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venerdì 7 settembre 2012

CASTEL SANT'ANGELO

Il Castel Sant'Angelo (o Mole Adrianorum o "Castellum Crescentizi" nel X-XII sec.), detto anche Mausoleo di Adriano, è un monumento di Roma, collegato allo Stato del Vaticano attraverso un corridoio fortificato del "passetto". Il castello è stato radicalmente modificato più volte in epoca medioevale e rinascimentale situato sulla sponda sinistra del Tevere, di fronte al pons Aelius (attuale ponte Sant'Angelo) a poca distanza del Vaticano, nel rione di Borgo. Nel 403 l'imperatore d'Occidente Onorio incluse l'edificio nelle Mura aureliane: da quel momento l'edificio perse la sua funzione originaria di sepolcro diventando un fortilizio, baluardo avanzato oltre il Tevere a difesa di Roma.
Fu allora che il mausoleo venne indicato per la prima volta con l'appellativo di castellum. Salvò la zona del Vaticano dal sacco dei Visigoti di Alarico del 410 e dei Vandali di Genserico del 455. Allora per difendersi i romani scagliarono sugli assalitori tutto ciò che avevano a portata di mano, persino le statue: una di queste, il cosiddetto Fauno Barberini, sarà trovata più tardi nei fossati del fortilizio. Il suo possesso fu oggetto di contesa di numerose famiglie nobili romane: nella prima metà del X secolo la mole diventò la roccaforte del senatore Teofilatto e della sua famiglia, la figlia Marozia e il nipote Alberico, che la utilizzarono anche come prigione, uso che il castello conserverà fino al 1901.  Nel 932 Marozia, già amante di papa Sergio III e moglie di Alberico I marchese di Spoleto e poi di Guido di Toscana, forse per fare la "spiritosa" volle celebrare il suo terzo matrimonio con Ugo di Provenza nella camera sepolcrale degli imperatori in Castel Sant'Angelo. Ma il gesto non le portò fortuna perché durante il pranzo nuziale Alberico II, il figlio di primo letto, apparve improvvisamente in Castel Sant'Angelo costringendo Ugo alla fuga e impadronendosi del potere. Marozia finirà oscuramente i suoi giorni in una prigione di Castel Sant'Angelo.

Nella seconda metà del X secolo il castello passò in mano ai Crescenzi, e vi rimase per un secolo, durante il quale i Crescenzi lo rafforzarono al punto da imporre alla costruzione il loro nome: Castrum Crescentii. Con questo nome Castel Sant'Angelo verrà identificato a lungo, anche dopo il passaggio di proprietà ai Pierleoni e successivamente agli Orsini.
Niccolò III, papa di questa famiglia, considerata la fama di imprendibilità del castello e la sua vicinanza con la Basilica di San Pietro e il Palazzo Vaticano, decise di trasferirvi parzialmente la sede apostolica, allora nel Palazzo Lateranense, da lui giudicato poco sicuro. Per garantire una maggiore sicurezza al Palazzo Vaticano realizzò il celebre passetto, che costituiva il passaggio protetto per il pontefice dalla basilica di San Pietro alla fortezza.
Nel 1367 le chiavi dell'edificio vennero consegnate a papa Urbano V, per sollecitarne il rientro a Roma dall'esilio avignonese. Da questo momento Castel Sant'Angelo lega inscindibilmente le sue sorti a quelle dei pontefici: per la sua struttura solida e fortificata i papi lo utilizzeranno come rifugio nei momenti di pericolo, per ospitare l'Archivio e il Tesoro Vaticani, ma anche come tribunale e prigione.
Nel 1379 il Castello venne quasi ridotto al suolo dalla popolazione inferocita contro la guarnigione francese lasciata a presidio del castello da Urbano V. A dare inizio alla ricostruzione fu nel 1395 papa Bonifacio IX che incaricò l'architetto militare Niccolò Lamberti di eseguire una serie di interventi di potenziamento della struttura difensiva del castello. L'ingresso al castello diventò possibile solamente attraverso un'unica rampa di accesso ed un ponte levatoio. Sulla sommità dell'edificio venne ricostruita la cappella dedicata a San Michele arcangelo. Nei quattro secoli successivi si susseguono interventi e trasformazioni: Nicolò V (1447-1455) dotò il Castello di una residenza papale - la prima all'interno dell'edificio – e realizzò tre bastioni agli angoli del quadrilatero esterno. Inoltre provvide al rifacimento del Ponte Sant'Angelo, crollato in occasione della manifestazioni giubilari. Alessandro VI Borgia incaricò l'architetto Antonio da Sangallo il Vecchio di ulteriori lavori di fortificazione, in seguito ai quali l'edificio assunse il carattere di vera e propria roccaforte militare secondo le più aggiornate tecniche della "fortificazione alla moderna": furono costruiti quattro bastioni pentagonali, dedicati ai santi Evangelisti, che inglobarono le precedenti strutture realizzate sotto Niccolò V. Per garantire un maggiore controllo sulle vie di accesso al castello papa Alessandro VI fece poi innalzare un ulteriore torrione cilindrico all'imboccatura del Ponte e attorno alle mura fece scavare un fossato riempito con le acque del Tevere. I lavori voluti da Alessandro VI non furono diretti solo al potenziamento della struttura difensiva dell'edificio: il papa dotò il castello di un nuovo appartamento, che fece affrescare dal Pinturicchio e aggiunse giardini e fontane. Nel corso del suo pontificato Alessandro trasformò il castello, nel quale egli amava risiedere, in una sontuosa reggia dove organizzava banchetti, feste e spettacoli teatrali. Le cronache dell'epoca descrivono la dimora come lussuosa e sfarzosa ma oggi nulla rimane di essa, essendo stata demolita da Urbano VIII nel 1628 per far posto a nuove fortificazioni.
Le opere di fortificazione di Alessandro VI permisero, 32 anni dopo, a papa Clemente VII di resistere sette mesi all'assedio delle truppe di Carlo V, i famosi Lanzichenecchi, che il 6 maggio 1527 diedero inizio al sacco di Roma.
Clemente VII nel 1525 fece costruire la Stufa, come allora veniva chiamato il bagno privato: una piccola stanza affrescata con ornamenti profani: delfini, conchiglie, ninfe, amorini, personaggi mitologici, ancora oggi visitabile. Nella stanza si trovava anche una vasca nella quale l'acqua veniva versata da una bronzea Venere nuda, poi andata perduta. l sacco di Roma dimostrò l'utilità del castello ai papi, che intrapresero grandiosi lavori di adattamento e vi installarono una vera e propria residenza papale. Nel 1542 Paolo III fece ristrutturare il castello dagli architetti Raffaello Sinibaldi da Montelupo e Antonio da Sangallo il Giovane, dal 1520 architetto capo della fabbrica di San Pietro. La decorazione delle stanze viene affidata a Perino del Vaga e a Luzio Luzi da Todi, con la collaborazione anche di Livio Agresti da Forlì. La grande cinta bastionata pentagonale che lo circonda, ultimo episodio di una lunga storia di fortificazioni, fu iniziata sotto papa Paolo IV (1555 – 1559) e conclusa sotto i suoi successori da Francesco Laparelli. Fino al XI secolo è chiamato Adrianeum ed anche templum Adriani e templum et castellum Adriani, come nell'ardo Benedicti, in ricordo della sua origine voluta dall'imperatore Adriano nel 135 perché servisse da tomba imperiale per sé e i successori. Il ricordo di questi appellativi è nella dizione moderna di Mole Adriana. Nel 359, Onorio lo include nella cinta muraria di Roma trasformandolo in una sorta di fortilizio per la difesa della città: data da allora l'appellativo di castellum. Nel 974 se ne impadronisce Crescenzio, della famiglia di Alberico, che lo fortifica ulteriormente: perciò viene ribattezzato Castrum Crescentii. Questo nome durerà fino alla seconda metà del XV secolo, cedendo poi definitivamente il passo alla dizione attuale.
Nel VI secolo appare anche la denominazione castellum sancti Angeli, in ricordo della visione dell'arcangelo Michele rinfoderante la spada sulla Mole Adriana avuta da papa Gregorio Magno durante una solenne processione penitenziale per scongiurare la peste che infieriva su Roma, visione interpretata come presagio dell'imminente fine della peste, cosa che puntualmente avvenne.
Dall'XI secolo nelle bolle pontificie si usa la dizione mista Castrum nostrum Crescenzii e Castrum Sancti Angeli. Nelle Chansons de geste è detto anche Torre oppure Palais Croissant, denominazione quest'ultima che è la traduzione di Crescentii ma che tradotto letteralmente significa "palazzo mezzaluna" curiosamente rimandando a quella pasta lievitata a due punte che accompagna in genere il "cappuccino", detta appunto in Francia "croissant" e dai romani "cornetto".
Prima dell'anno Mille i cronisti lo chiamano domus Theodorici ed anche carceres Theodorici perché Teodorico re d'Italia (493-526) lo adibì a prigione, funzione mantenuta anche sotto i papi e con il governo italiano, fino al 1901. All'interno di Castel Sant'Angelo numerosi sono gli ambienti destinati al carcere, ancora oggi visitabili. La cella più malfamata era quella detta Sammalò o San Marocco, sul retro del bastione di San Marco. Il condannato vi veniva calato dall'alto e a malapena aveva spazio per sistemarsi mezzo piegato, non potendo stare né in piedi, né sdraiato. La cella era anticamente uno dei quattro sfiatatoi che davano aria alla sala centrale del Mausoleo di Adriano, dove si trovavano le urne imperiali, e che si affacciava sulla rampa di scale. Nel Medioevo era stato trasformato in segreta e qui era stato fatto un disegno dell'oscuro "San Marocco", poi storpiato in "Sammalò".
Nel piano inferiore della costruzione semicircolare del Cortile del Pozzo, eretta da Alessandro VI, c'erano le celle riservate ai personaggi di riguardo. Qui tra il 1538 e 1539 fu detenuto Benvenuto Cellini. Famosa la sua evasione: l'artista riuscì ad evadere una sera di festa al castello calandosi dall'alto del muro di cinta con una corda fatta con le lenzuola. Nella caduta si ruppe una gamba ma riuscì ugualmente a raggiungere la casa del cardinal Cornaro, suo amico. Catturato nuovamente, fu ricondotto a Castel Sant'Angelo e rinchiuso nelle “segrete”: celle, a prova di evasione. Sono le prigioni storiche di Castel Sant'Angelo. Cellini stette in particolare in quella dell'"predicatore di Foiano", che vi era stato fatto morire di fame; vi rimase un anno, poi venne graziato dal papa per intercessione di Ippolito II d'Este e del re di Francia, suo grande estimatore. La sua cella è famosa perché su una parete Cellini vi disegnò con un rudimentale carboncino, stando a quello che egli racconta nella sua Vita (I, 120), un Cristo risorto, del quale ancora oggi ai visitatori se ne indica qualche traccia. In realtà questi resti del carboncino non sarebbero altro che segni “prodotti da crepacci di muro non imbiancato da secoli”.
Sul cosiddetto Giretto di Pio IV, a destra della Loggia di Paolo III, undici prigioni utilizzate per i prigionieri politici. Originariamente erano stanze costruite per i familiari di papa Gregorio XVI.
Nell'antica loggia superiore dell'appartamento pontificio di Paolo III è la Cagliostra, così chiamata perché nel 1789 vi fu tenuto prigioniero il celebre avventuriero Giuseppe Balsamo, detto conte di Cagliostro. Era una prigione di lusso destinata a detenuti di riguardo.
Nelle celle di Castel Sant'Angelo vennero tenuti prigionieri, tra gli altri, gli umanisti Platina e Pomponio Leto, Beatrice Cenci, condannata a morte nonostante la giovanissima età e le attenuanti, e Giordano Bruno, oltre ai patrioti italiani durante il Risorgimento.
A differenza di Benvenuto Cellini, molti illustri prigionieri di Castel Sant'Angelo vi persero la vita. Tanti di questi furono vittime dei Borgia. Tra di essi, il cardinale Giovanni Battista Orsini. Questi fu imprigionato in Castel Sant'Angelo con l'accusa di aver tentato di avvelenare papa Alessandro VI. Considerata la gravità dell'accusa, la madre e l'amante del cardinale, temendo per la sorte del loro congiunto si presentarono al pontefice con un'offerta: una perla rara e preziosissima in cambio del cardinale. Nota era la debolezza dei Borgia per le perle, sembra che Lucrezia ne possedesse più di tremila. Il papa accettò la proposta, prese la perla e, mantenendo fede alla parola data, restituì il cardinale: morto.
I processi venivano svolti nella Sala della Giustizia, le esecuzioni capitali generalmente eseguite fuori del castello, nella piazzetta al di là di Ponte Sant'Angelo, anche se numerose furono le esecuzioni sommarie all'interno del castello e nelle stesse carceri. Nella zona del cortile antistante la Cappella dei Condannati o del Crocifisso nell'Ottocento venivano eseguite le condanne a morte mediante fucilazione. A ogni esecuzione di una condanna capitale suonava a morto la Campana della Misericordia, sulla terrazza ai piedi della statua dell'Angelo.
Le prigioni costituiscono lo scenario del terzo atto della Tosca di Giacomo Puccini, ambientata a Roma nel 1800: il pittore Cavaradossi, condannato a morte, finisce nel carcere di Castel Sant'Angelo; qui nel cortile viene fucilato e la sua amante, Tosca, per la disperazione, si uccide buttandosi dagli spalti del castello.

Fonte: Wikipedia

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