Pagine

martedì 21 febbraio 2012

"IL CODICE DA VINCI":LE FALSITA'

Ebbene si...mi piace e molto il Codice Da Vinci...non sono ipocrita: guardo San Remo e anche il Grande Fratello raramente e non me ne vergogno! Il Codice secondo me è un film (e parlo del film) bellissimo per le scene, per gli attori e come thriller...storicamente ha un po' (un bel po' di pecche)...sono state messe lì volutamente per rendere più intrigante il film oppure per ignoranza dell'autore?

GLI ERRORI STORICI

a) Cosa sono i "documenti segreti" su cui si basa buona parte del romanzo e del film?

«Nel 1975, presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, sono state scoperte alcune pergamene, note come Les Dossiers secrets, Il codice da Vinci, 2003, p. 9 »

Prima enorme inesattezza: i documenti e le pergamene sono due cose distinte: i documenti sono dei testi depositati a Parigi presso la biblioteca Nazionale e che contengono presunte genealogia dei Merovingi e sul Priorato di Sion. Le pergamene sono documenti cifrati che nessuno ha mai visto se non mediante riproduzioni come nel caso del libro l'Or de Rennes del 1967 di Gerard de Sède)

b) Cosa è il Priorato di Sion?

«Il Priorato di Sion [...] fu fondato a Gerusalemme nel 1099 da un re francese chiamato Goffredo di Buglione, immediatamente dopo la conquista della città » (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 189)

L'unico priorato esistito davvero è stato quello fondato da Pierre Plantard e il nome deriva da una montagna nei pressi di Annemasse chiamata Sion. Esiste una abbazia fondata da Goffredo chiamata "Abbazia di Nostra Signora del Monte Sion" che nulla ha a che fare col Priorato di Plantard. I pretesi documenti che dimostrerebbero l'esistenza dell'antico Priorato furono costruiti da Pierre Plantard, il quale fabbricò anche due diverse liste di "Gran Maestri" segreti. Anche dopo la scoperta del falso, Plantard cercò di presentarsi come successore delle cariche più alte del Priorato. In ogni caso Plantard ha confessato davanti ad un giudice francese che tutti i documenti sull'esistenza del Priorato erano stati prodotti ad arte e infine anche i suoi compagni coinvolti nella vicenda hanno ammesso che erano falsi.

c) La fine dei templari

«Verso il 1300, la bolla papale aveva permesso ai templari di ottenere un tale potere che il papa Clemente V aveva deciso di prendere provvedimenti. Operando di concerto con il re di Francia Filippo IV, il papa aveva studiato un'ingegnosa operazione lampo per eliminare i templari e impadronirsi del loro tesoro, impossessandosi così del segreto che minacciava la Chiesa. Con un'operazione militare degna della CIA, il papa Clemente aveva inviato ordini segreti sigillati che dovevano essere aperti contemporaneamente dai suoi soldati in tutta Europa il venerdì 13 ottobre del 1307» (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 191) 

Il professor Alberto Torresani afferma che, in questo lungo brano, di vero c'è soltanto la data finale, mentre l'ingegnoso stratagemma di ordinare a tutti i sicari di aprire gli ordini contemporaneamente si limitava al regno di Francia. In effetti si tratta di un'imprecisione storica: fu il re di Francia, Filippo IV il Bello, desideroso di azzerare i propri debiti e impossessarsi del patrimonio templare, che il 14 settembre 1307 inviò messaggi sigillati a tutti i balivi e siniscalchi del regno ordinando l'arresto dei templari e la confisca dei beni da loro detenuti, che vennero eseguite il 13 ottobre 1307, mossa che riuscì in quanto viene astutamente avviata in contemporanea contro tutte le sedi templari; i Cavalieri, convocati con la scusa di accertamenti fiscali, vennero arrestati e selvaggiamente torturati in carcere finché non confessarono tutte le accuse che il Re aveva spiccato sul loro conto (tra cui eresia, sodomia e idolatria). In seguito a questa mossa, il 22 novembre 1307 papa Clemente V (temendo forse che Filippo il Bello potesse finire per diventare indipendente dall'autorità della Chiesa) con un atto di debolezza emise la bolla Pastoralis præminentiæ con la quale ordinò a sua volta l'arresto dei templari in tutta la cristianità, e il 12 agosto 1308 con la bolla Faciens misericordam sciolse l'ordine confermando le accuse estorte ai prigionieri con la tortura.

«Per quasi un decennio i nove cavalieri Templari erano vissuti nelle rovine del Tempio di Salomone e avevano scavato in totale segretezza nella roccia»
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 190)

Non risulta da alcuna fonte storica.

«Molti di loro vennero bruciati sul rogo e i loro resti gettati nel Tevere senza tante preoccupazioni »
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 397-398)

Sia nell'edizione italiana che in quella americana, riguardo al rogo dei Templari è scritto che le ceneri furono buttate nel Tevere. Questo è ovviamente impossibile, dato che il rogo avvenne a Parigi, sulle rive della Senna come ogni turista può verificare dalla targa che ricorda il rogo del Gran Maestro dei Templari e dei suoi compagni. Il papa Clemente V oltretutto in quell'epoca risiedeva ad Avignone dove era stata spostata la sede papale, non a Roma.

d) Sui Vangeli Apocrifi


«Costantino [durante il concilio di Nicea] commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati » (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 275)
  • durante il concilio di Nicea, indetto effettivamente da Costantino nel 325, non venne discussa la questione del canone della Bibbia.
  • la più antica lista di vangeli ritenuti dalla Chiesa effettivamente ispirati da Dio e dunque canonici, a differenza degli altri vangeli ritenuti apocrifi, risale alla seconda metà del II secolo, circa 150 anni prima del presunto intervento di Costantino. Infatti già nel cosiddetto Canone muratoriano, datato al 170 circa, vengono elencati i 4 vangeli che poi verranno detti canonici.
  • non è vero che i vangeli apocrifi esaltano l'umanità di Gesù mentre quelli canonici ne esaltano la divinità. Al contrario nei vangeli apocrifi Gesù è presentato o come un bambino prodigio, sempre pronto a fare miracoli e a pronunciare spesso profezie e maledizioni. Nei vangeli gnostici, invece, ciò che colpisce e li differenzia profondamente dai vangeli canonici è l'atmosfera profondamente diversa e deliberatamente intellettualista. La realtà materiale è costantemente disprezzata in favore del mondo "vero" che sarebbe quello spirituale del Pleroma, nella convinzione che l'anima sia "una particella della luce dell'alto ingiustamente imprigionata nella materia"
  • da parte ecclesiastica e imperiale non vennero emanate esplicite proibizioni o bandi contro i vangeli apocrifi, né tantomeno essi furono sequestrati o bruciati. Quelli che contenevano nozioni eretiche, perlopiù di tipo gnostiche, si persero all'estinguersi della stessa eresia gnostica. Da parte cristiana inoltre la copiatura di tali testi era vista come inopportuna, non tanto per motivi dottrinali bensì per motivi economici: il supporto papiraceo o pergamenaceo era particolarmente costoso, come anche impegnativa era la copiatura amanuense, e l'attività veniva prevalentemente dedicata ai testi usati per il culto liturgico o per la devozione personale.
«Più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento»
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 272)

La lista degli apocrifi del Nuovo Testamento che possono essere ricondotti al genere vangelo, cioè relativo alla vita e alla predicazione di Gesù, non supera la cinquantina (includendo testi perduti e probabili omonimi).

e) Gesù come "Figlio di Dio"

«Fino a quel momento storico [ 325 d.C., anno del Concilio di Nicea] Gesù era visto dai suoi seguaci come un profeta mortale: un uomo grande e potente, ma pur sempre un uomo. Un mortale [...]. Lo statuto di Gesù come "Figlio di Dio" è stato ufficialmente proposto e votato dal concilio di Nicea [...] e per di più [con] un voto di maggioranza assai ristretta.» (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 273-274)

Il titolo di "Figlio di Dio" è ampiamente applicato a Gesù già nei testi del Nuovo Testamento, redatti entro il I secolo, più di due secoli prima del Concilio di Nicea (325). Ciò che è stato definito nel corso del Concilio di Nicea, contro l'eresia ariana, è la natura consustanziale del Figlio al Padre, espressa nella formula ὁμοούσιον τῳ πατρί (omoùsion tò patrì, sostanziale al Padre) presente nel cosiddetto Simbolo niceno. Ario era infatti contrario alla consustanzialità ritenendo Gesù sì Figlio di Dio, ma non della stessa sostanza, in quanto lo credeva creato dal Padre. Infine non è vero che la definizione di Gesù consustanziale al Padre venne votata "con una maggioranza assai ristretta". I vescovi sostenitori di Ario rappresentavano una sparutissima minoranza tra i 318 padri conciliari: solo Teone di Marmarica e Secondo di Tolemaide votarono apertamente contro. Da notare che nel film viene inserito un dialogo in cui Robert dice che "Costantino non ha inventato. Ha semplicemente sanzionato un'idea che era già largamente diffusa."

f) L'imperatore Costantino

«Nell'anno 325 Costantino decise di unificare Roma sotto una sola religione, il cristianesimo» 
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 272)

In realtà il Cristianesimo diventò religione di Stato soltanto nel 380 per opera dell'Imperatore Teodosio. Tuttavia, secondo Michel Onfray, Costantino inaugurò «il primo Stato cristiano», una sorta di «teocrazia» o di "Stato totalitario" (secondo le parole dello storico cristiano Henry-Irénée Marrou), ottenendo pieni poteri dall'autorità religiosa ed autoproclamandosi «tredicesimo apostolo». È comunque fuor di dubbio che Costantino operò attivamente per l'unità della Chiesa e per le conseguenti sorti dell'impero: infatti convocò e presiedette il Primo concilio di Nicea, preoccupato dalle dispute tra cristiani che stavano minacciando insieme l'unità dei credenti e dell'impero; il Concilio fu tenuto presso il palazzo imperiale, gli ecclesiastici furono spesati nel viaggio come se fossero stati funzionari di stato, il discorso inaugurale fu tenuto da Costantino ed il documento conclusivo venne firmato prima dal rappresentante imperiale Osio di Cordova, e poi dai rappresentanti del papa. Tuttavia, a differenza di quanto sostiene Dan Brown, Costantino non entrò nel merito delle questioni teologiche disputate nel Concilio, anzi rimase un pagano perché la maggioranza dei suoi sudditi era pagana.

«Costantino È stato un pagano per tutta la vita ed è stato battezzato sul letto di morte, quando era troppo debole per opporsi. All'epoca di Costantino, la religione ufficiale romana era il culto del Sole: il culto del Sol Invictus, il Sole invincibile, e Costantino era il suo sacerdote più alto»
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 272)

Secondo lo storico Alberto Torresani, Costantino fu pagano fino ad una settimana prima di morire (venne battezzato dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia), ma non fu adoratore del Sole. Questa affermazione sembra però essere smentita dal semplice fatto che, fino al 375, tutti gli imperatori di Roma furono non solo adoratori del Sole, ma addirittura sommi pontefici (Pontifex Maximus) di tale culto, ossia il massimo grado religioso a cui un romano potesse aspirare: ciò suggerisce che Costantino, morto nel 337, sia appartenuto a questa schiera di sommi pontefici e sia quindi in effetti stato un cultista del Sole. Concorrono inoltre a confermare l'inclinazione dell'imperatore verso il culto pagano i busti di divinità presenti sull'arco di Costantino e le raffigurazione sulle monete emesse durante il suo regno.

g) Su Maria Maddalena

«Purtroppo per quei vecchi correttori, un tema terreno particolarmente preoccupante continuava a presentarsi nei vangeli. Maria Maddalena. [...] O, più in particolare, il suo matrimonio con Gesù Cristo» (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 286)

A sostegno della tesi centrale nella trama del libro relativa al presunto matrimonio tra Gesù e la Maddalena, Dan Brown cita esplicitamente un passo del Vangelo secondo Filippo:

«E la compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi ed espressero disapprovazione. Gli dissero: "Perché la ami più di tutti noi?"» (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 288)

In realtà Dan Brown tralascia di riportare l'incipit del paragrafo, che chiarisce la natura del legame amoroso tra Cristo e la Maddalena.

«La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli. E la compagna del Salvatore...»
(Vangelo secondo Filippo, cap. 55)

La teologia gnostica prevedeva alcune 'semidivinità' dette eoni, il cui numero variava a seconda delle varie sette gnostiche (solitamente 9). Secondo gli gnostici due di questi eoni, il Salvatore e la Sofia, che nell'eternità hanno generato gli angeli, si sono incarnati rispettivamente in Cristo e nella Maddalena, perpetuando sulla terra il loro legame celeste. Il passo non va dunque inteso come una prova storica del matrimonio tra Gesù e la Maddalena ma come una allegoria di una precisa visione teologica. Inoltre nel Vangelo secondo Filippo oltre a trovare vari personaggi che ricevono «baci sulla bocca» (simbolo di comunione spirituale), si legge che l'unione sessuale, anche fra marito e moglie, è sempre prostituzione. Ad ogni modo, più che un "errore", vero o presunto tale, rappresenta il pretesto su cui è costruito l'intero thriller di Dan Brown; sulla questione, peraltro, l'autore innova poco, riprendendo per lo più tesi non sue.

«Un figlio di Gesù avrebbe cancellato l'importante concetto della divinità di Cristo »
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 297)

Questo non è teologicamente vero, infatti la Chiesa afferma che Gesù Cristo è anche vero uomo, dunque avrebbe potuto benissimo generare dei figli, così come ha svolto tutte le altre attività umane (lavorare, parlare, commuoversi, avere paura, dormire, arrabbiarsi, ecc.). Tuttavia, nel corso dei secoli, il tema della natura umana o divina di Cristo è stato fonte di tumultuose controversie all'interno della Chiesa stessa, la quale ha finito per promuovere in molti casi la persecuzione e talvolta l'uccisione di un gran numero di sacerdoti che esaltavano la natura umana, e non divina, di Gesù Cristo.

«Poiché il suo nome era proibito dalla chiesa, Maria Maddalena divenne nota sotto vari pseudonimi: il Calice, il Santo Graal e la Rosa » (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 297-98)

Maria Maddalena è una santa della Chiesa Cattolica, una delle più importanti, in quanto testimone diretta della predicazione di Gesù. Le sono state dedicate: chiese, parrocchie, confraternite, feste, fiere. E' stata oggetto del culto delle reliquie. Milioni di bambine sono state battezzate "Maddalena" o "Maria Maddalena", e, da sempre, questo è uno dei nomi più utilizzati dalle donne che scelgono la vita monastica, tanto che la Chiesa Cattolica conta almeno altre 14 sante con quel nome.

h) I Merovingi

«Ma è una donna! afferma Sophie guardando il personaggio alla destra di Gesù nell'Ultima Cena (...) Quella donna, mia cara, è Maria Maddalena» (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 285-286)

L'aspetto femmineo di Giovanni apostolo fa parte dell'iconografia dell'epoca, riscontrabile non solo nell'opera di Leonardo ma in tutte le "ultime cene" dipinte da altri artisti tra il XV e il XVI secolo (qualche esempio: Taddeo Gaddi, Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, Pietro Vannucci detto il Perugino, Dieric Bouts, Sassetta...). Gli artisti rinascimentali rappresentavano l'apostolo più giovane (il "prediletto" secondo lo stesso quarto vangelo) come un adolescente dai capelli lunghi e dai lineamenti dolci che oggi possono sembrare effeminati ma che all'epoca erano la consuetudine. In particolare ricordiamo che nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, voluminoso repertorio duecentesco di vite di santi ed episodi evangelici, usatissimo come fonte di soggetti per le opere d'arte, Giovanni viene descritto come un "giovane vergine" il cui nome "significa che in lui fu la grazia: in lui infatti ci fu la grazia della castità del suo stato virginale". 

« Non c'erano calici nell'affresco, nessun Graal, (...) Leonardo pare essersi dimenticato di dipingere la Coppa di Cristo. » (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 277)

Nell'affresco l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci mancherebbe uno degli elementi più importanti e indispensabili, il Calice dell'Eucaristia. La scena raffigurata da Leonardo però si rifà al vangelo di Giovanni (Gv. 13), nel quale non è narrata la scena con il Calice e l'istituzione dell'Eucaristia. In tutto il quarto vangelo non si fa alcun cenno né al Calice né al vino, particolari che sono invece presenti negli altri tre vangeli. Il Calice è assente anche in numerosissime "ultime cene" di altri artisti: Domenico Ghirlandaio, Duccio di Boninsegna, Luca Signorelli, Jacopo Bassano, Andrea del Castagno, Andrea del Sarto, Daniele Crespi, Hans Holbein...fatto sta che un calice c'è e si trova sul pilastro di sinistra in primissimo piano!

«Nell'affresco Pietro era piegato minacciosamente verso la donna e la sua mano sinistra simile a una lama faceva il gesto di tagliarle il collo. » (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 290-291)

Anche il gesto di Pietro che tocca la spalla di Giovanni è narrato nel quarto vangelo. Leonardo in questo caso rispetta quasi alla lettera quanto si legge nel capitolo 13: "Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà". I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Di', chi è colui a cui si riferisce?"" (Gv. 13,21). Lo stesso gesto di Pietro che appoggia la mano sulla spalla di Giovanni si trova nell' Ultima cena affrescata da Pietro da Rimini nell'Abbazia di Pomposa (1316).

« Quella mano non stringe un pugnale? - Sì. Cosa ancora più strana, se conti le braccia, vedi che quella mano non appartiene a nessuno in particolare. È priva di corpo. Anonima. »
(Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 291)

Il pugnale "misterioso" è impugnato da Pietro, così come in innumerevoli altre "ultime cene" rinascimentali (Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, Pietro Vannucci detto il Perugino, Andrea del Castagno, Jacopo Bassano, Jean Huguet, Giovanni Canavesio, solo per citarne alcune) ed è in diretto rapporto con la scena successiva del vangelo di Giovanni, quella in cui l'apostolo con quel coltello (una machaira, ovvero un grosso coltello con la lama ricurva, nel testo originale greco) taglierà l'orecchio a Malco, il servo del Gran Sacerdote (Gv 18:10). Uno schizzo preparatorio di Leonardo conservato alla Royal Collection di Windsor, mostra chiaramente il braccio di Pietro nella posa con il polso piegato all'indietro, appoggiato sull'anca. Questo disegno è pubblicato in moltissimi libri sull'artista e pure nell'ufficiale Guida al Refettorio ma se questo non bastasse la posizione del braccio e del coltello è documentata dalle moltissime copie dell'Ultima Cena dipinte in gran parte proprio da allievi di Leonardo. La più conosciuta e meglio conservata è quella del Giampietrino (Royal Academy, Londra), utilizzata anche durante i recenti restauri come documento preziosissimo per poter ricostruire e identificare particolari purtroppo perduti o degradati nell'originale di Leonardo. Un'altra copia è quella conservata nella Chiesa di Sant'Ambrogio di Ponte Capriasca, nella quale il gesto di Pietro che impugna il coltello è perfettamente visibile.

Fonte: Wikipedia

Foto dell'Ultima cena


0 commenti:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...