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giovedì 8 settembre 2011

DANTE, IL PAPA E L'IMPERATORE

Grande avversario di Bonifacio fu Dante critico della Donazione

«Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!»

(Inferno, Canto XIX, vv. 115-117)

La divisione in ambito giuridico tra i dualisti che affermavano l'autonomia del potere imperiale nei confronti di quello pontificio e i sostenitori della supremazia papale si era riprodotta nella lotta tra guelfi e ghibellini con cui si identificavano i partiti sostenitori del papato e impero. Dante sosteneva i bianchi e divenne priore eletto proprio nel 1300 in cui le mire di Bonifacio VIII puntavano su Firenze.
Un giorno Dante invitato come ambasciatore alla corte pontificia nel 1301 non solo incontrò il papa ma venne trattenuto come ostaggio per qualche settimana. Il De Monarchia venne composto per difendere i diritti dell'impero contro le dottrine che sostenevano la supremazia del potere spirituale su quello secolare come aveva ripetuto Bonifacio VIII nella bolla Unam Sanctam del 18 novembre 1302. Lo stesso papa dovette subire l'umiliazione di Anagni da parte del re Filippo il Bello soccombendo tragicamente nel 1303 fatto che fu ricordato anche nel Purgatorio da Dante.

veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un'altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.

(Purgatorio, Canto XX, vv. 86-90)

Per dimostrare che l'autorità imperiale deriva da Dio e non attraverso il papa, Dante rifiuta l'interpretazione che voleva i due poteri rappresentati da un rapporto subordinato tra sole e luna osservando come la luna non dipenda dal sole ma ne trae solo maggiore luce...
Il DeMonarchia sottende una concezione elevata dell'Impero in quanto responsabile della pace universale, non a caso che Cristo si reincarnasse sotto Augusto in un periodo di pace. In questo contesto l'Italia ha una posizione privilegiata nonostante la sua condizione fosse indebolita dalla pia intentio che nella visione del cielo di Giove sarà definita “buona intenzion che fe mal futuro” ossia la donazione. Anche da questo i sostenitori del papa deducono che dalla Chiesa dipende l'impero ma Costantino non avrebbe potuto “alienare la dignità dell'impero ne la Chiesa riceverla” il primo per non mettere in pericolo la stessa istituzione imperiale, la seconda per il precetto evangelico di non possedere né oro né argento. Secondo Dante dalla donazione non si può dedurre la dipendenza dell'impero dalla Chiesa e se l'imperatore poteva soltanto affidare alla Chiesa un patrimonio come aiuto, da parte sua il papa poteva accoglierlo non in possesso ma come dispensatore in favore dei poveri, secondo l'esempio degli apostoli. Dante attacca Innocenzo III

Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada;

(Purgatorio, Canto XVI, vv. 106-111)

La critica alla teocrazia papale e alla concentrazione nelle mani del pontefice romano dei due poteri si accentua ancora di più

Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
cade nel fango, e sé brutta e la soma.

(Purgatorio, Canto XVI, vv. 127-129)

Ma pur mantenendo la reverenza per le Somme Chiavi, il poeta da un giudizio negativo e colloca all'inferno o al purgatorio molti pontefici. Dante mette in bocca a San Pietro il suo sdegno e nel XXVII del Paradiso evoca il martirio suo e dei suoi successori contrapposto alla condotta spregiudicata dei pontefici contemporanei del poeta a cui è affidata la missione di denunciare la miserevole decadenza ecclesiastica

«Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d'oro usata;
ma per acquisto d'esto viver lieto
e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto. [….]
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giù tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel ch'io non ascondo».

(Paradiso, Canto XXVII, vv. 40-45 e 64-66)

In questo contesto va valutata la figura di Costantino e del Constitutum Constantii, che nel De Monarchia Dante nega con nettezza possa costituire la base della supremazia e del potere temporali reclamati dal papato. Dalla donazione venne il disastroso trasferimento dell'impero in Oriente

L'altro che segue, con le leggi e meco,
sotto buona intenzion che fé mal frutto,
per cedere al pastor si fece greco:
ora conosce come il mal dedutto
dal suo bene operar non li è nocivo,
avvegna che sia 'l mondo indi distrutto.

(Paradiso, Canto XX, vv 55-60)

Corruzione della chiesa, confusione tra poteri e indebolimento dell'impero queste sono le conseguenze della donazioni, così gravi che viene accostata al peccato originale in una allegoria descritta negli ultimi due canti del Purgatorio. Nel paradiso terreste un carro viene colpito da un'aquila, assalito da una volpe, poi dall'aquila ricoperto di penne e infine distrutto dalla coda di un drago: è la Chiesa perseguitata dall'impero pagano, attaccata dalle eresie e poi ammantata dalla donazione e infine smembrata dallo scisma

Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna,
si ricoperse

(Purgartorio, Canto XXXII, vv. 136-139)

Secondo Dante la donazione spoglia una seconda volta l'albero dell'Eden rivestendo una negativa importanza nella concezione del papa. Quasi contemporaneamente si aprirono le controversie sull'ortodossia di Dante e delle sue opere: a difenderlo furono i figli Jacopo e Pietro ma si diffuse la convinzione di una sua condanna come eretico. La critica contro i pontefici nella Commedia fu usata poi dai protestanti tedeschi e francesi. Ma se la Commedia fu condannata,il De Monarchia fu subito utilizzata dai sostenitori dell'impero durante il duro scontro tra Ludovico il Bavaro e Giovanni XXII secondo papa avignonese. Commentata da Cola di Rienzo e tradotta da Marsilio Ficino, il De Monarchia fu incluso nell'elenco dei libri proibiti stampato a Venezia nel 1549 e nel primo Index romano di Paolo IV. Nel 1559 a Basilea fu stampato e nel 1758 a Venezia. Solo Leone XIII nel 1881 lo toglie dall'indice e Dante fu celebrato da una enciclica di Benedetto XV (30 aprile 1921 e da un motu proprio (7 dicembre 1965) di Paolo VI che volle regalare a tutti i partecipanti del Concilio Vaticano II una edizione della Commedia. Nel 1324 con la pubblicazione del Defensor pacis di Marsilio da Padova portò al culmine le critiche all'istituzione ecclesiastica. L'autorità risiede nel popolo ed è da questo delegata al monarca, mentre solo spirituale è l'ambito proprio della Chiesa che in tutto deve essere subordinata all'autorità civile. Solamente storica è l'origine del potere papale, mentre il potere della sede romane risale non a Cristo ma ai privilegi di Costantino cosicchè non deve avere pretese di supremazia assoluta. Nel Defensor Pacis il potere temporale del papa è “radice e origine della pestilenza del regno italico”. Marsilio fu sostenitore di Ludovico il Bavaro che seguendo le sue teorie depose il papa avignonese e fu nominato vicario. Negli stessi anni si diffondevano le critiche di Guglielmo di Occam (che riteneva apocrifa la donazione) il quale fu convocato a discolparsi dinanzi la corte pontificia ma si rifugiò presso l'imperatore. Successivamente Giovanni Pietro de Ferrariis affermava che finchè la Chiesa avesse avuto città o castelli, l'Italia non avrebbe avuto pace. Nel 1300 aperto dal giubileo e dalla pubblicazione dell'Unam Sanctam la Chiesa di Roma attraversò un periodo di crisi che si estese alla chiesa di Occidente. La pressione di Filippo il Bello portarono al trasferimento della residenza papale da Roma, a Perugia poi ad Avignone dove nel 1309 si stabilì Clemente V il primo di 7 papi francesi succeduti durante il periodo ricordato come cattività avignonese. A causa dell'abbandono di Roma le critiche del papato si diffusero in Italia anche grazie a Petrarca che additò l'assenza del pontefice il motivo della decadenza degli ideali per cui Roma e l'Italia erano grandi. Col rientro nel 1377 di Gregorio XI e la fine della cattività, si aprì un quarantennio drammatico durante il quale la cristianità occidentale si divise nell'obbedienza prima a due, poi a tre papi antagonisti tra di loro. La fine del Grande Scisma venne dal Concilio di Costanza grazie all'elezione di Martino V. l'autorità papale venne messa in discussione dal punto di vista teorico conseguentemente allo Scisma d'Occidente per il crescente diffondersi delle tesi conciliariste favorevoli alla superiorità del concilio sul papa. La via conciliare aveva posto fine allo Scisma ma non efficaci erano i tentativi di riformare la Chiesa con lo stesso metodo finchè l'estremizzazione delle teorie ostili al papato, manifestato nel Concilio di basilea (1431-1449) quando rinunciò anche l'ultimo antipapa Felice V, offrirono alla Chiesa la possibilità di rovesciare le sue sorti. Enrico IV riuscì a ribadire la sua supremazia manon riuscì ad abbozzaare una riforma: la donazione in questo periodo aveva un destino segnato e Raffaele Fulgosio che a Costanza partecipò come avvocato era convinto della falsità della stessa, falsità che fu sostenuta anche durante i dibattiti conciliari. Niccolo Cusano, cardinale dal 1448. Scopritore di manoscritti e amico di Tommaso Parentucelli e Piccolomini (Niccolo V e Pio II) Cusano fu a Basilea dal 14433. L'assemblea era guidata da Giuliano Cesarini e in essa Cusano sostenne la linea moderata aperta sia alle visioni dei conciliaristi sia ai sostenitori della riforma. Indetto nel 1431 da Mertino V il Concilio di Basilea fu sciolto il 18 dicembre da Eugenio IV. I membri del concilio protetti da Sigismondo di Lussemburgo e sostenuti da Cesarini non avevano dato seguito alla disposizione del pontefice e il 14 dicembre 1433 Eugenio IV riconobbe l'assemblea.

Fonte: La Donazione di Costantino, Giovanni Maria Vian, Il Mulino

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