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mercoledì 7 marzo 2012

L'AMORE CARNALE NEL MEDIOEVO

Nella storiografia divulgativa , quella scritta da “storici” amateurs, ricorre un buffo fenomeno che gli studiosi di professione ben conoscono: la frequente retrodatazione di usi e di tradizioni che appartengono al passato più o meno prossimo e che vengono presentati, e in genere entrano nell'immaginario collettivo, come ben più antichi di quanto non siano. Concorre a configurare questo bizzarro effetto deformante, una sorta di superstizione progressista: s'immagina la storia  come la frequenza di eventi, istituzioni e strutture, in costante evoluzione positiva, in progresso; ed è quindi ovvio, se ne deduce, che l'oggi sia migliore dello ieri e che il domani sia ancora migliore dell'oggi. In questi ultimi anni, per la verità, tale beata illusione è stata messa a dura prova, e forse nessuno  l'adotterebbe per le cose contemporanee.
Ma sopravvive per il passato: difatti si parla di un medioevo nel quale si bruciavano le streghe, che invece poverine andavano piuttosto con i loro roghi a illuminare il già “luminoso” Rinascimento, perché nel “buio Medioevo” erano quasi sconosciute. Oppure ci si immagina l'aristocrazia feudale nei secoli Dodicesimo e Tredicesimo come fatta tutta di signorotti a immagine del manzoniano don Rodrigo, la cui nobiliare prepotenza era, invece, del tutto seicentesca, e quattro cinque-secoli prima nessuno l'avrebbe tollerata. Così accade quando si immaginano i costumi sessuali. La pruderie ottocentesca discenderebbe da casto e represso Medioevo, in un rassicurante continuismo che solo di recente avrebbe lasciato il passo a una crescente libertà sessuale. Inutile dire che così non era: tra il Medioevo e il casto romanticismo si è incuneata la cultura libertina, che dà dei punti alle nostre fantasie più osées; ma  che a sua volta, guarda caso, aveva nel medioevo molti più modelli di riferimento di quanti non ci aspetteremmo. Medioevo casto e represso. È uno dei più radicati tra i nostri luoghi comuni; come quello di un medioevo igienicamente poco raccomandabile, ad esempio. Errore. La nostra età di mezzo pullulava di “bagni” e di “stufe”, in parte ereditate dall'età romana – ma anche da certe tradizioni barbariche ad esempio dal bagno di vapore turcomongolo - , in parte reimportate attraverso il mondo musulmano, a sua volta erede della tradizione bizantina. E nei bagni non ci si limitava a lavarsi: “stufa” era sinonimo di bordello. D'altro canto, lo spettacolo della nudità, aborrito dalla riforma protestante in poi – era nei secoli di mezzo alquanto comune e consueto. E allora, il Medioevo mistico, innamorato della Vergine Maria e per il resto tutto onore e gelosia, nel quale circolavano congegni come le cinture di castità? L'amore mistico e spirituale, quello rivolto alla Madonna e passato poi, attraverso trovatori , trovieri e Minnesänger all'amor cortese e al culto della “donna angelica”, costituiva senza dubbio una grande, etica ed estetica. Ma c'era anche ben altro. L'amore fatale, l'amore-passione travolgente e inestinguibile è, secondo un ormai classico studio di Denis de Rougemont, L'amour et l'Occident (1939), un'invenzione dell'occidente medievale, i grandi modelli del quale sono un romanzesco (Tristano e Isotta) e uno storico (Abelardo ed Eloisa). Jack Goody (il furto della storia, Feltrinelli 2006) ha obiettato che le cose non stanno proprio così:  e che anche l'Antico Egitto, poi almeno India, Cina e Giappone la sapessero lunga al riguardo. Certo comunque, il medioevo conosceva bene la lussuria, che Dante tratta come un grande peccato, (il più lieve tuttavia tra quelli mortali) e ci mostra condannata nell'Inferno. Ma eccoci al punto: la poesia cavalleresca e più tardi quella lirica e la novellistica, al pari magari di certe dissimulate forme d'arte plasticofigurativa, sono meno molto amare di quanto siamo abituati a pensare di esempi d'amore fisico anche alquanto spinto: al limite, non di rado, quel che per noi sarebbe l'erotismo se non addirittura la pornografia. Il bel libro recente di Florence Colin-Goguel, L'image de l'Amour charnel au Moyen Âge  (Seuil 2008, prefazione di Michel Pastoureau) ci dà ampia materia di modificare a proposito del nostro medioevo, parecchie idées reçues che pigramente ci portiamo dietro. Zavorrato dall'austera continenza d'origine paolina e poi ascetica, ma insidiato non solo dall'eredità erotica della cultura latina bensì anche da certi modelli biblici ( il Cantico dei Cantici... ), il Medioevo occidentale ha coltivato un interesse e una propensione per l'amore fisico spesso sconfinato – come nella tradizione goliardica – in forme grottesche, dissacratorie e paradossali, ma alimentato anche da una raffinata tensione intellettuale che si sfogava perfino in un accurata trattatistica e raggiungeva, invadendola, perfino la teologia morale. Tempo di gelosia e di segregazione, il Medioevo era anche età di società di soli uomini e di donne sole, dove rapporti omosessuali e autoerotismo avevano modo di espandersi. Dietro le stesse tradizioni cavalleresche e monastiche, chiericali e universitarie, si avverte spesso, e nemmeno troppo nascosto, il brivido dell'androginia e dell'eros “alternativo”. Gli stessi cacciatori d'una “repressione della donna” in età medievale avrebbero modo di ricredersi, quanto meno studiando la società aristocratica. In pieno dodicesimo secolo, corti come quella di Eleonora duchessa di Aquitana (la madre di Riccardo cuor di Leone) erano luoghi nei quali si praticava e si teorizzava l'adulterio, mentre più tardi, nelle società mercantili l'uso delle more delle russe e delle circasse tenute come schiave domestiche avrebbe diffuso forme di poligamia pratica e popolato il mondo di bastardi: che sovente avevano anzi un loro ruolo e perfino araldico riconosciuto. Scorrendo le immagini e le pagine proposte della colin-Goguel, allieva di Le Goff e di Chastel, si resta addirittura stupiti nel constatare come dalla musica ai tornei, dai giochi alle passeggiate in giardino, dagli usi enogastronomici alle stesse metafore religiose, il medioevo fosse pervaso di erotismo e di attrazione carnale . La stessa eresia catara, che proclamava come il massimo peccato contro Dio fosse la riproduzione, che perpetuava la schiavitù dello spirito entro la prigione carnale, era poi molto meno severa nei confronti delle forme di erotismo che contassero dispersione del seme e non dessero quindi frutti. E questa considerazione attenua di molto lo stupore di qualcuno, allorché constata quanto il catarismo fosse diffuso in contrade gioiose come la dolce Provenza. Per tacere dei frequenti coiti diabolici. Immaginari, d'accordo, anzi illusori. Ma dopo il dottor Freud, la sappiamo lunga al riguardo.

Tratto da Medioevo in Umbria articolo di Franco Cardini

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