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giovedì 8 marzo 2012

ERESIE A PUNTATE: 24. DA CANOSSA A SAN BERNARDO

La riforma religiosa evidenziò che non si trattava solo di lottare contro gli ecclesiastici corrotti, ma anche contro la prassi della designazione dei vescovi da parte dell’imperatore o del potere civile a lui legato. La piena attuazione della riforma richiedeva necessariamente l’autonomia della Chiesa nel comporre le sue scelte e designazioni. Questo comportava una forte contrapposizione tra papato e impero, focalizzata, soprattutto, sulle modalità di designazione dei vescovi, da cui il nome “lotta delle investiture”. Protagonista principale fu Ildebrando da Soana, eletto pontefice come Gregorio VII (1073-85). Nel suo Dictatus Papae (1075) ribadì con forza la superiore autorità del papato sia sulla Chiesa che sul potere civile: «Solo il Pontefice romano può a buon diritto essere considerato universale.
Egli solo può deporre o stabilire i vescovi. Un suo messo, anche se inferiore di grado, é, nei concilii, superiore a tutti i vescovi e può, nei loro confronti, emettere sentenza di deposizione. Non é lecito aver rapporti o rimanere nella stessa casa con coloro che sono stati scomunicati dal Papa. Egli solo può usare le insegne imperiali. Il suo titolo è unico al mondo. Gli é lecito deporre l'Imperatore. Nessuno lo può giudicare. Egli può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso gli iniqui». Gregorio si scontrò con l’opposizione dell’impero e dei molti ecclesiastici fedeli alla tradizione, che affidava ai vescovi poteri religiosi e civili. Forte resistenza incontrarono i decreti principali che stabilivano la condanna di simonia e concubinato e che le abbazie e vescovadi non potessero essere conferiti per investitura laica. L’imperatore Enrico IV convocò una dieta a Worms (1076) in cui, sostenuto da tutti i vescovi tedeschi e da molti italiani, depose e scomunicò Gregorio VII. Il papa, in un sinodo nello stesso anno, reagì scomunicando a sua volta i vescovi che avevano appoggiato Enrico, compreso l’imperatore stesso, sciogliendo così i sudditi dall'obbligo di fedeltà nei confronti della corona imperiale. Questo fatto intaccò notevolmente l’autorità imperiale, in contrasto con la grande aristocrazia tedesca. Si arrivò così al famoso episodio di Canossa (1077), quando Enrico IV, vestito da penitente, chiese l’assoluzione del pontefice davanti alle porte del castello della contessa Matilde di Canossa, fedele sostenitrice di Gregorio VII. La scomunica venne annullata ma non fermò la ribellione dell’aristocrazia tedesca che depose Enrico, eleggendo al suo posto Rodolfo di Svevia. Enrico IV, riuscì comunque a risolvere in suo favore la continua lotta con i duchi tedeschi e, nel 1080, sconfessò l’atto di sottomissione di 3 anni prima. Nel corso dello stesso anno venne tenuto un concilio che rinnovò la deposizione di Gregorio VII ed elesse al suo posto l’arcivescovo di Ravenna, col nome di Clemente III. Enrico, che si era riorganizzato, scese nuovamente in Italia e sconfisse Matilde di Canossa. Dopo di che entrò a Roma per porre al soglio pontificio Clemente III (1084). Gregorio, assediato in Castel Sant’Angelo, fu tratto in salvo da Roberto il Guiscardo, ma fu costretto a abbandonare la città a causa di un’insurrezione dei romani contro le truppe normanne. Si rifugiò a Salerno, dove morì qualche mese dopo. La spinta del movimento riformatore non terminò con la sua morte ma continuò, approfittando anche delle difficoltà in cui si trovava Enrico a tenere testa ai principi tedeschi e all’opposizione di Matilde e delle città alleate e dei vescovi riformatori in Italia. A Piacenza si svolse un grande concilio (1095) che rinnovò i provvedimenti riformatori. Nel 1106, durante la Dieta di Magonza, sempre più isolato e osteggiato dai grandi vassalli tedeschi, Enrico IV abdicò a favore del figlio, che venne eletto imperatore: Enrico V (1106-25). Questi scese in Italia (1110) per muovere verso Roma e farsi incoronare dal pontefice, ottenendo, lungo la sua discesa, anche la sottomissione di Matilde e di numerose città. Nel 1111 vi fu un accordo, a Sutri, tra Enrico V e il pontefice Pasquale II, per la restituzione dei beni e delle regalie concesse in passato dall’impero alla Chiesa, in cambio della rinuncia all’investitura laica dei vescovi. Ma l’intesa durò poco e nel giro di poche settimane Enrico V costrinse il papa a incoronarlo e a concedergli la facoltà di investire vescovi. Un concilio del 1112 annullò questa concessione e nel 1116, in un momento di forti difficoltà di Enrico in Germania, Pasquale II revocò ogni accordo e lo scomunicò. Si arrivò, comunque, a un accordo tra Enrico V e papa Callisto II (1119-24), il cosiddetto concordato di Worms (1122), che consisteva in due documenti distinti, uno papale e uno imperiale, tra i cui punti salienti era senz’altro la netta distinzione tra la consacrazione religiosa, che competeva esclusivamente alla Chiesa, e l’investitura feudale, che spettava invece al sovrano. Con la separazione dei due poteri allora universalmente riconosciuti, Impero e Chiesa, fu quest’ultima a ricavarne i maggiori vantaggi, poiché l’imperatore dovette piegarsi a riconoscere la sua autonomia e un suo più alto valore spirituale, assumendo le caratteristiche di un vero e proprio organismo politico, non più limitato alla sola sfera sacerdotale, ma capace di diritto e di azione giuridica, come ad esempio possedere beni temporali (gli alti dignitari ecclesiastici continuarono comunque a essere titolari di domini e obblighi feudali). Il concordato fu approvato nel 1123 dal primo concilio ecumenico lateranense (tenuto nella basilica di San Giovanni in Laterano). Forte dell’autonomia ottenuta, dalla metà del XII secolo la Chiesa romana cominciò a assumere la fisionomia religiosa e politica che poi detenne nel corso dei secoli successivi. Non fu più solo ecclesia (comunità di vita religiosa), ma anche, se non soprattutto, curia (centro di governo), intervenendo sempre più incisivamente nella vita della cristianità. Mutarono i rapporti tra Roma e le chiese locali, con il ridimensionamento dell’autonomia di queste ultime e dei loro vescovi, e furono sempre più numerosi gli interventi “politici” del Papato per condizionare l’operato dei vari sovrani. Questo portò anche alla nascita di nuove organizzazioni di vita religiosa, con la fondazione di nuovi ordini, quali i Cistercensi (1098), dal monastero di Citeaux in Borgogna, che miravano a una restaurazione della regola benedettina originaria e a una riaffermata austerità di vita (la regola cistercense fu approvata nel 1119 e uno dei più grandi rappresentanti del movimento fu San Bernardo), e i Certosini (1084), nati da una comunità fondata da San Brunone di Colonia a Chartreuse, presso Grenoble (soggetti a una regola molto severa approvata nel 1133). La riforma portò anche dissenso religioso, soprattutto da parte di laici e di riformatori capaci di radunare intorno a sé un gran numero di simpatizzanti.
   
Articolo di Aldo Ciaralli

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