repressione antiereticale promossa dalla Chiesa. Queste idee non erano nuove poiché, sin dai primi mesi del suo pontificato, Innocenzo III si era già mostrato deciso a risolvere la questione “albigese” in ogni modo. Già nel 1198, infatti, aveva lanciato un appello per invitare i francesi della Linguadoca a mobilitarsi contro gli eretici, concedendo la stessa indulgenza prevista per coloro che visitavano le tombe degli apostoli Pietro e Giacomo. Come abbiamo già avuto modo di vedere, l’occasione per risolvere una volta per tutte la situazione occitanica e per sradicare l’eresia in quelle terre, fu l’uccisione del legato pontificio Pietro di Castelnuovo nel 1208. Dopo questo fatto Innocenzo III poté lanciare una crociata vera e propria, invitando tutte le forze ecclesiastiche e laiche del regno di Francia a mobilitarsi contro l’eretica pravità. Accanto alla repressione armata, si delineò un’altra forma di contrapposizione nei confronti delle varie sette o movimenti ereticali, in particolare quelle dei catari e dei valdesi. Già nel 1206 Innocenzo III ricordava al suo legato Radulfo, della provincia narbonese, che la difesa dell’ortodossia doveva avvenire anche per mezzo dell’esempio. Dispose, quindi, che venissero individuati dei “viri probati” affinché potessero dedicarsi alla predicazione, seguendo un rigoroso stile di vita pauperistico-evangelico, In questo modo, “imitando la povertà del povero Cristo», tali predicatori, con l’esempio e la predica, dovevano rivolgersi agli eretici per riportarli all’ortodossia. È in questo contesto che Folco, vescovo di Tolosa, istituì nella sua diocesi i «predicatores in episcopatu (...) fratrem Dominicum et socios eius» per contrastare con l’esempio e la parola l’eretica pravità. Due anni dopo, nel 1217, Onorio III definì Domenico e i suoi compagni la militia Christi della parola e gli invicti Christi adlete. Accanto alla milizia della crociata in armi si era aggiunta la milizia della parola. Nel 1220 lo stesso Onorio III interpretò la nascita dell’Ordine dei Frati Predicatori come un segno della volontà divina contro la “peste” dell’eresia. Con Gregorio IX questa “milizia evangelizzatrice” si completerà con l’ingresso dei Frati Minori, accomunati ai Predicatori nella lotta contro “le volpi (gli eretici) nella vigna del Signore». Tra le armi propagandistiche la Chiesa pose un forte accento anche sulla demonizzazione degli eretici definiti come “membra Diaboli” o “ministri Diaboli”. Le accuse più comunemente lanciate contro i dissidenti religiosi riguardano l’ordinamento morale e la sfera sessuale. Denominatore comune, presente, infatti, nelle polemiche cattoliche nei confronti dei vari eterodossi è la partecipazione a orge e incesti sfrenati durante le loro riunioni, indipendentemente dal movimento considerato. Altre accuse frequenti sono atti blasfemi e sacrileghi contro le cose sacre, altari, arredi, immagini, e così via. In questo modo la propaganda cattolico-romana intendeva sottolineare il comportamento perverso e il disordine morale degli eretici, capace di travolgere la vita sociale. Evidenziando la potenzialità corruttrice, indistintamente, di ogni eresia la Chiesa riuscì a mobilitare la collettività in chiave antiereticale e a giustificare la repressione violenta nei confronti dei dissidenti religiosi (un esempio su tutti il massacro degli abitanti della città di Béziers). Inoltre, richiamando alla mente atti corporali e triviali era molto più facile smuovere le masse anziché adducendo questioni teologiche e dottrinali. La demonizzazione degli eretici rese possibile anche la loro criminalizzazione nell’ambito del diritto pubblico. A partire dalla decretale Vergentis in senium del 1199 di Innocenzo III, in cui l’eresia religiosa venne equiparata al crimine lesae maiestatis, e quindi definitivamente collocata in un ambito sociale e politico. Da questo momento in poi, mantenendo viva l’immagine di strette relazioni tra demoni ed eretici, il ricorso alla violenza era giustificato dall’enormità del pericolo rappresentato dagli eterodossi per l’ordinamento religioso e civile nel suo complesso, in altre parole per la cristianità tutta. Per un’istituzione come quella della Chiesa cattolico-romana, impegnata nella realizzazione di un controllo totalizzante della coscienza degli individui e collettiva, la demonizzazione degli eretici si dimostrò uno strumento utile e indispensabile per la propria affermazione. Negando alla radice le argomentazioni addotte dai vari movimenti ereticali e coerentemente all’equazione eretici uguali a demoni e quindi uguali a criminali, a partire dal XIII secolo la persuasione nei loro confronti non poté che avvenire attraverso metodi coercitivi, alimentando continuamente le coscienze con immagini paurose e ignominiose degli eretici, conformando il contenuto degli exempla che li riguardano. Man mano che la demonizzazione degli eretici procedeva, la repressione si faceva più violenta E il passo fu breve perché il rogo divenisse una legittima anticipazione, quasi un atto di giustizia, delle pene eterne. Conseguenza di tutto questo fu che la difesa l’ortodossia equivalse difendere la Chiesa e, quindi, il papato. Chiunque insidiava la libertas ecclesiae, o si opponeva ai mandata ecclesiae, si trasformava in un avversario della Chiesa romana, indipendentemente dalle proprie idee religiose, con non poche strumentalizzazioni. Questa linea la ritroviamo anche negli editti antiereticali emanati da Federico II di Svevia tra il 1220 e il 1239, via via sempre più crudeli, che ricalcavano precedenti provvedimenti ecclesiastici. Non furono, infatti, solo il frutto di un calcolo politico per ingraziarsi il papato, ma anche di una consapevolezza interiore dell’imperatore del proprio dovere di reprimere eretici ed eresie e difendere l’ordinamento sociale voluto da Dio. La persecuzione dell’eresia divenne una questione di diritto pubblico, liberando, di fatto, la Chiesa dall’ambigua ed inaccettabile posizione se mettere a morte o no gli eretici. L’intransigenza e l’intolleranza imperiale è la stessa di quella della Chiesa, stesso è anche il linguaggio impiegato. L’eresia era considerata una vera e propria malattia che minacciava la salute del corpus ecclesiae. Per questo, le punizioni per gli eretici e i loro fautori sono tra le più dure,  compresa la pena di morte: per incutere terrore nei “dissidenti” e persuaderli a ritornare nella comunione con la chiesa, o, nel caso di non pentimento, per eliminare fisicamente l’eretico. Ovviamente la lotta antiereticale fu oggetto di inevitabili strumentalizzazioni, sia da parte dell’imperatore, sia da parte dei pontefici. Per Federico II, infatti, combattere il pericolo eterodosso nelle terre lombarde significava poter isolare, ideologicamente e politicamente, l’area italiana nella quale la più forte era l’opposizione nei suoi confronti (dopo essere stato scomunicato nel 1239, Federico II giunse persino ad accusare Gregorio IX di essere un ricettatore di eretici, poiché alleato con la lega lombarda). Dopo la scomunica di Gregorio IX, Federico II si servì delle leggi antiereticali nel Regno di Sicilia per colpire i ribelli senza consentire, ovviamente, che operassero poteri giudiziari autonomi e concorrenti (lui stesso decretò l’espulsione di tutti i membri degli ordini mendicanti, ai suoi occhi agenti del papato). Allo stesso modo, agli inizi del Duecento, i Lombardi, erano stati spesso accusati di eresia dai papi poiché disobbedienti ai mandata della Chiesa romana. Spesso, tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo XIII, nel grande scontro che vedeva coinvolti l’Impero e il Papato, l’accusa di eresia aveva un significato ambiguo e veniva usata come propaganda per colpire l’avversario, o gli avversari. 

Articolo di Aldo Ciaralli

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