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domenica 21 ottobre 2012

ARALDICA MEDIEVALE 1: GLI INIZI DELLA SCIENZA

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il Medioevo non costituisce il periodo del trionfo dell’araldica, quanto un ampio confine temporale delimitabile, per comodità di studio, entro alcuni secoli fra loro molto diversi, in cui la scienza dei simboli familiari, ecclesiali, comunitari, cavallereschi, vede una sua parziale decadenza e poi un lento e inarrestabile sviluppo. Infatti la lunga crisi che lentamente accompagnò e poi fece seguito a quella che è ritenuta la fine dell’Impero romano (entità politica che prosegue legittimamente a Costantinopoli), non fu soltanto tracollo politico ma specialmente crisi economica, agricola, demografica. La conseguenza di essa fu che in numerose località e regioni sovente spopolate a causa dei cambiamenti climatici, della siccità, degli spostamenti della popolazione, le antiche abitudini, la moda e i “segni” stessi dell’autorità finirono per essere delimitati alle aree in cui si accentrava il potere politico ed amministrativo, distanziandosi da aree che solo lentamente andarono via via popolandosi, grazie a lenti apporti demografici di differente estrazione etnica e culturale. Una colonizzazione non colta e isolata che poco a poco rielabora, semplifica e rimodella a suo uso i simboli del comando o dell’autorità locale fino a quel momento seguiti.
Se diamo uno sguardo alle prime manifestazioni araldiche medievali, noteremo innanzitutto che esse sono molto semplici e facilmente individuabili. In gran parte provengono, come sempre, da necessità di ordine pratico; una necessità essenziale che nel mondo contadino si prolunga fin oltre il Rinascimento e l’Età moderna. Un esempio di quanto siano diffusi i simbolismi è dato da semplicissimi segni che i pastori sono soliti imprimere sulle loro pecore e che per le famiglie più agiate diventano con il passar del tempo veri segni di distinzione. In alcune parti d’Europa i segni vengono elaborati, modificati e trasformati in vere figure. In altre, essi rimangono per sempre, collocandosi per lungo uso e in pieno diritto nell’araldica di alcune Nazioni. Pensiamo all’araldica polacca, in cui sono presenti veri e propri “carichi runici”: segni oggi non precisamente interpretabili e di sicuro sviluppati da marchi di proprietà (come oggi gli stemmi delle famiglie Kosciesza, Korczak, Pilawad); o a quelle tracce che mi sembrano rimaste nell’araldica inglese prima che la rielaborazione sei-settecentesca le abbia trasformato in simboli tardo-medievali (Cunyngame, Eliott, Holborne). Quanto si è lontani, in questa fase, dalle già codificate simbologie romane, ben conosciute dalla classe dirigente e insegnate alla gente comune tramite i grandi mezzi di diffusione del tempo, come i cartelloni o le monete. Pensiamo, per quanto riguarda l’araldica, alle corone che circondano il capo dei sovrani. Nelle monete di Nerone, per esempio, abbiamo sia il caso di una corona d’alloro che circonda il capo dell’imperatore; sia quello successivo di una corona radiante, insegna fino ad allora riservata a sovrani o personaggi imperiali divinizzati (se ne trovano al Museo archeologico di Bergamo). Con quella emessa da Nerva per celebrare il suo atto di clemenza nei confronti dei Cristiani già perseguitati, il sovrano intendeva offrire la massima importanza all’avvenimento, e vi faceva imprimere una palma da datteri, come simbolo della Giudea, allora ben conosciuto anche dalle masse pagane. Le popolazioni comunemente dette barbare, si atterranno a riprendere le simbologie mutuate dall’impero d’Oriente. Altre insegne saranno prese in prestito dalla mitologia nordica come faranno i Vichinghi. I quali scolpiranno immagini terrifiche per impressionare i nemici, con creature tratte da episodi delle proprie saghe. Semplici e pratiche le modalità che indurranno i cavalieri medievali ricoperti di armature e scudi ad assumere i propri stemmi. In genere, le armi poi passate a decorare portoni, case, anelli e biglietti da visita, prendono il loro inizio dai combattimenti o dai tornei. Con il volto completamente ricoperto dalla visiera metallica, per un cavaliere, un guerriero o un duellante era difficile farsi riconoscere dai compagni d’armi o dalle dame che assistevano alle giostre sui palchi lontani. Ed ecco che nasce la necessità di un qualsiasi segno di riconoscimento: un emblema ma prima ancora un semplice colore, e poi una fascia, una banda, un disegno elementare che sia ben conosciuto dal pubblico e riesca a contraddistinguere il combattente. Nascono gli scudi color argento, azzurro, oro, rosso; e poi tutti gli altri motivi che distinguono cavalieri della stessa famiglia. Così, per esempio, si vuole che la famiglia napoletana Carafa della Spina sia stata detta in questo modo perché nel corso di un torneo sullo scudo di un guerriero di questa stirpe fu legato un ramo di rovi, trovato in tutta fretta e ritenuto sufficiente per riconoscere il nobile e far continuare la disfida. Così, il colore dello scudo passa a simboleggiare la persona e la sua famiglia, e viene conservato anche come emblema araldico il nome e la forma di scudo.
La forma cambierà poi attraverso i tempi e le mode. Lo scudo si modificherà nel suo contenuto, arricchendo i suoi disegni e significati. E le più semplici decorazioni richiameranno sempre le normali modalità pratiche della vita del nobile: fasce e bande ricorderanno le cinture in cui egli ripone la spada; gli anelli quegli stessi anelli di ferro che egli deve infilzare con la lancia correndo sul suo cavallo nei campi dei tornei.
Intanto, le prime modifiche alle armi del torneante vengono proprio dall’elmo. I combattimenti che durano ore e interi giorni rendono quasi impossibile rimanere all’interno di armature pesanti al calore del sole. L’elmo, parte più vulnerabile per chi duella, viene perciò ricoperto con materiale adatto a filtrare i raggi solari. Sulle prime fazzoletti e piume impediscono alla lamiera di surriscaldarsi, e sia gli uni che le altre diventano lunghi, elaborati, scelti o dipinti con lo stesso colore dello scudo. Poi si pensa di applicare un materiale leggero e facile da sovrapporre all’elmo: materiale-segno anch’esso, possibilmente con lo stesso disegno raffigurato nello scudo, ove vi si trovi. Così al disegno di un leone, di un cigno o di una mano armata, sul cimiero, come viene chiamata la copertura dell’elmo, corrisponde lo stesso emblema con il medesimo colore. E’ vero, in linea di massima, quanto si dice a proposito della semplicità delle armi. Ossia che più semplici esse sono, più antica è la famiglia.

Articolo di proprietà esclusiva di Carmelo Currò Troiano


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