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domenica 12 maggio 2013

I RACCONTI DI CANTERBURY - FRAMMENTO 3 - IL RACCONTO DEL CURSORE

Il Cursore s'alzò dritto sulle staffe: aveva l'animo così infuriato contro il Frate, che fremeva di rabbia come una foglia di tremolo.
«Signori,» disse «desidero una cosa soltanto. Vi prego, fatemi la cortesia: ora che avete sentito le fandonie di questo Frate ipocrita, permettete che anch'io racconti la mia storia. Questo Frate si vanta di conoscere l'inferno: sfido io, sa il Padre Eterno che tra frati e diavoli c'è ben poca differenza! Chissà quante volte, perdio, avrete sentito parlare di quel frate che venne rapito in spirito all'inferno da una visione; e mentre un angelo lo accompagnava su e giù, mostrandogli com'erano le varie pene, lui vide che in tutto quel posto non c'era neppure un frate. Eppure di gente a soffrire ce n'era parecchia...
«Allora quel frate si rivolse all'angelo: 'Ma come, messere,' gli disse 'i frati hanno forse la grazia di non venire mai in questo posto?'.
«'Oh sì'» rispose l'angelo «'ce ne sono a milioni!'
«E giù lo portò da Satanasso. 'Ecco, vedi,' gli disse 'Satana ha una coda più larga della vela d'una chiatta. Tira su la coda, Satanasso!' fece 'scopriti il sedere e mostra dove i frati in questo posto fanno il nido!'
«In neanche cento metri di spazio, come tante api che sciamano da un alveare, dal pertugio del demonio vennero cacciati in branco ventimila frati, che si misero a starnazzare intorno per l'inferno. Poi ritornarono più veloci che poterono e gli rientrarono tutti nel foro: lui abbassò la coda e si coricò tranquillo.
«Quando il frate ebbe ben guardato i tormenti di quel misero posto, Dio con la sua grazia gli rimandò l'anima in corpo, e il frate si svegliò. Ma tremava ancora di paura, pensando al pertugio dei demonio, ch'era il lascito spettante a quelli della sua risma... Ed ora Iddio vi salvi tutti quanti, tranne questo Frate maledetto! Ecco come voglio terminare il mio prologo...»

RACCONTO DEL CURSORE
Qui comincia il Racconto del Cursore.

Signori, c'è una zona paludosa, mi pare nello Yorkshire, che si chiama Holderness, dove un frate questuante andava sempre a predicare e, naturalmente, a mendicare...
Un giorno, predicando in una chiesa, questo frate, secondo il suo solito, si mise a esortare i fedeli in particolar modo e soprattutto alla pratica dei trentali e a fare elemosine, per amor di Dio, a coloro che si preoccupano di fondare sante case in cui si onora il servizio divino, non a coloro che sperperano e divorano tutto o non hanno bisogno di nulla, come i beneficiari che, grazie a Dio, possono vivere in agiatezza e abbondanza... «I trentali» disse «liberano da ogni pena le anime dei vostri cari, soprattutto quando siano celebrati in fretta senza star lì a tener libero e riposato il prete che dica una sola messa al giorno... Su, liberate presto le anime! Dev'essere terribile farsi lacerare con ganci e arpioni, oppure bruciare e arrostire... Non perdete tempo, per amor di Cristo!» E dopo aver detto quel che aveva in mente, con un "qui cum patre" il frate se ne andò per la sua strada.
Sempre così, appena la gente in chiesa gli aveva dato quant'era disposta a dargli, lui se ne partiva senza fermarsi. Con la sua bisaccia e il suo bastone a punta, tirandosi su la gonna, andava a mettere il naso e a curiosare in ogni casa, chiedendo farina, formaggio o grano. Il suo compare aveva un bastone con la punta di corno, un paio di tavolette tutte d'avorio e uno stilo finemente appuntito; e, stando sempre in piedi, scriveva il nome di tutta la gente che dava qualcosa, come per dire che avrebbe pregato per loro. «Dateci un moggio di grano, d'orzo o di segala, una pagnotta per il Signore o un pezzo di formaggio, oppure quello che volete: non tocca a noi scegliere; mezzo soldo per la carità di Dio o uno intero per la messa, oppure dateci un po' di prosciutto cotto, se ne avete; un lembo di coperta, buona signora, nostra cara sorella - ecco, guardate! scrivo il vostro nome - cotechino o manzo, o quello che trovate.»
Avevano dietro con sé un robusto garzone, servo degli ospiti al convento, il quale portava un sacco e si caricava in spalla tutto quello che gli davano. E appena uscivano dalla porta, quell'altro raschiava subito via tutti i nomi che prima aveva scritto sulle tavolette. Ecco come li serviva, di balle e di fandonie!...
«Ah no, Cursore, in questo tu menti!» fece il Frate.
«Silenzio, Santa Madre di Cristo!» fece il nostro Oste. «E tu continua il tuo racconto e lascialo perdere!»
«Ma certo!» disse il Cursore «e come!...»
...Dunque, dopo esser andato per un bel po' da un posto all'altro, alla fine quello giunse in una casa dove di solito si ristorava meglio che in cento altre messe insieme; il buon uomo che vi abitava era infermo e stava sempre a letto su di un basso giaciglio.
«"Deus hic"!... Ehi, Tommaso, amico, buon giorno!» disse cortese e dolce questo frate. «Dio ti benedica, Tommaso, quante volte mi son riposato su questa panca!... e quanti bei pasti mi son mangiato!»
E dalla panca cacciò via il gatto, posò il bastone, il cappello e la bisaccia, e dolcemente si calò a sedere. Il suo compare, intanto, se n'era andato in città col garzone, in un'osteria dove aveva deciso di passare la notte.
«Oh caro maestro!» disse l'infermo. «Come vi è andata dai primi di marzo? Saranno quindici giorni o più che non vi vedo!»
«Dio solo sa quanto ho sfacchinato» disse quello «e specialmente quante preziose orazioni ho detto per la salvezza tua, e per gli altri nostri amici, Dio li benedica! Oggi poi sono stato nella vostra chiesa per la messa e ho fatto una predica alla buona, così come mi veniva, senza basarmi troppo sul testo del vangelo, che, secondo me, è troppo complicato per voialtri e ha bisogno di commento. Questo commento è una cosa magnifica, altrimenti "la lettera uccide", come diciamo noi teologi. In questo modo ho spiegato che bisogna essere caritatevoli e spendere il proprio denaro quando sia ragionevole. Ho visto che c'era anche madonna... a proposito, dov'è ora?»
«Fuori in cortile credo che sia» disse l'uomo «sarà qui a momenti.» «Oh, caro padre! benvenuto a voi, per San Giovanni!» disse infatti la donna proprio allora. «Di grazia, come ve la passate?»
Molto cerimoniosamente il frate s'alzò, se la strinse forte tra le braccia e la baciò dolcemente, cinguettando a fior di labbra come un passero: «Benissimo, madonna,» le disse «son vostro servo umilissimo e ringrazio Iddio che v'ha dato anima e vita! Oggi in tutta la chiesa non ho visto altra donna così bella, Dio mi salvi!».
«...E vi liberi dal peccato, messere!» disse lei. «Ad ogni modo, in fede mia, siete il benvenuto!»
«E sempre lo son stato, grazie a voi, madonna!... Ma per vostra gran bontà e con vostra licenza, vi prego non l'abbiate a male, vorrei un momento parlare con Tommaso. I curati son troppo negligenti e tardi per saggiare delicatamente una coscienza in confessione. La mia preoccupazione, invece, è di predicare e di studiare le parole di Pietro e Paolo. Vado a pesca d'anime cristiane per rendere a Gesù Cristo quello che gli appartiene: unico mio scopo è di diffondere la sua parola...»
«Allora, per favore, caro padre,» disse lei «rimproveratelo come si deve, perché, Trinità Santissima, è sempre arrabbiato come una bestia, pur avendo tutto quello che può desiderare: io di notte lo copro e lo tengo caldo, gli allungo addosso una gamba o un braccio, e lui grugnisce come il verro che abbiamo nel porcile! Altri spassi da lui non mi posso aspettare: non riesco più a piacergli in nessun modo!»
«Ah, Tommaso, Tommaso! "je vous dis", Tommaso! Questa è opera dei demonio; bisogna rimediarvi. L'ira è cosa che il sommo Dio ha proibito, e su questo voglio dirti una parola o due.»
«Ma ora, padre,» disse la donna «prima che me ne vada, che cosa vorreste per desinare? Così poi vado a prepararne.»
«Ecco, madonna,» disse «ecco, "je vous dis sans doute" che quando avessi soltanto un fegatino di cappone con una fetta del vostro soffice pane e poi una testa di maiale arrosto (ma non vorrei che apposta per me si uccidesse la bestia ...), questo sarebbe, qui con voi, più che sufficiente. Sono un uomo che si accontenta di poco. Il mio spirito ha il suo nutrimento nella Bibbia, e il mio corpo s'è ormai sottoposto e abituato a tante veglie, che il mio stomaco s'è rovinato... Vi prego, madonna, non vi offendete, se così amichevolmente vi rivelo le mie cose. Perdio, son pochi coloro ai quali lo direi!»
«Ebbene, padre,» disse lei «una parola sola prima di andarmene. M'è morto il bambino due settimane fa, poco dopo che lasciaste il nostro borgo ...»
«Lo sapevo ch'era morto» disse il frate «per una rivelazione avuta al convento nel nostro dormitorio. Direi che non fosse passata mezz'ora dalla sua morte quando lo vidi in visione portato alla beatitudine: così mi rivelò Iddio! Lo videro anche il nostro sagrestano e l'infermiere, che fanno onestamente i frati da cinquant'anni e ormai, ringraziando Iddio per i suoi favori, possono celebrare il loro giubileo e andare in giro da soli. Io subito mi alzai, e così fece tutto il convento, con le lacrime che mi colavano sulle guance, senza chiasso o sbatacchiare di campane. Cantammo, il "Te Deum" e basta, solo che a Cristo recitai un'orazione ringraziandolo per la sua rivelazione. Credetemi, messere e madonna: valgono più le nostre orazioni e più vediamo nelle segrete cose di Cristo noi di quanto facciano i laici, quand'anche fossero dei re. Noi viviamo in povertà e astinenza, mentre i laici se la passano nella ricchezza, nello sperpero di cibi e di bevande, e in turpi sollazzi. Noi tutti i piaceri di questo mondo teniamo a vile. Lazzaro e Dives vissero in modo diverso, e diversa fu la loro ricompensa. Chi vuol pregare, deve digiunare e rimaner puro, nutrire l'anima e far magro il corpo. Noi ci comportiamo come dice l'apostolo: cibo e saio ci sono sufficienti, anche se non sono in tutto eccellenti... La purezza e il digiuno di noi frati rendono a Cristo accette le nostre preghiere. Pensate a Mosè che digiunò quaranta giorni e quaranta notti, prima che il sommo Dio Onnipotente gli parlasse sul Sinai. A stomaco vuoto, dopo giorni interi di digiuno, ricevette la legge ch'era tracciata dal dito del Signore. Anche Elia, lo sapete bene, sul monte Oreb, prima di poter parlare col sommo Dio, medico della nostra vita, rimase a lungo a digiuno e in contemplazione. E Aronne, che aveva il governo del tempio, e tutti gli altri sacerdoti, dovendo entrare nel tempio a pregare e a celebrare il rito, non bevevano mai alcuna bevanda che potesse ubriacarli, ma pregavano e vegliavano nell'astinenza per timore di morire. Fate attenzione a quel che dico! Se chi prega per la gente non è sobrio, attenti a ciò che dico... ma via, ora basta! Anche nostro Signore Gesù, come attestano le sacre scritture, ci ha dato esempio di digiuno e di preghiera. Ecco perché noi questuanti, noi semplici frati, siamo sposi della povertà e della continenza, della carità, dell'umiltà e dell'astinenza, della persecuzione per amore di giustizia, della condoglianza, della misericordia e della purezza. E voi potete vedere che le nostre preghiere - parlo di noi, frati questuanti - sono meglio accette al sommo Dio delle vostre, per via del vostro banchettare. In verità, l'uomo fu scacciato la prima volta dal paradiso per la sua ingordigia, e in paradiso l'uomo era certamente casto. Ma poi, Tommaso, ascolta bene quel che ti dico: anche se, come credo, non c'è testo che lo affermi, non ci vuol molto a capire che Gesù nostro dolce Signore si riferiva proprio ai frati, quando diceva: 'Beati quelli che sono poveri nello spirito!'. E così da tutto il vangelo si può vedere se esso sia più conforme alla nostra professione o a quella di quanti nuotano nell'abbondanza. Questi dovrebbero vergognarsi del loro lusso e della loro ingordigia! Non parliamo poi della loro ignoranza... Mi fanno venire in mente Gioviniano, grasso come una balena, dondolante come un cigno e avvinazzato come una botte in cantina... E poi con che rispetto pregano, quando recitano il salmo di Davide per le anime! Sembra che facciano: buf! "cor meum eructavit"! ... Chi segue mai il vangelo di Cristo e la sua orma, se non noi che siamo umili, casti e poveri, praticanti, e non teorici, della parola di Dio? Ecco perché, come un falco che di slancio sale in aria, le preghiere dei caritatevoli e casti frati operosi salgono a volo alle orecchie del Signore!... Ah Tommaso, Tommaso, ch'io possa sempre camminare e cavalcare, per quel messere che si chiama Sant'Ivo, se tu non fossi nostro confratello, non t'andrebbe certamente tanto bene! Giorno e notte in capitolo non facciamo che pregar Cristo che ti dia salute e forza, e che tu possa presto guarire!»
«Perdio» fece quell'altro «non me ne sono ancora accorto! Eppure, Cristo m'aiuti, di sterline ne ho spese in questi anni, e con ogni sorta di frati; ma non sto mai meglio! Veramente, mi sono quasi rovinato... Difatti, oro mio ti saluto, è ormai tutto andato!»
Rispose il frate: «Ma come, Tommaso, così ti comporti? Che bisogno c'è, per chi ha già un ottimo medico, d'andare in città a cercarne altri? La tua incostanza è la tua rovina. Credi che io, o almeno il nostro convento, non basti a pregare per te? Tommaso, questo è un capriccio che non serve a niente. Se tu sei ancora ammalato, è perché ci hai dato troppo poco!... To', mezzo quarto d'avena a quel convento! To', ventiquattro denari a quell'altro! To', un soldo a quel frate e che se ne vada!... No, no, Tommaso, così non può andare! A che serve un quattrino diviso in dodici? Vedi, quando una cosa rimane unita vale più di quando viene sparpagliata. Da me non aspettarti complimenti, Tommaso: tu vorresti tutta la nostra fatica per niente. Ma il sommo Dio, che ha creato il mondo intero, dice che chi lavora ha diritto al suo salario. Tommaso, non è ch'io voglia il tuo gruzzolo per me, ma per tutto il nostro convento che è sempre così zelante nel pregare per te, e poi per edificare a Cristo la sua chiesa... Tommaso, se t'interessasse sapere quanto sia buona l'opera di costruir chiese, potresti trovarlo nella vita di San Tommaso d'India. E invece eccoti qui coricato, pieno di collera e d'ira, con le quali il demonio t'infiamma il cuore, a tormentare questa povera innocente di tua moglie, che è tanto mite e calma... Credi a me, Tommaso, cerca di non litigare con tua moglie, per il tuo bene; e per tua fede porta con te queste parole che, proprio a questo riguardo, dicono i saggi: 'Non fare il leone in casa, non opprimere chi dipende da te e non costringere gli amici a fuggire!'. Mi raccomando, Tommaso, guardati da chi ti dorme in seno, guardati dalla serpe che scaltra striscia nell'erba e morde a tradimento. Attento, figlio mio, e ascolta con pazienza: migliaia d'uomini hanno perduto la vita per aver disputato con le loro amanti e le loro mogli. Ma dal momento che la tua è una moglie così santa e mite, che bisogno c'è, Tommaso, di far liti? Attento, perché non c'è serpe, a cui venga calpestata la coda, che sia più crudele e inesorabile d'una donna presa dall'ira: ogni suo desiderio allora è la vendetta! L'ira è fra i più gravi dei sette peccati capitali, abominevole a Dio in cielo e perdizione dell'uomo sulla terra. Qualsiasi ignorante parroco o curato te lo sa dire! L'ira provoca l'omicidio, l'ira è in verità l'agente della superbia... potrei parlarti fino a domani dei malanni causati dall'ira! Solo prego Iddio notte e giorno di concedere pochi poteri a un uomo iroso; è difatti un gran rischio e un gran peccato mettere in alta posizione un iracondo...
«Narra Seneca che una volta c'era un magistrato collerico, e un giorno, mentr'egli era in carica, due cavalieri se ne uscirono a cavallo, e volle il caso che poi uno ritornasse e l'altro no. Il cavaliere fu subito portato davanti a quel giudice che gli disse: 'Sei tu che hai ucciso il tuo compagno e perciò io ti condanno a morte!'. E comandò a un altro cavaliere: 'Va', conducilo a morte, è un ordine!'. Ma accadde che, proprio mentre loro andavano al patibolo, incontrassero quel cavaliere che si credeva fosse stato ucciso. Pensarono allora che la miglior cosa fosse ritornare insieme dal giudice, e gli dissero: 'Messere, questo cavaliere non ha ucciso il suo compagno: egli è qui sano e salvo'. E quello allora: 'Mi venga un po' di bene, vi farò ammazzare tutt'e tre, prima uno, poi l'altro e poi il terzo!'. E, rivoltosi al primo cavaliere, gli disse: 'Tu devi morire perché ormai sei stato condannato... E tu pure devi rimetterci la testa, perché è per causa tua che il tuo compagno muore'. E al terzo cavaliere disse: 'Tu poi non hai eseguito quel che t'avevo comandato!'. E fu così che li fece ammazzare tutti e tre.
«Anche Cambise era iracondo, ed era per giunta un ubriacone che si compiaceva d'essere un bruto. Un giorno accadde che un gentiluomo del suo seguito, amante della virtù e della morale, così parlando, gli dicesse: 'Il sovrano dissoluto scade; l'ubriachezza poi, che già è un vizio vergognoso per qualsiasi uomo, tanto più lo è per un signore. Molti sono gli occhi e le orecchie che, a sua insaputa, sorvegliano un sovrano... Per amor di Dio, bevete più moderatamente! Il vino fa perdere miseramente all'uomo il suo intelletto e tutto il suo vigore...'.
«'E invece ti proverò subito il contrario!' disse quello 'e tu stesso farai esperienza che il vino non produce affatto simili effetti. Non c'è vino che possa togliermi forza dalle mani o dai piedi e neppure vista dagli occhi!' E si mise a bere per dispetto cento volte più di prima; poi, quel maledetto collerico scellerato, si fece portare davanti il figlio del gentiluomo, ordinandogli di mettersi dritto di fronte a lui; e là sul momento, preso l'arco in mano, tese la corda fino all'orecchio e al primo colpo ammazzò il bambino. 'Ecco, ho la mano ferma o no?' disse allora. 'Ho forse perso tutto il mio vigore e il mio intelletto? Forse che il vino mi ha tolto la vista dagli occhi?...' Che bisogno c'è di riferire la risposta del gentiluomo? Suo figlio ormai era stato ucciso...
«Meglio, dunque, stare attenti a come si scherza con i potenti; e cantar "placebo" e dir sempre di sì, a meno che non si tratti d'un povero. A un povero bisogna dirglieli i suoi difetti, ma non ad un sovrano, pur se dovesse andare all'inferno! Pensa all'iroso Ciro, quel persiano che, andando a conquistare Babilonia, fece annientare il fiume Gysen perché un suo cavallo vi era annegato dentro; lo fece diventare così basso, che perfino una donna avrebbe potuto attraversarlo a guado... Sai che dice chi veramente la sa lunga? Non fare amicizia con l'uomo iracondo e non andare con l'uomo violento, perché te ne pentiresti... Io non aggiungo altro. Perciò, Tommaso caro, smettila d'essere sempre in collera; vedrai che ho ragione. Non tenerti puntato al cuore il coltello del demonio, l'ira ti fa soffrire troppo, e invece confessa tutto a me...» «No» disse l'infermo «per San Simone, oggi mi sono già confessato col curato! E gli ho detto tutto quello che gli dovevo dire; non c'è bisogno di riparlarne... non è ch'io goda a farmi umiliare!»

«Allora dammi un po' del tuo denaro per costruire il nostro chiostro!» disse il frate. «Ci siamo ridotti a mangiar solo cozze e molluschi mentre c'è chi se la gode beatamente, e tutto per poter costruire il nostro chiostro. Ma per ora, Dio lo sa, siamo riusciti a stento a porre soltanto le fondamenta, e per il pavimento non abbiamo nel recinto neppure un mattone... perdio, siamo in debito di quaranta sterline soltanto per le pietre! Su, aiutaci, Tommaso, in nome di colui che discese all'inferno! Altrimenti dovremo vendere tutti i nostri libri!... Pensa, se verrà a mancare la nostra predicazione, il mondo intero andrà in rovina. Togliere noi da questo mondo, Dio ce ne liberi (pensa, Tommaso!), sarebbe come togliere il sole dalla terra. Chi saprebbe ammaestrare e sfaticare come facciamo noi? E non è da ieri, ma dal tempo d'Elia e d'Eliseo che, come sta scritto, ci son frati di carità, grazie a nostro Signore! E dunque, per amor di carità, aiutaci, Tommaso!» E così dicendo sì gettò in ginocchio.
L'ammalato era fuori di sé per la gran rabbia; avrebbe cacciato quel frate nel fuoco, lui e tutta la sua falsa ipocrisia. «Più di darvi tutto quello che posseggo non posso fare...» disse. «Voi, però, mi assicurate che sono della vostra confraternita?»
«Ma certo!» rispose il frate. «Fidati di me. Ho già consegnato a madonna la lettera col nostro sigillo.»
«E va bene» disse l'altro «finché sono in vita, voglio dare ancora qualcosa al convento... anzi, l'avrete in mano subito, a una condizione però, che voi, mio caro fratello, la distribuiate in modo che ciascun frate abbia la sua parte come gli altri. Giuratelo sulla vostra professione, senza inganni o cavilli.»
«Lo giuro sulla mia fede!» disse il frate, porgendogli subito la mano nella sua. «Ecco, ti do la mia parola e non vi verrò mai meno!»
«Va bene, allora mettetemi una mano sotto la schiena» disse l'uomo «e frugate bene: sotto il mio sedere troverete una cosa che ho nascosto in segreto.»
«'Ah!' pensò il frate. 'Questa è roba che viene via con me!' E giù spinse la mano fino in fondo alla fessura, nella speranza di trovarvi un dono. E appena l'infermo sentì il frate annaspare qua e là intorno al pertugio, gli mollò una scoreggia proprio in mano... nessun brocco attaccato al carro avrebbe potuto mollare un peto di tanto suono! Il frate balzò su come un leone inferocito: «Ah, sporcaccione ipocrita!» disse. «Per le ossa di Dio l'hai fatto apposta per dispetto! Appena posso, me la paghi questa scoreggia!»
I servi di casa, sentendo tutto quel baccano, si precipitarono di corsa e cacciarono fuori il frate, il quale se ne andò, con la faccia stravolta dalla rabbia, a cercare il suo compare che aveva con sé le provviste. Era tanto imbestialito, che digrignava i denti come un verro selvaggio! E si diresse a grandi passi al castello dove abitava un uomo di grande onore, al quale aveva sempre fatto da confessore. Il degno uomo era il signore del villaggio. Il frate arrivò di gran furia, mentre il gentiluomo era a tavola, e quasi non gli riuscì di spiccicar parola, ma alla fine disse: «Dio vi protegga!...».
Il gentiluomo si mise a guardarlo e disse: «"Benedicite"! Ma via, fra' Giovanni, in che mondo viviamo? È chiaro che qualcosa non va: dal vostro aspetto sembrerebbe che il bosco fosse pieno di briganti. Presto sedete, e ditemi che dispiacere avete: se potrò, cercherò di rimediarvi».
«Dio ve ne renda merito...» disse lui; «sono stato così insolentemente offeso nel vostro villaggio... neanche il più misero sguattero di questa terra sopporterebbe l'abominio di quanto ho ricevuto oggi nel vostro borgo! Ma non c'è nulla che m'affligga tanto, quanto il fatto che quel vecchio screanzato dai capelli bianchi abbia anche bestemmiato il nostro convento...»
«Ebbene, maestro» disse il gentiluomo «vi prego...»
«Macché maestro, signor mio!» fece l'altro. «Servo piuttosto, anche se a scuola ho avuto quel titolo... A Dio non garba che ci chiamino "Rabbi", né al mercato né qui ora nel vostro palazzo!»
«Va bene, va bene ...» fece quello «ma ditemi per intero che dispiacere avete.»
«Signor mio,» disse il frate «un odioso oltraggio è stato oggi recato al mio ordine e a me, e quindi "per consequens" a ogni grado della Santa Chiesa! Dio vi ponga subito rimedio!»
«Messere,» disse il gentiluomo «voi soltanto sapete quel che c'è da fare. Non divagate: siete il mio confessore, sale e sapore della terra. Mantenete la calma, per amor di Dio, e ditemi di che cosa si tratta!» E allora il frate gli raccontò quanto avete già udito, sapete bene che cosa...
La dama del castello rimase immobile a sedere finché non ebbe ascoltato quello che il frate aveva da dire. «Oh, Madre di Dio» disse alla fine; «Vergine beata! c'è ancora dell'altro? ditemi francamente.»
«Signora,» disse lui «che ne pensate voi?»
«Che ne penso io?» disse lei. «Dio m'aiuti, ma quel villano s'è comportato proprio da villano. Che devo dire? Dio non lo lasci mai prosperare! La sua testa malata è piena di aberrazioni; credo che sia in preda a qualche frenesia.»
«Signora,» disse lui «non gliela perdonerò, perdio, e in qualche modo gliela farò pagare... lo diffamerò dovunque mi troverò a parlare, quel bestemmione ipocrita che m'ha ordinato di dividere l'indivisibile in parti uguali, alla malora!»
Il gentiluomo sedeva immobile come fosse in sogno, rimuginando in cuor suo questi pensieri: 'Come avrà avuto quel villano l'idea di porre un simile problema al frate? Prima d'ora non avevo mai sentito una faccenda simile. Gliela deve aver messa in testa il diavolo. Nessuno prima d'ora aveva mai trovato una simile domanda d'aritmetica. E chi mai riuscirebbe a dimostrare il modo di dividere fra molti in parti uguali il suono e il vapore d'una scoreggia? Ah, balordo insolente villano, dannata facciatosta!'. E disse il gentiluomo: «Signori miei, guardate che maniere! Chi ha mai sentito una cosa simile prima d'ora?... in parti uguali fra tutti? ditemi come!... E' impossibile, non può essere. Ah, villano balordo, Dio non ti lasci mai prosperare! Il rombo d'una scoreggia, come di qualsiasi altro suono, non è che vibrazione d'aria e svanisce a poco a poco. In fede mia, non c'è uomo che possa giudicare se si distribuisca in parti uguali. Eppure, guardate un po' in che dannato modo questo villano è andato oggi a parlare al mio confessore! Dev'essere certamente indemoniato! Ma ora mangiate la vostra carne e lasciate perdere quel villano; che s'impicchi e vada al diavolo!».

Parole dello scudiero, scalco del gentiluomo, sulla divisione d'una scoreggia in dodici parti.

Ora accanto al tavolo lo scudiero del gentiluomo stava scalcando la carne, e udì, parola per parola, tutte le cose che v'ho dette. «Signor mio» disse «non vi dispiaccia se m'intrometto, ma, per il panno d'un mantello, volendo io saprei dire a voi, messer frate, sempre che voi non vi offendiate, come si potrebbe ripartire quella scoreggia in parti uguali fra i frati del vostro convento.»
«Parla» disse il gentiluomo «e per Dio e per San Giovanni avrai subito il panno per il mantello!»
«Signor mio» disse lo scudiero «appena il tempo è bello, senza vento o perturbazioni d'aria, fate portare qui in questa sala la ruota d'un carro; ma guardate che abbia tutti i raggi: di solito una ruota ne ha dodici. Poi portatemi dodici frati, e sapete perché? Perché ce ne vogliono tredici per formare un convento, mi pare. E il confessore che è qui, per i suoi meriti, completerà il numero. (24) Poi dovranno mettersi giù in ginocchio tutti insieme e, all'estremità di ciascun raggio, così, in questa maniera, ogni frate dovrà appoggiare il naso senza muoversi. Il vostro nobile confessore (Dio lo protegga!) dovrà tenere il naso all'insù proprio sotto il mozzo. A questo punto si porterà qui quel villano con la pancia gonfia e tesa come un tamburo, lo si metterà a sedere nel mezzo della ruota, sul mozzo appunto, e gli si farà mollare una scoreggia... Vedrete allora per prova lampante (son pronto a scommeterci la vita!) che il suono si sposterà uniformemente, e così il puzzo, fino a raggiungere l'estremità di ciascun raggio, se non che il degno messere, vostro confessore, ne riceverà a ragione la primizia, essendo uomo di maggior onore... Difatti, tra frati, c'è la nobile usanza di servire i più degni per primi, e certamente egli l'ha ben meritato. Oggi stesso ci ha insegnato tanto bene, predicando dall'alto del pulpito, che da parte mia vi posso assicurare meriterebbe il primo profumo di perfino tre scoregge... e così vorrebbe ardentemente tutto il suo convento, dato che lui si comporta così bene e santamente!»
Il gentiluomo, la dama e tutti i presenti, eccetto il frate, ammisero che Gioacchino aveva parlato sull'argomento al pari di Euclide o di Tolomeo. Quanto al villano, dissero che sagacia e buon senso l'avevano fatto parlare come aveva parlato, e che non era né sciocco né indemoniato. E fu così che Gioacchino si guadagnò un mantello nuovo... Il mio racconto è finito, e noi siamo quasi arrivati in Città!
Qui termina il Racconto del Cursore.

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