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giovedì 2 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 7. I SETTE PECCATI CAPITALI

Il sistema dei sette vizi o peccati capitali venne messo a punto da papa Gregorio Magno, morto a Roma nel 604. Esso si fonda su un “septenario”, un sistema basato cioè, sulla potenza del numero sette, utilizzato dalle Sacre Scritture per designare sia la perfezione dell'eternità, sia lo svolgimento del tempo scandito dai sette giorni della settimana. L’impianto impostato da Gregorio non permetteva soltanto di legare i peccati fra loro, ma anche di stabilire una gerarchia fra loro. A partire dalla superbia e l'avarizia, i due primi peccati capitali, derivano gli altri il cui insieme ha costituito una costante nella riflessione medievale sul tema del Male e del peccato e la salvezza dell'uomo e per la sua salvezza. In realtà il settenario dei vizi, che domina la pastorale dei secoli tardomedievali, ha alle sue spalle una storia molto più lunga. La loro prima apparizione in Occidente risale agli scritti del monaco Giovanni Cassiano, vissuto tra IV e V secolo, che a sua volta si rifà ai testi di un altro monaco orientale, Evagrio Pontico.
In origine i vizi capitali hanno una funzione precisa: indicano ai monaci, a coloro cioè che rinunciano al mondo, i passi fondamentali di un cammino di espiazione e di avvicinamento a Dio. Nelle pagine di Cassiano, i vizi capitali realizzano un processo di perfezionamento individuale che coinvolge il corpo e l’anima del monaco e che si conclude solo quando costui riesce a raggiungere il completo controllo di sé, dei suoi impulsi e dei suoi desideri. La società è ancora lontana. I vizi di Cassiano non parlano di ciò che avviene nella società, ma solo dei rapporti del monaco con sé stesso, espressione di un’etica individuale. Per assistere alla fisionomia definitiva del sistema dei vizi capitali, che conobbe tanta fortuna nel Medioevo, si deve aspettare ancora un secolo, quando il sistema settenario viene reinterpretato da un altro monaco, divenuto papa, Gregorio Magno. Con lui la dinamica del sistema settenario assume una forte valenza sociale, non si riferisce più ai soli smarrimenti di chi ha intrapreso un percorso di rinuncia al mondo e di realizzazione spirituale, ma ad ansie interiori che possono avvenire nel cuore di ogni uomo. Gregorio, nella scia dei Padri della Chiesa e dell’impostazione agostiniana, pone la superbia come origine di tutti i vizi. È il peccato primario di Lucifero, l'angelo ribelle, e di Adamo, la creatura disubbidiente, il peccato, cioè, di volersi paragonare a Dio, richiamandosi così all’origine e alla natura del peccato dell’uomo per acquisire una dimensione universale. Il settenario dei vizi costruito da Gregorio andò al di là delle sue stesse intenzioni e si rivelò una perfetta costruzione teologica per l’individuazione e classificazione dei peccati, soprattutto dopo il Concilio Laterano del 1215, quando introdusse il canone che rendeva obbligatoria una volta all'anno per tutti i fedeli la confessione individuale dei peccati, quando fu scelto per mostrare ai confessori come interrogare i penitenti e ai penitenti come rendere conto dei loro peccati ai confessori. Il sistema gregoriano doveva il suo successo ancora in epoca tardo-medievale, non solo per l’efficace iconografia con cui fu rappresentato, ma anche, e principalmente, perché permetteva di individuare, coerentemente e nello stesso tempo, i peccati che si svolgevano sulla scena sociale e quelli che si compivano nel segreto delle coscienze, ravvisando nella moralità interiore del singolo l'origine dei dissidi e delle violenze che turbavano la comunità. Se la superbia, in particolare nel sistema teoretico tomista, diviene il peccato per eccellenza, il dovere dell'uomo medievale era di restare dove Dio lo aveva collocato. Elevarsi era segno d'orgoglio e bisognava, pertanto, rispettare l'organizzazione della società voluta da Dio, modellata sulla società celeste. Sul piano sociale e politico forte, se non ossessivo, è il concetto di autorità: l'uomo medievale deve obbedire ai suoi superiori, ai prelati, se è chierico, al re, al signore, ai capi comunali, se è laico. Sul piano intellettuale e mentale deve essere fedele alla Bibbia e ai Padri della Chiesa. Per questo una delle più grandi virtù dell'uomo medievale, soprattutto su base religiosa, era l'obbedienza.

Articolo di Aldo Ciaralli. Non può essere modificato nè distribuito senza il consenso dell'autore

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