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domenica 12 maggio 2013

I RACCONTI DI CANTERBURY - FRAMMENTO 3 - IL RACCONTO DEL FRATE

Il degno e nobile Frate questuante aveva continuato a tenere il muso al Cursore, ma, per esser onesti, insolenze non gliene aveva ancora dette. Alla fine si rivolse alla Comare: «Signora,» le disse «Dio vi conceda un'ottima vita! E anche a me venga un po' di bene, avete toccato argomenti assai difficili di dottrina e v'assicuro che avete detto molte cose giuste. Però, signora, quando si è per la strada a cavallo, non bisognerebbe parlar d'altro che di cose allegre, lasciando (per amor di Dio!) le citazioni a chi predica o ai chierici che vanno a scuola. Se dunque la compagnia è d'accordo, io vi narrerò la burla d'un cursore... Oh Dio, si capisce anche dal nome che d'un cursore non si può dir bene; ma vi prego, nessuno se ne prenda offesa. Cursore è uno che corre sempre avanti e indietro a citare i colpevoli di fornicazione, e le piglia ad ogni porta di città...».
Intervenne allora il nostro Oste: «Ehi, messere, un uomo della vostra condizione dovrebbe almeno essere educato e cortese. Noi non vogliamo liti in questa compagnia. Raccontate la vostra storia e lasciate stare il Cursore».
«No, no» disse il Cursore «lasciate pure che dica di me quello che vuole. Quando verrà il mio turno, perdio, gliela farò pagare fino all'ultimo centesimo. Glielo dirò io che grande onore è fare il mendicante leccapiedi, e molte altre scelleratezze che ora non è il caso di citare. Ah, glielo dirò io che mestiere è il suo!»
Ribatté il nostro Oste: «Silenzio, basta!». E poi rivolgendosi al Frate: «Su, avanti con la vostra storia, mio amato caro maestro».

RACCONTO DEL FRATE

Qui comincia il Racconto del Frate
Viveva una volta dalle mie parti un arcidiacono, persona d'alto grado, che indifferentemente infliggeva punizioni contro la fornicazione, la stregoneria e il ruffianesimo, la diffamazione e l'adulterio, la corruzione degli amministratori ecclesiastici, i testamenti e i contratti sacrileghi, l'astinenza dai sacramenti, l'usura e la simonia... Ma coloro contro i quali s'accaniva di più erano i lussuriosi: se li acchiappava, sapeva lui come farli strillare! Ed anche chi pagava scarse decime veniva duramente svergognato: bastava che un curato se ne lamentasse, che lui subito interveniva, e allora per una piccola decima o una piccola offerta faceva miseramente lamentare la gente. Tutti, infatti, prima che li pigliasse il vescovo col suo gancio, dovevano passare nel registro di quell'arcidiacono, ed era lui che nella sua giurisdizione aveva il potere d'infliggere qualsiasi pena.
Costui aveva sempre pronto sottomano un cursore, un tipo astuto come nessun altro in Inghilterra, il quale si valeva abilmente di spie che lo informavano di tutto ciò che gli potesse interessare, ed era capace d'aver riguardo d'un libertino o due, per poi pizzicarne più di ventiquattro... Non posso proprio fare a meno di parlarvi delle sue scelleratezze, anche se il Cursore qui si mette a fare il matto. Noi per fortuna siamo fuori dalle sue angherìe; tipi come lui non hanno e non avranno mai in vita loro alcuna autorità giuridica su di noi...
«Ma, per San Pietro, anche le donne di bordello son fuori di nostra competenza!» disse il Cursore.
«Silenzio!» fece il nostro Oste. «Per il malanno e la miseria, lasciagli narrare il suo racconto! E voi andate avanti pur se il Cursore protesta e non tralasciate nulla, maestro mio carissimo!»
...Dunque, quel predone ipocrita, insomma quel cursore (continuò il Frate), aveva sempre pronti alla mano alcuni ruffiani che, come tanti falconi da caccia inglesi, gli riportavano tutti i segreti che venivano a sapere; erano infatti sue vecchie conoscenze, e perciò gli facevano da informatori clandestini. E lui ne traeva dei gran guadagni, tanto che neanche il suo padrone, sapeva quanto in realtà intascasse: senza alcun mandato, era capace di citare un povero analfabeta sotto pena della scomunica di Cristo, e questi era ben lieto di riempirgli la borsa e di preparargli grandi feste alla locanda. E come Giuda teneva diversi borsellini e faceva il ladro, così faceva il ladro anche lui: il suo padrone non riceveva che la metà di quanto gli era dovuto. Insomma, per decantarvi proprio tutte le sue lodi, faceva il ladro, il cursore ed anche il ruffiano. Teneva al suo seguito alcune sgualdrine, le quali, appena messer Roberto o messer Ugo o Gianni o Rufo o chi altri mai fosse andato a letto con loro, subito glielo mandavano a dire. Così, d'accordo con la sgualdrina, lui arrivava con un mandato falso e li citava in capitolo tutt'e due, ma mentre l'uomo lo spellava, la sgualdrina la lasciava libera. Poi diceva. «Amico, ecco per il tuo bene ti cancello il nome dal libro nero... non preoccuparti più di quest'affare. Fin dove posso, ti sono amico». Di truffe s'intendeva certo più di quanto non si possa dire neppure in due anni. Non c'è cane da caccia al mondo che sappia distinguere il cervo ferito da quello sano, meglio di quanto questo cursore non sapesse fiutare un astuto libertino, un adultero o un innamorato; siccome infatti da ciò derivava tutto il frutto delle sue rendite, ci si metteva veramente con tutto l'impegno.
E così accadde che un giorno questo cursore, sempre in cerca di preda, si recasse a citare una vecchia vedova ribecona, che lui voleva truffare con un mandato falso. Cavalcando dunque lungo il margine d'una foresta, raggiunse ad un tratto un elegante arciere: con arco e frecce scintillanti e aguzze, sulle spalle una mantellina verde, e in testa un cappello a frange nere.
«Salve, messere!» disse il cursore «felice dell'incontro!»
«Benvenuto,» fece l'arciere «felice, della compagnia! Dove te ne stai andando all'ombra di questo verde bosco?» E poi subito: «Vai lontano oggi?».
«No, no, qui vicino,» rispose il cursore «sto andando a ritirare una pigione che da un bel po' è dovuta al mio signore.»
«Sei dunque un esattore?»
«Sì» rispose quello. E per pudore e vergogna non ebbe il coraggio di dire che faceva il cursore, per via del nome...
«"Depardieux!"» disse l'arciere «anch'io faccio l'esattore come te, fratello caro. Però da queste parti sono forestiero: ti prego, diventiamo amici, e se vuoi facciamo pure come se fossimo fratelli. Possiedo oro e argento nel mio forziere: se ti capita di venire dalle nostre parti, sarà tutto tuo, quanto ne vorrai.»
«Caspita!» disse il cursore «io ti ringrazio!» E ciascuno diede la mano all'altro, giurandosi a vicenda di rimanere come fratelli fino alla morte. Poi ripresero a cavalcare chiacchierando allegramente. Il cursore, che cicalava come una taccola velenosa e metteva il becco da tutte le parti, chiese: «Fratello, allora dov'è la tua casa, se un giorno dovessi venirti a cercare?».
L'arciere con voce dolce gli rispose: «Fratello,» disse «è assai lontana nel paese del nord, dove un giorno spero di vederti. Prima che ci lasceremo, te ne avrò parlato tanto, che non potrai mancare di trovarla, la mia casa!».
«Ma ora, fratello,» disse il cursore «già che sei esattore come me, ti prego, mentre ce ne stiamo cavalcando, insegnami qualche astuzia e dimmi francamente come potrei trarre maggior guadagno nel mio mestiere. Non farti scrupoli di coscienza o di peccato, ma dimmi, da fratello, come fai tu?»
«Ebbene, parola mia, fratello caro» rispose l'altro «a dir proprio la verità, il mio stipendio è assai magro e scarso. Il mio padrone con me è duro e spilorcio, e il mio lavoro è molto faticoso: perciò mi tocca vivere d'estorsioni. Sinceramente, prendo tutto quello che la gente mi dà. Insomma, con l'astuzia o con la forza, d'anno in anno mi tiro fuori tutte le spese. Meglio di così non ti saprei dire, francamente.»
«Ma certo» disse il cursore «anch'io faccio così! Prendo tutto quello che posso portare, Dio lo sa... basta che non sia troppo pesante o non faccia troppo caldo. Se qualcosa riesco a racimolare dando consigli di sotterfugio, non mi faccio venire crampi di coscienza. Senza estorsioni, non potrei campare; e non vado certo a confessarmi per queste scappatelle. Di pietà e coscienza non me ne intendo, e me ne infischio di tutti i padri confessori!... Siamo proprio una bella coppia, per Dio e per San Giovanni! Ma ora, fratello caro, dimmi almeno come ti chiami.»
A questo punto l'arciere fece un sorrisetto: «Fratello, vuoi proprio che te lo dica? Io sono un diavolo, e la mia casa veramente sarebbe l'inferno... ma eccomi andare in giro per guadagnarmi da vivere, in cerca di qualcuno disposto a darmi qualche cosa. Quel che mi guadagno è l'unica mia rendita. Vedi, anche tu hai lo stesso scopo: far guadagno, non importa come! Così faccio io, che per una preda andrei in capo al mondo».
«Ah, "benedicite"!» fece il cursore «che vai mai dicendo?... Credevo proprio che fossi un arciere! Hai forma d'uomo come ho io... Anche all'inferno, normalmente, hai un aspetto altrettanto definito?»
«No di certo,» rispose l'altro «là non abbiamo forma. Però, se vogliamo, possiamo assumerne una o per lo meno farvi credere che l'abbiamo, ora d'uomo ora di scimmia ora... io potrei anche camminare o cavalcare in forma d'angelo! Nessuna meraviglia che sia così: se riesce a illuderti un pidocchioso giocoliere, tanto più, perdio, posso riuscirci, io!»
«Perché» chiese il cursore «cammini o vai a cavallo sotto forme diverse, invece di conservare sempre la stessa?»
«Perché noi» rispose l'altro «ci diamo la forma che meglio ci consente di prendere la preda.»
«Ma perché tanta fatica?»
«Per moltissime ragioni, caro messer cursore,» disse il demonio «ma ogni cosa a suo tempo... La giornata è corta: il mattino è già passato e non ho ancora guadagnato niente oggi. Devo badare ai miei affari, se permetti, e non andare in giro a rivelare le nostre astuzie. E poi, fratello mio, per quanto io parli, il tuo cervello è ancora troppo impreparato per capire. Però, giacché mi domandi perché ci affatichiamo tanto, ebbene ti dirò... qualche volta noi siamo strumenti di Dio, mezzi mediante i quali, quando gli pare, egli attua, in modi e forme diverse, i suoi disegni fra le creature; senza di lui non abbiamo infatti alcun potere, tanto meno se lui ci si mette contro. Qualche volta, su nostra richiesta, otteniamo il permesso di tormentare il corpo d'un uomo, ma non l'anima: pensa a quanti malanni combinammo a Giobbe! Altre volte abbiamo potere su entrambi, cioè sia sul corpo che sull'anima. Altre volte ancora ci viene permesso di tentare un uomo tormentandolo nell'anima, ma non nel corpo, e allora è molto meglio: resistendo alla nostra tentazione potrebbe salvarsi, ma è proprio questo che noi non vogliamo e in genere riusciamo a portarlo via! Talvolta è l'uomo che ha su di noi il sopravvento, come accadde con l'arcivescovo San Dunstano, io poi feci da servo perfino agli apostoli ...»
«Ma dimmi, francamente,» chiese il cursore «devi ogni volta mettere insieme gli elementi per crearvi un corpo nuovo?»
«No» rispose il diavolo «a volte lo facciamo solo apparire, a volte ridestiamo sotto diversa forma dei cadaveri e parliamo in modo ordinato preciso e chiaro come Samuele con la Pitonessa. (C'è chi dice infatti che non fosse lui, ma a me non interessa la vostra teologia...). Ad ogni modo t'avverto d'una cosa e non scherzo: tu saprai senz'altro in che modo siamo fatti; fra non molto, mio caro fratello, arriverai dove non ci sarà più bisogno ch'io t'insegni! Per tua diretta esperienza diventerai in grado di tener cattedra in materia meglio di Virgilio, menzionandolo da vivo, o meglio anche di Dante!... Presto dunque, andiamo, continuerò a tenerti compagnia, a meno che tu non voglia abbandonarmi...»
«No» disse il cursore «questo non accadrà! Sono un galantuomo io, lo sanno tutti: manterrò la mia parola anche questa volta. Anche se tu fossi il diavolo Satanasso, non verrei meno a una promessa fatta a mio fratello: io ho giurato, come tu hai giurato a me, di agire in quest'affare da fratello sincero. Andiamo dunque insieme a far bottino! Tu prenderai la tua parte, quello che gli uomini ti daranno, e io prenderò la mia: così potremo campare tutti e due. E se per caso uno avesse più dell'altro, sia leale e lo divida con suo fratello!»
«D'accordo» disse il diavolo «hai la mia parola.» Ciò detto, continuarono a cavalcare per la loro strada.
E proprio mentre stavano per entrare nella città in cui il cursore aveva deciso d'andare, videro un carro, carico di fieno, che un carrettiere conduceva lungo la via. Ad un tratto il fondo della strada si avvallò e il carro non si mosse. Il carrettiere si mise a picchiare e a gridare come un pazzo: «Su, brocco! su ronzino! Ma come, avete paura delle pietre? Che il diavolo vi prenda in carne ed ossa, quant'è vero che vi ha figliato! Con voi ne ho già passate tante!... E vada tutto al diavolo, cavalli, carro e fieno!».
Il cursore pensò: 'Qui ci divertiremo'. E, come se niente fosse, s'avvicinò al demonio e sottovoce gli sussurrò all'orecchio: «Ascolta, fratello, ascolta, in fede tua! Non senti che cosa dice il carrettiere? Portagli via tutto. Ti ha dato il fieno, il carro e perfino i suoi tre ronzini».
«No» disse il diavolo «nient'affatto, perdio! Non è questa la sua intenzione, credimi. Chiediglielo, se non ti fidi di me, oppure aspetta un po' e vedrai.»
Ed ecco che il carrettiere diede una strigliata ai suoi cavalli e quelli, inarcando la groppa, si misero a tirare. «Bravi, su!» disse. «Gesù Cristo benedica voi e tutte le sue creature dalla prima all'ultima!... Bella strappata! bravo il mio leardo! Che Dio e Sant'Eligio ti proteggano! Ormai il carro è fuori dal pantano, perdio!»
«Guarda, fratello,» disse il demonio «che ti dicevo? Come vedi, fratello mio, quel bifolco diceva una cosa e ne intendeva un'altra. Riprendiamo il nostro viaggio: qui non ci sono diritti da pretendere.»
Quando furono un po' fuori città, il cursore si rivolse a suo fratello sottovoce: «Fratello,» gli disse «abita qui una vecchia ribecona che preferirebbe perdere il collo piuttosto che tirar fuori un quattrino dal suo malloppo. A costo di farla impazzire, voglio farmi dare dodici soldi, altrimenti la cito in tribunale; anche se Dio sa che di lei non conosco nessuna colpa. E tu, che da queste parti non sai neanche rifarti le spese, prendi almeno esempio da me!».
Il cursore bussò alla porta della vedova. «Esci fuori,» disse «vecchia megera! Scommetto che con te c'è qualche frate o qualche prete!»
«Chi è che bussa?» disse la vedova. «... Ah, "benedicite"! Dio vi protegga, messere, in che cosa posso servirvi?»
«Ho qui» disse lui «un foglio di citazione: sotto pena di scomunica, cerca di trovarti domattina ai piedi dell'arcidiacono per rispondere di questa faccenda in tribunale.»
«Oh, Signore!» disse lei. «Gesù Cristo Re dei Re m'aiuti, ma io non posso! Sono malata, e da parecchi giorni. Non posso fare tanta strada a piedi, e neanche a cavallo: ne morirei, ho un dolore piantato qui nel fianco... Non potrei chiedere copia dell'accusa, messer cursore, e far rispondere laggiù da un procuratore alle cose di cui sono incolpata?»
«Ma certo» disse il cursore «mi paghi subito... vediamo un po'... dodici soldi, e mi occuperò io della tua assoluzione. M'accontento di poco: chi si pappa tutto è il mio padrone, non io. Decidi dunque e lasciami partire, ho fretta... E dammi questi dodici soldi, non posso perdere tempo!»
«Dodici soldi!» disse lei. «Madonna, Maria Santissima, liberami dal male e dal peccato! Non potrei mettere insieme dodici soldi neanche per comprare il mondo quant'è grande. Sapete bene che sono povera e vecchia: siate caritatevole con me, povera disgraziata!»
«Ah no!» disse lui «mi prenda il demonio laido se ti scuso: neanche se tu dovessi crepare!»
«Ahimè!» disse lei «Dio sa che non ho nessuna colpa!»
«Pagami!» fece lui «se no, dolce Sant'Anna, mi porto via questa tua padella nuova, per rifarmi di quel debito che ancora mi devi dai vecchi tempi... Quando facesti becco tuo marito, pagai io la tua ammenda in tribunale!»
«Tu menti!» fece lei «per mia fortuna, vedova o maritata, non sono mai stata citata in tribunale prima d'ora, mai in vita mia! e non ho mai usato del mio corpo meno che onestamente!... Ma che il diavolo nero e orrendo si prenda la tua carcassa oltre che la mia padella!»
Vedendo che così maledicendo s'era messa in ginocchio, il diavolo le disse: «Ma via, Mabel, cara mia mammina, desiderate sul serio ciò che dite?».
«Sì» rispose lei «che il diavolo se lo porti via vivo, lui e la sua padella, se non si pente!»
«Ah no, vecchia stallona, non ho nessuna intenzione di pentirmi» disse il cursore «qualunque cosa io ti posso aver preso! La camicia vorrei portarti via, e tutta la tua roba!»
«Ebbene, fratello,» fece allora il diavolo «non t'arrabbiare, ma ormai la tua persona e questa padella appartengono di diritto a me! Stanotte tu sarai con me all'inferno, dove potrai conoscere i nostri segreti meglio d'un professore di teologia!» Così dicendo il demonio laido l'agguantò e se lo portò, anima e corpo, là dove hanno il loro lascito i cursori. E Iddio, che ha creato l'uomo a sua immagine, ci salvi e ci protegga tutti quanti, e conceda a certi cursori di diventar galantuomini!
Signori (concluse il Frate), se questo Cursore qui me l'avesse permesso, avrei potuto descrivervi, seguendo il testo di Cristo, Paolo e Giovanni, pene da farvi rabbrividire il cuore, quantunque nessuna lingua possa mai dire, pur narrando per mill'anni, le sofferenze dell'orrida dimora dei dannati. Per salvarci tuttavia da quel luogo maledetto, vegliate e pregate Gesù che ci protegga con la sua grazia dal tentatore Satanasso; ascoltate le mie parole e state in guardia, perché, appena può, il leone si mette in agguato per dilaniare l'innocente... Disponete dunque i vostri cuori a resistere al demonio che vorrebbe farvi suoi servi e schiavi: egli non può tentarvi oltre le vostre forze purché Cristo vi faccia da campione e cavaliere. E pregate che certi cursori s'abbiano a pentire delle loro malefatte, prima che il demonio se li porti!

Qui termina il Racconto del Frate.

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