Parole dell'Oste al Medico e all'Indulgenziere.
Il nostro Oste si mise a bestemmiare come un matto: «Accidenti,» disse «per i chiodi e per il sangue (1)... che ipocriti, quel giudice e quel ribaldo! Se li prenda la morte più infame che la mente possa immaginare, simili giudici coi loro avvocati! Intanto, ahimè, quella povera ragazza è morta! Ah, la pagò cara la sua bellezza! Io lo dico sempre: bisogna stare attenti, perché i doni che ci fanno la fortuna e la natura sono spesso causa di rovina. Nel caso di questa poveretta, la sua bellezza fu la sua morte. Ah, morire così miserevolmente! Ma dai doni di quelle due che vi ho detto, si riceve molto spesso più male che bene... Veramente, maestro mio caro, questo è un racconto ben pietoso da sentire. Ma tiriamo avanti, intanto non c'è rimedio. Prego che Dio ti conservi la tua carcassa, e perfino i tuoi orinali e vasi da notte, come pure i tuoi Ippocrati e i tuoi Galeni, e tutti i tuoi barattoli colmi d'elettuari: che Dio li benedica, e così pure nostra Signora Maria Santa! Mi venga un po' di bene, sei un uomo proprio in gamba; per San Roniano, sembri un vero prelato... Non dico bene? Forse non so usare i termini giusti, ma t'assicuro che m'hai dato una tale fitta al cuore, che per poco non mi viene un mal cardiaco! Per le ossa del "corpus", se non mi prendo un po'
di triaca o un sorso di birra forte e fresca, o se non sento subito un bel racconto allegro, mi scoppia il cuore di pietà per quella ragazza!... Ehi, tu, "bel ami", dico a te Indulgenziere» fece «raccontaci presto qualche burla o qualche beffa».
«Sarà fatto» disse quello «per San Roniano! Però prima,» soggiunse «qui a questa insegna di locanda, voglio bere e mangiare un po' di focaccia.»
Ma allora la gente per bene si mise a protestare: «No, non fategli raccontar canagliate!... Raccontateci qualcosa di morale da cui si possa imparare della sensatezza, e allora saremo ben contenti d'ascoltare».
«Va bene, d'accordo,» disse quello «ma a qualcosa di sensato devo pensare mentre bevo!»
Prologo DELL'INDULGENZIERE.
Qui segue il Prologo al Racconto dell'Indulgenziere.
«Signori,» disse «in chiesa quando predico, mi sfiato per avere un voce forte e squillante come una campana, ma quello che devo dire lo so già a memoria. Il mio tema è, ed è sempre stato, uno solo: "Radix malorum est Cupiditas"... Comincio col dire da dove vengo, e poi mostro le mie bolle, tutte quante. Il sigillo del nostro signor feudatario sulla mia lettera patente, quello lo mostro per primo, a garanzia della mia persona, perché nessuno, prete o chierico, sia tanto sfacciato da disturbarmi nel mio santo lavoro di Cristo. E poi racconto le mie solite storie; tiro fuori bolle di papi e cardinali, patriarchi e vescovi, e dico qualche parola in latino, tanto per condire la mia predica e stuzzicare alla devozione. Tiro poi fuori i miei bottiglioni di vetro, pieni zeppi di stracci e d'ossi che tutti credono siano reliquie. In una latta ho perfino la scapola d'una pecora che era appartenuta a un santo ebreo! 'Buona gente,' dico 'fate attenzione alle mie parole. Se immergete quest'osso dentro un pozzo, qualunque vacca, vitello, pecora o bue si gonfi per aver ingoiato o esser stato punto da una biscia, appena da quel pozzo prenda un po' d'acqua e si lavi la lingua, ecco che subito guarisce. Basta poi che una pecora beva un sorso da quel pozzo per guarire immediatamente da pustole, scabbia e ogni altro malanno. Attenzione a quel che dico. Se chi già possiede del bestiame beve al mattino a digiuno, prima che canti il gallo, un sorso da quel pozzo (basta una volta alla settimana, come quel santo ebreo insegnò ai nostri vecchi), ebbene, le sue bestie e i suoi averi si moltiplicheranno. Signori miei, quest'acqua guarisce perfino dalla gelosia: se qualcuno cade in preda a furia gelosa, se ne faccia un bel beveraggio, ed ecco che non avrà più alcun sospetto di sua moglie, pur conoscendo tutte le sue pecche e quand'anche lei si sia goduta due o tre preti. Ed eccovi qui un guanto, guardate: chi infila la mano in questo guanto, vedrà moltiplicarsi il suo raccolto, sia che abbia seminato grano oppure avena, purché offra qualche quattrino o soldarello. Però, buona gente, vi avverto: se c'è qualcuno ora in questa chiesa che abbia commesso qualche orribile peccato, così obbrobrioso da non potersi neppure confessare, oppure qualche donna, giovane o vecchia, che abbia fatto becco suo marito, ebbene, gente simile non ha né il potere né la grazia di fare in questo luogo offerta alle mie reliquie! Soltanto chi si trova fuori da tali colpe può venire nel nome di Dio a fare la sua offerta, e io l'assolverò con l'autorità che per bolla m'è stata conferita...» Con questo trucco mi guadagno, da quando faccio l'indulgenziere, cento marchi all'anno. Me ne sto come un gran dotto sul mio pulpito, e appena quell'ingenua gente s'è seduta, faccio la mia predica come avete già sentito, aggiungendovi un altro centinaio di frottole. E intanto m'affanno a allungare il collo e a far capolino a destra e a sinistra sulla gente, come un colombo appollaiato sul granaio. Le mie mani e la mia lingua hanno una scioltezza tale, che davvero è una gioia vedermi al lavoro! Tutte le mie prediche riguardano l'avarizia e consimili malanni, per rendere la gente generosa nel dare i propri soldi... soprattutto a me! Il mio scopo infatti non è che far quattrini, non correggere i peccati. Per me, una volta che qualcuno sia sepolto, la sua anima può pure andare a finire nelle ortiche!... Eh sì, certo, molte delle mie prediche provengono spesso da cattiva intenzione... Alcune, per esempio, son fatte per compiacere e lusingare il pubblico, per poi approfittarne sia pure con ipocrisia; altre per vanagloria ed altre ancora per odio... Sì, perché se qualcuno offende me o i miei confratelli, siccome in altro modo non posso vendicarmi, allora predicando lo pungo sul vivo con la mia lingua, così ch'egli non possa scansare d'essere pubblicamente diffamato. Difatti anche senza ch'io dica proprio il suo nome, tutti sanno bene di chi parlo, dai cenni ed altri particolari. Così ripago chi ci dà dei dispiaceri! E sputo il mio veleno colorandolo di santità, in modo da farlo sembrare pio e sincero... Ma insomma, per dirvi proprio qual è il mio intento, non predico che per avidità. Ecco perché il mio tema è ancora e sempre: "Radix malorum est Cupiditas!"... Predico cioè sempre contro la cupidigia, contro lo stesso vizio che anch'io pratico continuamente. Eppure, per quanto io sia colpevole di questo peccato, riesco ancora a convincere gli altri a liberarsene ed a pentirsi amaramente. Ma non è questo il mio vero scopo... Io infatti non predico se non per avidità! Ma di questo ne avrete già abbastanza... Porto poi diversi esempi da vecchie storie di tempi andati, perché la gente ignorante ama le vecchie storie: è tutta roba che riesce bene ad imparare e a ricordare... Ecco! Volete che io, potendo predicare e guadagnar oro e argento col mio insegnamento, mi metta di mia spontanea volontà a vivere poveramente? Ah no, non ci penso neppure, vi assicuro! Preferisco predicare e andare in giro a chiedere l'elemosina... Non ho voglia di adoperare le mani, di mettermi a far canestri per campare: non è ch'io chieda l'elemosina a vuoto... Non voglio mettermi a scimmiottare gli apostoli! Voglio aver soldi, lana, formaggio e grano, quand'anche fosse dal più miserabile servo o dalla più povera vedova del villaggio coi figli che muoiono di fame! Ah no, voglio bere puro succo di vigna e mantenermi in ogni borgo un'allegra donnina!... Ma insomma, signori, sentite... Volete che vi racconti una storia. Ebbene, ora che ho mandato giù una bella sorsata di birra, perdio, spero di raccontarvi qualcosa che sarà proprio di vostro gradimento! Difatti, anche se sono un uomo pieno di vizi, una storia morale so ancora raccontarla, una di quelle che per guadagnare uso nelle mie prediche... Ed ora, zitti, che comincio!»
RACCONTO DELL'INDULGENZIERE
Qui comincia il Racconto dell'Indulgenziere.
Una volta nelle Fiandre c'era una combriccola di giovinastri dediti alla pazza vita, ai bagordi e al gioco, i quali bazzicavano sempre per bordelli e taverne dove con arpe, liuti e chitarre ballavano, e giocavano a dadi giorno e notte, e poi mangiavano e bevevano a più non posso, offrendo empi sacrifici nel tempio del demonio con imprecazioni ed eccessi abominevoli. Tiravano bestemmie così grandi e detestabili, che a sentirli c'era da rabbrividire. Sembrava proprio che sbranassero il corpo di nostro Signore benedetto, come se non l'avessero già straziato abbastanza i giudei; e ciascuno rideva dei peccati dell'altro. E poi subito venivano ballerine leggiadre e snelle, e giovani fruttaiole, cantanti con l'arpa, ruffiani e confettieri, tutta gente mandata dal diavolo ad accendere e fomentare il fuoco della lussuria, la quale sempre s'accompagna alla gozzoviglia. Lo dice anche la sacra scrittura; in vino ed ubriachezza risiede la lussuria...
Pensate a quell'ubriacone di Lot che, contro natura, s'accoppiò inconsciamente con le sue due figlie: era talmente sbronzo, da non capire quel che facesse... Chiunque abbia studiato bene la storia, sa che Erode, appunto quando a banchetto fu saturo di vino, senza neanche alzarsi da tavola, ordinò che fosse ucciso Giovanni il Battista, del tutto innocente... Dice davvero bene Seneca, quando afferma di non riuscire a trovare alcuna differenza fra chi è fuori di senno e chi è ubriaco, senonché la pazzia, una volta colto un disgraziato, dura più a lungo dell'ubriachezza... O ingordigia maledetta, causa prima della nostra rovina, origine d'ogni nostra dannazione, finché non venne Cristo a riscattarci col suo sangue! Ecco a che prezzo, pensate, fu riscattata quella maledetta colpa! Tutto il mondo fu corrotto dall'ingordigia... Fu proprio per quel vizio che Adamo, nostro padre, venne cacciato con sua moglie dal paradiso alla fatica e al dolore. Si legge, infatti, che finché Adamo digiunò rimase in paradiso, ma appena assaggiò sull'albero il frutto proibito, fu subito cacciato via al dolore e alla sofferenza. O ingordigia, di te a ragione dovremmo lamentarci! Oh, se uno sapesse quanti mali derivano da bagordi e gozzoviglie, a tavola sarebbe più misurato nella sua dieta! Ahimè, per dar piacere a un pezzetto di gola e intenerire un po' la bocca, s'affannano gli uomini ad est, a ovest, a nord e a sud, per terra, per aria e per mare, alla ricerca di ghiotte provvigioni da mangiare e da bere! Ne sai qualcosa tu, San Paolo... Egli infatti dice: «Le vivande sono per il ventre e il ventre per le vivande, ma Dio distruggerà e queste e quello'.». Ah, turpe cosa è veramente menzionare la parola, ma più turpe ancora è l'atto che si compie quando, sia di bianco che di rosso, si beve tanto, da trasformare per stravizio maledetto la propria gola in un... cesso! Dice l'apostolo piangendo amaramente: «Camminano molti di cui vi ho parlato, e di cui vi parlo ora con voce commossa dal pianto, i quali sono nemici della croce di Cristo: per loro la morte è la loro fine, e il ventre il loro dio'». O ventre, o pancia, o fetido sacco pieno di sterco e putridume! Alle tue due estremità, schifoso è il suono che si sprigiona... Eppure quanta fatica e quante spese per provvedere a te! Pensa ai cuochi, come pestano, spremono e tritano, trasformando la sostanza in accidente, tutto per saziare il tuo ingordo appetito! Fanno schizzare dai duri ossi anche il midollo, senza buttar via nulla che possa entrare tenero e molle nel gargarozzo; e per renderlo più appetitoso, lo condiscono di deliziose salse fatte di spezie, foglie, cortecce e radici. Ma è certamente ben morto chi vive in tali vizi e va in cerca di tante leccornie!... Cosa lasciva è il vino, e l'ubriachezza è piena di travaglio e d'angoscia. O ubriacone, dalla faccia stravolta e dal fiato acre, che schifo sorreggerti per le braccia, mentre tu stronfì col tuo naso avvinazzato come per dire continuamente: "Sanson, Sanson"... Eppure Dio sa che Sansone non bevve mai vino! Ti butti a terra come un maiale scannato; perduta è la tua lingua ed ogni tua decenza... l'ubriachezza è proprio la tomba del buon senso e d'ogni discrezione. Chi si lascia prendere dal bere non sa mantenere alcun segreto, su questo non v'è dubbio... Astenetevi perciò dal vino bianco e da quello rosso, e specialmente da quello bianco di Lepe che si vende in Fish Street o a Cheapside. Stranamente questo vino di Spagna riesce a filtrare negli altri vini che crescono qui nei dintorni, e allora s'alza una fumosità tale che, quando uno ne abbia bevuto tre sorsi, crede d'essere in Cheapside a casa, e invece si trova in Spagna, proprio nella città di Lepe, altro che a La Rochelle o a Bordeaux, e allora sì che ronfa "Sanson, Sanson!"... Ma permettete ancora una parola, signori, vi prego. Desidererei farvi notare come tutte le memorabili e gloriose imprese di cui si legge nel Vecchio Testamento fossero compiute, per grazia di Dio onnipotente, nell'astinenza e nella preghiera. Leggete la Bibbia e ve ne renderete conto... Guardate invece come Attila, il famoso conquistatore, morisse nel sonno con vergogna e disonore, dissanguato da un'emorragia al naso! Un condottiero dovrebbe sempre mantenersi sobrio! E soprattutto considerate bene ciò che fu ordinato a Lamuele (dico Lamuele, badate bene, non Samuele); leggete la Bibbia, e vedrete quel che dice a proposito del dar vino a chi ha in mano la giustizia... Ma ora basta, di questo ce ne cresce. Ora che vi ho parlato del gozzovigliare, voglio mettervi in guardia contro il giocare a dadi... Quel gioco infatti è il padre dell'impostura, dell'inganno, del turpiloquio maledetto, della bestemmia contro Cristo, dell'omicidio, e costituisce inoltre una perdita di tempo e di denaro. Indegno e disonorevole è dunque aver fama di volgare giocatore. E quanto più uno è d'elevata condizione, tanto più è ritenuto sciagurato. Un principe che abbia il vizio del gioco, qualunque sia il suo governo e la sua politica, perde per comune opinione di prestigio... Stilbone, ch'era un saggio ambasciatore, avendo avuto il grande onore d'essere mandato da Sparta a trattare un'alleanza a Corinto, appena vi giunse, scoprì per caso che tutti i grandi di quella terra erano dediti al gioco. Perciò, appena poté, se ne tornò in patria, e disse: «Non macchierò il mio nome col disonore di farvi alleare con dei giocatori. Se credete, mandate pure qualcun altro, giacché, per conto mio, preferirei morire che allearvi con gente simile: non sarà mai per opera mia e attraverso mie trattative che voi, col vostro nome così glorioso, avrete alleati tanto abietti!». Ecco che cosa disse quel saggio filosofo... Pensate invece a re Demetrio che aveva avuto la passione per il gioco: sta scritto che, per dimostrargli di non ritenere d'alcun valore o stima la sua gloria e la sua rinomanza, il re dei Parti gli mandò per scherno un paio di dadi d'oro. E in verità direi che dei nobili potrebbero anche trovare qualche modo più decente di passare la giornata!... Voglio ora dirvi una parola o due sullo spergiuro e sulla bestemmia, secondo le trattazioni che se ne fanno nei libri antichi. La bestemmia è una cosa abominevole, ma lo spergiuro è ancora più detestabile. Il sommo Iddio proibì del tutto di giurare, e Matteo lo attesta; ma del giurare in casi speciali il santo Geremia dice: «Giura il vero quando giuri, senza mentire, e giura secondo giustizia e rettitudine!». Giurare invano, però, è peccato. Guardate la prima tavola dei santi comandamenti di Dio, e vedrete che il secondo comandamento dice: «Non nominare il mio nome inutilmente o invano». Ecco dunque che la bestemmia viene proibita prima ancora dell'omicidio e di quasi tutti gli altri peccati. Vi assicuro che l'ordine è proprio questo. Ma conoscete benissimo i comandamenti di Dio anche voi, e dunque saprete che cosa, dice il secondo... Per me, desidero soltanto ricordarvi che non sarà mai senza castighi la casa dell'oltraggioso bestemmiatore, in cui si sentano espressioni come: «Per il prezioso cuore di Dio... Per i suoi chiodi... Per il sangue di Cristo di Hailes, io ho fatto sette, e tu invece cinque e poi tre!... Per le braccia di Dio, se bari, ti pianto questo pugnale nel cuore!...». Ecco il frutto che deriva da due ossi di cani; imprecazioni, ira, falsità, omicidio. E dunque, per amore di Cristo che morì per noi, smettete di dir bestemmie, grandi o piccole che siano!... Ed ora, signori, torniamo al nostro racconto.
Tre di quei scapestrati di cui vi parlavo, prima ancora che le campane suonassero il mattutino, s'erano già messi in una taverna a bere. Ad un tratto, mentre se ne stavano là seduti, udirono tintinnare il campanello innanzi a un morto che veniva portato alla tomba. Uno di loro chiamò allora il garzone: «Corri,» gli disse, «va' a domandare chi è il morto che sta passando, e fatti dire bene il suo noma».
«Messere,» fece il ragazzo «non ce n'è bisogno: me l'hanno già detto due ore prima che voi veniste qui... Perdio, era un vostro vecchio compagno! E stato improvvisamente ucciso stanotte, mentre sedeva tutto ubriaco sulla sua panca. Entrò furtivamente un ladro, chiamato Morte per soprannome, uno che da queste parti ammazza tutti quanti, e con la lancia gli spaccò il cuore in due e se n'andò senza dire una parola. Ne avrà già uccisi mille, questa peste ... Prima che l'incontriate, messere, penso che sia necessario mettervi in guardia da un simile avversario. Attenzione, perché potrebbe trovarsi da qualsiasi parte: così almeno m'ha detto mia madre, non aggiungo altro.»
«Maria Santissima!» fece il taverniere «ha ragione il ragazzo, perché quest'anno, in un grosso borgo a più d'un miglio di qui, ha accoppato uomini e donne, bambini, garzoni e servitori: credo proprio che là ci stia di casa! Sarebbe meglio star preparati, prima che torni a colpire qualcuno...»
«Eh, per le braccia di Dio!» disse allora quello scapestrato «ma è proprio così pericoloso incontrarlo? Io invece mi metterò a cercarlo per tutti i sentieri e per tutte le strade, lo giuro sulle sacrosante ossa di Dio!... Sentite, compagni, noi tre siamo sempre stati uniti: diamoci dunque la mano, da fratelli, e vedrete che l'ammazzeremo noi, questo falso traditore che è Morte! Cospetto di Dio, lo faremo fuori prima di sera, questo che ammazza tanta gente!»
Giurarono tutti e tre insieme di vivere e di morire l'uno per l'altro, da veri fratelli. E alzandosi da tavola ubriachi e furibondi, s'avviarono a quel villaggio di cui aveva prima parlato il taverniere. E si misero intanto a lanciare orribili bestemmie, straziando il benedetto corpo di Crist o: questa volta sarebbe toccato a Morte morire, se fossero riusciti ad acciuffarlo!
Non avevano fatto neppure mezzo miglio di strada, che, proprio mentre stavano per oltrepassare uno steccato, s'imbatté in loro un povero vecchio. Questo vecchio molto educatamente li salutò dicendo: «Dio vi protegga, signori miei!».
Il più insolente di quei tre rispose: «Ehi, brutto tanghero disgraziato! Perché ti copri tutto fino alla faccia? Come mai alla tua età sei ancora vivo?»
Il vecchio, guardandolo fisso in viso, gli disse: «Perché non riesco a trovare nessuno, neanche se camminassi fino in India, in nessuna città e in nessun villaggio, che voglia cambiare la sua giovinezza con la mia vecchiaia... e perciò devo tenermela fin che a Dio piacerà. Ahimè, neanche a Morte interessa la mia vita! E io, come un prigioniero senza pace, vado battendo dal mattino alla sera col bastone sulla terra, dov'è la porta per andare da mia madre, e dico: 'Cara madre, fatemi entrare! Guardate come si consuma la mia carne, e il mio sangue, e la mia pelle! Ahimè, quando avranno pace le mie ossa? Madre, come vorrei con voi contraccambiare lo scrigno che ormai da troppo tempo sta in camera mia, e soltanto per un ruvido sudario in cui avvolgermi!...'. Ma lei non vuol farmi questa grazia, mentre il mio volto si fa sempre più pallido e avvizzito... Però a voi, messeri, non fa onore rivolgervi in questo modo ad un vecchio che non vi ha mai offeso. Leggete quel che dice la Bibbia: 'Di fronte a un vecchio dalla testa bianca, bisogna alzarsi in piedi. E perciò datemi retta, non fate adesso alcun male a un vecchio, come non vorreste che ne fosse fatto a voi in vecchiaia, se tanto vi fosse dato di campare. E che Dio sia con voi, dovunque vi rechiate a piedi o a cavallo! Bisogna proprio ch'io ora vada dove debbo andare...».
«Ah no, vecchio tanghero, perdio, non te n'andrai così!» disse allora un altro di quei fannulloni. «Non te n'andrai tanto facilmente, per San Giovanni! Hai proprio ora menzionato quel traditore Morte, che da queste parti ammazza tutti i nostri amici. Scommetto che sei una sua spia... o mi dici dove si trova o, per Dio e per il santo sacramento, te la faccio pagare! Tu sei certamente uno che sta dalla sua parte, per togliere di mezzo noi che siamo giovani, brutto ipocrita ladro!»
«Ebbene, messeri,» fece quello «se v'è tanto caro trovare Morte, girate su per questo tortuoso sentiero, perché, a dire la verità, l'ho lasciato là in quel bosco, sotto un albero, e là dev'essere rimasto. Non si nasconderà certo per le vostre smargiassate! Vedete quella quercia? Ebbene là lo troverete. E che Dio, redentor vostro e di tutti gli uomini, vi protegga!»
Così disse il vecchio. E quei furfanti, via di corsa fino all'albero. Là giunti, trovarono un mucchio di bei tondi fiorini d'oro appena coniati: soltanto così alla vista, saranno stati otto staia! E allora non si curarono più d'andare in cerca di Morte, ma, contentissimi di vedere tutti quei bei fiorini luccicanti, si sedettero subito intorno al prezioso cumulo.
Parlò per primo il peggiore dei tre: «Fratelli,» fece «sentite quel che vi dico. Anche se burlo e scherzo sempre, io ho un gran cervello. La fortuna ci ha dato questo tesoro per farci vivere la nostra vita in festa e in allegria, e così com'è venuto, noi ce lo spenderemo. Ah, cospetto di Dio prezioso, chi l'avrebbe mai detto che oggi avremmo ricevuto tanta grazia? Se soltanto si potesse portar via quest'oro da questo posto (tanto sapete bene che è tutta roba nostra), allora la nostra felicità sarebbe al culmine. Ma, veramente, di giorno non si può: la gente ci prenderebbe di sicuro per ladri, e ci farebbe impiccare per aver rubato un tesoro che invece ci appartiene. Questo tesoro bisogna dunque portarlo via di notte, con tutta la prudenza e la scaltrezza che si può. Consiglierei perciò di tirare fra noi le paglie, e vedere a chi tocca la più corta: quello dovrà farsi animo e andare di corsa in città a prendere, senza farsene troppo accorgere, del pane e del vino. Gli altri due intanto resteranno a far la guardia al tesoro. E se chi andrà in città non perderà tempo, appena sarà notte ci metteremo d'accordo e trasporteremo questo tesoro dove meglio crederemo».
Sempre quel tale strinse le paglie in pugno e ordinò agli altri di estrarre a sorte. La paglia più corta toccò al più giovane di tutti, il quale partì subito per la città.
Appena quello se ne fu andato, uno dei due rimasti disse all'altro: «Sai bene che per giuramento sei mio fratello, ed io voglio subito dirti una cosa nel tuo interesse, ora che il nostro compagno se n'è andato. Eccoci qui dunque con tutto quest'oro, che dovremmo dividere fra noi tre: se riuscissi a fare in modo che ce lo dividessimo solo fra noi due, non credi che ti farei un piacere da amico?».
L'altro rispose: «Non vedo come sia possibile. Lui sa benissimo che noi due abbiamo l'oro. Come faremo? Che cosa gli diremo?».
«Sai mantenere il segreto?» gli fece il primo furfante. «Se mi prometterai di sì, te lo dirò in poche parole quel che dovremo fare, e vedrai che tutto andrà bene.»
«Senza dubbio, te lo giuro,» disse l'altro «parola mia, non ti tradirò.»
«Dunque,» fece il primo «sai bene che siamo in due, e che in due si è più forti di uno... Ecco, appena lui si siederà, tu all'improvviso ti alzerai come per voler scherzare con lui; e mentre tu con lui per scherzo farai la lotta, io lo colpirò ai fianchi, e anche tu col tuo pugnale farai lo stesso... Allora, mio caro amico, tutto quest'oro ce lo divideremo fra te e me, e finalmente potremo toglierci tutte le voglie, e darci al gioco fin che vorremo!»
Così, come avete sentito, quei due furfanti si misero d'accordo per ammazzare il terzo.
Costui (il più giovane, quello che s'era recato in città) non faceva intanto che rimuginare in cuor suo sulla bellezza di tutti quei fiorini nuovi e luccicanti: «Oh, Signore! ...» diceva «se potessi avere tutto quel tesoro per me soltanto, non ci sarebbe uomo sotto il trono di Dio più felice di me!...». Alla fine il demonio, nostro nemico, gli mise in mente di comprare del veleno col quale eliminare i suoi due compagni; anzi, il demonio lo trovò in tale disposizione d'animo, che gli fu facile condurlo alla perdizione. Quello infatti giurò fra sé che avrebbe ucciso gli altri due e che mai se ne sarebbe pentito.
Così, senza perdere più tempo, trovandosi in città, andò da uno speziale e lo pregò di vendergli del veleno contro i topi; gli disse perfino che dalla siepe veniva sempre una faina ad ammazzargli i capponi, e che insomma, se fosse stato possibile, avrebbe voluto proprio vendicarsi di tutte quelle bestiacce che di notte lo mandavano in rovina. Gli rispose lo speziale: «Ti darò io una cosa che, Dio salvi l'anima mia, non c'è creatura al mondo che, avendone assaggiato o sorbito una dose non più grande d'un granello di frumento, non passi subito di colpo a miglior vita! Si tratta d'un veleno così forte e potente, che uccide in minor tempo di quanto s'impieghi a far di corsa appena un miglio!».
Quello sventurato prese dunque il veleno, chiuso dentro una scatola, e corse nella strada vicina da un tale a farsi imprestare tre grandi bottiglie: in due versò il veleno, mentre la terza la tenne pulita per metterci da bere per sé, pensando che poi nella notte avrebbe avuto un gran da fare a portar via di là tutto quell'oro. E quand'ebbe riempito di vino tutt'e tre quelle grandi bottiglie, quello scapestrato della malora ritornò dai suoi compagni.
C'è bisogno di farla ancora tanto lunga? Quei due lo uccisero proprio come prima s'erano proposti e fu in un attimo. Dopo di che, uno di loro disse: «Mettiamoci a sedere, e beviamo e stiamo allegri; il cadavere poi lo seppelliremo!». Così dicendo, prese a caso una delle bottiglie in cui c'era il veleno, e bevve, e ne offerse anche al suo compagno, e morirono di schianto tutt'e due. Anzi credo che Avicenna non abbia mai descritto in nessun "cànone" o trattato sintomi d'avvelenamento più orrendi di quelli ch'ebbero quei due disgraziati prima di morire. E così dunque finirono i due assassini, e lo sleale avvelenatore con loro.
O maledizione delle maledizioni! O traditori omicidi! O malvagità umana! O crapula, lussuria e gioco! O tu che offendi Cristo con ingiurie e bestemmie enormi, sia per abitudine che per ostentazione!
Ahimè, umanità, come può essere che verso il tuo Creatore, verso Colui che ti creò e ti redense col prezioso sangue del suo cuore, tu sia, ahimè, tanto ipocrita e snaturata?... Ed ora, buona gente, Dio vi condoni le vostre mancanze e vi liberi soprattutto dal peccato dell'avarizia! Il mio perdono non può mancare di guarirvi, purché voi offriate "nobili" o sterline, oppure anche spille d'argento, cucchiai, anelli. Orsù, chinate il capo sotto questa santa bolla! Avanti, donne, offrite un po' della vostra lana! Io vi segno il nome nel mio registro, e voi entrerete subito nella beatitudine del cielo. Fate qualche offerta, ed io, con l'alto mio potere, v'assolvo di tutto, rendendovi candidi e puri come quando siete nati... Ecco, messeri, proprio così predico io... Ed ora Gesù Cristo, medico delle vostre anime, vi conceda di ricevere il suo perdono, che davvero è la miglior cosa che vi sia, su questo non v'inganno... Però, messeri, dimenticavo di dirvi una cosa. Ho qui nella mia bisaccia certe reliquie e indulgenze d'un valore inestimabile in Inghilterra: le ricevetti direttamente dalle mani del papa!... Ebbene, se c'è qualcuno fra voi che devotamente desideri fare qualche offerta per ottenere la mia assoluzione, si faccia subito avanti, si metta qui in ginocchio e riceva umilmente il mio perdono. Se però vuole, può prendere il perdono anche strada facendo, e anzi può rinnovarlo ad ogni miglio che facciamo, rinnovando man mano la sua offerta di "nobili", o anche d'altre monete, purché siano buone e valevoli... Per voi che siete qui è un onore poter disporre d'un bravo indulgenziere che può sempre assolvervi, qualunque incidente vi possa capitare mentre siete in viaggio per la campagna. Qualcuno, ad esempio, potrebbe cadere da cavallo e rompersi il collo! Pensate che sicurezza è per tutti voi ch'io sia capitato in vostra compagnia: potrei infatti assolvervi tutti quanti, dal primo all'ultimo, anche nel caso che l'anima vostra se ne volasse via dal corpo... Dovrebbe incominciare qui il nostro Oste, perché è quello che certamente ha più peccati sulla coscienza. Avanti, messer Oste, incomincia tu ad offrire qualcosa, ed io ti farò baciare tutte quante le mie reliquie... Via, per quattro soldi! Su, slaccia la borsa!...
«Ah no, maledizione di Cristo!» fece quello. «Mi venga un po' di bene, questo non sarà mai!... Vorresti farmi baciare le tue vecchie brache, giurando che son le reliquie d'un santo, mentre ancora sono dipinte dal tuo sedere! Per la croce ritrovata da Sant'Elena vorrei piuttosto avere in mano mia i tuoi coglioni, altro che reliquie e santarelli! Fatteli tagliare, t'aiuterò a portarli io, perché veramente andrebbero posti in un tabernacolo, ma di merda di maiale!»
L'Indulgenziere rimase senza parola. Rimase così colpito, che non volle più parlare.
«Ah, non scherzerò mai più con te» disse il nostro Oste «né con alcuno che se la prenda tanto ...»
Ma subito allora, vedendo che tutti ridevano, intervenne il valente Cavaliere: «Basta, questo è più che sufficiente! Messer Indulgenziere, via, tornate ad esser allegro e contento; e voi messer Oste, che a me siete tanto caro, vi prego, date un bacio all'Indulgenziere... Su avvicinatevi, Indulgenziere, vi prego, e torniamo come prima a ridere e a scherzare».
Allora quelli si baciarono, e tutti ripresero a cavalcare per la via.
Qui termina il Racconto dell'Indulgenziere.
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