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sabato 31 marzo 2012

LA MAGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

Vi sono un paio di testi che descrivono il ruolo della magia nella vita quotidiana: il manoscritto di Wolfsthurn (Tirolo) e un manuale di magia nera conservato a Monaco (Baviera), entrambi del XV secolo. Vi sono descritti i gravi problemi che assillavano la vita della gente: malattie, le calamità che colpivano i campi coltivati, i topi che infestavano le cantine e le abitazioni, e sono riportate "ricette", rimedi a malanni vari, modi per conciare le pelli, per fabbricare il sapone, l'inchiostro..., ricette per certi decotti che dovevano curare febbri o malattie. Queste ricette contengono molti elementi di superstizione e magia: sulle foglie che andavano nel decotto si scrivevano invocazioni alla Trinità, a Dio, ai santi; una data invocazione o un dato procedimento doveva essere ripetuto tre volte tre o sette volte sette (ad una data ora, in certe posizioni, rivolti da una certa parte, indossando una certa cosa,...); per curare il mal di denti si doveva porre una scritta sulla guancia che richiama Gesù, o Pace, o Dio. Allo stesso modo per curare i dolori dovuti alle mestruazioni si deve scrivere su un foglietto "per Lui, con Lui e in Lui" e mettere tale foglietto nei capelli della donna. Per curare l'epilessia, considerata malattia del demonio, si deve legare una fettuccia di pelle di daino intorno al collo della persona colpita, poi parole magiche ancora legate a Trinità, Dio, Spirito Santo, quindi si brucia la fettuccia insieme al cadavere di un animale o persona morta; in questo modo si brucia la malattia e la si relega nel mondo dei morti.



Vi sono anche delle vere e proprie formule strane accoppiate ai soliti nomi della Trinità: una di queste formule prevede il copiare sul corpo di un malato le seguenti lettere "P.N.B.C.P.X.A.O.P.I.L." che non si sa proprio cosa vogliano dire. Altra formula, misto di latino e greco completamente deformati, doveva essere sussurrata all'orecchio del malato:

«Amara Tonta Tyra post hos firabis ficaliri Elypolis starras poly polyque lique linarras buccabor uel barton vel Titram celi massis Metumbor o priczoni Jordan Ciriacus Valentinus».

Vi è poi la cura dell'invasato attraverso tre rami di ginepro bagnati tre volte (per la solita Trinità ) nel vino rosso, poi farli bollire e metterli sulla testa del povero disgraziato. I richiami alla Trinità rendono tutte queste pratiche accette o comunque non troppo perseguitate dalla Chiesa, anche se nelle prediche è costante la condanna verso chi si affida alla magia e alla superstizione, come ben si legge nelle prediche di Umberto de Romans.

«Alle donne povere, dei piccoli villaggi. Si noti che di solito queste donne sono molto favorevoli ai sortilegi per sé, per alcune particolari circostanze, per i figli ammalati, per proteggere i loro animali dai lupi e cose simili. Fra questo tipo di donne che credono facilmente a tal cose e in questo sono simili a Eva.[…] Ce ne sono altre che fanno queste divinazioni a scopo di lucro.[…] La donna non deve dedicarsi ai sortilegi, che sono forme di miscredenza, ma deve essere fedele» (Umberto da Romans, Prediche alle donne, secolo XIII).
Il divieto non colpisce solo le donne ma ogni cristiano, come afferma Tommaso d’Aquino:

«Ai cristiani è vietato dedicarsi a osservazioni o incantesimi raccogliendo erbe chiamate medicinali, eccetto che sotto la salvaguardia del Simbolo divino e del pater noster» (Tommaso d’Aquino, Secunda secundae).

Tuttavia il confine non è netto, lo stesso Tommaso ammette l’utilizzo di erbe dietro la salvaguardia del simbolo divino, il che significava segnare la croce sul decotto prima di prepararlo. Che la croce avesse poteri miracolosi era vera fede e, al contempo, superstizione, come appare in questo testo dell’alto medioevo:

«Il segno della croce, tracciato in mezzo alla fronte, assicura la salute di tutto il bestiame. Quindi Dio è chiamato a giusto titolo il salvatore Onnipotente. La morte funesta si allontana dall’armento. Se vuoi pregare Dio, basta credere. È la fede la parole che aiuta» (Canto bucolico sulla morte dei buoi).

CHIESA E MAGIA: I PRECETTI

È bene ora indagare sul progressivo irrigidirsi della Chiesa nei confronti della magia, vista prima come credenza e poi come esistenza, come pratica che non solo metteva in dubbio il reale potere della Chiesa, ma che attentava alla salvezza umana. E, purtroppo, tutto ciò che attenta alla salvezza delle anime venne passato per il fuoco. Cosa che portò la stessa Chiesa che nel IX secolo scriveva:

«Perciò nelle chiese a loro affidate i sacerdoti devono costantemente predicare al popolo di Dio che queste cose sono completamente false.[…] A chi, infatti, non è mai successo,di uscire da sé durante il sonno o di avere visioni notturne e di vedere dormendo cose che da sveglio non aveva mai visto? Chi può essere tanto ottuso o sciocco da credere che tutte queste cose che accadono nello spirito avvengano anche nel corpo?» (Canon episcopi, X secolo)

a dire quattrocento anni dopo:

«Stringono un patto con la morte e con l’inferno, fanno sacrifici ai diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé i diavoli, ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo pestifero si diffonde per il mondo più ampiamente, contagia sempre più gravemente il gregge di Cristo» (Giovanni XXII, Super illius specula, 1326).
Il primo testo è tratto dal Canon Episcopi, scritto da Reginone di Prum nel X secolo. E che contiene un insieme di istruzioni che entrarono a far parte del diritto canonico della Chiesa nel XII secolo. In quest’opera si prendono in considerazione alcune pratiche e credenze: i sabba non erano fatti reali, ma allucinazioni, incubi, senza alcun nesso con la realtà. Le donne che partecipano al sabba sono accusate di miscredenza e di indurre altri nello stesso errore. Come si vede, l’atteggiamento verso le streghe è colto:

«Lo spirito malvagio spinge, con il permesso di Dio, la sua malizia a tal punto che qualcuno crede falsamente reale ed esteriore ciò che avviene in immaginazione e per errore. È così che dicono che che una Erodiade convoca delle assemblee notturne dove si banchetta e i bambini sono sacrificati e divorati. Chi sarà così cieco da non vedere che si tratta di una pura illusione dei demoni? Non bisogna dimenticare che le persone che arrivano a credere ciò sono delle povere donne o persone semplici e credule» (Jean de Salisbury, vescovo di Chartres, 1181).

Ciò che prevale in questi testi è l’atteggiamento degli uomini colti che guardano con disprezzo le dicerie popolari. La credenza nelle striges e nelle signore della notte, che si riunivano in congreghe notturne in cui si banchettava con bambini, era molto forte nell’Europa rurale e l’elite colta le considerò per lungo tempo illusioni di povere donnette credulone. Quando però anche l’intellighentia cominciò a convincersi che tali attività non esistessero solo nei sogni ma avessero un fondamento reale, le stesse donne credulone per cui prima si prevedevano pene di lieve entità (40 giorni di penitenza) finirono su tutti i roghi d’Europa.
Il cambiamento di mentalità è ben visibile nella bolla Super illius specula di Giovanni XXII del 1326 in cui il papa prende duri provvedimenti contro quelli che

«Stringono un patto con la morte e con l’inferno, fanno sacrifici ai diavoli, li adorano, fabbricano e fanno fabbricare immagini, anelli o specchi o ampolle e qualsiasi altra cosa per legare magicamente a sé i diavoli, ad essi chiedono responsi. O quanto dolore! Un tale morbo pestifero si diffonde per il mondo più ampiamente, contagia sempre più gravemente il gregge di Cristo» (Giovanni XXII, Super illius specula, 1326).

Nella bolla del 1326, emanata per estirpare la stregoneria, le pene previste per i maghi e le streghe sono identiche a quelle imposte agli eretici: la morte per impiccagione, il rogo del cadavere e la confisca dei beni. Sempre lo stesso pontefice, allora residente ad Avignone, non ha scrupoli a trascinare in giudizio nel 1318 un gran numero di esponenti della corte papale, sotto l'accusa di praticare riti magici, e a sottoporli a torture e nel condannare al rogo. Nel 1317 il vescovo di Cahors, Hugues Geraud, era stato arrestato per aver attentato alla persona del papa con veleni e pozioni, venne interrogato da Giovanni XXII per sette volte e alla fine crollò. Tuttavia tutta questa presa di posizione contro il maleficium deve essere inquadrata in un’attività politica di soppressione degli avversari, se è vero che anche il ghibellino Matteo Visconti fu accusato dal papa di aver tentato di ucciderlo con pupazzi di cera e di avere degli affari segreti col diavolo; lo stesso fece coi capi ghibellini di Ancona, accusati di avere un demone privato che li consigliava su ogni cosa in cambio dell’adorazione. I processi si risolsero con un niente di fatto, perché le commissioni di cardinali nominate dal papa per giudicare il vescovo di Cahors dimostrarono che tutte le prove provenivano da un testimone corrotto. Ma è sintomatico che l’accusa rivoltagli non fosse solo di eresia, ma anche di maleficia: a partire dal XVI secolo, l’inquisizione che fino ad allora aveva avuto l’obbligo di occuparsi solo di eretici, fu autorizzata e incoraggiata a procedere contro coloro che praticavano magia. Nel 1329 l’inquisitore di Carcassone condannò un monaco al carcere a vita a pane e acqua per aver cercato di possedere donne con la magia, offrendo a Satana pupazzi di cera con la sua saliva e sangue di rospi. Il processo durò molti anni, nessuna prova concreta venne trovata e lo stesso imputato ritrattò la confessione. In questi processi, l’accusa principale era eresia anche se il maleficium comincia ad acquistare sempre più spazio. È il passaggio intermedio verso la caccia la follia collettiva della caccia alle streghe, dove non solo la magia era considerata vera e reale, ma agli accusati veniva imputato di far parte a una setta di streghe devota ed emissaria di Satana. Nel 1486 non si parla più solo di eresia o maleficium, ma nel Malleus maleficarum, testo che divenne ben presto il manuale degli inquisitori, compare anche il nome di strega:

«Prescriviamo e ordiniamo, chiediamo sotto forma di ordine e ingiungiamo quanto segue…Si conti fino a circa dodici giorni a partire da oggi […] affinché ci venga rivelato se qualcuno abbia saputo, visto o sentito dell’esistenza di una persona eretica o di una strega, per diceria o per sospetto, in particolare se si tratta di persone che pratichi cose tali da nuocere agli uomini, alle bestie o ai frutti della terra e che possa nascondere un danno per lo stato […] se costui non obbedirà […]sappia che sarà trafitto dalla spada della scomunica […] Il giudice aggiungerà le pene temporali…» (Malleus maleficarum, III parte, questione I, 1486).

Il testo è diviso in tre parti: 1) l’esistenza delle streghe e le loro azioni tipiche; 2) come le streghe compiono le stregonerie e come eliminarle; 3) l’azione giudiziaria, sia nel foro ecclesiastico che civile, contro gli stregoni e tutti gli eretici. Gli autori, Kramer e Sprenger furono domenicani e inquisitori di grande potere in Germania, con loro siamo già in un clima di persecuzione e di paura verso la setta demoniaca ed eversiva delle streghe.
A partire dal Cinquecento, quindi, il termine strega si sarebbe caricato di tante stratificazioni, tali da giustificarne la persecuzione:

Anzitutto la strega esiste, e il suo patto col diavolo è concreto, quindi deve essere concretamente eliminata.
È oppositrice della chiesa adoratrice del demonio e come tale idolatra ed eretica, quindi va bruciata.
Conosce la magia rituale e la usa per fare del male agli altri è quindi omicida: essendo un pericolo sociale deve essere eliminata
Vuole sovvertire l’ordine costituito per glorificare il suo signore Satana, è apostata e quindi, in nome dell’ordine deve essere uccisa per dare l’esempio.

Un episodio che sa di bibliomanzia viene narrato da Sant'Agostino nelle Confessioni a proposito della sua conversione: mentre era raccolto in meditazione, gli parve di udire voci di bimbi che, giocando all'esterno, dicevano tolle, lege ("prendi e leggi"). A quel punto, avrebbe aperto a caso un libro che aveva con sé e gli occhi gli sarebbero caduti sulla frase di San Paolo: "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Lettera ai Romani 13, 13-14). La lettura di questa frase sarebbe stata decisiva per la sua decisione di convertirsi.

Analogamente, nella biografia di San Francesco scritta da San Bonaventura, si tramanda che quando il suo primo seguace, Bernardo da Quintavalle volle accostarsi ad una vita secondo la regola di Francesco, quest'ultimo, per conoscere la volontà divina in proposito avrebbe aperto a caso tre volte i Vangeli (in onore della Trinità), imbattendosi nei tre passi seguenti :

1. Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri.
2. Non portate niente durante il viaggio.
3. Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

Questi tre passi sarebbero quindi stati alla base della regola di San Francesco.

Un’attività intensissima si ebbe soprattutto tra il XVI e il XVII secolo, per frenare la riforma protestante in Europa. La nuova inquisizione Romana, istituita da papa Paolo III con la bolla “Licet ab initi” del 1542, aveva tra i suoi compiti anche quello di controllare la produzione, la vendita e la diffusione degli stampati: il primo indice dei libri proibiti fu compilato nel 1558 sotto il pontificato di Paolo IV. Vi erano elencate, tra l’altro, 45 edizioni proibite della Bibbia e del Nuovo Testamento e i nomi di 61 stampatori responsabili della pubblicazione di libri eretici. Persino il Concilio di Trento, pur pronunciandosi apertamente sulla lettura della Bibbia, compose un catalogo di libri di cui veniva proibita la lettura. Un paio di anni più tardi, il 24 marzo 1564, quel catalogo fu pubblicato in una bolla papale (Index librorum prohibitorum). Nel 1631, Urbano VII ingiunse di nuovo a tutti i possessori di copie della Bibbia di consegnarle alle autorità per bruciarle, pena la denuncia alla “santa” inquisizione.

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