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mercoledì 15 maggio 2013

ABBAZIA DI SANT'EUZIO

L'abbazia di Sant'Eutizio è uno dei complessi monastici più antichi in Italia. Situato nella Valcastoriana nei pressi di Piedivalle, nel comune di Preci, questo complesso è ritenuto uno dei luoghi più importanti per il monachesimo occidentale. Diverse personalità spirituali sono state legate a questo luogo, tra cui San Benedetto e San Francesco. Agli inizi del V secolo nella Valcastoriana giunse un gruppo di monaci ed eremiti siriani. Questi padri si stabilirono nella valle ma non si costruirono un’abitazione, bensì presero dimora presso delle grotte artificiali, scavate in uno sperone di pietra sponga. In ogni grotta vivevano due monaci: un anziano chiamato “abba” e un giovane che imparava “il mestiere” di eremita; così questo insediamento monastico pre-benedettino, con l’appoggio della popolazione autoctona, diede vita ad una comunità improntata sulla regola monastica orientale. Lo stile di vita monastico suscitò ben presto ammirazione e interesse tra gli abitanti, i quali colsero l'umiltà e la spiritualità del loro modus vivendi. La devozione ai monaci fu tale al punto che molti abitanti si unirono alla loro comunità; questa comunità abbaziale fu fondata originariamente da Santo Spes, Sant'Eutizio e San Fiorenzo. Santo Spes fu il maestro di San Benedetto da Norcia, di Sant’Eutizio e di San Fiorenzo, e nel 470 fondò il monastero, in cui visse per quarant’anni convivendo con la sua cecità. Prima di dare vita all’Abbazia, S. Spes eresse nella valle un oratorio dedicato alla Vergine Maria, aiutato da altri eremiti sparsi nella Valnerina umbra; dopo un breve arco di tempo, dove si ergeva l’oratorio venne costruita l’Abbazia. Con la costruzione dell’Abbazia e con la guida spirituale di S.Spes, oltre a quella eremitica si sviluppò anche la vita comunitaria, e venne istituito un coenobium del quale S. Spes fu il primo abate. Grazie alla comunità spirituale di Santo Spes la Valcastoriana divenne un importante centro spirituale del movimento benedettino. Il 28 marzo del 510 Santo Spes morì e S. Eutizio, date le sue grandi virtù e la sua devozione, prese il suo posto nel cenobio. Dopo la morte di Santo Spes la comunità riuscì a mantenere un sano equilibrio e raggiunse una forma ben definita ed organizzata. Infatti, ebbe un notevole impulso: per celebrare l’impegno di Sant'Eutizio per la comunità, venne eretta la chiesa in suo onore, nella quale alla sua morte, il 23 maggio del 540, vennero deposte le proprie spoglie. Egli fu una figura molto importante per la comunità, tanto che chiamato l'evangelizzatore della valle. Quando avanzò la crisi demografica, che nella tarda antichità investì l’impero romano, le invasioni barbariche rasero al suolo i paesi rendendoli deserti; l’Abbazia rimase l’unico punto di riferimento per le popolazioni smarrite della zona. Infatti, come narrano I dialoghi di Gregorio Magno, l’avvento dei Longobardi non sembrò sconvolgere la vita dell’Abbazia. Nel periodo altomedievale l’abbazia fu arricchita da molte donazioni; l’abate conseguì i diritti feudali su un vasto territorio, parte nell’Umbria, parte nella Marca Spoletana. Una cospicua donazione fu lasciata da Donna Ageltrude, la vedova di Guido II duca di Spoleto, re d'Italia e imperatore. La prosperità di cui godeva l’Abbazia permise ai monaci, che ormai vivevano sotto la Regola di San Benedetto, di migliorare gli edifici del complesso monastico e di dotarsi di un’efficiente biblioteca e di uno scriptorium, all’interno del quale furono redatti i celebri codici liturgici dell’Abbazia di Sant'Eutizio, codici che testimoniano la forte esperienza di vita e di fede vissuta dai monaci. In questi testi veniva celebrato lo spontaneo connubio tra il senso latino della pietas, il valore benedettino dell’ospitalità e dell’accoglienza, e quello evangelico della charitas a vantaggio dei sofferenti. Tra le mura dell'Abbazia fu redatto uno dei più antichi e importanti documenti in volgare dopo il Placito di Montecassino: la Confessio Eutiziana, realizzata nella prima metà dell’XI secolo. La biblioteca rimase intatta fino al 1605, quando l'abate Giacomo Crescenzi, appartenente ad una nota famiglia patrizia romana, ne donò una parte (circa 35 codici con miniature) a S. Filippo Neri, del quale era stato figlio spirituale. Inoltre le donazioni permisero all’abate Teodino I nel 1180 di restaurare e ampliare la struttura; servirono molti anni per completare l’opera di restauro, che si concluse nel 1236 con Teodino II. I monaci, mediante i loro studi, acquisirono non solo conoscenze teologiche e umanistiche, ma anche conoscenze mediche, arricchite da manuali di medicina grecoromana ma apprese soprattutto dalle esperienze di vita quotidiane. Oltre ai manuali di medicina, i monaci conservavano scrupolosamente anche le piante medicinali, in quanto la regola benedettina prevedeva che i monaci si dovessero prodigare nella cura degli infermi. In questo momento di splendore nacque presso l’Abbazia la famosa Scuola chirurgica preciana, che rese Preci famosa in tutta Europa con l'appellativo di "Pulchra Sabina Preces Prisca Chirurgis Patria". Prima dell'istituzione della scuola chirurgica, però, venne stipulata una legge che impediva agli ecclesiastici di esercitare la professione medica. Questa legge fu sancita da importanti concili che avvennero tra il 1131 e il 1215; tra i divieti stabiliti, i monaci non potevano seguire corsi di diritto o di medicina, e ai sacerdoti non era permesso esercitare alcuna arte medica che prevedesse l’uso del fuoco o dell’incisione. Perciò i monaci, per evitare che la loro cultura col tempo si disperdesse, avevano trasmesso, già da tempo, agli abitanti della comunità abbaziale le loro conoscenze e abilità mediche, affinché si creasse un ambiente favorevole allo sviluppo dell’attività di chirurgia empirica della scuola. Il XIII secolo vide consolidarsi l’autorità dei comuni, che cercavano di affermarsi nei territori circostanti per crearsi un contado. Il mondo feudale era entrato in una crisi senza via d’uscita, e anche l’abate-feudatario di Sant'Eutizio fu coinvolto in questi movimenti. I vari comuni, Norcia in primo luogo, sottrassero i castelli costruiti sul territorio dell’Abbazia e ad essa soggetti.
Nel 1257, dopo anni di forti tensioni, l’Abate Teodino II fu costretto a rinunciare ai diritti feudali sopravvissuti a vantaggio del comune di Norcia. L’Abate fu privato del potere politico, ma non di quello ecclesiastico ed economico: numerose chiese, benefici e possedimenti appartenevano ancora all’Abbazia.
In questo periodo la chiesa abbaziale, già ampliata precedentemente, fu ornata di affreschi dei quali oggi rimangono solamente pochi frammenti. I monaci di Sant'Eutizio avevano edificato molte chiese nelle valli circostanti e durante il XIII secolo intorno ad esse si erano sviluppati dei centri abitati, che poi si munirono di robuste mura e a poco a poco iniziarono ad affrancarsi dall’Abbazia. Il XIV secolo fu caratterizzato da una serie di unioni e scorporamenti del Monastero di San Benedetto a Norcia con l’Abbazia; infatti il 7 ottobre 1368 Papa Urbano V tolse a Sant'Eutizio il Priorato di San Benedetto in Norcia e lo unì al Sacro Speco di Subiaco[4]. Qualche anno dopo, precisamente l’8 maggio 1377, Papa Gregorio IX unì di nuovo San Benedetto a Sant'Eutizio nella persona di un unico abate; però quest’atto non fu gradito a Sant'Eutizio, poiché fu considerata una mossa per trasferire la dignità abbaziale a Norcia. Allo stesso tempo, i nursini rimasero delusi, poiché si aspettavano qualcosa di più. Tutti questi attriti spinsero Papa Bonifacio IX a separare di nuovo San Benedetto da Sant'Eutizio, l’uno col titolo di priorato, l’altro di Abbazia; ciò avvenne il 22 agosto 1394.
Nel XV secolo, Giovanni Mensurati ricoprì il ruolo di abate in un momento ostico per la comunità. In un addensarsi di tragici eventi, nei dintorni dell'Abbazia si stanziarono un gruppo di Lanzichenecchi di ritorno dal Sacco di Roma e le truppe della Colonna. Per di più, a saturare la situazione si aggiunse la guerra di successione di Camerino che coinvolse Preci, la quale venne poi distrutta e incendiata. Nel frattempo, vista la situazione critica, l’abate trovò opportuno trasferirsi a Cerreto di Spoleto in attesa che la situazione si placasse. Non appena ciò avvenne, infatti, ritornò nella sua sede nell’Abbazia e venne incaricato dalla Camera Apostolica di ricostruire Preci. In questo modo si può dire che Preci fu generata ben due volte dall’Abbazia.
Con il calo delle vocazioni, l'abbazia venne abbandonata negli anni 50 dagli ultimi monaci che vi dimoravano. Restata in stato di abbandono per decenni, i suoi tesori principali vennero trasferiti a Roma per metterli al riparo dai furti. Fondamentale per il ritorno alla vita di questa abbazia fu l'opera e la dedizione di un prete della diocesi di Spoleto-Norcia, don Fabrizio Proietti, che alla metà degli anni 80, non ancora trentenne, chiese e ottenne il permesso di insediarsi nella struttura, ripulendo con la sola forza delle proprie mani buona parte del complesso. Egli attirò l'attenzione della comunità circostante e delle istituzioni, attirò investimenti e donazioni private, coinvolgendo anche associazioni cattoliche da tutte le parti d'Italia proponendo l'Abbazia come meta di campi di lavoro, offrendo accoglienza in cambio di aiuto per ristrutturare l'insediamento, e svuotare gli immensi sotterranei che negli ultimi due secoli erano stati utilizzati come discarica.
Egli fondò una piccola comunità di ispirazione monastica, riportando in vita la liturgia quotidiana secondo la regola benedettina, e in pochi anni riuscì a "riportare in vita" l'abbazia, ottenendo dalla Biblioteca Vallicelliana di Roma la riconsegna di parte dei tesori artistici, fra i quali il calice e il breviario di San Carlo Borromeo, e creando il Museo e la Biblioteca della Scuola Chirurgica di Preci, permettendo a migliaia di persone di conoscere l'abbazia e di rimanerne conquistati. Nonostante la sua prematura scomparsa, a soli 42 anni, nel 1998, l'Abbazia è rimasta pulsante di vita. Nel settembre 2012 verrà finalmente reinserita una nuova piccola comunità di monaci benedettini.Tra i vari personaggi che ebbero rapporti con gli ambienti dell’Abbazia, i più illustri sono San Benedetto da Norcia e San Francesco d’Assisi. San Benedetto faceva visita abitualmente ai monaci dell’Abbazia, specialmente a Santo Spes, suo maestro e padre spirituale. Proprio per questo l’Abbazia divenne uno dei luoghi benedettini più importanti. San Francesco, invece, durante un viaggio verso Ascoli si fermò nei pressi dell’Abbazia poiché incuriosito dalla fama della scuola chirurgica. Durante la sua permanenza egli ottenne dall’abate Reynaldus la Chiesa di San Cataldo al Valloncello e, secondo una voce popolare dell’epoca, fu l’ispiratore della nascita del lebbrosario di San Lazzaro, nato sui terreni donati dal conte di Roccapazza. Al momento il complesso abbaziale è composto da una chiesa collocata su di un terrazzamento, posto tra la vallata e la scogliera, dove si trovano le antiche grotte degli eremiti. L’intero complesso si affaccia su due cortili: il primo, il più ampio, è stato affinato grazie alla presenza di due bifore trecentesche, mentre il secondo è ornato da una fontana e al suo interno possiede una transenna in pietra, scolpita a losanghe, appartenente all’antico oratorio dedicato alla Vergine. Dopo il recente restauro L'Abbazia offre un’accogliente ospitalità, disponendo sia dell'edificio adiacente al complesso monastico, sia della vicina casa di Campi. La chiesa è ad una sola navata, con il coro rialzato, e presenta tratti di tre differenti fasi edilizie. La zona mediana rappresenta la fase più antica, realizzata con blocchi di pietra sponga; le finestre, di gusto ottoniano, hanno conservato negli strombi le decorazioni del primo medioevo. Nella porta sono murati i frammenti altomedievali recuperati durante i lavori di restauro dell’edificio. La seconda fase edilizia riguarda lo sviluppo verso la facciata, realizzata in conci di calcare ben levigati; la terza ed ultima fase, invece, caratterizza la parte del coro poligonale, di stile gotico. La facciata è abbellita nella parte superiore da un rosone iscritto in un quadrato che presenta i simboli degli evangelisti agli angoli, in pieno stile romanico-spoletino; inoltre, presenta un portale a incassi con una scritta in latino sulla lunetta. Sul lato sinistro la facciata si accosta allo scoglio fin quasi ad incassarvisi e termina con una scarna conclusione a timpano. Per chi arriva e dà uno sguardo al complesso, l’elemento che spicca sull'intera struttura è l’abside, che fuoriesce dal recinto abbaziale. Esso si articola, in forma poligonale, in pilastri angolari che si concludono in capitelli da cui si dipartono archi ad ogiva. L’interno dell’edificio conserva qualche traccia degli affreschi ornamentali antichi, ma prevalentemente è costituito da pietra nuda. Sulla destra c’è l’acquasantiera che ha come base un’ara romana, mentre di fronte alla porta laterale è posta la grande tela commissionata a Niccolò Circignani, detto il Pomarancio, dall’abate Giacomo Crescenzi nel Seicento. In cima alla scalinata c’è l’altare con lo stemma dell’abate Polidoro Scaramellotti, costruito nel 1514. Sul muro che separa l’altare dai sepolcri di Santo Spes e di Sant’Eutizio, invece, è posta la croce di San Bartolomeo da Siena. Alle sue spalle, al centro del presbiterio, si trova l’elegante tempietto in cui c’è l’urna contenente le spoglie di Sant’Eutizio; anch’esso fu commissionato da Scaramellotti, precisamente a Rocco da Vicenza. Infine, il coro in noce, intarsiato ed intagliato, è opera di Antonio Seneca di Piedivalle, commissionatoli dall’abate Giovanni Mensurati, di cui il coro reca lo stemma. La sagrestia è ubicata separata dalla chiesa e contiene nelle sue stanze due rari mobili di fine Quattrocento, un paratoio in noce con intarsi ed un armadio con specchi ornati con motivi trilobati. La sagrestia viene illuminata dalla luce proveniente da una bifora, alla quale si mostrava il cilicio di Sant’Eutizio. L’intero complesso abbaziale è sovrastato dalle grotte dove un tempo si rifugiavano gli eremiti, tra cui Sant’Eutizio e San Fiorenzo. Alcune di queste grotte furono intagliate per edificare il complesso abbaziale, mentre le altre, essendo collegate con i santi fondatori dell’abbazia, divennero luoghi di culto e di devozione, e oggigiorno si conservano ancora tali per testimoniarne la storia. Esse rappresentano il valore della vita semplice, del necessario e dell’adattamento. Il chiostro è un fabbricato che si sviluppa attraverso una serie di grossi archi che un tempo erano comunicanti tra loro. Questi archi sono posti a ridosso della parete rocciosa, per la quale realizzano un robusto sostegno. Sulla prima parte della struttura si affacciano due eleganti bifore, quella della sagrestia e quella della biblioteca. Queste due strutture erano situate negli ambienti che separavano i due cortili, e oggi di quest'ultimi ne rimane ben poco rispetto al passato. Attraverso prove documentate e dati iconografici si è verificato che all’interno dello scriptorium venivano redatti dei codici liturgici, i quali sono stati oggetti di studio e di ricerche per molti anni soprattutto da parte di Paola Supino Martini, una studiosa esperta in materia. La Supino attraverso i suoi studi ha riscontrato che l'abbazia di S. Eutizio era una vera e propria scuola scrittoria, poiché i testi ritrovati evidenziano grafie di mani eccellenti ed esperte. Tutti questi codici ritrovati nella biblioteca possono delineare chiaramente un quadro dell’attività esercitata nello scriptorium, anche se nelle mani degli studiosi è giunta solo una piccola parte della mole di materiale prodotto. Questi codici inizialmente venivano conservati nella biblioteca dell’abbazia; alcuni vennero poi trasferiti nella Biblioteca Vallicelliana di Roma e altri nella Pinacoteca comunale di Spoleto.

Fonte: Wikipedia

Immagine tratta da Wikipedia, Autore: Giulia Scampi

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