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giovedì 25 ottobre 2012

LA VIA CRUCIS, SIMBOLOGIA E SIGNIFICATO

Giotto - Scrovegni - -31- - Kiss of Judas.jpgLa Via Crucis è innanzitutto una tradizione cristiana, dove vengono rievocati gli ultimi attimi della vita di Gesù, dalla consegna della croce fino alla crocefissione. Questa tradizione non è nata in seguito agli eventi storici che riguardano Gesù Cristo, al contrario, la sua tradizione ha dovuto attendere quasi 1300 anni, probabilmente su iniziativa dei vari ordini monastici, specie quello Domenicano e Francescano. Gli storici non sono concordi sull’inizio esatto di questa tradizione. 

Alcuni fanno risalire la storia di questa devozione alle visite di Maria, madre di Gesù, presso i luoghi della Passione a Gerusalemme, ma la maggior parte degli storici riconosce l'inizio della specifica devozione a Francesco d'Assisi o alla tradizione francescana. Intorno al 1294, Rinaldo di Monte Crucis, frate domenicano, racconta la sua salita al Santo Sepolcro "per viam, per quam ascendit Christus, baiulans sibi crucem", per varie tappe, che chiama stationes: il luogo della condanna a morte di Gesù, l'incontro con le pie donne, la consegna della croce a Simone di Cirene, e gli altri episodi della Passione fino alla morte di Gesù sulla Croce. Originariamente la vera Via Crucis comportava la necessità di recarsi materialmente in visita presso i luoghi dove Gesù aveva sofferto ed era stato messo a morte. Dal momento che un tale pellegrinaggio era impossibile per molti, la rappresentazione delle stazioni nelle chiese rappresentò un modo di portare idealmente a Gerusalemme ciascun credente. 

Le rappresentazioni dei vari episodi dolorosi accaduti lungo il percorso contribuivano a coinvolgere gli spettatori con una forte carica emotiva. Tale pratica popolare venne diffusa dai pellegrini di ritorno dalla Terrasanta e principalmente dai Minori Francescani che, dal 1342, avevano la custodia dei Luoghi Santi di Palestina. Inizialmente la Via Crucis come serie di quattordici "quadri" disposti nello stesso ordine (vedi il capitolo seguente) si diffonde in Spagna nella prima metà del XVII secolo e venne istituita esclusivamente nelle chiese dei Minori Osservanti e Riformati. Successivamente Clemente XII estese, nel 1731, la facoltà di istituire la Via Crucis anche nelle altre chiese mantenendo il privilegio della sua istituzione al solo ordine francescano

La collocazione delle stazioni all'interno della chiesa doveva rispondere a norme di simmetria ed equidistanza: il corretto espletamento delle pratiche devozionali consentiva di acquisire le stesse indulgenze concesse visitando tutti i Luoghi Santi di Gerusalemme. Oggi tutte le chiese cattoliche dispongono di una "via dolorosa", o almeno di una sequenza murale interna. Il numero e nomi delle stazioni cambiarono radicalmente in diverse occasioni nella storia della devozione, sebbene l'elenco corrente di quattordici stazioni ora sia quasi universalmente accettato.
La Via Crucis oggi, rievocazioni e significato
Oggi la Via Crucis viene rievocata attraverso la Processione, il giovedì Santo, con diverse manifestazioni integrate come la presenza di ordini religiosi che si prefiggono il compito di portare la croce, magari sotto un baldacchino, per ogni statione viene letto il passo del Vangelo relativo, accompagnato da canti. In altri luoghi la Via Crucis rivive, torna vivida e viva dal passato con figuranti vestiti come al tempo di Gesù, stazione per stazione, sono le cosiddette Vie Crucis viventi, molto bella quella di Frassinoro (MO), che si tiene ogni 3 anni (la prossima nel 2012), suggestiva ma che rimane più impressa del film di Mel Gibson dove invece la scena che rimane più di ogni altra cosa alla mente dello spettatore è la flagellazione, quando il momento più critico è quello poco prima della morte quando Gesù dice “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno” e spira. 

La Via Crucis vivente che sia ferma e silenziosa o animata, cioè fatta momento per momento con personaggi che si muovono e che parlano è oggi ancora poco diffusa, poiché ormai il pubblico è abituato a vederla nelle miniature delle chiese e quasi nessuno ci va più, se nella piazza del paese non c’è almeno qualche banco di mercato, che io personalmente trovo di cattivo gusto. L’abitudine da un lato e la scarsa diffusione delle Vie Crucis viventi portano la gente a rimanere più in casa davanti al tv che non nelle vie del paese per pregare, o almeno, per visitare qualche chiesa e riflettere su quello che è il giovedì Santo. 

Infine, il “blocco” spazio-temporale si scioglie verso mezzanotte e i centurioni romani scendono le vie dal punto di rappresentazione del Golgota, a cavallo, silenziosamente, a volte in fila, a volte soli, verso la chiesa e poi al centro del paese. La gente rimane ancora in silenzio e solo quando tutti cominciano a tornare a casa, cominciano i brusii di sottofondo. Chi ci va rimane ogni volta colpito, ogni statione ha la sua parte nel cuore di chi guarda. 
Le stazioni della Via Crucis
Le stazioni della Via Crucis hanno “subito” delle modifiche nel corso dei secoli, ovvero, non c’è un momento preciso in cui inizia, anche se la tradizione francescana comincia dalla flagellazione.

1. Gesù è flagellato, deriso e condannato a morte
2. Gesù è caricato della croce
3. Gesù cade per la prima volta
4. Gesù incontra sua Madre
5. Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene
6. Santa Veronica asciuga il volto di Gesù
7. Gesù cade per la seconda volta
8. Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme
9. Gesù cade per la terza volta
10. Gesù è spogliato delle vesti
11. Gesù è inchiodato sulla croce
12. Gesù muore in croce
13. Gesù è deposto dalla croce
14. Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro 

La Via Crucis biblica invece è diversa, inizia nell’Orto degli Ulivi, col tradimento di Giuda

1. Gesù nell'orto degli ulivi (Marco 14,32-36)
2. Gesù, tradito da Giuda, è arrestato (Marco 14,45-46)
3. Gesù è condannato dal sinedrio (Marco 14,55.60-64)
4. Gesù è rinnegato da Pietro (Marco 14,66-72)
5. Gesù è giudicato da Pilato (Marco 15,14-15)
6. Gesù è flagellato e coronato di spine (Marco 15,17-19)
7. Gesù è caricato della croce (Marco 15,20)
8. Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce (Marco 15,21)
9. Gesù incontra le donne di Gerusalemme (Luca 23,27-28)
10. Gesù è crocifisso (Marco 15,24)
11. Gesù promette il suo regno al buon ladrone (Luca 23,39-42)
12. Gesù in croce, la madre e il discepolo (Giovanni 19,26-27)
13. Gesù muore sulla croce (Marco 15,33-39)
14. Gesù è deposto nel sepolcro (Marco 15,40-46)

Da alcuni anni è questo lo schema di tale cerimonia. Il carattere devozionale di alcune delle stazioni tradizionali, da una parte, e l'assenza di momenti significativi dei racconti evangelici, dall'altra, hanno portato a elaborare schemi alternativi di Via Crucis, articolate secondo il Vangelo. A livello gerarchico, tale proposta appare per la prima volta nel Libro del Pellegrino che veniva offerto in occasione dell'Anno Santo del 1975: vi si trovava lo schema tradizionale e anche lo schema biblico. Nel 1991 la tradizionale Via Crucis di Giovanni Paolo II al Colosseo fu fatta secondo lo schema appena descritto, cioè quello biblico. 
La flagellazione, non solo una tortura romana
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Figura 1 - Carlo Crivelli, Flagellazione di Cristo, 1468, Massa Fermana, Chiesa di San Silvestro.

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Figura 2 - Maestro Francke, Flagellazione di Cristo, 1424 ca, Amburgo, Kunsthalle.

Nel Medioevo le scene della Via Crucis, probabilmente perché come tradizione e tipo di rappresentazione è tardo-medievale, non venivano rappresentate tutte, solitamente le ultime e comunque le più cruente, tyrsa queste la flagellazione. La flagellazione è un atto di fustigazione (dal latino flagellum) del corpo umano. In modo specifico, vengono utilizzati bastoni, verghe e il gatto a nove code. Tipicamente la fustigazione è eseguita su soggetti restii, come strumento di tortura o come pena corporale; tuttavia, la flagellazione è anche utilizzata in modo consenziente, o compiuta su se stessi (autoflagellazione), durante pratiche religiose o sadomasochiste. 

Durante l'Impero Romano, la fustigazione era normalmente eseguita prima della crocifissione: erano utilizzate comunemente fruste con piccoli pezzi di metallo oppure con delle ossa alle estremità. Questo stratagemma portava facilmente ad una deturpazione e seri traumi, come la lacerazione della pelle o la perdita di un occhio. Perdendo molto sangue, a causa delle ferite riportate, la vittima subiva un forte shock ipovolemico 
[1]. I Romani riservavano questa tortura ai non cittadini, come stabilito nella lex Porcia e nella lex Sempronia, datate tra il 195 a.C. e il 123 a.C. Il poeta Orazio riporta l'horribile flagellum nelle sue Satire, descrivendo la fine di queste pratiche.

Tipicamente, colui che doveva essere punito veniva legato ad una piccola colonna o ad un piccolo palo, cosi che potesse piegarvici sopra. Due lictores 
[2](o a volte quattro o sei) alternavano i colpi. Non c'era un limite alle sferzate inflitte: era il lictor a decidere, anche se normalmente non erano intenzionati ad uccidere la vittima. Ciò nonostante, Tito Livio, Svetonio e Giuseppe Flavio riportano casi di decessi sul posto, durante la flagellazione. Da molti autori, questa era riportata come una "semi-morte", anche perché dopo breve tempo, morivano. Cicerone riporta: 

Sic ille adfectus illim tum pro mortuo sublatus perbrevi postea est mortuus

[Torturato in tal modo fu portato via da là come morto e pochissimo tempo dopo morì]
Spesso la vittima veniva capovolta per permettere la flagellazione anche sul petto, anche se si procedeva con cautela perché la possibilità di infliggere un colpo mortale era molto elevata.

La Flagellazione rimanda, in contesto cristiano, alla Flagellazione di Cristo, episodio in cui Gesù viene fustigato nella sala del pretorio di Ponzio Pilato. La pratica dell'umiliazione della carne, a scopi religiosi, include il cosiddetto movimento dei Cristiani Flagellanti 
[3] del XIII secolo. Al giorno d'oggi utilizzano la "disciplina" i numerari dell'Opus Dei, in una sorta di autoflagellazione simbolica con l'uso un frustino leggero che non provoca danni, né fa sanguinare. Nella storia, il giudaismo non ha ricordo, né pratica, della flagellazione.

Non si tratta però solo di una tortura in senso stretto, ma di un simbolo, che non è quello che hanno voluto dare i flagellanti medievali, anche se per loro autoflagellarsi era un metodo doloroso, ma sicuro di espiazione del peccato. La flagellazione è il simbolo del dolore, nel contesto cristiano, il dolore di Gesù, dolore non solo del corpo a causa dei colpi inferti, ma dolore per il peccato degli uomini, il male che ha infettato l’anima dell’umanità. 

La flagellazione sempre nel contesto cristiano, in particolare, la flagellazione di Gesù, rappresenta anche la paura della morte che Gesù aveva, la paura umana della morte, una paura che a parole non si può descrivere.  

Poiché i sommi sacerdoti non riescono a far confessare nulla a Gesù di quello che possono poi usare contro di” lui, lo provocano fino allo stremo e quando Gesù si limita a rispondere con quella che è una predizione (sottolineato in rosso) trasformano le sue parole in un capo d’accusa e lo portano a Pilato.

Matteo 26,59-26,68

I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni». Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:
“ d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo"
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?».
Nel film (pari pari a quanto accade nei vangeli) durante il processo a Gesù in presenza dei Sommi Sacerdoti prima ancora che Egli sia portato a Pilato, si nota che alcuni sacerdoti non sono d’accordo con quel processo iniziato senza un’accusa precisa e senza testimoni, ma vengono cacciati e allontanati e il processo continua. Una volta portato a Pilato [4] egli chiede quali sono le colpe di Gesù e non trovando alcuna accusa valida lo manda a Erode, il quale lo canzona dopo averlo tentato a fare qualcosa di miracoloso per lui. Gesù tace ed Erode lo rimanda a Pilato non sentendosela di condannarlo.

Questa serie di passaggi da un aguzzino all’altro, storicamente, deve essere stata dovuta più che a motivi di natura religiosa, a motivi di natura politica. La Giudea ai tempi di Gesù era una provincia romana sotto l’impero di Tiberio, Pilato era il Prefetto della regione della Giudea, una regione dove la popolazione locale poco amava stare sotto il governo imperiale e non mancavano mai ribellioni e politicamente il governo romano era in continuo contrasto con quello locale poiché entrambi ambivano al controllo della zona. 

Sebbene Gesù volessero giudicato e condannato, evidentemente per via delle loro stesse leggi i Sommi Sacerdoti non potevano condannarlo a morte e quindi le sole scelte erano Erode e Pilato e poiché Pilato non trova alcuna colpa in Gesù lo manda a Erode il quale lo rimanda a sua volta a Pilato, probabilmente sempre per motivi politici che non per motivi di altra natura, sebbene Gesù fosse colui di cui era stata predetta la nascita e per questo motivo Erode aveva ordinato di uccidere tutti i figli della regione.

Vedendosi costretto a processare un uomo, nel quale non trovava nessuna colpa e costretto anche politicamente sia dai sacerdoti sia dall’imperatore per la sua difficoltà a tenere sotto controllo la regione della Giudea, Pilato deve decidere di condannare a morte Gesù, ma decide di far solo flagellare Gesù come punizione severa punizione sperando che questo placasse la foga assassina dei sommi sacerdoti, cosa che non accade perché questi vogliono Gesù crocifisso. 

Pilato allora, poiché era solito rilasciare un prigioniero in quel periodo, lascia l’onere della scelta alla folla, probabilmente già sapendo prima ancora la risposta e non potendo opporsi per i motivi detti prima. Da altri punti di vista come quello religioso, ce ne sarebbe da parlare per giorni interi anche se è una questione delicata, in cui si va oltre alla storia. 
La crocifissione
clip_image006La crocifissione era, al tempo dei romani, una modalità di esecuzione della pena capitale e una tortura terribile.

Figura 3 - The Crucifixion della English School (1395)

La pena della crocifissione era tanto atroce e umiliante che non poteva essere comminata a un cittadino romano. Era applicata agli schiavi, ai sovversivi e agli stranieri e normalmente veniva preceduta dalla flagellazione, che rendeva questo rito ancora più straziante per il condannato.

Il supplizio della crocifissione è tuttavia molto più antico dei romani e non sempre è legato ad una struttura a croce. A volte il condannato era legato a un singolo palo, a volte a una struttura a V rovesciata. Lo scopo era tuttavia sempre lo stesso, ovvero il soffocamento causato dalla compressione del costato e a tale scopo spesso le gambe del condannato venivano spezzate con una mazza o un martello. Alcuni documenti antichi parlano di crocifissione già all'epoca dei babilonesi. Alessandro Ianneo nel I secolo a.C. fece crocifiggere centinaia di farisei attorno a Gerusalemme. La crocifissione era dunque usata anche nella terra di Canaan e in altre regioni semitiche.

La croce consisteva di due pali, uno verticale e l'altro orizzontale. Normalmente sul luogo delle crocifissioni c'era già, saldamente piantato per terra, il palo verticale (lo stipes). Il condannato si avviava al luogo dell'esecuzione portando sulle sue spalle il palo orizzontale, detto in latino patibulum (da qui la parola italiana "patibolo"), al quale sarebbe stato confisso. Il patibulum aveva normalmente a metà un foro con cui veniva infisso sullo stipes. Vi sono testimonianze che indicano come a volte venisse usato come patibulum la spranga della porta. Pare che il patibulum fosse legato alle braccia del condannato, e in questo modo (se cadeva durante il tragitto) avrebbe urtato il suolo con la faccia.

Per inchiodare gli arti superiori, i carnefici sapevano bene che conficcando il chiodo nel palmo della mano, il peso del corpo avrebbe immediatamente lacerato la mano stessa. Perciò il chiodo veniva posto in un punto del polso dove la struttura articolare riesce ad esercitare lo sforzo di sostenere il peso del condannato. L'agonia del condannato era abbastanza lenta, potendo durare ore o anche molti giorni.

Non tutti sono unanimi sulle cause della morte: sopravveniva per collasso cardiocircolatorio (dovuto anche all'ipovolemia causata dalla perdita di sangue e di liquidi) o asfissia. Infatti, per respirare, il condannato doveva fare leva sulle gambe; quando, per la stanchezza, o per il freddo, o per il dissanguamento, il condannato non poteva più reggersi sulle gambe, rimaneva penzoloni sulle braccia, con conseguente difficoltà per respirare oppure tutti questi movimenti dolorosissimi portavano al cedimento del cuore.

I carnefici lo sapevano, e quando dovevano accelerare la morte rompevano con un bastone le gambe del condannato, in maniera che il soffocamento arrivasse in breve. Presso le civiltà antiche la crocifissione era molto diffusa. Il primo documento che vi fa riferimento si trova nella letteratura sumerica. A Roma questo supplizio appare attorno al 200 a.C. e si distingue per l’atrocità e il vilipendio che vi è associato; i Romani punivano con quest’esecuzione il brigantaggio e la ribellione degli schiavi. 

Il giudice, riconosciuta la colpevolezza e pronunciata la condanna “sia messo in croce!”, dettava il titulus, cioè la motivazione della sentenza scritta su di un cartello, e indicava le modalità d’esecuzione, compiuta poi dai carnefici, o, nelle province, dai soldati. Il condannato, dinanzi al magistrato, veniva prima sottoposto ad una flagellazione. Denudato e legato ad un palo o ad una colonna, veniva colpito con strumenti diversi a seconda della condizione sociale. 

La flagellazione poteva essere una punizione esemplare fine a sé stessa, seguita dalla liberazione, oppure una condanna mortale: in questo caso produceva lacerazioni così profonde da mettere allo scoperto le ossa. Se veniva inflitta come preambolo alla crocifissione, il numero di colpi doveva essere limitato ad una ventina perché la vittima non doveva morire prima di finire in croce.

Il condannato veniva poi rivestito e condotto al supplizio. Il titulus, appesogli al collo o portato da un banditore, aveva la funzione d’informare i passanti sulle sue generalità, sul delitto e sulla sentenza. I responsabili d’efferati delitti erano caricati del patibulum(probabilmente legati). Se i malcapitati erano più di uno, venivano legati tra loro con una lunga corda che poteva passare intorno al collo, ai piedi o ad un’estremità del patibulum. Sul luogo dell’esecuzione, situato sempre fuori dalle mura cittadine, erano spesso già piantati i pali verticali, gli stipes, su cui fissare i patibula. La crux patibulata o crux compacta risultava a forma di T, il tau greco.

Il cruciario veniva spogliato e i suoi vestiti diventavano proprietà dei carnefici, quale prezzo della loro prestazione; Probabilmente il crocefisso era nudo. È possibile ritenere l'aggiunta dello straccio nelle rappresentazioni dei crocifissi come una consuetudine di origine cristiana per le immagini sacre in quanto la nudità completa, specie nel caso delle condannate, era un ulteriore strumento di umiliazione e punizione.

Veniva poi appeso alla croce per le braccia con chiodi, anelli di ferro o corde, come pure i piedi, che talvolta però venivano lasciati liberi. Con la crocifissione si voleva provocare una morte lenta, dolorosa e terrificante, esemplare per chi ne era testimone: per stillicidia emittere animam, lasciare la vita goccia a goccia. Origene scrive:

Vivono con sommo spasimo talora l’intera notte e ancora l’intero giorno.
Per questo si adottava una serie d’accorgimenti che ritardavano la morte anche per giorni: per esempio un sedile o un corno, posto nel centro del palo verticale. Lungo il cammino essi subivano strattoni e venivano oltraggiati, maltrattati, pungolati e feriti per indebolirne la resistenza. Bevande drogate (mirra e vino) e la posca (miscela d’acqua e aceto) servivano a dissetare, tamponare emorragie, far riprendere i sensi, resistere alla sofferenza, mantenere sveglio il crocifisso perché confessasse le sue colpe. 

Raramente la morte veniva accelerata; se ciò accadeva era per motivi d’ordine pubblico, per interventi d’amici del condannato, per usanze locali. Si provocava la morte in due modi: col colpo di lancia al cuore o col crurifragium, cioè la rottura delle gambe, che privava il condannato d’ogni punto d’appoggio con conseguente soffocamento per l'iperestensione della cassa toracica (non è possibile espirare completamente e viene meno quindi l'apporto di aria ossigenata all'organismo). 

La vigilanza presso la croce era severa per impedire interventi di parenti o amici; l’incarico di sorveglianza era affidato ai soldati e durava sino alla consegna del cadavere o alla sua decomposizione. In Occidente, all’inizio del IV secolo, l’Imperatore Costantino il Grande vietò ai tribunali pubblici di condannare alla crocifissione. Ma questa pratica durò molto più a lungo in Oriente e in altri Paesi, vi sono racconti dettagliati di crocefissioni ancora nel IX secolo.

Nel contesto della Via Crucis la crocifissione rappresenta ancor di più il dolore di Gesù oltre che il suo sacrificio e ancor più forte e viva la sua umana paura della morte, che sconfisse con la sua Resurrezione. Le scene che precedono la crocifissione, ovvero, il cammino che è rappresentato dalla Via Crucis (dalla Via della Croce, il tratto che dal luogo della flagellazione andava al Golgota) sono scene anch’esse piene di significato non solo cristiano, ma anche morale. 

Lungo il percorso Gesù cade più volte e i soldati costringono un uomo a caso, Simone di Cirene [5], a prendere la croce ed aiutare Gesù che anche quando ormai è giunto al Golgota torna a cadere, stremato da tanto dolore. Il modo di dire, che proprio non si può definire solo come modo di dire “portare la propria croce” o “aiutare qualcuno a portare la sua croce” forse ha avuto origine da quel momento, ma non è e non deve rimanere solo un modo di dire e non va considerato solo come tale. 

Portare la propria croce o aiutare qualcuno nel portarla in realtà significa nella dottrina cristiana accettare le tribolazioni e il dolore e offrirli al Signore e quando vediamo qualcuno soffrire di aiutarlo, sostenerlo. Nel caso di Gesù la Croce che è e sarà sempre il simbolo della cristianità, non è solo una croce latina in legno, una forma di condanna a morte romana, una delle peggiori umiliazioni per un condannato a morte, ma è il peso del peccato, il peccato dell’umanità, per riscattarla, per salvarla dalla morte. La croce è il simbolo del sacrificio di Gesù, oltre che della sua sofferenza, della sua Passione. 

La crocifissione fu una tortura riservata anche ad alcuni suoi apostoli dopo la sua morte e resurrezione, a San Pietro, il quale però, in segno di rispetto verso Gesù Cristo oltre che non sentendosi degno di una morte simile chiese ed ottenne di morire crocifisso a testa in giù. Anche se purtroppo il simbolo della croce rovesciata è usato dalle sette sataniche che le vogliono attribuire un significato anticristiano, si tratta di una trasformazione esasperata, una distorsione sacrilega che non va confusa con la vera origine del simbolo della croce rovesciata. 

clip_image008Figura 4 - Crocifissione di san Pietro, affresco di Filippino Lippi, 1481-1482 circa, Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Anche a Sant’Andrea apostolo non fu risparmiata questa forma di esecuzione capitale. La tradizione vuole che Andrea sia stato martirizzato per crocifissione a Patrasso (Patrae) in Acaia (Grecia). Dai primi testi apocrifi, come ad esempio gli Atti di Andrea citati da Gregorio di Tours nel Monumenta Germaniae Historica, si sa che Andrea venne legato e non inchiodato su una croce latina (simile a quella dove Cristo era stato crocifisso), ma la tradizione vuole che Andrea sia stato crocifisso su una croce di forma detta Croce decussata (a forma di X) e comunemente conosciuta con il nome di "Croce di Sant'Andrea"; Questa venne adottata per sua personale scelta, dal momento che egli non avrebbe mai osato eguagliare il maestro, Gesù, nel martirio. 

Quest'iconografia di sant'Andrea appare ad ogni modo solo attorno al X secolo, ma non divenne comune sino al XVII secolo. Proprio per il suo martirio, sant'Andrea è divenuto anche il patrono di Patrasso.

Lungo la via Crucis, i simboli di chi aiutò Gesù
A parte Simone di Cirene che sostenne fisicamente la croce fino al Golgota, sono altre le figure che lungo il percorso aiutano Gesù, tra cui la donna che gli asciugò il viso, Veronica. Veronica [6] è, secondo la tradizione cristiana, la "pia donna" che, vedendo la passione di Gesù che trasportava la croce e il suo volto sporco di sudore e sangue, lo deterse con un panno di lino, sul quale sarebbe rimasta l'impronta del viso di Gesù (il cosiddetto "velo della Veronica"). Veronica è il simbolo di chi aiuta coloro che soffrono e che offre loro ristoro, in senso morale e non solo fisico, è la rappresentazione della presenza di Dio accanto all'uomo anche nei momenti più cruenti, Dio Padre che conforta i suoi figli. Ovviamente questa è una delle interpretazioni possibili. 

Anche Maria, madre di Gesù, gli va incontro durante il percorso, quando lui cade, sebbene sia ostacolata, fermata più volte dai soldati romani e dalla calca di gente che voleva aggredire Gesù, ma lei riesce a raggiungere il figlio. La sofferenza di Maria in questo momento della Via Crucis è impossibile da descrivere ed è troppo poco dire che simboleggia il dolore di una madre nel vedere il figlio che soffre, perché il dolore di Maria è molto più grande, inimmaginabile. Le immagini più forti che riguardano Maria nella Via Crucis sono quelle di Maria ai piedi della croce. Maria non è sola, nella via Crucis viene rappresentata come descritta nel Vangelo, insieme a Giovanni e alle altre due Marie. 
L’importanza della rappresentazione della Via Crucis oggi
Personalmente ritengo che oggi, anche per richiamare la gente a pensare e a riflettere su tutto il significato della Via Crucis, sarebbe opportuno diffondere la rappresentazione delle vie Crucis viventi facendo partecipare tutti, uomini, donne e bambini, ma soprattutto i giovani senza però trasformare la rappresentazione in una tragedia shakespeariana, ma per far sentire in prima persona ai giovani il significato della vita di Gesù, facendo fare a loro i costumi, dando loro una parte a sorte (scegliere se fare il buono o il cattivo sarebbe troppo comodo, tutti farebbero i buoni, invece attribuendo a sorte ad ognuno una figura da interpretare si attribuirebbe anche il dovere di riflettere su quella figura). 

Il lavoro e poi la rappresentazione, di anno in anno, sarebbero uno strumento di progresso per la società, che forse migliorerebbe poiché le tematiche della via Crucis sono più attuali che mai. Gli attacchi di gruppo nelle baby-gang, i massacri di innocenti, il cercare nei casi di cronaca un colpevole a tutti i costi anche a costo di accusare un innocente, il lavarsi le mani della società sono tutti esempi che vanno dalla flagellazione di Gesù fino alla lavanda delle mani di Pilato perché come le baby-gang si accaniscono come belve su di un innocente così i soldati romani hanno fatto con Gesù, che per altro nemmeno poteva difendersi; oggi si cercano sempre più spesso colpevoli anche in innocenti come fece Caifa con Gesù; e infine, quando qualcuno viene ingiustamente aggredito per strada, senza un motivo, quando ci sono pestaggi che avvengono a cielo aperto davanti all'indifferenza di tutti, senza che nessuno muova un dito come quando Gesù vide Pilato lavarsi le mani, cioè liberarsi dalla responsabilità che gli era stata data. Oggi in troppi si lavano le mani, e c’è da temere che di questo passo o ci si consumerà le mani e allora non si potrà più testimoniare ciò che accade o finirà l’acqua e in entrambi casi vorrà dire che si è arrivati davvero a toccare il fondo. 

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Note:

[1] Shock ipovolemico: Lo shock ipovolemico è lo stato di shock causato dalla diminuzione della massa sanguigna circolante. È spesso conseguenza di una imponente perdita di liquidi, o per emorragia massiva o per deplezione (perdita) di acqua come nel diabete insipido. Questo porta ad una riduzione del precarico ventricolare, riduzione della pressione diastolica del ventricolo, ridotta eiezione cardiaca e quindi ipotensione.
[2] I littori (dal latino lictores che deriverebbe da ligare ovvero legare), istituiti al tempo di Romolo secondo Plutarco, camminavano davanti al rex e lo proteggevano con bastoni. Avevano, inoltre, attorcigliate alla vita delle cinghie di cuoio, con le quali legavano tutti quelli che il sovrano avesse ordinato di catturare. Erano membri di una speciale classe di servitori civili dell'antica Roma che, sia in Età repubblicana sia in quella imperiale avevano il compito di proteggere i magistrati dotati di imperium. L'origine dei littori risale all'Età regia e veniva forse dagli etruschi secondo Tito Livio. All'inizio i littori erano scelti dalla plebe, anche se, per gran parte della storia di Roma, sembrano essere stati soprattutto liberti. Tuttavia, erano senza dubbio cittadini romani, dato che indossavano la toga dentro Roma. Dovevano essere forti e capaci di lavori fisici, erano esentati dal servizio militare, ricevevano un salario fisso di 600 sesterzi (agli inizi dell'Età imperiale) ed erano organizzati in una corporazione. Erano solitamente scelti dal magistrato che loro dovevano servire, ma è anche possibile che venissero estratti. I littori erano associati ai Comizi curiati e in origine erano probabilmente scelti uno per curia, dato che all'inizio erano in numero di 30 (come le curie): 24 per i due consoli e sei per il pretore. La funzione principale dei littori era quella di proteggere il magistrato dotato di imperium, che gli demandava l'esecuzione delle condanne a morte. Il littore portava con sé i fasces, che erano composti da 30 verghe e una scure (quest'ultima era tenuta nei fasci solo fuori del Pomerium, in quanto al suo interno nessuno poteva condannare a morte un cittadino romano, tranne il dittatore). Le verghe invece potevano essere usate per percuotere i cittadini. Questo era l'unico modo in cui la schiena di un romano poteva essere violata, dato che era considerata sacra e non era ammessa la fustigazione.
[3] I flagellanti furono un movimento religioso caratterizzato dalla pratica dell'autoflagellazione in pubblico, in segno di penitenza. Nel Medioevo, la flagellazione era una forma di penitenza impiegata da numerosi ordini religiosi, quali camaldolesi, cluniacensi, domenicani. L'origine del movimento dei flagellanti risale alla metà del XIII secolo, in Italia centrale. A Perugia, Raniero Fasani (m. 1281), eremita francescano, influenzato dalle dottrine di Gioacchino da Fiore, fondò il primo gruppo di flagellanti, la «compagnia dei disciplinati di Cristo». Il movimento si diffuse rapidamente nell'Italia centrale e settentrionale, organizzando processioni che arrivavano a coinvolgere fino a 10.000 persone, di ogni strato sociale, che attraversavano le città mentre i penitenti si percuotevano a sangue con una frusta, per espiare i peccati del secolo e preparare l'avvento del regno dello spirito. I flagellanti si riunivano in compagnie, guidate da un «maestro», si lasciavano tutto alle spalle, e percorrevano il paese esercitando in pubblico la propria penitenza. Il movimento attecchì anche fuori dall'Italia, in Germania, Boemia e Polonia, ma, nel 1261 venne vietato da papa Alessandro IV (1254 - 1261), anche se taluni gruppi continuarono la loro attività sino alla fine del XIII secolo. Con lo scoppio della peste nera, e la crisi di valori che ne derivò, il movimento dei flagellanti conobbe un nuovo vigore. Durante la peste nera il movimento si diffuse con straordinaria rapidità ed intensità, in Italia, Francia, Svizzera, Germania, Ungheria, Boemia, Olanda. In Germania, in particolare, il movimento dei flagellanti fu spesso messo in relazione con le persecuzioni degli ebrei. La Chiesa comprese ben presto che stava perdendo il controllo sul movimento, cosicché, nel 1349, papa Clemente VI emanò una bolla che lo vietava, dichiarandolo eretico. Ciononostante i flagellanti non cessarono la loro attività, che talvolta assumeva i connotati di un'autentica rivolta millenaristica. Nella regione tedesca della Turingia, attorno al 1360, Konrad Schmid, maestro del locale movimento dei flagellanti, si riteneva la reincarnazione di Federico II o del profeta Enoch, e chiedeva l'abolizione di ogni autorità ecclesiastica. Morì sul rogo nel 1369. 
[4] Pilato fu un prefetto della provincia della Giudea. Il prefetto (dal latino praefectus e praeficere, cioè stare davanti) era un ufficiale sia della Roma imperiale che della Repubblica romana; esso operò sia in ambito militare che civile, fu di rango variabile, solitamente appartenente all'ordine equestre. In ambito civile, il prefetto non era un magistrato, ma un sostituto dello stesso. Da un punto di vista prettamente giuridico Pilato non essendo un magistrato ma un sostituto, aveva comunque in quanto tale la facoltà di decidere o meno una condanna. 
[5] Simone di Cirene, detto anche il Cireneo, è l'uomo che, secondo i Vangeli, fu obbligato dai soldati romani a trasportare la croce di Gesù, che veniva condotto al Golgota. Gesù infatti, duramente provato dalla flagellazione e dagli altri tormenti che gli erano stati inflitti, non era più in grado di proseguire con il pesante carico. I Vangeli non danno nessun'altra informazione sul Cireneo, salvo che egli era "padre di Alessandro e Rufo". L'incontro di Gesù con il Cireneo viene ricordato nella quinta stazione della Via Crucis. 
[6] Il nome Veronica non compare nei vangeli canonici, dove invece si racconta l'episodio della donna anonima emorroissa (gr.=che perde sangue) la quale, toccando il mantello di Gesù, fu miracolosamente guarita. È citata per la prima volta nei Vangeli Apocrifi, negli Atti di Pilato (cap. 7) in relazione alla donna che implora Gesù per la guarigione da una emorragia e, riuscendo a toccargli il mantello, guarisce all'istante. L'episodio è narrato anche nel Vangelo di Luca, ma senza riportare il nome della donna. Veronica è la traduzione latina del nome greco Berenice, Berenike, dal macedone classico fere nike, e cioè che porta vittoria. Nel passaggio dal greco al latino l'assonanza del nome "Veronica" con vera icon ("vera immagine") generò nella fantasia popolare la leggenda della "Vera icona" della "Veronica", adattandosi quindi perfettamente alla tradizione medioevale cristiana in merito al volto di Gesù. Dal XV secolo, Veronica è venerata come una delle pie donne che seguirono la crocifissione di Gesù. A Santa Veronica è dedicata la sesta stazione della Via Crucis.

Articolo di Chiara per il sito http://vivereilmedioevo.blogspot.it/

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