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giovedì 19 giugno 2014

ANTICHI DOCUMENTI SUL RITRATTO DI CRISTO

L’imperatore di Bisanzio, colui che aveva messo in piedi tutta quel’operazione, da secoli si considerava e rappresentava se stesso come il Vicario di Cristo in terra, una persona di pari grado rispetto agli apostoli. Era dunque a quest’uomo crocifisso che Romano I doveva assimilare la sua immagine, questo morto dal torace squarciato? Sull’impronta di Edessa c’era del sangue, e non poco. Soprattutto la ferita del costato fece un’impressione tremenda ai due dignitari. Gregorio il Referendario ne parla con pudore ma in modo esplicito, quando più tardi la celebrerà nella sua omelia: questi sono gli ornamenti che hanno colorato la reale impronta di Cristo, perchè essa in seguito è stata abbellita dalle gocce fuoriuscite dal suo costato. La novità creò uno sconcerto tale che Gregorio volle vederci chiaro, e si recò negli archivi della città per cercare se esistessero documenti su quell’immagine. Le reliquie più venerate e famose infatti non viaggiavano mai da sole, bensì accompagnate da documenti più antichi che ne certificavano la provenienza. Per inciso, fra le tracce di scrittura notate sul lino della sindone compare una sigla (SB) che sembra corrispondere a un’abbreviazione tipica dei sigilli dei funzionari imperiali di Costantinopoli nel X secolo, proprio l’epoca in cui la reliquia lasciò Edessa per entrare a far parte del tesoro imperiale bizantino.

Articolo per gentile concessione della dott.ssa Barbara Frale

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