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giovedì 9 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 11. I DOGMI E I RITI DELLA CHIESA CATARA

Come abbiamo visto, i catari erano dei cristiani che interpretavano il Nuovo Testamento secondo un schema di tipo dualistico, ma distinto da quello dei manichei, con i quali vennero spesso accomunati dai inquisitori cattolici. Credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, impersonificati, rispettivamente, dal Dio santo e giusto, definito nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico, o Satana. Sostenevano che il Male conducesse una continua ed incessante lotta contro il Bene per contendergli la vittoria. Secondo la dottrina catara il mondo materiale non era stato creato da Dio, ma era interamente opera di Satana e non era altro che una sua manifestazione.
Anche l’origine del corpo umano era considerata diabolica, in quanto creatura di carne. Ma la vita, intesa come anima o spirito, era opera di Dio. Reinterpretando la Genesi, i catari sostenevano che Satana indusse Adamo ed Eva a quell’unione carnale che avrebbe sancito il loro imprigionamento nella materia. Da quel momento in poi, attraverso la procreazione, lo Spirito si sarebbe moltiplicato e suddiviso all’infinito per opera del Demonio che, pur essendo incapace di creare, sapeva essere un grande seduttore di anime. Una volta catturate, le avrebbe poi portate prigioniere sulla Terra, introducendole nella Materia, per principio loro estranea, causa di sofferenza per le anime perché separate dal Dio Buono, con il quale vivevano in beatitudine e a cui anelano di ritornare. I catari proponevano, pertanto, un distacco dal mondo terreno e dai suoi valori per proporre l’attenzione verso un mondo celeste e luminoso di ben altro valore. Il mezzo per cui le anime potevano essere liberate e ritornare alla loro dimensione spirituale, fuori dal tempo, era la conoscenza, la consapevolezza della loro natura. La maggior parte delle sette catare credevano nella trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro, in una sequela di nascite e di morte, con diversi gradi di perfezione. Chi avesse condotto una vita onesta, sarebbe stato ricompensato reincarnandosi in un corpo più favorevole al suo progresso spirituale, fino alla definitiva liberazione. Chi, invece, trascorreva la sua vita nel crimine, si sarebbe degradato, reincarnandosi perfino in un animale. Perché le anime potessero tornare al Dio Buono, che non poteva avere nessun contatto con la Materia, creata dal Principe del Male, Dio inviò un Messia, un Mediatore, Gesù, che secondo i Catari, era anche il più perfetto degli Angeli. Gesù scese nel mondo impuro della Materia, senza incarnarsi, però, perché non aveva corpo. La sua fu solo apparenza, una visione. Secondo l’interpretazione catara del Nuovo Testamento, Gesù, infatti, non ha potuto soffrire e trovare la morte sulla croce perché il suo corpo, che non era fatto di materia, non poteva provare dolore, né morire né risuscitare (aderendo, così, al concetto docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra). Prima di risalire in cielo per tornare alla sua vera essenza, insegnò agli Apostoli la via della salvezza lasciando alla Chiesa in Terra lo Spirito Santo a conforto delle anime esiliate. Il Demonio, però, era riuscito a sopprimere e a sostituire la chiesa di Cristo con un’altra falsa chiesa, quella cattolica, così legata al mondo terreno. L’autentica chiesa cristiana, quella che possedeva lo Spirito Santo, era ovviamente quella catara, mentre la Chiesa di Roma era la Bestia, la prostituta di Babilonia. Per questo i catari sostenevano che chiunque obbedisse alla Chiesa romana non poteva salvarsi. Confutavano anche i sacramenti del battesimo e della comunione poiché, essendo l’acqua del battesimo e il pane dell’ostia fatti di materia impura, non potevano avere in sé lo Spirito Santo. La Croce anziché venerata doveva essere odiata, perché strumento di umiliazione del Cristo. I catari non davano alcuna importanza alle immagini e alle reliquie che la Chiesa cattolica considerava sacre e negavano anche che la Vergine Maria fosse stata la madre di Gesù in quanto, non avendo mai avuto un corpo, non poteva nascere (per i catari ella fu un Angelo che aveva assunto le fattezze di una donna). Per comprendere il significato della rappresentazione catara dell'Evangelo, sia che appartenesse alla corrente dualista radicale o a quella moderata, dobbiamo sempre ricordare che alla base c’era la visione negativa del mondo quotidiano. Solo così possiamo comprendere la durezza di alcuni riti e il rigorismo ascetico di molte delle sue regole, come l'astensione, già menzionata, dai cibi carnei, abolendo dalla dieta non solo la carne, ma anche uova, latte e derivati, e la pratica del digiuno a pane e acqua, che veniva attuata per tre quaresime all'anno (prima di Natale, di Pasqua e dopo Pentecoste) e tre giorni alla settimana. Il rito cataro per eccellenza era quello del Consolamentum (indicato nelle fonti medievali anche con il termine di Baptismum spirituale), un rito complesso fatto con l’imposizione delle mani, che permetteva al semplice fedele di diventare un “perfetto”. In pratica era una cerimonia che racchiudeva in sé il valore dei sacramenti cristiani del battesimo, della cresima, del sacerdozio ed estrema unzione. Per poter ricevere il consolamentum, il fedele doveva superare un lungo periodo di iniziazione e solo dopo aver dato prova della sua reale ed intima vocazione con digiuni, veglie e preghiera. Il giorno della cerimonia veniva introdotto in una casa di fedeli, vestito con una lunga tonaca nera a simboleggiare il distacco dal mondo, mentre tutto intorno c’erano ceri accesi che rappresentavano le fiamme dello Spirito Santo. Il perfetto che officiava la cerimonia spiegava al neofita i doni della religione e gli obblighi morali e spirituali ai quali si sottometteva. Dopo aver recitato il Pater Noster, la più importante, ed in pratica, l’unica vera preghiera riconosciuta dai catari, il futuro perfetto abiurava la fede cattolica. Dopo essersi inginocchiato tre volte, chiedeva di essere accolto nella nuova chiesa, promettendo di non mangiare carne, uova e altri alimenti di origine animale, di astenersi dagli atti sessuali, di non mentire né giurare e di non rinnegare la fede per paura della morte. Confessava pubblicamente i suoi peccati e ne chiedeva perdono. Ricevuta l’assoluzione, il perfetto officiante gli poneva sulla testa il Vangelo (la traditio orationis sanctae) e, insieme ai suoi assistenti, imponeva le mani su di lui pregando Dio di inviargli lo Spirito Santo. Poi recitava nuovamente il Pater Noster e gli dava il bacio della pace, imitato poi dai suoi assistenti. A sua volta il nuovo “consolato” baciava il fedele più vicino tra quelli che assistevano alla cerimonia e questo bacio si trasmetteva tra tutti i presenti (se il nuovo perfetto era una donna, l’officiante le toccava una spalla con il Vangelo e il gomito con il gomito). Da quel momento in poi era un perfetto: il vescovo locale gli assegnava un compagno, scelto tra gli altri perfetti, e come tale doveva lasciare tutti i suoi beni alla comunità per darsi alla vita errante, alla predicazione e alle opere di carità. Il consolamentum era riservato ad un ristretto numero di eletti, mentre al resto dei credenti veniva generalmente impartito soltanto in punto di morte. Era comunque un sacramento “instabile”, mai definitivo, che poteva venire compromesso dal minimo peccato. Da qui non solo la necessità di rinnovarlo ogni qualvolta la presenza di più perfetti lo consentisse, ma anche lo stretto legame con altri due riti: quelli del martirium e dell’endura, entrambi generalmente riservati a coloro che erano in punto di morte. Il primo consisteva nel soffocamento del morente, l'altro nel digiuno totale fino alla morte per inedia. Entrambe le pratiche erano motivate dal fatto che solo nel dolore e nella morte poteva esserci la liberazione compiuta, perfetta ed immediata, dal male, e dalla paura che un'eventuale guarigione potesse trascinare il fedele nuovamente al peccato. Accanto a queste veniva praticata anche la salutatio, o abbraccio, che credenti e perfetti si scambiavano incontrandosi, spesso accompagnata dal melioramentum, un vero e proprio omaggio che il credente rivolgeva con un inchino al perfetto. Al rituale cataro appartenevano anche l’Aparelhament, una confessione pubblica dei propri peccati, e la Caretas, un bacio rituale di pace. Per quanto riguarda la recita del Padre Nostro, in pratica, l’unica preghiera accettata dai catari (tranne alcune invocazioni minori), questa conteneva alcune significative correzioni del testo. In particolare al “dacci oggi il nostro pane quotidiano” si sostituiva l'espressione “dacci oggi il nostro pane soprasostanziale”, con la quale s'intendeva non tanto rievocare l'Ultima Cena o procedere alla consacrazione del pane stesso, ma invocare sui presenti lo Spirito Santo. I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più volte al giorno, abitualmente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o sedici (dobla).

Articolo di Aldo Ciaralli. Non può essere pubblicato né distribuito senza il consenso dell'autore.

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