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giovedì 16 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 20. ERESIA COME RIVOLTA DEL POPOLO CONTRO IL CLERO

Il secolo XI segna l’inizio di una profonda trasformazione della società medievale. Se non scomparse, si riducono notevolmente le epidemie e il clima si fa più mite favorendo lo sviluppo dell’agricoltura che, proprio in questo periodo, si avvale di nuove attrezzi come l’aratro di ferro, la ferratura degli zoccoli ai cavalli, e tecniche come la rotazione triennale anziché biennale, ecc. Si assiste un po’ ovunque a una ripresa dei commerci. Tutti aspetti che in qualche modo anticipano la rinascita del Basso Medioevo e, in primo luogo, il sorgere dei Comuni in Italia, e quindi degli Stati nazionali in Europa. Conseguenza di tutto ciò è la spinta, in qualche modo centrifuga, dei laici, soprattutto i ceti emergenti degli artigiani e dei mercanti, per acquisire un’autonomia maggiore e una partecipazione sempre più rilevante nella società del tempo.
C’è inoltre da registrare un aumento vertiginoso della circolazione di capitali sia per l’effetto dei primi vagiti di tecniche di natura bancaria sia per un aumento esponenziale della ricchezza di Comuni e Stati. Non è credibile assoggettare l’aumento della valuta circolante solo ai commerci attivati tra Oriente ed Occidente poiché l’ammontare globale delle monete in uso tra le varie popolazioni non corrisponde all’interscambio di merci o servizi. Tra l’altro è riscontrabile un aumento esagerato e improvviso di monete in argento laddove è noto che in Europa non esistevano miniere d’argento. Questo argomento sarà oggetto di trattazione quando verranno affrontati i misteri delle società Segrete. Il movimento riformatore dell’XI secolo dette vita a un’esigenza di rinnovamento difficile da frenare. Le idee di riforma si erano ampiamente diffuse sia in ambienti clericali e monastici, che tra il laicato, impegnato contro il clero simoniaco e concubinario, a sostegno della fazione riformatrice, alimentando un diffuso risveglio evangelico. La lotta per la libertas ecclesiae contro il potere imperiale e signorile, che aveva coagulato attorno al papato le forze religiosamente più impegnate, nel corso del XII secolo diede vita a contestazioni sempre più consistenti contro le gerarchie ecclesiastiche. Vi furono, quindi, gruppi e individui che si staccarono dalla chiesa romana. La cultura clericale fu incapace di uscire dagli schemi della patristica agostiniana e non riuscì a cogliere la novità di questi movimenti spinti soprattutto da un’esigenza etica e spirituale, piuttosto che dottrinale. La religiosità non conformista, ma più spesso il semplice desiderio di vivere un rapporto più diretto con il divino al di fuori dei canoni istituzionali, venne interpretata come disobbedienza ai vertici della cattolicità romana, disobbedienza che, ispirandosi al modello giuridico dell’antico ordinamento imperiale romano, sul finire del XII secolo, con Innocenzo III venne equiparata al crimine di lesa maestà. Il dissenziente religioso, l’eretico, venne trasformato in un criminale e contro di esso verranno utilizzati strumenti coercitivi violenti. Una prima testimonianza di questi movimenti ci viene da Rodolfo il Glabro, un monaco dell’XI secolo, che ci parla di un popolano di nome Leutardo, nel territorio di Châlons, che, sentendosi ispirato da Dio, dopo aver cacciato la propria moglie, entra in una chiesa per spezzarne il crocefisso e predicare al popolo di non pagare le decime. A parte il rifiuto della moglie, probabilmente legato a un’esigenza ascetica intensa, il gesto iconoclasta della croce indicava un rifiuto netto dell’ordinamento sacerdotale e di ogni simbologia connessa. Sempre secondo la cronaca di Rodolfo, la povertà spirituale e teologica di Leutardo nulla poté fare contro la dialettica del vescovo di Châlons, Geboino, il quale lo umiliò a tal punto che, per la vergogna, l’eresiarca pose fine ai suoi giorni gettandosi in un pozzo.
Nel 1018 un altro cronista, Ademaro di Chabannes (988-1034), parla di una diffusa presenza di eretici
nell’Aquitania. «Costoro - egli afferma - negano il battesimo; digiunano come monaci votati all'astinenza; proclamano la superiorità della castità ma di nascosto si concedono le più ampie libertà». Ademaro li chiama “manichei” ma poco o nulla sappiamo sull’origine della sua definizione. Fenomeno di ben altra portata è quello dei canonici di Orleans nel 1022. A parlarcene sono diverse fonti, tra cui i già citati Ademaro e Rodolfo. Nel processo che venne istituito per giudicare la loro condotta dottrinale, sin dalle prime battute si ebbe la sensazione di trovarsi di fronte a una religione distinta rispetto a quella cattolica. Dei circa quattordici inquisiti solo un chierico ritrattò e tutti gli altri, il 28 dicembre 1022, vennero messi al rogo. Tratti salienti erano una sorta di iniziazione purificatrice attraverso l’imposizione delle mani, secondo un rito ben preciso, che conferendo il dono dello Spirito Santo, liberava l’adepto da ogni peccato. I canonici negavano la redenzione operata da Cristo e la maternità divina della Madonna, da loro ritenuta una creatura non diversa dalle altre. Non credevano al sacramento dell’eucaristia, né a quello del battesimo. Inoltre, rifiutavano di riconoscere ai vescovi il potere di ordinare sacerdoti. A tre anni dal rogo di Orleans, sempre in Francia, abbiamo notizie di un’ altra presenza ereticale quando Gerardo, vescovo di Cambrai e Arras (1013-1048), convocò una sinodo diocesana per sgominare un gruppo di eretici provenienti dall’Italia e seguaci di un certo Gandolfo. Dai resoconti degli interrogatori e delle indagini risulta che la loro estrazione sociale era quella di gente semplice, illetterata, che a malapena capiva il latino. Ma la loro fede e condotta morale, tutta rivolta ai canoni evangelici e alla vita apostolica, creò non pochi problemi a Gerardo per sconfessarli. «Questi eretici – afferma – si dichiarano soddisfatti di seguire gli apostoli, di abbandonare il mondo, vincere le passioni carnali, guadagnarsi da vivere con il lavoro senza necessitare dell’aiuto di chicchessia ma contando esclusivamente sulle proprie opere al fine di ottenere la salvezza». Il loro messaggio, apparentemente semplice e ingenuo, aveva una
portata assai più ampia e rivoluzionaria. Infatti, gli eretici di Arras rifiutando la validità dei sacramenti, poiché
senza l’impegno individuale a seguire un modello di vita apostolica a poco o a nulla possono servire, negavano di fatto anche il ruolo di intermediazione tra il mondo e il divino della stessa Chiesa e della sua struttura gerarchica. Questi eretici portano con sé germi di un malessere spirituale e religioso che ebbe non poche conseguenze nei secoli XIII-XIV ed erano di gran lunga i più pericolosi dei vari gruppi fino a allora conosciuti.
Un altro focolaio d'eresia, di chiara origine italiana, fu quello degli eretici di Monforte (nelle Langhe, in provincia di Cuneo). Nel 1028 l’arcivescovo di Milano, Ariberto d’Intimiano, passando da Torino, informato sull’esistenza di questa setta, interrogò un certo Gerardo, esponente di un gruppo ereticale asserragliato nel castello di Monforte. La deposizione di Gerardo, riportata dal cronista milanese Landolfo Seniore, ci rivela un’ideologia in antitesi con il pensiero ortodosso, dove erano già presenti molti elementi assimilabili a quelli che furono propri dei catari. Innanzitutto la condanna di ogni forma di rapporto sessuale e, insieme a una totale astensione dai cibi carnei, una visione negativa della vita materiale e della realtà. A questo va aggiunta l’importanza centrale della preghiera, in cui i maiores della setta (una sorta di “perfetti”) si alternavano giorno e notte, e la comunione dei beni pretesa quale forma di rinuncia al possesso privato. Altra vicinanza con le tematiche catare era l’accettazione di una morte violenta, il martirium, che permettesse una sorta purificazione, similare al concetto dell’“endura” catara. Dal punto di vista teologico la loro concezione della Trinità non aveva nulla a che vedere con il simbolo Niceno. Il Padre era il Creatore del mondo, ma il Figlio rappresentava l'animo umano e lo Spirito Santo altro non era che la comprensione delle Scritture stessa (sappiamo che gli abitanti di Monforte leggevano continuamente il Vecchio e il Nuovo Testamento). La presenza di maiores lascia intendere, chiaramente, che esisteva all’interno del gruppo una gerarchia (parlano addirittura di un loro pontefice a capo della setta). L’arcivescovo Ariberto decise di inviare una spedizione che portò alla cattura di un discreto numero di eretici, tra i quali la stessa contessa del castello, e li condusse con sé a Milano. Anche per le pressioni esercitate dalla nobiltà cittadina, ecclesiale e non, allarmata per la loro predicazione che esaltava la comunanza dei beni e la castità in aperto dissenso con le pratiche di simonia e nicolaismo, e l’intromissione del potere civile nelle cariche religiose, nel 1028 Ariberto li dichiarò eretici e offrì loro la scelta tra la conversione forzata e la morte sul rogo. Soltanto alcuni abiurano, mentre tanti furono quelli che si gettarono spontaneamente nel fuoco.

Articolo di Aldo Ciaralli

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