Se il male è la mancanza del bene dovuto, e se esso è frutto della libera scelta dell’uomo, tutto il genere umano è immerso nel peccato. Partendo da questi ragionamenti Agostino asserisce, quindi, anche che la grazia donata ai credenti dal Redentore è la fonte della salvezza e che le sofferenze terrene, giusta retribuzione del peccato, sono mezzo di espiazione per gli eletti e anticipazione della punizione eterna per i reprobi. Il mondo e la storia dell’umanità diventano il campo della lotta tra bene e male, tra la civitas dei e la civitas diaboli (e il ruolo di Satana come avversario di Dio si farà ancora più marcato nella spiritualità medievale), con la condanna eterna della maggior parte degli uomini. Nessuno nasce innocente. Anche i bambini che muoiono senza battesimo saranno “giustamente” puniti per l’eternità: essi, scrive Agostino, "subiranno gli effetti della sentenza pronunciata contro quanti non hanno creduto e saranno, quindi, condannati" (Lettera 217).
Concetto angosciante che fu fatto proprio non solo dal concilio locale di Cartagine del 418, ma anche dal concilio ecumenico di Lione del 1274, e che ha prodotto una visione pessimistica e colpevolizzante dell’uomo, finendo per allontanarlo dal messaggio originale del Vangelo. Spinti da questa influenza e dalla spiritualità neo-platonica, i teologi cristiani medievali tenderanno, di conseguenza, ad identificare il male con il corpo (senza, però, arrivare ad considerarli identici come nel manicheismo), fonte di continue tentazioni. La vita terrena viene gradualmente svalutata, non solo per il dolore e le miserie del quotidiano, ma anche per un desiderio di felicità che nessun bene mondano, data la sua caducità, può dare, cioè Dio. Ecco, allora, la via alla beatitudine, che spezza ogni legame terreno per cercare Dio solo. Questa comunione con Dio si realizza pienamente e solamente nell’aldilà, e appare sempre più chiaramente come il fine del cristiano. Col passare dei secoli la vita terrena viene vista sempre più come un’esperienza provvisoria, un luogo di sofferenza da sopportare in attesa della felicità eterna. Il mondo diviene, così, una valle di lacrime, e la natura umana viene vista di per sé stessa come un qualcosa di spregevole, soprattutto a causa del corpo e della sessualità, che contaminano l’anima (tra vari i peccati che vengono rappresentati nel Medioevo, quello della lussuria, non a caso, è uno dei più turpi e immondi e il sesso, in particolare quello femminile, diventa la tentazione per eccellenza).
Concetto angosciante che fu fatto proprio non solo dal concilio locale di Cartagine del 418, ma anche dal concilio ecumenico di Lione del 1274, e che ha prodotto una visione pessimistica e colpevolizzante dell’uomo, finendo per allontanarlo dal messaggio originale del Vangelo. Spinti da questa influenza e dalla spiritualità neo-platonica, i teologi cristiani medievali tenderanno, di conseguenza, ad identificare il male con il corpo (senza, però, arrivare ad considerarli identici come nel manicheismo), fonte di continue tentazioni. La vita terrena viene gradualmente svalutata, non solo per il dolore e le miserie del quotidiano, ma anche per un desiderio di felicità che nessun bene mondano, data la sua caducità, può dare, cioè Dio. Ecco, allora, la via alla beatitudine, che spezza ogni legame terreno per cercare Dio solo. Questa comunione con Dio si realizza pienamente e solamente nell’aldilà, e appare sempre più chiaramente come il fine del cristiano. Col passare dei secoli la vita terrena viene vista sempre più come un’esperienza provvisoria, un luogo di sofferenza da sopportare in attesa della felicità eterna. Il mondo diviene, così, una valle di lacrime, e la natura umana viene vista di per sé stessa come un qualcosa di spregevole, soprattutto a causa del corpo e della sessualità, che contaminano l’anima (tra vari i peccati che vengono rappresentati nel Medioevo, quello della lussuria, non a caso, è uno dei più turpi e immondi e il sesso, in particolare quello femminile, diventa la tentazione per eccellenza).
La sofferenza, in sintonia con quanto sopra detto, assume un valore salvifico e diviene via privilegiata per la salvezza. Se nella Bibbia la sofferenza è frutto del rifiuto dell’alleanza, nella mistica medievale diventa un segno di Dio, quasi una testimonianza della Sua predilezione. Innumerevoli sono le testimonianze di mistici e mistiche che hanno inteso in questo modo la sofferenza, e tra queste ricordiamo le parole che Caterina da Siena (1347-1380) crede le siano direttamente rivolte da Gesù: "Così Io vi dico che dovete offrirmi la coppa delle molteplici prove corporali secondo il modo col quale Io ve le mando: senza scegliere il luogo, il tempo, la prova, secondo il vostro desiderio, ma conformandovi al Mio" (Libro della divina dottrina, cap. 12).
Logica conseguenza del disprezzo del mondo è l’accettazione delle disuguaglianze sociali, dato che le tribolazioni causate dalla povertà sono, in quest’ottica, cosa di poco conto. Mentre ancora alla fine del sesto secolo Gregorio Magno (590-604) considerava ingiusta l’appropriazione, da parte dei grandi proprietari, dei frutti della terra, destinati da Dio a tutti gli uomini, tanto da arrivare ad affermare che "quando distribuiamo ai poveri alcune cose indispensabili non facciamo dono di cose nostre ma restituiamo ad essi le loro"(Regula pastoralis, III, 21), nel tredicesimo secolo non solo il papato accetta ormai senza riserve l’organizzazione sociale del tempo, ma anche condanna ogni tentativo di mutarla. Visione che non è rimasta confinata solo al Medioevo, ma che è perdurata fino ai primi anni del secolo scorso quando, ad esempio, papa Leone XIII (1878-1903), in piena sintonia con il governo Crispi, si dichiarerà favorevole alla repressione delle agitazioni operaie, o papa Benedetto XV (1914-1922), rifiutando l’ipotesi che la ricchezza possa derivare dallo sfruttamento dei lavoratori, condannerà ogni forma ribellione.
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