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giovedì 2 febbraio 2012

IL CANTICO DELLE CREATURE

Il Cantico delle Creature (Canticus o Laudes Creaturarum), anche noto come Cantico di Frate Sole, è il testo poetico più antico della letteratura italiana che si conosca. Ne è autore Francesco d'Assisi e, secondo una tradizione, la sua stesura risalirebbe a due anni prima della morte del Santo, avvenuta nel 1226. È comunque più probabile che, come riportano le biografie di Francesco, la composizione sia stata scritta in tre momenti diversi. Il Cantico è una lode a Dio che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l'immagine del Creatore: da ciò deriva il senso di fratellanza fra l'uomo e tutto il creato, che molto si distanzia dal contemptus mundi, dal distacco e disprezzo per il mondo terreno, segnato dal peccato e dalla sofferenza, tipico di altre tendenze religiose medioevali (p.es. Jacopone da Todi). La creazione diventa così un grandioso mezzo di lode al Creatore. La storia della fortuna letteraria del Cantico - ovvero della sua opinione e valutazione critica - coincide con il concetto stesso di Storia della letteratura italiana.
Fino al Settecento, infatti, Francesco non venne mai letto in chiave poetica e il Cantico non venne considerato un'opera d'arte. È solo con la nascita della scienza storiografica - fine XVIII, primo XIX secolo - e con gli ideali romantici delle radici popolari della poesia, che l'opera venne rivalutata dalla tradizione critica e filologica. L'idea dunque del Cantico come prima opera della letteratura italiana nasce quindi con il romanticismo e privilegia una concezione sociologica, e non solo retorica, dell'opera letteraria. Questo brano è il primo documento storico scritto in lingua volgare italiana.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’ mi’ Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’ mi’ Signore, per sor aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’ mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’ mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali,
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate
et serviateli cun grande humilitate.

Composto in volgare umbro del XIII secolo (folta la presenza di -u finale - plurale di terza persona in -ano "konfano" - l'epitesi di ène - la congiunzione ka - il verbo "mentovare"), con influssi toscani e francesi, e latinismi. La critica ha discusso a lungo, senza precise conclusioni, il valore da attribuire alla proposizione "per": il suo uso è infatti centrale nella definizione della natura "laudatoria" del componimento. Qui ci limiteremo a menzionare il semplice elenco delle interpretazioni che ne sono state date: 1) valore causale; 2) strumentale; 3) agente; 4) mediale; 5) di stato in luogo; 6) circostanziale. Il Cantico ha la forma di prosa ritmica assonanzata. Il testo era fornito di accompagnamento musicale, composto dallo stesso Francesco, oggi perduto. La semplicità del sentimento espresso è rispecchiata da una sintassi semplice, nella quale i termini sono spesso coordinati per polisindeto (p.es.: "et per aere et nubilo et sereno et onne tempo", verso 13) e gli aggettivi sono numerosi. I versetti sono raggruppati in piccoli blocchi facilmente riconoscibili, differenziati dal punto di vista tematico. L’omogeneità di tali blocchi è garantita da ben calcolati artifici formali: siamo di fronte ad un’opera colta e raffinata, non ingenua come si pensava in epoca romantica. L'atteggiamento di Francesco nei confronti di Dio rispecchia una semplicità che non è però assenza di profondità. Tra le due possibilità che il panorama dottrinale dei Dottori della Chiesa offriva all'epoca, Francesco propende per la celebrazione della Gloria divina attraverso il rapimento e l'estasi, piuttosto che per l'enunciazione speculativo-filosofica. L'azione della lode di Dio appare qui come un itinerario dal Creato al Creatore, un itinerario dei sensi più che della mente, attuato per gradi. Questa azione liturgica - che tale appare essere la finalità del Cantico - è composta da tre elementi: un locutore, un messaggio e un destinatario. Il locutore è l'officiante del rito e compie la funzione di invitare le creature a dirigere la loro lode a Dio. Il messaggio è l'esaltazione dell'amore di Dio, che si manifesta nelle creature stesse il cui compito è quello di lodarlo. Il destinatario è naturalmente Dio. Sul locutore pesa però il dubbio delle parole stesse con cui il Cantico si apre: "...et nullu homo ene dignu te mentovare". Come scrive Giovanni Pozzi: «Le creature non possono pronunciare lodi confacenti a Dio. E allora perché le lodi di Dio sarebbero sue se non nel comune senso passivo (...) ma in senso attivo, perché Lui solo può dirle adeguatamente, perché Lui solo può mentovarsi come agente e locutore della lode?» [Torino 1992]. A sostegno di questa interpretazione concorre la lunga e autorevole tradizione della teologia negativa di stampo neoplatonico e agostiniano, per la quale nessun discorso è possibile su Dio, se non da parte di Dio stesso. Sui contenuti del messaggio, è forse opportuno chiarire che la lista delle creature offerta dal Cantico non è una "semplice presenza" di elementi esistenziali a diretta portata dall'uomo, ma rappresenta - sul modello biblico sopra citato - il sistema enciclopedico di tutta la realtà cosmica allora concepita, strutturata in un ordine poetico dotato di grande sinteticità oratoria. Questa complessità strutturale trova conferma nell'analisi dei riferimenti agli elementi del creato. Subito troviamo che tutte le creature sono viste in modo positivo e sono chiamate "fratello" e "sorella": Francesco pone l'uomo al loro livello, in quanto anch'egli creatura, ma chiamato ad una maggiore responsabilità morale, in quanto dotato di libero arbitrio: l'uomo trova beatitudine solo nel rispetto della legge divina (v. 30) e nell'imitazione di Cristo (vv. 23-26). La lode al Signore trova inizio con l'ammirazione degli astri, dei quali sono sottolineate la bellezza ed utilità: al Sole è dedicata maggior attenzione, anche perché porta in modo particolare "significatione" di Dio. Francesco quindi passa alla lode per i quattro elementi fondamentali: il vento, l'acqua, il fuoco e la terra. Al vento e ad ogni variazione del tempo non sono collegati grandi eventi distruttivi, ma essi sono descritti e lodati per ciò che naturalmente sono, ossia fonte di sostentamento per le creature; il vento è però anche simbolo di Dio. La visione positiva porta infatti a vedere gli elementi non nelle catastrofi, ma nella loro più semplice funzione ed esistenza: qui ricordiamo, per esempio, l'episodio biblico di Elia che trova Dio non nel vento impetuoso e gagliardo, né nel terremoto, e neppure nel fuoco, ma nel vento leggero (1Re 19,11-12). Anche l'acqua è vista come "utile" e "pretiosa"; la sua umiltà e castità, inoltre, la caratterizzano come mezzo di purificazione, nei sacramenti del battesimo e della penitenza.
Il fuoco trova importanza come fonte di luce e calore, ma, come l'acqua, rientra in una chiave di lettura simbologica cristiana, essendo riferibile allo Spirito Santo (e dunque anche qui, come nell'elemento vento, vi è un richiamo alla Pentecoste). La terra, infine, è la madre che nutre le sue creature: si può intravedere il richiamo all'immagine della terra che fa crescere il grano della parabola del seminatore (Mt 13,3-9), ma anche un parallelismo con la terra nella quale ha riposato il corpo morto di Gesù e dalla quale il risorto è tornato. Da notare dunque il marcato parallelismo simbolico agli eventi della salvezza ed ai sacramenti. Il tono della lauda ora muta: l'inno si incentra sull'uomo che, come abbiamo visto, solo con Dio può essere beato. Da qui Francesco passa al tema della morte, anch'essa sorella: nessun uomo la può evitare e, per l'uomo in stato di grazia, anch'essa sarà un fatto positivo, il passaggio alla vera vita con Dio; in particolare, l'attenzione può cadere sulla locuzione morte secunda, che si può riferire sia al fatto che la morte, benigna, non può danneggiare l'uomo pio, sia al fatto che il giusto, nel giorno del giudizio, non dovrà temere la seconda morte, definitiva, dell'anima. Nella conclusione, Francesco formula l'invito agli uomini toccati dal Cantico a lodare e benedire Dio, servendolo con umiltà. La "fortuna" del Cantico è strettamente legata al dibattito sulla presenza o meno di una "poeticità" dell'opera. Sino alla nascita della critica idealista, in Italia l'esegesi del componimento era patrimonio quasi esclusivo dei francescanisti, per i quali l'idea di una "poeticità" del Cantico era questione quasi fastidiosa. Oggi si può affermare che nessun nome della critica novecentesca si è sottratto al confronto con il mistero di una preghiera che non ha paragoni - per complessità e valori estetici - con alcun'altra in Occidente (nemmeno dal repertorio luterano è emerso qualcosa di altrettanto "classico"). Si è così affermata l'idea di collocare il Cantico sul confine che separa l'esperienza poetica da quella della conoscenza del divino, senza necessariamente dover decidere per una delle due. La lode è un atto verbale performativo, vale a dire autoreferenziale e senza scopo che non sia il suo stesso esibirsi. Ma in quanto tale, e per le ragioni addotte nella "Teologia della lode", essa è anche esperienza estatica, perché colloca l'"Io lodante" fuori di sé (non potendo che essere Dio stesso il soggetto della lode). Dunque è il misticismo la profonda radice poetica del Cantico, contraddicendo alla tradizione che vuol nettamente separati il discorso mistico e quello poetico. Come scrive Giovanni Pozzi:

«La lode divina, nella sua variante più essenziale, partecipa del discorso mistico in quanto, essenzialmente estatica, demanda l'azione stessa del lodare al lodato. Ma non narra nessun annullamento e nessuna trasformazione del locutore nell'altro» - ed è quindi discorso di un Io, possibile soggetto poetico -.«Quindi la lode ha una struttura che l'accomuna al discorso poetico»

Fonte: Wikipedia

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