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venerdì 10 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 15. UN CASO PROVATO DELLA MESCHINITA’ DELL’INQUISIZIONE

Il 26 Dicembre 1269, morì a Ferrara Armanno Punzilovo o, meglio, Pungilupo, un uomo stimato e in odore di santità, estremamente popolare in città che aveva dedicato la propria vita all'assistenza di malati e carcerati e alle buone opere. La sue salma venne portata in cattedrale e divenne oggetto di culto, non solo da parte dei fedeli ferraresi, ma anche da parte di diverse altre città del Veneto e pure da Bergamo. Poco tempo dopo la sua inumazione cominciarono a circolare voci di miracoli e guarigioni improvvise davanti alla tomba del “santo”. Si procedette alla costruzione di una cappella votiva e, quindi, alla tumulazione dei resti in un antico sarcofago che si diceva provenire da Ravenna, dove era stato inumato lo stesso imperatore Teodosio. L'anno successivo alla sepoltura, però, l’inquisitore frate Aldobrandino scoprì che sedici anni prima il Pungilupo era stato processato con l'accusa di essere un cataro, ma che era stato prosciolto in seguito alla sua abiura.
Facendo indagini molto pilotate sul “santo” abusivo, Frà Aldobrandino asserì che Armanno Punzilovo non aveva mai ripudiato la sua antica fede, che aveva continuato a frequentare molti eretici noti della chiesa catara di Bagnolo San Vito (Mantova) e che aveva ricevuto il consolament a Verona. Sollevato lo scandalo, Aldobrandino ordinò quindi ai canonici della cattedrale di esumarne la salma e di allontanarla dalla cattedrale. Ma i canonici si rifiutarono e allora il frate Inquisitore li scomunicò, interdicendo la cattedrale. I prelati del capitolo, che non si lasciarono intimorire, nel 1272 presentarono a Papa Gregorio X (1271-1276) un’ampia documentazione e testimonianze che attestavano l’ortodossia di Armanno Punzilovo. Il papa si convinse della giustezza della loro causa e fece sospendere la scomunica. L'inquisitore non si dette per vinto e proseguì le sue indagini, raccogliendo numerose altre testimonianze sull’eresia del ferrarese. Nel 1276 si spense papa Gregorio, e la questione passò a papa Nicolò III, che comunque lasciò irrisolta la questione. Nel 1284 ad Aldobrandino successe nell’attività inquisitoriale frate Florio, che riprese l’indagine nei confronti del Pungilupo e che ripropose, alla fine del 1285, a papa Onorio IV. Questo braccio di ferro tra i canonici e gli inquisitori era però lungi dal potersi dire risolto e si protrasse per ben altri 16 anni, fino al pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), che fece aprire una nuova inchiesta. Il 23 Marzo del 1301 si giunse alla definitiva condanna post mortem del Pungilupo, il cui corpo fu riesumato, bruciato al rogo e le ceneri disperse nel Po, nonostante le vibranti proteste dei ferraresi. Il caso Pungilupo, risolto dopo quasi trent’anni con una sentenza post mortem, è indubbiamente un caso singolare, ma estremamente significativo e paradossale: per l’opposta convinzione di uomini di chiesa, i canonici del capitolo della cattedrale e i frati domenicani, Armanno Punzilovo era allo stesso tempo un eretico e un santo. Lui incontra e frequenta «boni homines», visita infermi e carcerati, ma anche compie frequenti confessioni presso sacerdoti cattolici e comunioni in chiese cattoliche. In fin dei conti la sua eresia è stata dimostrata dagli inquisitori con accuse comportamentali, piuttosto che dottrinali. Ma sono proprio i suoi comportamenti che lo rendono antagonista nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche. Quello che premeva all’inquisitore, prima frate Aldobrandino, poi frate Florio, era, infatti, riposizionare la figura di Armanno, eretico perché il suo modello di vita cristiana, e la santità attribuitagli dal popolo ferrarese e dai canonici, era autonomo e svincolato dalla gerarchia ecclesiastica. La vera ed unica colpa di Pungilupo era di non essere un sacerdote, né un monaco, né di rivestire alcuna carica nell’amministrazione comunale. Il suo era un modello di vita spontaneo, che, per adempiere la sua interpretazione del messaggio apostolico, si esprimeva in atti di bene e opere buone, accompagnato da una lettura inesperta ed ingenua dei testi sacri. Gli ordini mendicanti, così impegnati nell’istituzionalizzazione e normalizzazione dei comportamenti individuali e collettivi nelle città comunali, non potevano tollerare che sorgessero culti spontanei e incontrollati e il controllo della “santità” era uno dei mezzi di inquadramento dei fedeli. Non solo, ma la santità presunta e popolare, in altre parole “laica”, di Armanno Punzilovo andava a cozzare e a sovrapporsi con la religiosità evangelico-pauperistica di cui i Mendicanti ritenevano e pretendevano di essere gli unici e autentici interpreti. L'inquisitore, vede, in questo modo, attaccata la sua stessa legittimazione e quella del magistero ecclesiastico e che non può ammettere una pluralità di manifestazioni di religiosità, cerca e crea un modello di eretico, cerca e crea testimonianze comprovanti l’adesione del “santo” del popolo a sette ereticali già riportate nei manuali dell’Inquisizione. Scopre, così, che Armanno Punzilovo, uomo di popolo, e così lontano dal suo mondo, parlava di boni homines e di bona opera, criticando anche la gerarchia ecclesiastica. Ed era quello che proprio stava cercando per riaffermare appieno la visione egemonica di cui era il rappresentante, che non ammetteva comportamenti alternativi, tanto meno di dissenso, e che, proprio in quegli anni, si stava consolidando nella società cittadina italiana. In un contesto ed un progetto del genere, l’eretico inteso come il “diverso”, non poteva avere spazio. Il mondo di Armanno Punzilovo era estraneo al mondo dei frati inquisitori, e non tanto per problemi dottrinali, ma per la misericordia cristiana ed universale di cui cercava farsi interprete. Per questo frate Guido di Vicenza nel marzo 1301 emise la sentenza definitiva che condannò il ferrarese alla damnatio memoriae, riesumando e cremando i resti di Armanno, e distruggendo l'arca col vicino altare, le immagini e gli ex voto a lui dedicati. Con questo gesto anche a Ferrara l'ordine religioso era stato ristabilito e l’abominevole vergogna calò per sempre, in quella parte d’Italia, sui cinici gestori dell’inquisizione.

Articolo di Aldo Ciaralli. Non può essere distribuito nè copiato senza il consenso dell'autore

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