Le feste estive in costume e le rievocazioni storiche, le sfilate i cavalli le dame e i cavalieri in improbabili vesti e corazze di imprecisabili epoche, l’anno scorso non hanno mancato di individuare qua e là per l’Italia una nuova occasione di aggregazione (come si dice oggi) inventando la sagra per lo jus primae noctis, ossia il colorato raduno che avrebbe dovuto ricordare le prepotenze dei signori feudali e nella fattispecie l’imposizione di un diritto odioso che consisteva nell’esigere le grazie della sposa nella prima notte di nozze, prima che la giovane potesse consumare il suo matrimonio con il marito. Il tema è tornato di moda a livello internazionale perché ha avuto molta risonanza l’edizione parigina del libro di Jacques Rossiaud Sexualités au moyen-age uscito nel 2012, in cui si riscoprono fatti e miti sulla sessualità medievale, tra cui, appunto, lo jus primae noctis, famigerata credenza di nessun valore. Uno jus mai esistito, dunque, inventato dagli “storici”, o meglio da quegli storici improvvisati in scuole e sacrestie, che per qualche secolo hanno riempito pagine e pagine di miserande pubblicazioni con le loro interpretazioni di fatti e di parole, spesso foraggiati prima nell’età dell’illuminismo poi, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, dai dirigenti politici che cercavano di propagandare la favola da trasformare in certezza, di un medioevo malsano, lacero e dominato da una classe feudale violenta e prepotente. Non esistito, o meglio, esistito nella formulazione verbale ma non nel suo contenuto, poiché lo jus primae noctis altro non era che una sorta di piccola tassa che si versava in occasione del matrimonio, simile alle marche da bollo o ai diritti di cancelleria che si versano alle curie vescovili. “Di fronte a certe interpretazioni, fondate su giochi di parole, dei quali lo jus primae noctis è un esempio sorprendente, ci si può domandare se il Medioevo non sia stato vittima di un vero complotto”, ha scritto Régine Pernoud nel suo famoso libro Luce del Medioevo (1). “Non si deve sottovalutare il fortissimo e precoce impatto che il Medioevo ebbe a lungo sulle menti -rincara Karl Ferdinand Werner- . Questa denominazione riflette il disprezzo delle persone istruite nei confronti di un periodo reputato barbaro e incolto e dei suoi uomini, ritenuti incapaci di rispondere ai criteri minimi dell’intelligenza e del saper vivere” (2). Altra favola prodromo di infinite invenzioni e interpretazioni, regolarmente vanificate dallo studio critico dei fatti e dei testi. E’ chiaro che nel Medioevo, come in tutte le epoche e in ogni Nazione, si sono verificate ingiustizie e violenze. L’animo umano possiede le capacità di precipitare i suoi istinti in abissi insondabili. Ma da questo a credere che le prepotenze fossero giustificate, codificate e regolarizzate sembra davvero troppo. Confondere un pagamento in danaro con una prestazione sessuale è un salto di qualità possibile solo agli esperti di vecchia cinematografia. Le leggi erano severissime, le punizioni spesso mortali, molto frequentemente non si ammetteva disparità di trattamento. Vorrei ricordare almeno uno tra i casi più eclatanti di piena giustizia per una violenza perpetrata sul finire del Medioevo. Il protagonista fu Antonello Caracciolo, un grande nobile del Regno di Sicilia. Ai tempi in cui era reggente la regina Isabella, moglie di Federico d’Aragona, negli anni ’90 del Quattrocento, Antonello si trovava in un suo feudo in Calabria, e qui si invaghì di una bella fanciulla locale che inutilmente tentò di sedurre. Il giovane nobile non riuscì nell’intento neppure dopo aver incarcerato il padre della ragazza, e poté aver ragione delle sue resistenze solo dopo un finto matrimonio con un finto prete. Ma il giorno seguente, dopo aver raggiunto il suo scopo, egli allontanò la giovane dalle sue terre. I genitori della fanciulla raggiunsero allora Napoli per implorare giustizia dalla regina. Isabella, sdegnata per il delitto, ordinò l’arresto di Antonello Caracciolo, e poiché questi si era arroccato in un suo castello, ne ottenne la resa dopo una breve resistenza. Il giovane fu trasferito a Napoli e condannato a morte; ma prima sul patibolo fu costretto a sposare la ragazza che aveva violentato (3). In cosa effettivamente consistesse lo jus matrimoniale si può invece desumere dall’attenta lettura dei documenti. Cosa che non hanno fatto quasi mai gli “studiosi” che si sono interessati all’argomento. In un mio libro ho riportato l’esempio di San Mango, un paese nell’hinterland di Salerno dove nel 1670 nell’apprezzo delle rendite baronali si legge appunto la voce dell’entrata di questo medievale diritto. In quell’anno, alla corte baronale era ancora menzionato lo jus primae noctis: il pagamento di quattro carlini per ogni matrimonio. Ma, si faceva notare, la tassa era caduta in disuso, e gli stessi feudatari -probabilmente per compiacere i propri sudditi- non ne avevano mai chiesto il ripristino, per cui l’esigua rendita sulla carta non esisteva più nella realtà (4). Sarebbe ora di comprendere dunque che il mondo medievale non era per niente permeato da violenze e ingiustizie, in particolare da quelle commesse dai nobili. Piuttosto, il mondo aristocratico medievale ha tramandato fino a noi “le idee di onore (compreso l’onore nazionale), di rango (che si ritrova nel rango della Francia caro a de Gaulle) e di dignità (che si riflette nella dignità umana). Questi ideali hanno le loro radici nell’honor, nel gradus dignitatis, nella dignitas, che sono parole chiave dell’antica società aristocratica romano-cristiana” (5).
Note
(1)Cf. R. PERNOUD, Luce del Medioevo, Roma 1978, pp.264-265.
(2)Cf. K.F. WERNER, Nascita della nobiltà, Torino 2000, p. 24.
(3)Cf. B. CANDIDA GONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia, III, Napoli 1875, p.59.
(4)Cf. C. CURRO’, Il sogno della dama ignota, Montoro Inferiore 2011, pp.139-140.
(5)Cf. WERNER, op.cit., p.XVI.
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