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mercoledì 1 febbraio 2012

ERESIE A PUNTATE: 2. AGOSTINO

La Chiesa riuscì ad avere la meglio nel confronto con la gnosi, e nel IV secolo, ottenuto l’appoggio dall’autorità dello stato, riuscì a reprimerla, facendo intervenire anche la forza politica contro di essa. Lo gnosticismo, però, non scomparve del tutto. In qualche modo troviamo sue influenze, ad esempio, nel rigore ascetico dei primi monaci, come nei sistemi teologici dei Padri della Chiesa, da Ireneo (vescovo di Lione intorno al 175) a Clemente Alessandrino (150-212) e Origene (185-253). Ma forse il caso più emblematico è quello di Agostino, il pensatore che più di ogni altro ha influenzato non solo il pensiero medievale ma anche la dottrina della chiesa cattolica. Seguace dal 373 al 382 della setta manichea, assimilati, poi, i principi della filosofia platonica e neoplatonica, nel 386 si converte al cristianesimo. Agostino è desideroso di capire, di trovare una risposta teoretica ai dubbi che lo assillano e, avendo rinnegato l’impostazione manichea dei due principi e accolto la visione cristiana dell’unico Dio autore di tutte le cose, per quanto riguarda il problema del male, ha bisogno di capire come la sua esistenza sia compatibile con l’idea di un creatore buono e onnipotente.
Se Dio ha creato tutto, come può aver creato anche il male? Agostino risponde a questa domanda argomentando che il male non è “essere” ma “mancanza di essere”, privazione, cioè, di un bene che dovrebbe esserci ma che non c’è: "il male non è che la privazione del bene" (Confessioni III, 7, 12). E se il male è privazione, esso non va fatto risalire al Creatore dell’essere, mantenendo concettualmente salve l’onnipotenza e la bontà di Lui. Tutto ciò che è creato, quindi anche la materia, è buono. Non solo ma anche ordinato, perché nulla sfugge al governo divino.
Nel disegno divino, quindi, Agostino vede il male morale perfettamente inserito nell’ordine delle cose, anzi ha un contributo importante perché conferisce per contrasto al bene maggiore splendore (Il libero arbitrio III, 11, 32). Il male, quindi, è causato dalla volontà cattiva di una creatura libera (l’uomo). Ma come spiegare l’ingiusta distribuzione delle sofferenze, l’eccesso di dolore che arriva a fiaccare tante vite, come il patire di bambini innocenti? Agostino vede il peccato non tanto responsabilità del singolo in quanto tale, ma all’intero genere umano e, pertanto, la giusta retribuzione del peccato, la sofferenza, non può essere imputata al singolo ma all’uomo. E dato che la vita di tutti gli uomini, in ogni epoca, passata, presente e futura, è segnata dal dolore, il peccato è proprio del genere umano. Agostino individua la spiegazione della condizione umana nel terzo capitolo della Genesi. La corruzione dell’umanità trae origine dal peccato di Adamo e, poiché con la procreazione si trasmette una particella dell’anima peccaminosa dei genitori, tutti gli uomini, suoi discendenti, hanno una natura peccaminosa. Agostino elabora così la dottrina del peccato originale, l’idea, cioè, di un peccato che si trasmette per generazione sessuale a tutti gli uomini, colpevoli e meritevoli di dannazione già dalla nascita, che è stata, poi, accolta dalla Chiesa cristiana, ma che non ha riscontri nella Bibbia. Adamo, infatti, non è una figura di molto peso nell’Antico Testamento: i profeti non ne parlano. E anche nel Nuovo Testamento, Gesù stesso non si riferisce mai a questa parte della Bibbia. Così facendo, però, anche Agostino, che teorizza il peccato originale in funzione anti-gnostica, resta prigioniero di un dualismo. Adamo decade da una condizione paradisiaca in maniera del tutto similare alle anime del Fedro platonico, che precipitano dal mondo celeste in quello corporeo. Di conseguenza, questo mondo terreno, caratterizzato dalla corporeità, dal piacere, dalla sessualità, dai sensi, diventa un luogo di esilio. Anche se la materia è ontologicamente buona, il piacere dei sensi è però, per l’umanità corrotta, causa del peccato, che è dato proprio nell’allontanarsi da Dio: esso "non è una sostanza a sé, ma un traviamento della volontà, che si allontana dalla sostanza somma, cioè da te o Dio, verso le cose infime"(Confessioni VII, 16).

Articolo scritto da Aldo Caralli. Non è permesso copiare e distribuire il presente testo senza il consenso dell'autore

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