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mercoledì 7 marzo 2012

GLI SCACCHI NEL MEDIOEVO

Nel VI secolo d.C. l’India del Nord fu colpita da battaglie continue, che non tardarono ad essere rappresentate su una tavola da gioco. Così, nacque il gioco degli scacchi, anche se diverso da come lo intendiamo noi adesso: infatti, la scacchiera era uguale, ma i giocatori erano 4; inoltre, i pezzi erano solamente 8 a testa. Tra l’altro, lo spostamento di questi ultimi non veniva deciso solo dal ragionamento, ma anche dal lancio di dadi. Fra VIII e IX secolo, attraverso gli Arabi il gioco raggiunse la Penisola Iberica, e da lì si diffuse, appassionando ogni classe sociale, dai re ai servi, in tutta Europa.
Questo gioco fu molto popolare fin dal Medioevo perché rappresentava un quadro della società dell’epoca: il pezzo più importante era il re, che era sostenuto dagli altri: i cavalli, gli alfieri e le torri, e, più giù di tutti, i pedoni, che rappresentavano i servi della gleba. La figura della Regina venne introdotta successivamente, nei primi anni del 1500, questo cambiamento avvenne nuovamente per l’influenza della società in evoluzione: questo pezzo, infatti, può colpire da lontano ed in ogni direzione, ed è paragonabile all’introduzione delle armi da fuoco e della polvere da sparo.
Ma quale fu la risposta delle autorità nei confronti del gioco degli scacchi? Innanzitutto, bisogna tener presente che nel Medioevo ogni tipo di divertimento era condannato dalle autorità; e così, nel 1254, il re di Francia Luigi IX, detto “Il Santo”, li vietò fermamente, assieme ai giochi da tavola e a quelli con i dadi. Questo gioco, però, era basato sull’intelligenza, non sulla fortuna, allora perché ci fu un tale atteggiamento nei suoi confronti? L’ostilità della Chiesa per gli scacchi si può spiegare forse con il sospetto che questo gioco fosse un’occasione di peccato (come l’ira per il perdente), o di avidità, se praticato per guadagnare. Tra l’altro, non è da escludere che il modo di intendere la vita nel gioco degli scacchi, cioè con la contrapposizione fra Bianchi e Neri, a quel tempo fosse sembrata eretica. Infatti, nel Medioevo erano presenti molte eresie, che sostenevano che il mondo fosse governato da due forze contrapposte, il Bene e il Male, in costante lotta tra loro; la Chiesa, invece, sosteneva l’esistenza di un unico Dio creatore. La “follia del gioco”, però, si diffuse tanto, sia in città che in campagna, che la Chiesa faticava a contenere il desiderio di giocare perfino per gli stessi ecclesiastici. E così, infine, giunse a tollerarlo, “se praticato senza spirito di lucro, con saggezza e moderazione”.
Imitando la guerra, gli scacchi ricordano a tutti che il Re, il capo dell’esercito, è indispensabile per la sopravvivenza. Caduto il Re, il gioco (e quindi la vita) termina, qualunque sia la situazione degli altri pezzi. Il gioco degli scacchi è però anche il simbolo dell’amore, o per meglio dire del cammino verso l’amore. Inoltre, in quanto gioco di società, gli scacchi potevano riunire le damigelle e i loro corteggiatori in una partita amichevole. Diverse miniature illustrano questi teneri momenti, per esempio con gli incontri di Lancillotto e Ginevra o di Tristano e Isotta. Nel XIV secolo il manoscritto degli Scacchi Innamorati attribuiva al pezzo della Regina nomi che evocavano bellezza, giovinezza, grazia o bontà. Ma una partita di scacchi poteva anche diventare il teatro di terribili affronti, e non era raro che il vinto assestasse al suo avversario un terribile colpo di scacchiera in testa! Si narra che Roland de Mountalban assassinò il suo sfidante Bertolai durante una partita a scacchi!

Articolo di Francesco Fava per www.scacchi.cavarzere.it

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