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sabato 3 agosto 2013

LA BASILICA DEI SANTI COSMA E DAMIANO

La basilica dei Santi Cosma e Damiano è una delle chiese di Roma. La basilica, dedicata ai due fratelli greci, dottori, martiri e santi Cosma e Damiano, è situata nel Foro di Vespasiano, conosciuto anche come Foro della Pace. Ha la dignità di Basilica minore. La basilica fu costruita riadattando un paio di ambienti del Tempio della Pace, a cui si accedeva dal lato del Foro Romano tramite un atrio di ingresso a pianta circolare, già trasformato da Massenzio in un tempio che, secondo una tradizione medievale messa in dubbio dal molti, era dedicato al proprio figlio divinizzato, morto prematuramente (tempio del Divo Romolo). Il tempio venne donato da Teodorico il Grande re degli Ostrogoti, e da sua figlia Amalasunta nel 527 a papa Felice IV, insieme alla biblioteca del Foro della Pace e il papa unì i due edifici per formare una basilica dedicata ai due santi greci, Cosma e Damiano, in contrasto con l'antico culto dei Dioscuri, Castore e Polluce, che erano stati venerati sino alla chiusura nel vicino tempio situato nel Foro Romano. Nel IX secolo vennero collocati nella chiesa i busti dei santi Marco e Marcello, che vennero riscoperti nel 1583 durante il pontificato di papa Gregorio XIII. Nel 1512 la chiesa fu concessa al Terzo Ordine Regolare di San Francesco (T.O.R.), che tuttora la officia. Nel 1632 papa Urbano VIII ordinò il restauro della basilica. Il lavoro, progettato da Orazio Torriani e diretto da Luigi Arrigucci, consisté nel rialzamento di ben 7 m del livello del terreno, che fu quindi portato alla quota del Campo Vaccino, in modo da evitare infiltrazioni d'acqua. L'antico pavimento della basilica è tutt'oggi visibile nella "chiesa inferiore", costituita negli spazi originari attualmente interrati. Nel 1947 la vecchia entrata attraverso il cosiddetto "tempio di Romolo" venne chiusa e sostituita da un nuovo ingresso realizzato su via dei Fori Imperiali. Contemporaneamente il tempio di Romolo fu ripristinato nello stato di epoca romana. Vicino alla nuova entrata del complesso ci sono due stanze, con la pavimentazione marmorea originale del Foro della Pace ed il muro su cui erano affisse le 150 lastre di marmo che componevano la Forma Urbis Romae. Oltre mille frammenti delle lastre furono rinvenute in periodo rinascimentale ed in alcuni casi furono copiate in Vaticano. La pianta della basilica venne concepita in accordo con le norme della Controriforma: una singola navata, con tre cappelle per lato, ed una grande abside, che ora risulta fuori misura per via del restauro eseguito nel XVII secolo: l'arco posto in fondo alla chiesa risulta ora molto più piccolo di ciò che era un tempo. Il catino dell'abside fu decorato intorno al 530 a mosaico con una scena rappresentante l'accoglienza nei Cieli dei due santi titolari della chiesa. Al centro domina la figura del Cristo con un rotolo nella mano sinistra e con la destra indicante una stella, rialzato rispetto alle altre figure e poggiante su nuvolette rosse e bluastre, che invadono anche il cielo blu alle sue spalle, mentre ai suoi lati su un idilliaco praticello si dispongono Paolo, san Cosma e papa Felice IV che offre il modellino della chiesa a sinistra e, a destra, Pietro, san Damiano e Teodoro . Nel tamburo sottostante sono rappresentati gli apostoli sotto forma di pecore.
Si tratta di una rappresentazione di grande potenza espressiva, frutto della capacità di un maestro che guarda a esempi del V secolo cercando di sintetizzarli in una composizione innovativa, che utilizza l'euritmia della disposizione delle grandi figure, la gestualità (si veda la mano di san Pietro che si poggia affettuosamente su quella di san Damiano) e l'espressività un poco congelata ma fortemente caratterizzata dei vólti per risolvere con efficacia il problema di una rappresentazione a sette figure, spesso resa difficile dalla necessità di contenere tutte le immagini senza rinunciare alla loro visibilità dalla distanza. Secondo Gugliemo Matthiae,[2] questo artista detta addirittura un modulo rappresentativo destinato per parecchi decenni a divenire normativo a Roma (si vedano in primis per esempio i mosaici dell'abside di Santa Prassede e della non lontana chiesa di San Teodoro), ma di fatto non più compreso nella sua volontà di cogliere – attraverso la rielaborazione moderna di strumenti stilistici datati (la megalografia, le nuvolette cromatiche, lo squadro delle figure) e per certi punti tangenti alle coeve soluzioni ravennati – il momento dell'ingresso dei due santi taumaturghi nel consesso dei Cieli. La svolta successiva del mosaico romano sarà infatti del tutto più consona all'astrattizzazione d'influenza bizantina (absidi di Sant'Agnese o Santo Stefano Rotondo), ciò che fa di questo mosaico forse l'ultimo capolavoro della pittura romana paleocristiana.

Fonte: Wikipedia

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