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domenica 12 maggio 2013

I RACCONTI DI CANTERBURY - FRAMMENTO 2 - IL COMMISSARIO DI POLIZIA

Parole dell'Oste alla compagnia.

Il nostro Oste notò che da più di mezz'ora il bel sole aveva oltrepassato la quarta parte d'arco del suo giorno artificiale; e pur non essendo un pozzo di scienza, sapeva ch'era il diciotto d'aprile, messaggero di maggio; e vide chiaramente che l'ombra d'ogni albero aveva in lunghezza la stessa misura del tronco eretto che la proiettava; e calcolò da quell'ombra che Febo, allora nel pieno del suo splendore, era salito di quarantacinque gradi... e insomma concluse, tenendo conto del giorno e della latitudine, che in quel momento erano le dieci. Perciò d'improvviso fece fermare il cavallo.
«Signori» disse «io vi avverto, dico a tutta la compagnia, che la quarta parte del giorno se n'è già andata. Su, per amor di Dio e di San Giovanni, non perdete tempo se potete! Signori miei, il tempo deperisce notte e giorno, e se la fila via da noi, sia di nascosto quando dormiamo che quando rimaniamo svegli a poltrire; proprio come fa il fiume che non si gira mai indietro, una volta che dal monte scende al piano. Non per nulla Seneca e molti altri filosofi rimpiangono più il tempo che l'oro nello scrigno; perché la perdita delle ricchezze può essere riacquistata, mentre la perdita del tempo ci manda alla rovina, egli afferma. Il tempo non torna più, non c'è dubbio, come non torna più la verginità a Marietta, una volta che per sua leggerezza l'abbia perduta. Dunque non stiamo qui in ozio a far la muffa... Signor Commissario di Giustizia, che Dio vi benedica, narrateci un racconto secondo i patti stabiliti! Siete voi che in questo caso avrete deciso di sottomettervi al mio verdetto. Toglietevi dunque l'obbligo della promessa; così almeno avrete fatto il vostro dovere.»
«Oste,» disse lui «son d'accordo, "par dieu"! non ho alcuna intenzione di mancarvi di parola! Ogni promessa è debito, e la mia promessa son disposto a mantenerla in tutto: meglio di così non so come dire. Chi detta legge agli altri, deve per giustizia sottostarvi egli medesimo: ecco la nostra massima. Certo, però, che ora qui sul momento non saprei narrarvi alcun proficuo racconto che già da tempo non sia stato narrato da Chaucer, che pur conosce poco l'arte del verso e della rima, malgrado quel suo inglese che, come si sa, è quanto di meglio egli sappia fare... Ciò che non ha narrato in un libro, state pur sicuro, fratello caro, che l'avrà narrato in un altro. D'innamorati ne ha minuziosamente parlato più lui, di quanti Ovidio ne abbia appena citati nelle sue antichissime Epistole. Perché dovrei raccontarvi quel che lui vi ha già raccontato?... Ha cominciato presto in gioventù con Ceice e Alcione, e da allora non ha fatto che parlare di donne famose e dei loro amanti. Chi avesse voglia di sfogliare quel suo grosso volume intitolato "La leggenda delle Sante di Cupido", vi potrebbe trovare, ancora aperte, le profonde ferite di Lucrezia e di Tisbe di Babilonia; Didone trafitta dalla spada per colpa del traditore Enea; Fillide cambiata in albero per il suo Demofonte; il lamento di Deianira e di Ermione, d'Arianna e d'Isifile; l'isola deserta che sorge in mezzo al mare, da cui Leandro s'annegò per la sua Ero; le lacrime di Elena, il dolore di Briseide, e il tuo, Laodamia, e la tua crudeltà, regina Medea, che appendesti per il collo i tuoi figli, per vendicarti di Giasone che ti tradì in amore! O Ipermestra, Penelope e Alcesti, la vostra virtù egli loda fra le migliori!... Lui però non fa certo parola di quell'esempio scellerato di Canace, la quale s'accese di peccaminoso amore per il fratello (che disgusto fanno certe storie!), o di quell'episodio d'Apollonio di Tiro, orribile a leggersi, che narra come l'empio re Antioco togliesse la verginità a sua figlia, dopo averla schiaffata sul pavimento. Ora, se neppure lui nelle sue prediche ha mai voluto descrivere simili aberrazioni contro natura, non mi metterò, se permettete, a raccontarle proprio io... Ma come farò adesso col mio racconto? Certo, mi dispiacerebbe far la fine di quelle muse, dette altrimenti Pieridi... sanno le "Metamorfosi" che cosa voglio dire! Però, insomma, non m'importa una fava d'andargli dietro con prugnole secche! lo parlo in prosa, e lascio a lui far rime.» Ciò detto, tutto contegnoso, iniziò il suo racconto come ora sentirete.

Prologo AL RACCONTO DEL COMMISSARIO DI GIUSTIZIA

O povertà, esecrabile sventura, angariata dalla sete, dal freddo e dalla fame! Nel tuo cuore ti vergogni di chiedere aiuto, eppure, se non lo chiedi, il bisogno tanto ti esulcera, che alla fine ti costringe a mostrare anche le tue piaghe più nascoste! Tuo malgrado, devi per indigenza rubare o mendicare o comprare a prestito! Biasimi Cristo e, piena d'acredine, dici che non distribuisce equamente i beni di questo mondo. Accusi con malizia il tuo prossimo, sostenendo che tu non hai nulla, mentre lui ha tutto: «In fede mia» dici «giorno verrà che gli brucerà la coda fra i tizzoni, e allora dovrà render conto di non aver aiutato chi è nel bisogno!». Ascolta qual è la sentenza dei savi: «Meglio morire piuttosto che essere nell'indigenza!». Se sei povero, anche il tuo vicino ti disprezza e allora, addio rispetto! Impara quello che il savio ti dice: «I giorni dei poveri son tutti maledetti». Attento, perciò, a non trovarti nella loro condizione! Se sei povero, perfino tuo fratello ti odia e tutti i tuoi amici, ahimè, si dileguano!... Ma beati voi, mercanti facoltosi, voi sì che siete gente stimata e accorta! A riempire le vostre borse non è mai un misero doppio asso, ma il cinque e il sei, appena a dadi giocate con la sorte! Voi sì che a Natale potete ballare allegramente! Voi guadagnando esplorate terra e mare, e conoscete da esperti le condizioni di qualsiasi paese: siete voi i padri dei racconti d'avventure, sia di pace che di guerra!... Ora, infatti, di racconti sarei sprovvisto, se un mercante, partito ormai da anni, non me ne avesse appunto raccontato uno, ascoltate.

RACCONTO DEL COMMISSARIO DI GIUSTIZIA

Qui comincia il Racconto del Commissario di Giustizia.

Viveva una volta in Siria una compagnia di ricchi negozianti, gente seria e onesta, che spediva ovunque spezierie, stoffe dorate e seta dalle splendide tinte. Tale era la bontà e la novità della loro merce, che tutti avevano piacere a trattare e a far scambi con loro.
Un bel giorno quei maestri mercanti decisero d'andare a Roma, non so se soltanto per affari o anche un po' per loro svago. Il fatto è che quella volta, senza mandarvi altri, si recarono a Roma proprio loro di persona. E, dopo aver preso alloggio dove ritennero che fosse più conveniente per il loro scopo, s'intrattennero a piacer loro in quella città per un certo tempo.
E così accadde che a questi mercanti siriani giungesse, arricchita di giorno in giorno d'ogni particolare, l'eccellente fama della figlia dell'imperatore, madonna Costanza. La gente infatti non faceva che dire: «Il nostro romano imperatore (Dio lo protegga!) ha una figlia che, da che mondo è mondo, quanto a bontà e bellezza è senza pari! Dio la mantenga in gloria, e voglia un giorno che diventi regina dell'Europa intera! In lei è una bellezza eccelsa, senza orgoglio; una giovinezza senza immaturità o follie; in ogni sua azione, virtù è la sua guida, ed umiltà ha vinto in lei ogni superbia. Ella è lo specchio d'ogni cortesia; il suo cuore è il tempio stesso della pietà; la sua mano, generosa ministra di beneficenze».
E tutto ciò era vero, com'è vero Iddio. Ma torniamo all'argomento. Per farla breve, dunque, questi mercanti, dopo aver veduto anche loro quella beata fanciulla, ricaricarono le loro navi e se ne tornarono tranquillamente in Siria, dedicandosi come prima ai loro negozi e passandosela bene.
Si dava ora il caso che questi mercanti fossero in grazia di colui ch'era il sultano della Siria: ogni qualvolta tornavano da qualche paese straniero, egli, pieno d'affabile cortesia, dava loro un grande ricevimento, chiedendo e domandando con fervore notizie dei vari stati e di tutte le meraviglie che potevano aver visto o udito. Questa volta, fra le altre cose, essi gli parlarono di Costanza, ma con tale nobiltà di toni e così minuziosamente, che alla fine il sultano, provando già un immenso piacere semplicemente a figurarsela nella sua mente, non ebbe altro desiderio e aspirazione che di poterla amare per tutta la vita.
Purtroppo, però, in quel gran libro che gli uomini chiamano firmamento, dal momento della sua nascita era stato scritto che l'amore, ahimè, sarebbe stato la sua morte! Dio sa infatti che fra le stelle, per chi vi sappia leggere, sta scritta senza equivoci, più chiara che in uno specchio, la fine a cui ciascuno è destinato. Così, ad esempio, anni prima che accadesse, fra le stelle era stata scritta la morte dì Ettore, e quella di Achille, di Pompeo e di Cesare, ancor prima che nascessero; e la distruzione di Tebe; e la morte di Ercole, di Sansone, Turno e Socrate... Ma la mente degli uomini è così ottusa, che nessuno in quel libro sa leggervi chiaro.
Il sultano, dunque, convocò il suo consiglio privato e insomma, per farvela breve, manifestò il suo desiderio ai consiglieri, dicendo francamente che, se non avesse ottenuto presto la grazia di possedere Costanza, ne sarebbe sicuramente morto: gli trovassero dunque in fretta qualche rimedio per la sua vita.
Ognuno allora disse la sua, argomentando e sentenziando per ogni verso, adducendo sottilissime ragioni e parlando perfino di magia e d'impostura. Ma alla fine, per venire a una conclusione, non seppero trovar altro mezzo o altra via d'uscita che il matrimonio. S'accorsero però subito d'una grave difficoltà (e con ragione, a dire il vero), dovuta all'enorme differenza fra le due legislazioni, e glielo dissero: «Nessun principe cristiano sarebbe mai contento di maritare sua figlia secondo i soavi precetti a noi insegnati dal nostro profeta Maometto».
Ed egli rispose: «Piuttosto che perdere Costanza, mi farei cristiano senza esitazione! Io devo essere suo, non mi rimane scelta. Perciò, vi prego, lasciate in pace i vostri argomenti: salvatemi la vita e non trascurate di trovare colei che la mia vita ha in suo potere, perché in questo dolore io non posso più durare a lungo».
A che serve indugiare oltre? Basti dirvi che per mezzo di trattative e d'ambasciate, con la mediazione del papa, di tutta la Chiesa e di tutta la nobiltà, fu stabilito, a detrimento del maomettismo e a vantaggio della diletta legge di Cristo, quanto segue: che il sultano e i suoi baroni e tutti i suoi sudditi si sarebbero fatti cristiani, ed egli avrebbe avuto Costanza in matrimonio, con non so quanto in dote, ma tanto certamente da costituire una sufficiente contropartita. Il patto fu giurato da ambedue le parti, ed ora, bella Costanza, ti guidi Dio onnipotente!
Qualcuno s'aspetterebbe, immagino, che descrivessi minutamente i preparativi che l'imperatore, nella sua magnificenza, fece per sua figlia madonna Costanza. Ben si comprende, però, come non sia possibile riferire in breve tutto quel che si fece in occasione d'un tale avvenimento. Certo è che ad accompagnarla furono mandati vescovi, baroni, dame, cavalieri di gran nome ed altri illustri personaggi; e fu annunziato per tutta la città che ognuno, con gran devozione, avrebbe dovuto pregare Cristo, affinché accogliesse nella sua grazia quel matrimonio e proteggesse per viaggio la spedizione.
Giunse quindi il giorno della partenza; giunse, dico, il triste e fatale giorno in cui non c'era più da indugiare, e ognuno e tutti erano pronti a mettersi in cammino. Costanza, affranta dal dolore, s'alzò pallidissima e si preparò a partire, ben vedendo che ormai non le restava altro. Ah, c'è da stupirsi che lei scoppiasse a piangere, dovendo andare in un paese straniero, lontano dagli amici che le volevano tanto bene, e legarsi in soggezione a un uomo di cui non sapeva nulla? Non per dire, mariti buoni ve ne sono, e ve ne sono sempre stati, ma le mogli devono almeno prima conoscerli!
«Padre,» disse lei «l'infelice tua piccola Costanza, la tua giovane figlia, teneramente cresciuta nel tuo affetto, e tu, madre mia, che, dopo Cristo lassù, su tutte le cose sei la mia gioia sovrana... ecco Costanza, vostra figlia, si raccomanda a voi per sempre, ora che deve andare in Siria e che forse non vi rivedrà mai più. Ahimè, devo ormai partire per quel barbaro paese, giacché così voi volete, ma almeno Cristo, che morì per la nostra redenzione, mi conceda la grazia di poter adempiere al suo comando! A me, sventurata donna, non importa morire. Le donne sono nate in soggezione e penitenza, e per rimanere sotto il dominio dell'uomo.»
Credo che nemmeno a Troia, quando Pirro ne abbatté le mura o quando Ilio andò in fiamme, né a Tebe, quando la città cadde, e neppure a Roma, fra le stragi d'Annibale che per tre volte vinse i Romani, s'udisse un pianto commovente e pietoso come in quella camera al momento della partenza! Ma piangesse o meno, lei ormai doveva partire.
O primo mobile, crudele firmamento, che col tuo moto quotidiano spingi e scagli, da oriente a occidente, tutto ciò che per natura seguirebbe un altro corso! La tua spinta in tal modo dispose il cielo, che, fin dal principio di quell'orrendo viaggio, il crudele Marte aveva ormai distrutto quel matrimonio. O malaugurato tortuoso ascendente, per cui Marte, ahimè, irrimediabilmente cadde dal suo angolo giù nella tetra casa dello Scorpione! O tu Marte, malefico "Atazir"! O fragile Luna, che con infelice moto invano ti congiungi con chi non ti vuole, ben potevi rimanere invece d'andar via!... Ahimè, imprudente imperatore di Roma! Non c'era un astrologo in tutta la città? Non un periodo migliore per questa circostanza? Non c'era forse scelta per il viaggio, specie per gente di così alto rango, una volta saputo l'oroscopo natale? Ahimè, troppo ignoranti siamo, o troppo lenti!
Ecco dunque che l'infelice bella fanciulla venne solennemente accompagnata alla nave, con tutti gli onori. «Ebbene, Gesù Cristo sia con tutti voi!» disse lei.
E quelli: «Buon viaggio, bella Costanza!» e fu tutto, mentre lei si sforzava d'apparire tranquilla. Così lasciamola salpare e intanto proseguiamo col racconto.
La madre del sultano, ch'era un vero pozzo di vizi, avendo spiato il fermo proposito di suo figlio d'abbandonare l'antica religione, convocò subito il consiglio, e tutti vennero a sentire che cosa volesse. Quando l'assemblea fu radunata, lei si mise a sedere e incominciò a parlare.
«Signori» disse «voi sapete tutti che mio figlio è sul punto d'abbandonare le sante leggi del Corano, dettate dal messaggero di Dio, Maometto. Ebbene io faccio voto al gran Dio che mi strapperò la vita dal corpo, piuttosto che la legge di Maometto dal cuore! Che può venire a noi da questa nuova religione, se non schiavitù e penitenza corporale? E perché essere poi trascinati all'inferno per aver rinnegato a Maometto la nostra fede? Dunque, signori, volete assicurarmi d'approvare il mio parere ed avere con me salvezza eterna?»
Approvarono e giurarono tutti quanti che, sia da vivi che da morti, sarebbero sempre stati dalla sua parte, e ciascuno s'impegnò a fare il possibile per convincere anche i propri amici a sostenerla. Allora lei, ormai decisa a por mano all'impresa di cui vi parlerò, si rivolse loro con queste parole: «Subito fingeremo di ricevere il battesimo... non ci farà gran male un poco d'acqua fredda! Poi io darò una gran festa, in modo che il sultano non sospetti nulla. E allora, povera la sua immacolata moglie cristiana... ne avrà di rosso da lavare, quand'anche con sé avesse una fontana!»
O sultana, ceppo d'iniquità! Virago, Semiramide seconda! O serpente sotto forma di donna, simile al serpente incatenato negli abissi dell'inferno! O femmina ingannatrice, tutto ciò che ammorba virtù e innocenza, per tua malizia, alligna in te, covo di tutti i vizi! O Satana, gonfio d'invidia dal giorno che fosti escluso dal nostro lascito, tu conosci bene l'antica via per giungere alla donna! Tu che inducesti Eva a trascinarci in schiavitù, ora infrangi questo cristiano matrimonio. Ahimè, per sempre ahimè, della donna ti fai strumento per le tue scelleratezze!
La sultana, che così rampogno e maledico, lasciò intanto che di nascosto il suo progetto prendesse corso... ma perché farla tanto lunga? Un giorno si recò a cavallo dal sultano, e gli disse che aveva deciso di abiurare la sua fede e che voleva ricevere il battesimo dalle mani del sacerdote, pentita d'esser rimasta pagana per tanto tempo. E lo pregò infine di concedere a lei l'onore di festeggiare gli ospiti cristiani, dicendo: «Farò tutto il possibile per compiacerli!».
Rispose il sultano: «Sia come volete ...». E la ringraziò in ginocchio per quella sua richiesta, senza saper neppure più che cosa dire per la gran gioia. Lei baciò il figlio e fece ritorno a casa.

EXPLICIT PRIMA PARS.

SEQUITUR PARS SECUNDA.

I cristiani intanto toccarono terra in Siria, con un grandioso corteo solenne, e il sultano mandò con premura l'annunzio, prima a sua madre, e poi intorno per tutto il regno, notificando che finalmente la sua sposa era giunta, e pregando tutti d'andare incontro alla nuova regina e di renderle omaggio. Immensa fu la folla e splendido lo sfarzo dei siriani e dei romani al momento dell'incontro. La madre del sultano, fastosa ed elegante, accolse la giovane fingendo una gioia pari a quella che una madre proverebbe per la propria figlia. E cavalcando a lenti passi il corteo s'avviò solennemente alla città vicina. Non credo che il trionfo di Giulio, che Lucano esalta tanto, fosse più maestoso o splendido di quell'adunanza di popolo felice! Mentre la sultana, quello scorpione, quello spirito malefico, pur con tutte le sue cerimonie, andava sotto sotto preparando il suo aculeo mortale, il sultano giunse poco dopo, in tutto lo splendore della sua regalità, e salutò la sposa pieno di gioia e d'esultanza... E così lasciamoli in quella gioia e in quel tripudio; ciò che conta è il succo della vicenda. Insomma, giunta l'ora, si pensò bene d'interrompere il sollazzo e tutti se ne andarono a riposare.
Venne poi il giorno in cui la vecchia sultana ordinò, come aveva promesso, una gran festa, e a quella festa i cristiani si recarono in massa, giovani e anziani. Bisognava vedere che splendore e che sfarzo, e quante squisitezze, assai più di quante vi potrei descrivere io! Ma pagarono tutto a caro prezzo, prima d'alzarsi da quel banchetto...
O dolore improvviso che subentri ad ogni gioia, sempre cosparsa a questo mondo di amarezze! Tu mèta d'ogni gaudio nei nostri affanni quotidiani!... Ogni nostra felicità ha per fine l'afflizione: ricordatevene, per il vostro bene, e nel vostro giorno felice tenete a mente il dolore o il male inatteso che vien dietro.
Insomma, per farvela corta, il sultano e tutti i cristiani vennero fatti a pezzi e pugnalati mentre sedevano a tavola, tutti all'infuori di madonna Costanza! La vecchia sultana, maledetta strega, commise con i suoi amici quell'orribile scempio, perché voleva governare lei tutto il paese. Non vennero risparmiati neppure i siriani che, seguendo il consiglio del sultano, s'erano convertiti, ma prima che si muovessero furono trucidati tutti.
Costanza, invece, venne presa e messa in gran fretta sopra una nave senza timone, alle mercè di Dio, e che s'aggiustasse da sola a ritornare dalla Siria in Italia. Le diedero certi gioielli che s'era portata dietro, viveri (a dire il vero) in gran quantità e gli abiti che aveva, e poi via, sul mare aperto! O mia Costanza, piena di bontà, o cara giovane figlia dell'imperatore, il Signore della fortuna stia ora al tuo timone!
Lei benedisse tutti e si rivolse poi, con pietosissima voce, alla croce di Cristo: «O luminoso, o benedetto altare, croce santissima, rossa del sangue del misericordioso Agnello che purificò il mondo dell'antica colpa, salvami dal demonio e dai suoi artigli il giorno che dovrò andare a fondo! Vittoriosa pianta, rifugio dei fedeli, tu sola fosti degna di sorreggere il Re del Cielo con le sue ferite vive, l'Agnello immacolato trafitto dalla lancia! Tu che scacci i demoni da uomo o donna su cui la fede estenda i tuoi rami, proteggimi e dammi forza di redimermi finché ho vita».
Per giorni e per anni questa creatura navigò per tutto il mare della Grecia fino allo stretto del Marocco, dove voleva il caso. Quanti bocconi amari dovette mordere, quante volte s'aspettò di morire, prima che le furiose onde la trascinassero dove doveva approdare!
Qualcuno potrebbe domandarmi: perché non venne uccisa il giorno della festa? chi ne protesse la persona? Ed io rispondo ancora con una domanda: chi protesse Daniele nell'orribile spelonca dove tutti prima di lui, signori e miserabili, furono divorati dai leoni senza poter fuggire? Nessuno all'infuori di Dio ch'egli si portava nel cuore! Dio si compiace di mostrare in questo modo i suoi miracoli, affinché noi possiamo vedere quanto sia grande la sua potenza. Cristo, che è rimedio contro ogni male, spesso con mezzi che soltanto i dotti conoscono, opera secondo un fine che appare oscuro alla nostra intelligenza, sicché per ignoranza nostra non arriviamo a comprendere quanto sia accorta la sua provvidenza. Se dunque Costanza non fu uccisa nel giorno della festa, chi la salvò dall'affondare in mare?... Chi salvò Giona nelle viscere del pesce che vivo lo rigettò a Ninive? Ben si sa che fu Colui che dalle acque protesse l'intero popolo ebreo quando a piedi asciutti attraversò il mare!... Chi ordinò ai quattro spiriti della tempesta, che hanno il potere di sconvolgere la terra e il mare, a nord e a sud, a est e ad ovest, di non soffiare «né sulla terra, né sul mare, né sulle piante»? Certamente fu Colui il quale sempre, nel sonno e nella veglia, dalla tempesta protesse questa donna. Dove mai, questa donna, poté trovare cibi e bevande per più di tre anni? Come poté bastarle la sua provvista?... Chi nutrì Maria Egiziaca nella spelonca o nel deserto?... Certamente nessuno all'infuori di Cristo. Fu cosa altrettanto portentosa sfamare cinquemila persone con cinque pani e due pesci! Così al gran bisogno di Costanza Dio provvide con la sua profusione.
Ed eccola spingersi dentro il nostro oceano e poi su, attraverso il nostro selvaggio mare, finché ad un certo punto l'onda non la gettò sotto un castello, di cui ora non ricordo il nome, nel Northumberland lontano. La nave s'arenò saldamente nella sabbia e non si mosse più per tutto il tempo della marea. Era dunque volere di Cristo che lei finalmente si fermasse.
Il custode del castello scese a guardare quell'avanzo di naufragio e, rovistando sulla nave, trovò la donna esausta, consunta dal dolore, e vide anche quei pochi gioielli che con sé portava. Lei lo implorò nella propria lingua d'aver misericordia e di strapparle via la vita per liberarla dalla pena in cui si trovava; gli parlò in un latino piuttosto corrotto, riuscendo tuttavia a farsi capire.
Il castaldo, quand'ebbe finito di rovistare, portò l'infelice donna a terra. Lei allora s'inginocchiò e rese grazie a Dio; però non volle dire a nessuno chi fosse, né in bene né in male, neanche a costo della vita: disse soltanto che sul mare era rimasta così stordita, da perdere completamente la memoria. Sia il castaldo che sua moglie provarono per lei tanta pietà, che alla fine piansero di commozione.
Lei in seguito si dimostrò così zelante e sollecita a servire e a far piaceri a tutti, che chiunque la vedeva le voleva subito bene.
Il castaldo e sua moglie, madonna Ermenegilda, erano ancora pagani, come tutti in quel paese. Ma Ermenegilda voleva bene a Costanza come alla propria vita, e Costanza tanto pregò e pianse per l'amica, che Gesù, con la sua grazia, la convertì, dico madonna Ermenegilda, la moglie del castaldo.
Da quelle parti non osava mai avventurarsi alcun cristiano; tutti erano stati cacciati via dai pagani che avevano conquistato completamente le regioni del nord, sia per terra che per mare, e gli antichi bretoni cristiani rimasti in quest'isola fuggirono tutti nel Galles e vi si rifugiarono per diverso tempo... Non proprio tutti, però, questi bretoni cristiani: qualcuno infatti ancora si trovava che, in cuor suo, venerava Cristo di nascosto al popolo pagano; e appunto tre di costoro vivevano vicino al castello. Uno era cieco e non ci vedeva, se non con gli occhi della mente, con i quali anche chi è cieco può vedere...
Risplendeva dunque il sole come in un giorno d'estate, quando il castaldo e sua moglie, insieme con Costanza, presero la strada che andava diretta al mare, per svagarsi un'ora o due passeggiando avanti e indietro, e così accadde che incontrassero proprio quel vecchio storpio dagli occhi irrimediabilmente chiusi.
«In nome di Cristo» gridò il bretone cieco «ridatemi la vista, madonna Ermenegilda!»
La dama si sentì perduta a queste parole, per timore che il marito, venendo a sapere che s'era fatta cristiana, volesse ucciderla. Costanza allora le fece animo, ordinandole di compiere la volontà di Cristo come figlia della sua chiesa.
Il castaldo, sbalordito al veder ciò, chiese: «Che significa tutto questo?».
Rispose Costanza: «Signor mio, è la potenza di Cristo che salva gli uomini dalle insidie del demonio!». E prese a parlargli della nostra fede con tanto fervore, che prima di sera convertì anche lui a credere in Cristo.
Il castaldo non era però il signore del posto di cui parlo, del posto cioè dove lui aveva trovato Costanza, ma lo governava ormai da anni per conto di Alla, re del Northumberland intero, il quale, come poi sentirete, era un uomo molto savio e di prode mano contro gli scozzesi. Ma procediamo con ordine nel racconto.
Satana, che sempre è in attesa per tradirci, notando in Costanza tanta perfezione, pensò subito a come opporvisi, facendo in modo che un giovane cavaliere che viveva in quella città, s'infiammasse per lei di tanta insana passione, da sembrargli veramente di morire se non fosse riuscito a dar sfogo alle sue voglie. Costui dunque prese a corteggiarla, ma inutilmente: lei non avrebbe mai commesso alcun peccato. Alla fine, per vendicarsi, tramò nella sua mente di farla condannare a morte per ignominia.
Aspettò che il castaldo fosse via, e una notte penetrò di nascosto nella camera d'Ermenegilda, mentre dormiva. Stanca per aver vegliato a lungo in orazione, accanto a lei dormiva anche Costanza. Spinto dunque dalla tentazione di Satana, il cavaliere s'avvicinò pian piano al letto e con un solo colpo spaccò in due la gola ad Ermenegilda; quindi, posato il coltello sanguinante accanto a Madonna Costanza, se ne fuggì via di corsa e... che Dio lo maledica!
Poco dopo tornò a casa il castaldo, insieme con Alla, il re di quella terra, e, trovando la moglie così spietatamente uccisa, scoppiò in lacrime torcendosi le mani, e vide nel letto il coltello insanguinato accanto a madonna Costanza... Ahimè, che cosa poteva dire lei? Per il gran dolore svenne.
Re Alla fu subito informato di tutta questa sventura, e gli fu anche riferito quando, dove e come la povera Costanza fosse stata trovata sopra una nave, tutte cose che avete già udito. E il cuore del re si riempì di compassione, nel vedere quell'amabile creatura prostrata nel dolore e nella sfortuna. Pareva proprio un agnello che fosse condotto a morte, quell'innocente che ora stava davanti al re. Il cavaliere impostore, che aveva commesso il delitto, spergiurava invece che lei sola poteva aver fatto una cosa simile. Ma allora si levò un gran clamore fra la gente, e tutti dicevano che non riuscivano neppure a immaginarsi come lei avesse potuto commettere una simile atrocità. L'avevano sempre vista così virtuosa, e affezionata ad Ermenegilda come alla propria vita: tutti nell'aula lo testimoniarono, all'infuori di colui che Ermenegilda l'aveva uccisa col coltello. Il nobile re tenne naturalmente gran conto di queste testimonianze e pensò d'investigare più a fondo per accertare il vero.
Ahimè, Costanza, tu non hai campioni e non sai certo combattere, povera infelice! Ma Colui che morì per la nostra redenzione e incatenò Satana (laggiù nel fondo dove ancora giace) sia oggi il tuo forte campione! Se infatti non interviene Cristo con un miracolo, ormai, pur senza colpa, tu dovrai morire.
Lei dunque si prostrò in ginocchio e disse: «Dio immortale che salvasti Susanna dalla calunnia, e tu pietosa Vergine, Maria figlia di Sant'Anna, madre di Colui davanti al quale intonano osanna gli angeli, com'è vero che sono innocente di questa turpe colpa, soccorretemi, altrimenti dovrò morire!».
Avete mai visto tra la folla il pallido volto di chi viene condotto a morte senz'aver ottenuto grazia, un volto d'un colore così livido, che subito si riconosce, tant'è alterato, fra tutti gli altri volti del corteo? Ebbene così era Costanza, mentre smarrita si guardava attorno.
O regine, che vivete in agiatezza, o duchesse, e voi tutte gentildonne, abbiate un poco di pietà per la sua sventura! È figlia d'un imperatore, ma ora è sola e non ha nessuno con cui piangere il suo dolore. O sangue reale, raggelato nella paura, lontano da ogni amico proprio nel momento di maggior bisogno!
Lo stesso re Alla, che il cuor gentile aveva colmo di pietà, provò tanta compassione da non riuscire a trattener le lacrime: «Su, presto, andate a prendere una bibbia» disse «e se ancora il cavaliere giurerà che fu lei a uccidere quella donna, allora stabiliremo noi in che modo dovremo far giustizia».
Fu portato un libro bretone con i vangeli, e su quel libro il cavaliere giurò senza esitazione che lei era colpevole. Allora, d'improvviso, una mano lo colpì così violentemente fra capo e collo, ch'egli cadde a terra come un sasso e, alla presenza di quanti erano sul posto, gli schizzarono via gli occhi dalla testa. E tutti udirono una voce che diceva: «Hai diffamato, alla presenza dell'Altissimo, l'innocente figlia della Santa Chiesa: tanto hai osato, non dico altro». Di fronte a un simile portento, la folla rimase stupefatta, e tutti, all'infuori di Costanza, furono atterriti dal timore di castighi. Grande fu questo timore, come pure il pentimento di chi aveva ingiustamente sospettato la povera Costanza senza colpa. E finì che, dopo questo miracolo, per intercessione di Costanza, il re e molti altri fra i presenti, grazie alla bontà di Cristo, finalmente si convertirono. Il cavaliere spergiuro fu condannato per la sua impostura con una rapida sentenza di re Alla, anche se poi Costanza fu molto addolorata per la sua morte. E dopo di ciò Gesù, nella sua misericordia, fece sì che Alla sposasse solennemente questa santa donna, così radiosa e pura, la quale in questo modo, per opera di Cristo, diventò regina.
A dire il vero, però, ci fu qualcuno che non rimase affatto contento di questo matrimonio, e chi, se non proprio Donegilda, la prepotente madre del re? Pensò che il cuore le si sarebbe spezzato in due; mai avrebbe voluto che suo figlio facesse una cosa simile; era un'onta per lei ch'egli prendesse in moglie una donna forestiera... Ma non mi va di mettermi ora a fare con veccia e paglia una lunga biada di tiritere! Dovrei forse dirvi chi della famiglia reale fu presente alle nozze o chi venne primo nel corteo, chi suonò la tromba e chi il corno?... Intanto, ogni racconto si sa come va a finire: tutti mangiarono e bevvero, ballarono e cantarono, e si divertirono. Poi se ne andarono a letto, com'era giusto e ragionevole. Le spose infatti, pur con tutte le loro cose sante, di notte devono accettare con pazienza certe piccole necessità che tanto piacciono a chi le ha maritate con l'anello, lasciando la santità da parte, almeno per il momento... non c'è altro da fare.
Ed ecco che ben presto lui la rese incinta e, dovendo partire per la Scozia a combattere contro il nemico, affidò la moglie alle cure d'un vescovo e del castaldo.
Così la bella Costanza progredì, umile e dolce, nel suo stato, finché un giorno dovette mettersi ferma in camera sua ad aspettare la volontà di Cristo... Giunto il momento, partorì un figlio, che fu battezzato al fonte col nome di Maurizio.
Il castaldo chiamò un messaggero e scrisse subito a re Alla come si fosse compiuto il lieto evento, insieme ad altre rapide notizie. L'uomo prese la lettera e si mise immediatamente in viaggio.
Sperando in una ricompensa, quel messaggero passò prima dalla madre del re e, salutandola nel suo linguaggio cerimonioso, le disse: «Signora, ben potete esser felice e lieta, e ringraziare mille volte Iddio! Madonna la regina ha un figlio, a gioia e benedizione di tutto quanto il regno. Ecco, ho qui la lettera sigillata dell'annunzio che devo al più presto consegnare al re. Se qualcosa desiderate per vostro figlio, io son sempre, giorno e notte, il vostro servo».
Rispose Donegilda: «Per il momento, no; però fermati a dormire qui per questa notte. Ti dirò domani quel che vorrò».
Il messaggero bevve birra e vino a sazietà e, mentre lui ormai dormiva come un porco, gli fu tolta di nascosto la lettera dalla borsa. Venne poi imitata molto abilmente un'altra lettera, sempre diretta al re da parte del castaldo, nella quale, come ora sentirete, l'annunzio fu alterato con gran malizia. Questa lettera diceva, infatti, che la regina s'era sgravata d'una mostruosa creatura così orribile, che nessuno al castello
aveva il coraggio di guardarla: quella madre doveva certo essere una strega, capitata là per magia o per qualche incantesimo, e che tutti ormai odiavano starle vicino.
Figuratevi il dolore del re nel vedere quella lettera, eppure, senza rivelare il suo grave dispiacere ad alcuno, rispose scrivendo di suo pugno: «Sia sempre il benvenuto ciò che Cristo mi manda, ormai conosco la sua dottrina! Signore, sia fatta la tua volontà come a te piace; ogni mio desiderio rimetto al tuo comando! Abbiate cura del fanciullo, bello o brutto che sia, come pure di mia moglie, fin quando non sarò di ritorno in patria. Cristo, quando vorrà, potrà mandarmi un altro erede che mi sia di questo più gradito». E, fra sé piangendo, suggellò la lettera che fu subito portata al messaggero, il quale senz'altro se ne partì.
O messaggero riboccante d'ubriachezza, il tuo alito è pesante, le tue gambe tremebonde, tu ormai non tieni certo più alcun segreto! La tua mente è svanita, la tua faccia ha mutato colore e tu sfringuelli come una taccola! Quando in una compagnia comanda l'ubriachezza, non vi sono certamente più nascosti segreti... O Donegilda, la mia lingua non basta a descrivere la tua malizia e il tuo sopruso! Perciò io t'abbandono al diavolo: ci penserà lui a smascherare la tua frode! Bada, femmina... (ma, perdio, mi sbaglio!...) bada, spirito diabolico, io t'avverto, anche se tu sei qui che cammini, la tua anima è già all'inferno!
Il messaggero, dunque, congedatosi dal re, sostò di nuovo alla corte della regina madre, la quale, felicissima, fece il possibile per rimpinzarlo. Egli bevve e s'imbottì bene la cintura, e poi s'addormentò russando, secondo il solito, tutta la notte, fino al sorgere del sole. Ancora una volta la lettera gli fu sottratta, e scambiata con un'altra di questo tono: «Il re ordina immediatamente al suo castaldo, pena l'impiccagione per alto tradimento, di non permettere in alcun modo a Costanza di rimanere entro i confini del regno per più di tre giorni e un quarto di marea. Ma la ponga col bambino e tutta la sua roba sulla stessa nave in cui un giorno la trovò, e la spinga lontano dalla riva, ordinandole di non farsi mai più vedere!».
O mia Costanza, a ragione la tua anima ebbe paura e, dormendo, in sogno sentì d'essere in pena, mentre Donegilda macchinava tutta quest'infamia!
Il messaggero, la mattina quando fu sveglio, prese la via più breve per il castello e portò la lettera al castaldo, il quale, vedendo quello scritto sventurato, si mise a gemere e a sospirare: «Cristo Signore,» disse «come può durare questo mondo, pieno di creature così perverse? Dio onnipotente, se questo è il tuo volere, e tu sei un giudice giusto, come puoi permettere che gl'innocenti muoiano e la gente abbietta regni prosperosa? Ahimè, buona Costanza! E infelice me, che debbo farti da giustiziere o morire, senza scampo, d'una morte infame!».
Piansero giovani e vecchi per tutto il regno, quando seppero che il re aveva mandato quell'odiosa lettera, e Costanza, pallida in volto come una morta, il quarto giorno si diresse verso la nave. E tuttavia accettò di buon animo la volontà di Cristo e, inginocchiandosi sulla spiaggia, disse: «Signore, sia sempre benvenuto ciò che tu mi mandi! Colui che mi salvò dalla calunnia, mentr'ero fra voi sulla terra, potrà salvarmi dal male e dall'infamia anche sul mare, sebbene ancora io non veda come. Egli è forte, e lo è sempre stato. In lui soltanto io confido, e nella sua diletta Madre, che è la mia vela e il mio timone».
Il bimbo le si mise a piangere in braccio, e allora lei, reclinandosi, gli disse teneramente: «Taci, figliolino, non ti farò alcun male».
E togliendosi di capo il fazzoletto, glielo pose sugli esili occhi e, cullandolo premurosamente fra le braccia, sollevò lo sguardo al cielo: «Madre» disse «radiosa Vergine Maria, è vero purtroppo che per istigamento d'una donna il genere umano fu smarrito e condannato a morte e perciò tuo Figlio fu straziato in croce. Gli occhi tuoi benedetti videro tutto il suo tormento, e non c'è confronto fra il tuo dolore e il dolore che
chiunque può provare. Tu ti vedesti trucidare il Figlio davanti agli occhi, mentre il mio bambino, almeno, è ancora vivo. Però ti prego, fulgida signora, soccorso degl'infelici, tu gloriosa fra le donne, tu bel maggio, tu porto di rifugio, stella splendida del giorno, abbi pietà del mio bambino, tu che nella tua benevolenza hai pietà dei miseri nella sventura! Ahimè, povero bambino, che colpa puoi avere, in nome di Dio, se ancora non hai commesso alcun peccato? Perché il tuo crudele padre ti vuole morto? Ah, buon castellano, almeno tu abbi misericordia, e lascia che il mio bambino resti qui con te! E se per paura non osi salvarlo, almeno bacialo una volta in nome di suo padre!».
E volgendo lo sguardo verso terra, disse: «Addio, sposo crudele!».
Poi si alzò e, scendendo lungo la spiaggia, s'avviò verso la nave. C'era tutto il popolo che la seguiva, e lei intanto cercava di calmare il suo bambino. Salutò infine tutti quanti e, benedicendoli santamente, salì a bordo. La nave, questa volta, era abbondantemente fornita di viveri, che le sarebbero durati a lungo; e d'altre cose necessarie di cui avrebbe avuto bisogno, grazie a Dio, ne aveva abbastanza. Occorreva soltanto che Dio onnipotente la provvedesse di vento e di tempo buono, riconducendola a casa! Non sto a dirvi altro: eccola ormai in mare, che procede per la sua via.

EXPLICIT SECUNDA PARS.

SEQUITUR PARS TERCIA.

Subito dopo questo fatto tornò in patria re Alla, al castello di cui parlavamo, e chiese dove fossero sua moglie e il suo bambino. Il castaldo si sentì gelare il cuore e gli raccontò con franchezza tutta la vicenda che voi già conoscete (non sto a ripetervela ora), mostrando al re il suo sigillo e la sua lettera. «Sire» gli disse «io ho fatto esattamente come voi, sotto pena di morte, m'avete comandato.»
Fu allora messo alla tortura il messaggero, il quale dovette confessare e dire per filo e per segno in che posti s'era alloggiato notte per notte. Così, per deduzione e con accurate indagini, venne scoperto da chi scaturiva tutto il male. Si riconobbe anche, io però non so in che modo, la mano che aveva scritto la lettera, spargendo tutto il veleno di quell'impresa scellerata. Fatto sta che Alla fece implacabilmente uccidere sua madre (secondo quanto sta chiaramente scritto) per tradimento all'autorità sovrana. Ecco con che ignominia finì la vecchia Donegilda! Ciò che invece nessuna lingua potrà mai descrivere è il dolore che, giorno e notte, Alla soffriva per sua moglie e il suo bambino.
Ma torniamo ora a Costanza, che andò errando sul mare fra tormenti e pene per più di cinque anni, come a Cristo piacque, prima che la sua nave si avvicinasse a riva. E alla fine ecco Costanza e il suo bambino, sbalzati dalle onde proprio sotto un castello saraceno, di cui non sto ora a ricordare il nome. Ma Dio onnipotente, che salvò tutto il genere umano, abbia cura di Costanza e del bambino, perché, essendo caduti in mano dei pagani, sono di nuovo in pericolo di morte...
Erano in molti coloro che dal castello scendevano a far la guardia alla nave di Costanza. Ma una notte, dal castello, scese l'intendente del sovrano (Dio lo maledica!), un brigante che aveva rinnegato la nostra fede: salì a bordo da solo e disse alla donna che, volente o nolente, la voleva per amante. Ecco che stavano per ricominciare i guai per quella povera donna! Il piccolo si mise a piangere, ed anche lei piangeva da far pena.
Ma subito la soccorse Maria benedetta e, mentre lei si difendeva bene e con coraggio, quel brigante sbalzò improvvisamente fuori bordo e per castigo fu annegato in mare. E così Cristo mantenne Costanza immacolata.
O turpe desiderio di lussuria, ecco, questa è la tua fine! Non solo tu consumi la mente dell'uomo, ma ne logori anche il corpo. C'è da compiangere veramente il risultato dei tuoi maneggi e delle tue voglie cieche. Quanti se ne trovano di uomini, i quali, non per altro motivo che per esser caduti in questo peccato, vengono uccisi o rovinati! Come poté, quella grama donna, aver la forza di difendersi contro quel rinnegato? O Golia, colosso smisurato, come poté Davide sconfiggerti, così giovane e con armi così fragili? Come osò soltanto fissare il tuo tremendo sguardo? Ben si capisce che ciò fu solo per grazia di Dio. Chi diede a Giuditta il coraggio e l'ardimento d'uccidere Oloferne nella sua tenda, salvando dalla miseria il popolo dì Dio? Io dico che, come Dio mandò loro forza e coraggio salvandoli dal male, così mandò coraggio e forza anche a Costanza.
La sua nave, uscita dallo stretto di Gibilterra e Ceuta, venne spinta ora a occidente, ora a nord e a sud, ora a levante, per lunghi tremendi giorni, finché la Madre di Cristo (che sia sempre benedetta!) non pensò nella sua bontà infinita di porre fine a tutta questa sofferenza.
Ma tralasciamo Costanza per un poco, e parliamo invece dell'imperatore romano, il quale, per mezzo di lettere dalla Siria, venne a sapere della strage dei cristiani e della condanna inflitta a sua figlia da una vile traditrice, cioè da quell'empia sultana maledetta che alla festa aveva fatto uccidere tutti dal primo all'ultimo. L'imperatore, dunque, mandò subito uno dei suoi senatori, con un seguito regale e Dio sa quanti altri ottimati, a far vendetta contro la Siria. E quelli bruciarono, uccisero e per molti giorni recarono sventura, ma infine, per farla breve, si prepararono a tornare a Roma.
Mentre appunto tornava vittorioso a Roma, navigando con gran pompa, il senatore s'imbatté, secondo quanto narra la storia, proprio con la nave alla deriva su cui stava la misera Costanza. Egli non sapeva affatto chi fosse lei o perché si trovasse in quello stato, né lei gli avrebbe mai parlato della propria origine, neanche a costo di morire. Ad ogni modo la portò a Roma e l'affidò, insieme col piccolo, a sua moglie, con la quale lei passò dunque a trascorrere la vita. Così Nostra Signora, ancora una volta, liberò dal dolore la povera Costanza. E lei rimase a lungo in quella casa, sempre dedita a sante opere, com'era suo piacere. La moglie del senatore era sua zia, anche se dopo quanto era accaduto non la riconobbe. Ora, però, non vorrei più andare per le lunghe: torniamo a re Alla, di cui prima vi parlavo, che ancora piange e si dispera per la moglie, intanto ormai Costanza è sotto la protezione del senatore.
Re Alla, che aveva fatto uccidere sua madre, fu preso da un tale pentimento, che un giorno, per farla breve, pensò di recarsi a Roma a prendere il perdono e di rimettersi in tutto agli ordini del papa, implorando Gesù Cristo d'assolverlo dall'infame azione compiuta. Lo precedettero gli araldi, e ben presto per tutta la città di Roma corse voce che re Alla sarebbe giunto in pellegrinaggio. E perciò il senatore, insieme con molti altri del suo grado, gli andò incontro a cavallo secondo le usanze, per dimostrargli la sua alta stima e rendergli l'omaggio dovuto a un re. E fu veramente splendido il ricevimento che questo nobile senatore riservò a re Alla, il quale, per non essere da meno, volle ricambiare all'altro il grande onore. Così, insomma, per non farla troppo lunga, capitò che il senatore andasse a una festa da re Alla, insieme col figlio di Costanza. C'è chi dice che fosse proprio per richiesta di Costanza, che il senatore condusse al banchetto il ragazzo: i dettagli non posso mica saperli tutti, ma, comunque sia, là il ragazzo c'era. E il fatto è che, fosse o non fosse per consiglio di sua madre, egli rimase in piedi di fronte ad Alla per tutto il tempo del banchetto, guardando proprio in faccia il re.
Re Alla rimase assai colpito da quel ragazzo e ad un tratto chiese al senatore: «Di chi è quel bel bambino?».
«Per Dio e per San Giovanni, veramente non lo so!» fece l'altro. «Una madre ce l'ha, ma per padre non ha nessuno, ch'io sappia.» E in poche parole raccontò ad Alla in che modo fosse stato trovato il ragazzo. «Ma Dio sa» soggiunse il senatore «che in vita mia non ho mai visto una creatura più virtuosa di sua madre, né ho sentito che vi sia al mondo una donna come lei, nubile o sposata. Vi assicuro che preferirebbe una coltellata al cuore, piuttosto che far la donna disonesta, e non c'è uomo che possa indurla in tentazione.»
Il ragazzo somigliava a Costanza quant'è possibile somigliare ad un altro essere. E Alla, che di madonna Costanza aveva sempre il viso impresso nel ricordo, prese fra sé a pensare se la madre di quel ragazzo non potesse in qualche modo essere sua moglie e, sospirando senza farsene accorgere, s'allontanò dal tavolo al più presto. 'In realtà' pensava 'è solo un fantasma della mia mente! Devo convincermi con la ragione che la mia sposa è ormai morta in fondo al mare.' Ma poi fra sé obiettava: 'E non potrebbe invece darsi che proprio mia moglie Cristo l'abbia condotta qui, come prima, abbandonata in mezzo al mare, la condusse al mio paese?'.
Dopo pranzo Alla andò col senatore a casa sua per veder chiaro in questo sorprendente caso. Il senatore rese ad Alla grandi onori e mandò subito a chiamare Costanza. Ma figuratevi che voglia avesse lei di ballare, quando le dissero che questo era il motivo per cui si convocava: era già lì che si reggeva a stento in piedi...
Appena vide la sua sposa, Alla le andò incontro affabilmente e non riuscì a trattenere le lacrime per la commozione, riconoscendola immediatamente al primo sguardo. Lei invece, per il dolore, rimase muta come un albero, col cuore chiuso nella sua angoscia, pensando ancora alla crudeltà con cui l'aveva trattata. Per ben due volte gli svenne davanti agli occhi, mentr'egli piangendo si scusava pietosamente. «Dio e tutti i suoi radiosi santi» diceva «abbiano pietà dell'anima mia, quant'è vero che sono innocente del male da voi sofferto, proprio come Maurizio mio figlio, che tanto vi somiglia. Se non è vero, che il demonio mi porti via da questo posto!»
Singhiozzarono e penarono a lungo, prima che i loro cuori addolorati si calmassero. Che pietà sentirli piangere e col pianto accrescersi il dolore!... Ma, vi prego, risparmiatemi questo strazio, non posso continuare così fino a domani... sono ormai stanco di parlare di tristezze.
Riconosciuta dunque la verità (che Alla era innocente dei patimenti da lei sofferti), quei due finalmente s'abbracciarono e si baciarono almeno cento volte, provando una felicità che, all'infuori della beatitudine eterna, non ha e non avrà mai al mondo nulla di simile.
Lei allora pregò timidamente il marito che, a sollievo della lunga e pietosa sofferenza, rivolgesse un invito a suo padre affinché, pur nella sua maestà, si degnasse di desinare un giorno con loro; lo pregò anche di non dirgli nulla di lei. Sostengono alcuni che fosse il piccolo Maurizio a recare questo messaggio all'imperatore, ma io non credo che Alla fosse così dappoco, da mandare un ragazzo da colui che godeva il sovrano onore d'essere il capo della cristianità. E' probabile invece, come sembra in realtà, che vi andasse lui stesso in persona. L'imperatore accettò affabilmente d'andare al banchetto come gli fu chiesto (m'immagino che allora vedesse il ragazzo e gli venisse in mente sua figlia...) ed Alla se ne tornò alla sua locanda a far preparare ogni cosa nel miglior modo possibile.
L'indomani Alla si preparò, insieme con sua moglie, ad andare incontro all'imperatore; e felici e contenti partirono tutt'e due a cavallo. Appena lei lungo la strada vide suo padre, balzò di sella e gli si prostrò ai piedi: «Padre,» gli disse «vi ricordate della vostra giovane Costanza?... Eppure son io, vostra figlia Costanza, che un giorno voi mandaste in Siria; son proprio io, padre, che in mezzo al mare fui abbandonata sola e condannata a morire... Oh, buon padre, abbiate misericordia, non mandatemi mai più nel mondo dei pagani, ma a costui ch'è mio marito rendete merito per la sua benevolenza...».
Chi può dire tutta la commovente gioia di quei tre al momento del loro incontro? Ma è ora ch'io metta fine a questa storia, il giorno fa presto a passare ed io non voglio più annoiarvi. Alla fine, dunque, tutti beati, si sedettero a pranzare, e lì a banchetto lasciamoli stare, mille volte più felici e contenti di quanto io possa mai dire.
Il piccolo Maurizio fu creato in seguito imperatore dal papa e visse santamente, facendo grande onore alla Chiesa di Cristo. Ma io tralascio la sua storia; il mio racconto riguarda specialmente Costanza. La vita di Maurizio la si può trovare nelle gesta dei romani antichi; io ora non l'ho in mente.
Re Alla, nel frattempo, insieme con Costanza, la sua dolce e santa moglie, se ne tornò in Inghilterra, dove insieme vissero contenti e in pace. Ma la felicità dura ben poco a questo mondo, ve l'assicuro; il tempo non si ferma mai e cambia dal mattino alla sera con la marea. Chi è che ha mai trascorso un giorno così contento, da non aver l'animo turbato dall'ira, dal desiderio o da qualche lite, dall'invidia, dall'orgoglio, dalla passione oppure da qualche offesa? Questo, per dirvi che nella gioia e nel piacere anche la felicità di Alla con Costanza durò ben poco. Perché la morte, che riscuote il suo tributo da chi sta in alto come da chi sta in basso, trascorso un anno o forse ancora meno, strappò da questo mondo re Alla, recando a Costanza un altro gravissimo dolore. E per l'anima di lui a noi non resta ormai che pregare Iddio!
Finalmente, per concludere, madonna Costanza si mise in viaggio per la città di Roma. Ed ecco che giunta a Roma, questa creatura santa ritrovò tutti quanti i suoi amici, libera ormai da tutte le sventure. Quando poi ritrovò anche suo padre, si prostrò in ginocchio sulla terra e pianse col cuore pieno di gioia, lodando centomila volte Iddio. E tutti vissero in virtù ed opere sante, senza mai più separarsi, e così camparono finché la morte non li divise. Ed ora, statevi bene, il mio racconto è terminato. Gesù Cristo, che nella sua potenza dopo il dolore manda la gioia, ci mantenga tutti nella sua grazia e ci protegga tutti quanti ci troviamo in questo luogo. Amen.
Qui termina il Racconto del Commissario di Giustizia.

Epilogo

AL RACCONTO DEL COMMISSARIO DI GIUSTIZIA.

Il nostro Oste, rizzandosi d'un tratto sulle staffe, fece: «Ehi, buona gente, sentite... questo sì ch'era un racconto che faceva al caso!». E soggiunse: «Messer Prete di Parrocchia, per le ossa di Dio, narraci anche tu un racconto come ci hai promesso! Si vede proprio che voialtri che siete istruiti la sapete lunga, cospetto di Dio!».
Il Parroco gli rispose: «"Benedicite"! Che prende a quest'uomo per bestemmiare così peccaminosamente?».
E il nostro Oste: «Ehi, Giovannino, dunque ci siamo?... Sento nell'aria il puzzo d'un lollardo! ... Ehi, buona gente,» continuò sempre l'Oste «sentite, fermatevi un po', santa passione di Dio, perché ora ci sarà una predica: questo lollardo qui ci vuole un po' evangelizzare ...».
«No, per l'anima di mio padre, questo proprio no!» intervenne il Marinaio; «ora non si metterà qui a predicare; non glosserà e non c'insegnerà proprio nessun vangelo! Noi ci crediamo tutti nel buon Dio» continuò «e lui non farebbe che seminare complicazioni o spargere zizzania nel nostro grano pulito. Perciò, Oste, t'avviso prima, narrerò io in persona un racconto allegro, e vi farò squillare una campana così festosa, da svegliare tutta quanta la compagnia. Certo non si tratterà di filosofia, né di "sfisica" o di balordi termini di legge. Io di latino ne ho ben poco sullo stomaco!»

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