Il Prete Gianni è un personaggio leggendario molto popolare in epoca medievale, tanto che, secondo i poemi del ciclo bretone, il Santo Graal sarebbe stato trasportato proprio nel suo regno. Ludovico Ariosto ne fa uno dei personaggi del suo Orlando furioso, quel re d'Etiopia, di nome Senapo, che Astolfo libera da una maledizione divina che lo costringeva a soffrire la fame per l'eternità. Dante Alighieri, invece, non ne fa alcun cenno. La prima notizia sul Prete Gianni giunse in Occidente nel 1165, quando l'imperatore bizantino Manuele I Comneno ricevette una strana lettera, da lui girata al papa Alessandro III e a Federico Barbarossa; il mittente della missiva si qualificava come «Giovanni, Presbitero, grazie all'Onnipotenza di Dio, Re dei Re e Sovrano dei sovrani». La lettera, con linguaggio ampolloso, descriveva il regno di questo prete e re dell'estremo oriente, titolare di domini immensi che, definendosi «signore delle tre Indie», diceva di vivere in un immenso palazzo fatto di gemme, cementate con l'oro, e aveva non meno di diecimila invitati alla propria mensa. Sette re, sessantadue duchi e trecentosessantacinque conti gli facevano da camerieri.
Tra i suoi sudditi non annoverava solo uomini, ma anche folletti, nani, giganti, ciclopi, centauri, minotauri, esseri cinocefali, blemmi (creature acefale con il viso sul petto), esseri con un unico e gigantesco piede, che si muovevano strisciando sulla schiena, facendosi ombra del loro stesso piede (abitudine, quest'ultima, da cui deriva il nome di sciapodi), e così via. I suoi domini racchiudevano tutto il campionario di esseri favolosi di cui hanno parlato le letterature e le leggende medioevali. I due imperatori non diedero peso più di tanto a quel fantasioso testo. Il papa, per puro scrupolo (se davvero in Oriente c'era un re cristiano, per giunta prete, rispondere era un dovere), mandò una lettera composta esattamente da mille parole, in cui lo informava che, una volta giunte notizie più precise, avrebbe inviato presso di lui il vescovo Filippo da Venezia, nella duplice veste di ambasciatore e missionario, per istruire il Prete Gianni nella dottrina cristiana. È da notare che il mitico personaggio si era definito seguace del Nestorianesimo, condannato come eresia dal concilio di Efeso, secondo la quale le due nature di Gesù erano rigidamente separate, e unite solo in modo morale, ma non sostanziale. La corrispondenza si concluse così.Circa venti anni dopo, alla fine del XII secolo, Ottone, abate dell'Abbazia di San Biagio nella Foresta Nera, continuando la Chronica di Ottone di Frisinga, partecipante alla Seconda Crociata, riferì di un suo colloquio in Siria con un vescovo monaco che gli aveva parlato di un sovrano cristiano, re e sacerdote, che regnava su un grande impero posto oltre l'Armenia e la Persia, ma prima dell'India e della Cina. Passò un altro mezzo secolo. Fra' Giovanni da Pian del Carpine, che, in veste di ambasciatore del Papa in Estremo Oriente, aveva assistito nel 1245 all'incoronazione del terzo Gran Khan Kuyuk, nella cronaca dei suoi viaggi (Historia Mongalorum) narra di come Ogüdai, successore di Gengis Khan, era stato sconfitto dai sudditi di un re cristiano, il Prete Gianni, che erano conosciuti come «Quegli Indiani chiamati Saraceni neri, o anche Etiopi».
Marco Polo, ne il Milione (1299), fornisce una versione molto più elaborata della storia. Il Prete Gianni è descritto come un grande imperatore, signore di un immenso dominio esteso dalle giungle indiane ai ghiacci dell'estremo nord. I Tartari erano suoi sudditi, gli pagavano tasse ed erano l'avanguardia delle sue truppe. Questo fino al giorno in cui non elessero Gengis Khan loro khan. Quest'ultimo, come riconoscimento della propria indipendenza, chiese in moglie una figlia del Prete Gianni. Avutone un rifiuto, gli mosse guerra. Una serie di eventi sensazionali accompagnarono la campagna militare che si chiuse con la vittoria tartara. Il ritorno in auge della storia del Prete Gianni avvenne all'improvviso: sino a quel momento, tutti coloro che avevano parlato del regno del Prete Gianni avevano detto di star riferendo voci. John Mandeville, un viaggiatore inglese, raccontò invece di essersi recato in quel regno favoloso durante i suoi viaggi. Nel 1355 egli fu in cura presso Jean de Bourgogne, medico di Liegi, nelle cui mani, al momento del commiato, lasciò un manoscritto: erano le sue memorie di viaggio, che da quel momento conobbero un'enorme diffusione. I presunti viaggi del gentiluomo inglese riprendono e accreditano tutte le favole precedenti e ne aggiungono altre. Unica annotazione, il manoscritto sembra alludere a una localizzazione africana anziché asiatica. Nel 1371, però, mentre era in punto di morte, il medico belga confessò di essersi inventato tutto. Dato che l'India, nel tardo medioevo, si presentava agli occhi occidentali come un paese dai contorni confusi, gli Europei, che avevano inutilmente cercato il Prete Gianni in Asia, si rivolsero all'Etiopia, una delle tre Indie nella terminologia dell'epoca. Marco Polo aveva trattato dell'Etiopia come di una magnifica terra cristiana, e i rapporti tra Etiopia ed Arabia erano reali: la data di nascita del Profeta Maometto, ad esempio, è nota poiché avvenne trent'anni dopo l'ultima spedizione con elefanti di Abraha, il quale s'era eletto monarca dell'Arabia meridionale, dopo averla conquistata per conto dell'Imperatore di Axum. Esistevano commerci floridi tra Imperatori e reggenti dell'Arabia Felix - oggi Yemen; d'origine sabea, cioè arabo-yemenita, era la cultura abissina. Nel 1306 trenta ambasciatori dell'imperatore Wedem Arad giunsero in Europa, e riportarono che il loro patriarca si chiamava Yohannis, comune nome copto. Circa nel 1329, il missionario domenicano Jordanus, nel suo Mirabilia Descripta, tratta della "terza India" come landa del Prete Gianni, nome che - egli dice - gli occidentali han dato al Re di quella regione. A questo punto una localizzazione etiopica della figura mitica appariva in Europa quasi certa. Il Prete Gianni è citato anche su carte geografiche tardo-medievali, come il mappamondo di Martin Behaim. Re Giovanni II del Portogallo nel 1489 inviò un'ambasceria in Egitto, proprio con lo scopo di giungere nel paese del Prete Gianni. I messi raggiunsero l'Etiopia, dove trovarono davvero dei re cristiani sottomessi ad un Negus che si proclamava discendente di re Davide. Allo stabilirsi di relazioni diplomatiche ufficiali tra Lisbona e l'imperatore Dawit II nel 1520, Prete Gianni era il nome con cui gli Europei conoscevano l'imperatore d'Etiopia. Già prima, tuttavia, gli Etiopi avevano tentato di mettere in chiaro come nessuno dei vari titoli del loro regnante corrispondesse al nome attribuito dagli europei. Lo fecero ad esempio i messi di Zara Yaqob nel 1441 al Concilio di Firenze. I colti del tempo che usavano il nome sapevano però che non era un onorifico etiopico: Jordanus, ad esempio sapeva trattarsi di un termine familiare in occidente, ma non autentico. In genere gli esperti, fin dal XVII secolo, sono convinti che il mito sia stato adattato al contesto etiope come lo era stato a quello asiatico dal XII secolo. Storici come Giuseppe Scaligero ipotizzarono che, un tempo, i domini etiopi giungessero sino alla Cina. Ancora nel 1751, quando il francescano ceco Prutzky chiese all'imperatore Iyasu II a Gondar, in uno dei circa venti castelli della sua "Camelot d'Africa", dell'origine di quel titolo, il monarca stupito disse chiaramente che mai si era sentito di un imperatore di Abissinia chiamato in quel modo. Richard Pankhurst sostiene che questa sia la prima volta in cui un imperatore d'Etiopia abbia mai udito quel titolo.
Fonte: Wikipedia
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