Quasi mai un eretico di inizio secondo millennio era consapevole di esserlo. Per lo più si è trattato di asceti o missionari di idee che, in perfetta buona fede, nascevano più per aderire meglio ai vangeli che per distorcerne i
significati teologici. E’ la Chiesa che decide di bollare una idea come eretica e questa decisione trova giustificazione nel desiderio di mantenere intatta una ortodossia più funzionale al potere temporale e all’insindacabilità di questo potere che a giudizi di carattere religioso. Queste vicende, rapportate all’incoerenza del clero, tendevano a dimostrare solo che Dio amava ogni uomo mentre la Chiesa amava solo i fedeli ortodossi.
Essendo chiaro che per regola transitiva Dio è Chiesa erano incompatibili, l’intransigenza degli inquisitori non poteva che aumentare in un crescendo di efferatezza e di criminalità del braccio secolare. Nell’esaminare il fenomeno antropologico dell’eresia è possibile isolare singoli casi illuminanti su attori in causa e loro modo di condurre una battaglia tra il bene e il male, centrale nel Medio Evo. Tra i tanti ne vanno ricordati inizialmente due: Pietro di Bruis e il Monaco Enrico.
Essendo chiaro che per regola transitiva Dio è Chiesa erano incompatibili, l’intransigenza degli inquisitori non poteva che aumentare in un crescendo di efferatezza e di criminalità del braccio secolare. Nell’esaminare il fenomeno antropologico dell’eresia è possibile isolare singoli casi illuminanti su attori in causa e loro modo di condurre una battaglia tra il bene e il male, centrale nel Medio Evo. Tra i tanti ne vanno ricordati inizialmente due: Pietro di Bruis e il Monaco Enrico.
Pietro
Originario delle Hautes-Alpes, nato alla fine dell’XI secolo probabilmente nell’omonimo villaggio di Bruis, nel
cantone di Rosans (nel sud est della Francia), Pietro era stato chierico in cura d'anime, prima di dare vita alla
predicazione di idee religiose semplici e radicali che suscitarono tanta preoccupazione nelle gerarchie tra le Alpi del Delfinato e della Provenza. Sulla sua vita abbiamo notizie scarse che derivano quasi esclusivamente da un trattato, Contra Petrobrusianos hereticos, scritto da Pietro il Venerabile, abate di Cluny (1092-1156). Non sappiamo con certezza neppure la data in cui venne messo al rogo (probabilmente tra il 1132 e il 1139) nei pressi di Saint-Gilles. Una testimonianza della diffusione che conobbe la predicazione di Pietro di Bruis la ritroviamo nel trattato di Pietro il Venerabile, dove ha scritto che in un primo momento aveva pensato che la diffusione delle idee petrobrusiane fosse circoscritta alle zone di origine del predicatore e che dipendesse principalmente dalla mentalità e dai costumi non dotti dei montanari, lontani, a suo dire, da ogni apporto culturale. Ma rendendosi poi conto, e con suo stupore, che l’eretico godeva di ampie simpatie anche nelle città del midì francese, fu costretto a cambiare opinione. Pietro il Venerabile riassume la predicazione pietrobrusiana in cinque punti principali: il rifiuto del valore salvifico del battesimo degli infanti, l’inutilità degli edifici sacri, il rifiuto della croce, l’inefficacia della celebrazione eucaristica e delle pratiche per i defunti. Secondo Pietro di Bruis, in conformità con il Vangelo di Marco (16, 16: «chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo; chi invece non avrà creduto, sarà dannato»), la fede era una decisione personale, e non aveva importanza per Dio in quale luogo si pregasse («allo stesso modo in taverna o in chiesa, nella piazza o nel tempio, davanti all' altare o davanti a una stalla»). Inoltre, essendo la croce lo strumento con il quale il Cristo era stato crudelmente torturato, per Pietro non poteva essere un oggetto di culto. Non ammetteva che gli uomini avessero il potere di rinnovare in senso sacramentale il sacrificio di Cristo in occasione dell’Ultima Cena e, coerentemente con l’affermazione di una responsabilità individuale di fronte a Dio, preghiere, elemosine e opere buone per i defunti non avevano valore, poiché ognuno è causa del proprio destino di salvezza o di dannazione. Seguendo un modello di vita cristiana e una condotta morale semplice e coerente, che presupponeva un rapporto diretto con Dio, una conseguenza della sua predicazione era la negazione, di fatto, della funzione intermediatrice della gerarchia ecclesiastica. Pietro di Bruis predicò per oltre vent’anni nella Francia meridionale, in particolare in Provenza, nel Delfinato e in Linguadoca e il suo messaggio venne accolto favorevolmente sia tra le popolazioni urbane che di montagna. Pietro il Venerabile, assai preoccupato per la diffusione delle idee di Pietro di Bruis, scrive che: «genti furono ribattezzate, chiese profanate, altari divelti, croci date alle fiamme, carni mangiate pubblicamente il giorno stesso della Passione del Signore, sacerdoti percossi, monaci incatenati e costretti a prender moglie con minacce e tormenti». I suoi seguaci, furono protagonisti di comportamenti violenti e provocazioni nei confronti della Chiesa e, proprio per l’esasperazione degli atteggiamenti estremisti di molti pietrobrusiani, Pietro venne assalito e messo al rogo a Saint Gilles. Dopo la sua morte, le sue prediche furono riprese, in forma diversa, dall’ex monaco Enrico di Losanna.
Enrico
Di lui si sa veramente ben poco, anche il nome è incerto: Enrico di Le Mans, Enrico di Tolosa, Enrico di Losanna. Della sua predicazione nella prima metà del XII secolo si occupò Pietro il Venerabile, che lo riteneva discepolo di Pietro di Bruis. Anche il cistercense Bernardo di Clairvaux si trovò personalmente coinvolto e, nel 1145, scrisse al conte di Saint-Gilles, per annunciargli il suo prossimo arrivo a Tolosa per porre fine alla predicazione che Enrico là si svolgeva. In quest’epistola il cistercense delinea gli aspetti fondamentali della vita itinerante dell’eretico. Avendo Enrico lasciato l’abito monastico per farsi povero predicatore e vivere mendicando, lo definisce homo apostata. Prima di Tolosa, sappiamo che aveva predicato a Losanna, Le Mans, Poitiers e Bordeaux. Per screditare il suo avversario Bernardo non esita a gettargli addosso accuse infamanti, in particolare descrivendolo come un uomo di facili costumi, dedito a relazioni sessuali sia con meretrici che con donne maritate. Le prime notizie di questo eresiarca risalgono al 1116 nella città di Le Mans, dove Enrico, accolto con favore dal vescovo Ildeberto di Lavardin, viene autorizzato a predicare e la sua è una predicazione che suscita il favore non solo del popolo, ma anche del clero cittadino. Durante un periodo di assenza del presule però la situazione precipita poiché sembra che il popolo si sollevi contro il clero corrotto e simoniaco, probabilmente per effetto proprio della predicazione di Enrico contro l’indegnità dei chierici. Il messaggio di Enrico era innovativo e rivoluzionario anche per altre tematiche come la redenzione delle prostitute e l’idea del matrimonio come scelta indipendente e libera da condizionamenti di interesse o di denaro. Il vescovo riuscì a riportare la situazione alla normalità espellendo Enrico dalla sua diocesi, che, però, continuò a predicare. Venne, quindi, arrestato e dinanzi a una sinodo ecclesiastica che si teneva a Pisa nel 1134. Sembra che in quell’occasione abbia abiurato la sua “eresia” e che abbia manifestato l’intenzione di trasferirsi a Clairvaux per farsi monaco cistercense. Sappiamo, comunque, che venne nuovamente imprigionato nel 1145 (probabilmente connessa con l’intervento di Bernardo nel Tolosano e in Linguadoca per contrastare la vasta diffusione di dottrine eretiche, sia sostenute da Enrico stesso, che dai catari). A partire da questa data del monaco si perde ogni traccia: si suppone che sia morto da lì a poco. I contenuti del messaggio evangelico sostenuto e annunciato dal monaco Enrico, vita apostolica e povertà evangelica, sono estremamente interessanti perché saranno successivamente riproposti da altri gruppi pauperistico-evangelici. In particolare le affermazioni che ogni cristiano è responsabile diretto nel suo rapporto
con Dio e che il comportamento morale e personale dei sacerdoti è condizione della validità sacramentale. Il sacerdozio dovrebbe essere ispirato a una totale povertà, con la rinuncia totale a onori e ricchezze. Per rafforzare le sue idee, Enrico fa riferimento a dei versetti neotestamentari: prevalenza della fedeltà a Dio rispetto a ogni altra obbedienza terrena (Atti 5,29: «È necessario obbedire a Dio più che agli uomini»), dovere della missione evangelizzatrice (Matteo 28, 19: “Andate e insegnate a tutte le genti»), amore per il prossimo (Matteo 19, 19: «Ama il prossimo tuo come te stesso»). Rispetto a Pietro di Bruis, Enrico persegue una dimensione evangelica superiore; comunque non è da escludere che tra i due vi siano stati rapporti (talune posizioni dottrinali enriciane, come per esempio, la negazione dell’efficacia delle opere per i defunti e l’affermazione della superfluità degli edifici sacri, sembrano testimoniarlo). Con lui la scelta di vivere secondo il messaggio evangelico si fa eresia.
Articolo di Aldo Ciaralli
0 commenti:
Posta un commento