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domenica 12 maggio 2013

I RACCONTI DI CANTERBURY - FRAMMENTO 4 - IL RACCONTO DEL MERCANTE

«Di lagni e piagnistei, preoccupazioni e guai, ne so abbastanza, sera e mattina» fece il Mercante «e questo vale per molti altri che sono ammogliati. Almeno così credo, perché vedo quel che succede a me. Io però ho la peggior moglie che possa esistere: se anche il diavolo si mettesse con lei, ci scommetto che lo batterebbe. Ma a che serve starvi a raccontare quanto sia malvagia? E' una megera e basta!... Che abisso fra la gran pazienza di Griselda e la perfidia massima di mia moglie! Se riuscissi a liberarmene, accidenti, non ci cascherei più dentro la trappola! Noialtri sposati facciamo una vita di patimenti e dispiaceri: provi chi ne ha voglia e, per San Tommaso d'India, vedrà che ho ragione... se non proprio in tutto, almeno in gran parte. Dio volesse che non fosse così!... Ah, mio caro Oste, sono ammogliato da appena due mesi, perdio; eppure, ci scommetto, uno che in vita sua non abbia preso moglie, quand'anche gli infilzassero il cuore, non potrebbe assolutamente descrivere un tormento pari a quello che potrei descrivere io a proposito di quella maledizione che è mia moglie!»
«Ebbene, Mercante,» disse il nostro Oste «Dio vi benedica, giacché v'intendete tanto di quell'arcano, rivelateci qualcosa anche a noi, ve lo chiedo di tutto cuore!»
«Volentieri» disse l'altro «ma non vi parlerò proprio dei miei guai direttamente, per non farmi venire mal di cuore...»

RACCONTO DEL MERCANTE
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Qui comincia il Racconto del Mercante.

C'era una volta in Lombardia un nobile cavaliere, che era nato a Pavia, dove ora viveva in gran prosperità. Fino a sessant'anni era rimasto senza moglie, dandosi ai piaceri del corpo e alle donne secondo il suo appetito, come fanno questi pazzi che sono uomini di mondo. Ma, compiuti i sessant'anni, non so se fosse per contrizione o per rimbambimento, a questo cavaliere venne una tal smania di prender moglie, che giorno e notte non faceva che guardarsi intorno in cerca d'una ragazza da marito, pregando nostro Signore che gli concedesse di poter provare finalmente le gioie della vita che si conduce fra marito e moglie, e di vivere nel sacro vincolo col quale Iddio unì la prima volta l'uomo alla donna. «Se no» diceva lui «non c'è vita che valga una lava. Il matrimonio, semplice e puro com'è, a questo mondo è come un paradiso.» Così diceva quel vecchio cavaliere, che di buon senso ne aveva tanto...
E certo, quant'è vero che Dio è nostro re, prender moglie è una gran cosa, specialmente quando l'uomo è vecchio e stagionato, perché allora una moglie è appunto il frutto di tutti i suoi risparmi. E' allora che bisogna prendersi una moglie bella e giovane, con la quale mettere al mondo un erede e spassarsela in gioia e allegria, mentre gli scapoli non fanno che gridare "ahimè" ogni volta che incontrano qualche intoppo, in amori che sono soltanto giochi da bambini. Ed è naturale che sia così, che gli scapoli abbiano sempre fastidi e guai: fabbricano su un terreno franoso, e poi trovano frane dove si aspettano invece solidità. Vivono come gli uccelli o come le bestie, in libertà e senza nessun impegno, mentre un uomo ammogliato, per sua condizione, conduce una vita santa e regolata, legato al giogo del matrimonio: ecco perché ha sempre il cuore che gli trabocca di felicità e di gioia... Chi, infatti, sa stargli sottomesso come una moglie? Chi gli è fedele e si preoccupa di curarlo, malato o sano che sia, quanto la sua compagna? Sia nel bene che nel male, lei non lo abbandona mai; lei non si stanca mai d'amarlo e di servirlo, neanche se lui dovesse rimanere a letto fino alla morte. Eppure certi sapientoni dicono che non è vero: uno di questi è Teofrasto. Ma che importa se a Teofrasto piace raccontar balle? «Non prender moglie» dice «farai economia, risparmierai nelle spese di casa: un servo onesto si curerà dei tuoi beni meglio d'una moglie, la quale per tutta la vita pretende sempre di fare a metà. Se poi, Dio non voglia, ti dovessi ammalare, i tuoi stessi amici o un fedele domestico ti curerebbero meglio di lei, che non aspetta altro tutto il giorno che d'impadronirsi dei tuoi averi. Portati in casa una moglie, e lei con ogni probabilità ti farà cornuto!» Ecco che roba scrive quell'uomo (Dio ne disperda le ossa!), senza contare cento altre cose peggiori. Ma non fate caso a tutte queste fandonie: lasciate perdere Teofrasto e date retta a me. Una moglie è veramente un bene mandato da Dio: tutti gli altri beni di questo mondo, come terre, rendite, pascoli, consorzi e denari, sono tutti doni della fortuna, che passano come un'ombra sul muro. Ma con una moglie non c'è da aver paura, perché lei si conserva a lungo, anzi, a dir proprio le cose come stanno, a volte ti resta in casa più a lungo di quanto non vorresti... Ah, gran sacramento è il matrimonio! Chi non ha moglie, secondo me, è un disgraziato: è uno che vive senza nessun aiuto e abbandonato da tutti. Parlo, s'intende, di chi rimane laico. E poi, sentite, non per nulla si dice che la donna fu fatta per essere d'aiuto all'uomo: il buon Dio, dopo aver creato Adamo, vedendolo tutto solo, a ventre scoperto, disse nella sua infinita bontà: «Diamogli un aiuto, a quest'uomo, che gli sia convenevole». E gli creò Eva. Il che vuol far vedere e dimostrare che la donna è l'aiuto e il conforto dell'uomo, suo paradiso terrestre e suo passatempo: lei è così virtuosa e remissiva, che sembrano tutti e due fatti apposta per vivere uniti. Sono una sola carne, e una sola carne, a quel che ne so io, non ha che un solo cuore, sia nella buona che nella cattiva sorte. Una moglie! Ah, Maria Santa, "benedicite"!... Come può un uomo che abbia una moglie essere esposto all'avversità? Non lo saprei davvero dire. La felicità che c'è fra loro due, non c'è lingua che sappia esprimerla, né mente che sappia immaginarla. Se lui è povero, lei lo aiuta nel lavoro; lei tiene tutto di conto e non sperpera mai nulla, ogni desiderio del marito è anche suo; lei non dice mai "no" quando lui dice "sì", «Fa' questo», dice lui... «Subito, signor mio», dice lei. O beato e prezioso vincolo del matrimonio, tu sei così, pieno di gioia e di virtù, così encomiabile e meritorio, che qualsiasi uomo che valga almeno un porro dovrebbe, per terra in ginocchio tutta la vita, ringraziare Iddio d'avergli mandato una moglie, o altrimenti pregare Iddio di mandargliene una che gli campi fino al termine dei suoi giorni. Perché allora la sua vita è al sicuro: nessuno lo può ingannare, ve lo garantisco io, purché segua i consigli di sua moglie; allora lui può andarsene fiducioso a testa alta, perché le donne sono fedeli e nello stesso tempo sagge. E se anche tu da saggio vuoi comportarti, fa' sempre come loro ti consigliano. Ecco, pensa un po' a Giacobbe che, secondo quanto insegnano i sapienti, seguendo il buon consiglio di sua madre Rebecca, si avvolse intorno al collo la pelle di capretto e si conquistò così la benedizione di suo padre. Pensa a Giuditta, della quale parla anche la storia, che col suo buon senso salvò il popolo di Dio e uccise nel sonno Oloferne. Pensa ad Abigail, che col suo buon consiglio salvò suo marito Nabal, che correva il rischio d'essere ucciso. E guarda, anche Ester liberò dalla sofferenza il popolo di Dio col suo buon consiglio e fece in modo che Mardocheo ricevesse gli onori di Assuero. Non c'è cosa di grado superlativo, dice Seneca, che superi una buona moglie. Sopporta la lingua di tua moglie, ordina Catone: lei deve comandare e tu devi aver pazienza, ma poi vedrai che anche lei avrà la cortesia di ubbidirti. E' la moglie che si cura della sua economia: ha ben ragione l'ammalato a piangere e lamentarsi, se non ha una moglie che gli mandi avanti la casa. Se tu dunque da saggio vuoi comportarti (ti do questo consiglio), ama tua moglie come Cristo amò la sua Chiesa. Se tu ami te stesso, devi amare tua moglie; nessuno al mondo odia la propria carne, ma anzi se ne cura tutta la vita, e perciò ti dico: cerca di voler bene a tua moglie, altrimenti non vorrai bene neppure a te stesso. Marito e moglie, per quanto si rida e si scherzi, seguono fra tutta la gente di questo mondo la via giusta: sono così uniti, che nessun male potrà mai coglierli, e meno che mai per colpa della moglie...
Così questo Gennaro, di cui vi parlavo, andava considerando, nei giorni della sua vecchiaia, la bella vita e l'onesta quiete che son riposte nel dolce miele del matrimonio. E un giorno mandò a chiamare i suoi amici per informarli a quale effetto aveva portato le sue conclusioni.
Con volto serio tenne loro questo discorso. Disse: «Amici, ho i capelli bianchi e sono vecchio, e Dio sa che sono quasi sull'orlo della fossa: devo dunque un po' pensare alla mia anima. Finora ho soltanto abusato pazzamente del mio corpo, e sia dunque benedetto il Cielo se potrò farne ammenda! Ecco, ho deciso d'ammogliarmi, e subito, quanto più presto sia possibile. Vi prego, aiutatemi a cercare una ragazza che sia giovane e bella, ma in fretta, perché non voglio perdere più tempo; intanto anch'io, per parte mia, cercherò di trovare con chi possa alla svelta ammogliarmi. Però, siccome voi siete più di me, è probabile che siate voi a trovar prima quella che farebbe meglio al caso mio. Ma vi avverto di una cosa, miei cari amici: una moglie vecchia io non la voglio per nessuna ragione. Non deve assolutamente avere più di vent'anni: a me il pesce piace vecchio, ma la carne giovane; un bel luccio stagionato è sempre meglio d'un luccetto, ma la vitella tenera vale più del manzo vecchio. Una donna di trent'anni non la voglio già più: è tutta stoppia di fagiolo e strame. E anche certe mature vedovelle, Dio sa quante ne hanno imparate sulla barca di Wade ... e sono così fastidiose quando ci si mettono, che con una di loro non avrei mai un momento di pace. Molta scuola forma dei valenti dotti, ma una donna di molta scuola è una mezzatacca: invece, finché una è giovane, la si può instradare, plasmare come cera calda fra le mani. Perciò, insomma, ve lo dico francamente: moglie vecchia non è affar mio! Se infatti avessi questa disgrazia, non trovando in lei nessun piacere, finirei per vivere in adulterio e, dopo morto, andrei dritto al diavolo. Figli da lei non ne potrei avere: e allora preferirei darmi in pasto ai cani, piuttosto che veder cadere la mia eredità in mano d'estranei, ve lo dico io. Non sono rimbambito, so per quali motivi un uomo si deve sposare e so anche che molti parlano di matrimonio senza comprendere, neanche più d'un mio garzone, le ragioni per cui un uomo ha da prender moglie. Se uno non può vivere casto tutta la vita, prenda devotamente moglie, per legittima procreazione di figli, a maggior gloria di Dio che è in cielo, e non soltanto per passione o per amore; e per sfuggire alla lussuria, paghi il suo debito quando va dovuto; nella disgrazia, poi, ciascuno aiuti l'altro, come fanno un fratello e una sorella, vivendo santamente in perfetta castità... Ma, signori miei, se permettete, io non sono uno di questi. Perché, grazie a Dio, posso dirlo forte, mi sento le membra vigorose e in grado di fare tutto quello che un uomo deve fare: conosco le mie possibilità. Sebbene abbia i capelli bianchi, mi sento come un albero in fiore poco prima che spunti il frutto; e un albero in fiore non è né secco né morto. Non mi sento bianco che nei capelli: il mio cuore e tutte le mie membra sono come l'alloro che rimane verde per tutto l'anno. Ed ora che avete sentito le mie intenzioni, vi prego d'esaudire il mio desiderio».
Ciascuno gli disse la sua, citando antichi esempi di matrimonio. C'era chi lo disapprovava e chi naturalmente lo elogiava; ma alla fine, per farla corta, come sempre va a finire nelle discussioni fra amici, s'accese una disputa tra i suoi due fratelli, di cui uno si chiamava Placebo e l'altro Giustino.
Placebo disse: «Fratello Gennaro, non occorreva certo che tu, mio signore amatissimo, chiedessi consiglio ad alcuno dei presenti: ma tu sei così pieno di saggezza, che non vuoi, per tua somma prudenza, allontanarti dalla parola di Salomone, il quale rivolse a noi tutti questo ammonimento: 'Consigliati in ogni cosa, e non te ne pentirai'. Ma, caro mio fratello e signor mio, anche se questa è la parola di Salomone, io ritengo (e Dio conceda pace all'anima mia!) che la miglior cosa sia consigliarti con te stesso. Ed eccotene, fratello mio, il motivo: in vita mia sono sempre stato uomo di corte, e Dio sa che, per quanto indegnamente, ho occupato alte cariche presso signori di nobilissima condizione, senza tuttavia mettermi mai contro di loro. Non l'ho mai fatto, perché sono veramente convinto che un signore ne sappia sempre più di me: quello che dice lui, per me è inoppugnabile e definitivo; a me non resta che dire lo stesso o qualcosa di simile. Gran balordo è il consigliere che, trovandosi al servizio d'un signore d'alto grado, osi credere, o soltanto pensare, che il proprio consiglio possa superare il buon senso del suo padrone! No, in fede mia, i signori non sono stupidi. Tu stesso hai qui oggi dimostrato sentimenti così elevati, e li hai espressi con parole così belle e sante, che io approvo e confermo pienamente ogni tuo detto e l'opinione tua. Nessuno, perdio, in questa città o in tutta l'Italia, avrebbe saputo parlar meglio! Cristo stesso può essere soddisfatto della tua decisione, perché veramente, uno che sia avanti con gli anni e tuttavia prenda una moglie giovane, dimostra un bel coraggio... Per la stirpe di nostro padre, sei proprio un uomo in gamba! Fa' dunque in questa faccenda come meglio credi, perché alla fine penso che sia la miglior cosa». Giustino, che si era messo zitto ad ascoltare, così replicò a Placebo: «Adesso, fratello mio, abbi pazienza, ti prego: ora che tu hai parlato, ascolta quello che dico io... Seneca, fra le altre sue sagge parole, dice che bisognerebbe stare molto attenti a chi si affidano le proprie terre e i propri averi. Ora, se bisogna stare attenti a chi si dànno le proprie sostanze, a maggior ragione bisogna badare a chi per sempre si dà il proprio corpo. Io ti avverto, non è un gioco da ragazzi prender moglie senza pensarci. Secondo me, bisogna vedere se lei abbia buon senso, se sia sobria o ubriacona, insolente oppure bisbetica, pettegola o spendacciona, se sia ricca o povera, o se si tratti d'una furiosa virago... E' vero che a questo mondo non si può trovare nessuno, né uomo né animale, che vada bene in tutto e per tutto come si vorrebbe; ma per una moglie basterebbe almeno che avesse più buone qualità che brutti vizi; e per verificare tutto questo ci vuole tempo. Dio solo sa quante lacrime ho pianto di nascosto, da quando ho preso moglie! Lodi pure chi vuole la vita dell'uomo sposato: in realtà io non ci trovo che dispendio, preoccupazioni e impegni, senza nessun piacere. Eppure, Dio sa perché, i miei vicini nei dintorni e soprattutto le donne, a schiere, dicono che ho la moglie più retta e più mite che ci sia; ma so io dove la scarpa mi fa male. Per me, tu puoi fare come ti pare; stai attento, però (ormai sei un uomo d'una certa età), al modo come entri nel matrimonio, soprattutto con una moglie giovane e bella... Per Colui che creò acqua e terra e aria, anche il più giovane di tutta questa compagnia ha il suo da fare a tenersi una moglie soltanto per sé. Credimi, non riuscirai ad accontentarla in tutto nemmeno per tre anni, intendo a darle completo piacere. Una moglie esige moltissimi doveri. Non ti offendere se te lo dico...».
«Bene» disse Gennaro «hai finito di parlare? Alla malora il tuo Seneca e i tuoi proverbi! Per me le frasi dotte non valgono che un paniere pieno d'erba. Persone che hanno più buon senso di te, come hai sentito, hanno approvato proprio ora la mia decisione. Che ne dici, Placebo?»
«Io dico» rispose «che chi si mette contro il matrimonio sarà dannato sicuramente!» E a queste parole, tutti subito si alzarono, pienamente d'accordo che uno debba sposarsi quando gli pare e con chi vuole.
Di giorno in giorno, intanto, l'animo di Gennaro s'abbandonava ai sogni ed era in continua agitazione per il matrimonio. Ogni notte gli passavano attraverso il cuore bellissime forme e visi graziosi: era come se uno prendesse uno specchio bello lucido e lo mettesse in mezzo al pubblico mercato, guardando in questo suo specchio sfilare una folla di persone; così Gennaro passava in rassegna col pensiero tutte le ragazze del vicinato. Ma non sapeva su quale fermarsi. Se questa era bella di viso, quella era così ben vista per la sua serietà e la sua virtù, che tutti la tenevano in considerazione; altre erano ricche, ma avevano cattiva fama. Ad ogni modo, un po' sul serio e un po' per gioco, si decise finalmente su una e, scacciando dal cuore tutte le altre, la prescelse d'impulso, perché l'amore è sempre cieco e non ci vede. E così, standosene a letto, se la figurava, nel cuore e nel pensiero, con la sua fresca bellezza, la sua tenera età, il suo vitino snello, le sue braccia lunghe e flessuose, il suo pacato modo di fare, la sua gentilezza, la grazia femminile del portamento e la sua serietà. E una volta che si fu deciso su di lei, gli parve che la sua scelta non potesse essere migliore. Perché, giunto a quella conclusione, gli sembrava che l'intuito di chiunque altro fosse così illusorio da non poter contestare la sua scelta: questa almeno era la sua idea. Mandò subito a chiamare i suoi amici, pregandoli di fargli il piacere di recarsi in fretta da lui, perché finalmente avrebbe tolto loro ogni incomodo. Non c'era più bisogno che corressero per lui a piedi e a cavallo: ormai aveva trovato dove fermarsi.
Placebo e i suoi amici vennero subito, ed egli, prima d'ogni altra cosa, chiese a tutti un favore, di non mettersi a discutere la decisione che aveva preso, perché, secondo lui era una decisione gradita a Dio e di sicuro fondamento per la sua felicità.
Viveva nella loro città, disse, una ragazza che aveva gran fama di bellezza, pur essendo di modeste condizioni; ma a lui gioventù e bellezza sarebbero bastate. Era questa la ragazza, disse, che avrebbe voluto in moglie per trascorrere in santità e pace il resto della propria vita; grazie a Dio, sarebbe stato in grado di tenersela tutta per sé, senza che nessuno dovesse dividere con lui la sua felicità... Li pregò dunque d'occuparsi dell'affare, facendo in modo ch'egli potesse sbrigarsi in fretta, ora che finalmente, secondo lui, il suo animo avrebbe trovato pace.
«Nulla allora potrà più farmi dispiacere...» disse «se non che mi viene proprio ora alla coscienza un dubbio... Ecco, da anni sento dire che nessuno può essere completamente felice due volte, cioè una volta su questa terra e una volta in cielo. Per quanto uno si tenga lontano dai sette peccati e da ogni altra ramificazione di quell'albero, nel matrimonio si gode tuttavia una felicità così perfetta, un così grande piacere e appagamento, che, mettendomi a vivere ora alla mia età una vita così beata, così dolce, senza contrasti o lotte, ho paura che il mio paradiso dovrei già averlo qui su questa terra... Se infatti il paradiso vero va guadagnato a caro prezzo, a forza di tribolazioni e grande penitenza, come farò allora io, vivendo nel piacere che tutti gli uomini sposati godono con le loro mogli, a raggiungere la beatitudine eterna in cui vive Cristo? Ecco qual è la mia paura... Vi prego, voi due che siete miei fratelli, liberatemi da questa incertezza.»
Giustino, che pur detestava questa sua pazzia, gli rispose subito col suo tono scherzoso e, per non farla troppo lunga, questa volta non citò l'autorità di nessuno. Disse soltanto: «Signor mio, se non c'è altra difficoltà che questa, vedrai che Dio col suo potere miracoloso e con la sua misericordia farà in modo che tu, prima di ricevere l'unzione di Santa Chiesa, possa pentirti d'aver voluto godere lo stato matrimoniale, nel quale secondo te non esistono contrasti e lotte. Guai se Dio non concedesse almeno la grazia del pentimento più all'uomo sposato che non allo scapolo! Perciò, signor mio, il miglior consiglio ch'io possa darti è questo: non disperarti, e ricordati che una moglie potrebbe essere anche il tuo... purgatorio! Potrebbe, cioè, essere lo strumento di Dio e il suo flagello, e allora sì che la tua anima salirebbe al cielo più rapida d'una freccia scoccata dall'arco! Confido in Dio che col tempo riconoscerai che nel matrimonio non c'è, e non ci sarà mai, felicità tanto grande da impedirti la salvezza eterna: basta che tu appaghi, com'è giusto e doveroso, i desideri di tua moglie con temperanza, senza compiacerla troppo amorosamente, e tenendoti lontano dal peccato... Ecco tutto, tanti discorsi io non li so fare. Non temere dunque, fratello mio caro... ma lasciamo perdere quest'argomento. Sul matrimonio, di cui tanto stiamo a discutere, ha già ottimamente parlato la Comare di Bath, come avrai sentito, e senza tante parole (3). Stammi bene, dunque, e che Dio ti abbia in gloria!».
Con queste parole Giustino e suo fratello si salutarono, e così fecero gli altri. Vedendo che ormai non c'era altro da fare, si adoperarono tutti, per mezzo di sagge e accorte trattative, a far sì che la ragazza, la quale si chiamava Maggiolina, sposasse Gennaro al più presto. Credo che sarebbe veramente troppo lungo parlarvi di tutti gli atti e di tutti i documenti con cui i terreni vennero a lei intestati, o descrivervi il suo ricco corredo. Ma arrivò finalmente il giorno che andarono insieme alla chiesa a ricevere il santo sacramento: si fece avanti il prete con la stola al collo ed esortò la sposa a essere come Sara e Rebecca in saggezza e fedeltà coniugale; disse come d'uso le sue orazioni e li segnò col segno della croce, pregando devotamente Iddio di benedirli e di assicurar loro tutto il necessario.
Così diventarono solennemente marito e moglie, e durante il banchetto sedettero insieme alla tavola alta, con altre importanti persone. Il palazzo era pieno di gioia e d'allegria, pieno di musiche, e il cibo era quanto di più squisito ci fosse in tutta Italia; di fronte agli sposi gli strumenti suonavano così dolcemente, che né Orfeo né il tebano Anfione avrebbero mai potuto uguagliarli; s'alzavano ad ogni portata squilli mai uditi dalla tromba di Joab, né da quella di Teodamante, che non suonò a Tebe con neppure metà di tanta forza quando la città si trovò in pericolo... Girando intorno, Bacco mesceva il vino; e Venere sorrideva a tutti,
ora che Gennaro era diventato suo cavaliere e aveva voluto dar prova del suo coraggio, oltre che nella libertà, anche nel matrimonio: e con la fiaccola in mano, la dea danzava davanti alla sposa e ai convitati. Vi posso assicurare che neanche Imeneo, il dio delle nozze, vide mai in vita sua uno sposo più felice. Taci tu, poeta Marziano, che pure ci hai descritto le solenni nozze di Filologia con Mercurio e i canti intonati dalle Muse! La tua penna e la tua lingua sarebbero troppo mediocri per un matrimonio come questo: quando la tenera giovinezza va sposa alla ricurva vecchiaia, non c'è gioia che si possa descrivere!... Provate, e vedrete se a questo proposito dico o non dico il vero.
Maggiolina sedeva con un'aria così dolce, che a guardarla era un incanto: mai la regina Ester guardò re Assuero con occhio così mite!... E' veramente impossibile descrivervi tutta la sua bellezza; posso soltanto dirvi che somigliava a un luminoso mattino di maggio, colmo d'ogni bellezza e d'ogni grazia.
Gennaro andava in estasi ogni volta che ne guardava il viso; e in cuor suo si prometteva di stringersela fra le braccia, quella notte, ben più forte di quanto Paride non avesse mai stretto Elena! Provava tuttavia una gran pena al pensiero che quella notte avrebbe dovuto farle un po' male... e fra sé diceva: 'Ahimè, tenera creatura, voglia il cielo che tu possa sostenere tutto il mio intenso e focoso ardore! Ho paura che proprio non ce la farai... Ma Dio mi guardi dal mettere in moto tutta la mia potenza! Ah, volesse il cielo che fosse già notte e che la notte durasse eterna! Vorrei che tutta questa gente se ne fosse già andata...'. E infatti, pur salvando le apparenze, fece quanto poté per affrettar tutti via dal banchetto con sottili accorgimenti.
Venne così il momento in cui bisognò alzarsi. E allora tutti si misero a ballare, a bere abbondantemente e a gettar confetti per tutta la casa. Tutti insomma erano pieni di gioia e d'allegria, eccetto uno scudiero, di nome Damiano, il quale da parecchio tempo faceva da scalco presso il cavaliere: costui s'era così invaghito di madonna Maggiolina, che per il dolore gli pareva d'impazzire; per poco non svenne e cadde lì dove si trovava (tanto l'aveva scottato Venere con la fiaccola che danzando portava in mano!), ed egli se ne andò subito a letto. Per ora non parliamone più; lasciamolo a piangere e a lamentarsi, finché la fresca Maggiolina non avrà pietà delle sue pene...
O fuoco pericoloso, che divampa nella paglia del letto! O famiglio nemico, che vien meno al suo dovere! O servo traditore, domestico falso, che come la vipera tradisce chi l'accoglie in seno, Dio ce ne liberi! O Gennaro, ubriaco di felicità per le tue nozze, guarda come Damiano, il tuo scudiero e il tuo uomo di fiducia, si propone di recarti offesa... Dio ti conceda d'accorgertene in tempo, perché a questo mondo non c'è maggior sciagura che vedersi sempre davanti il nemico in casa propria!
Il sole aveva ormai percorso il suo arco giornaliero: il suo disco non poteva più rimanere al di sopra dell'orizzonte, a quella latitudine; e la notte, col suo fosco e buio mantello, cominciava ad avvolgere, tutt'intorno, l'emisfero. L'allegra compagnia perciò prese commiato da Gennaro, ringraziandolo per tutto; ed ognuno, partendo briosamente a cavallo, se ne tornò a casa, a fare un po' quel che voleva e mettersi poi a riposare...
Subito anche il focoso Gennaro volle andare a letto, senza più perdere tempo. Bevve ipocrasso, chiaretto e vernaccia con un infuso di droghe, per aumentarsi lo slancio; e prese molti dei più fini lattovari che quel dannato monaco, messer Costantino, ha descritto nel suo libro "De Coitu", mandando giù tutto senza riluttanza. Poi disse ai suoi più intimi amici: «Ora, per amor di Dio, con buone maniere fate sgombrare al più presto tutta la casa». Ed essi eseguirono a puntino il suo desiderio; bevvero ancora e poi subito tirarono le tende. La sposa venne portata al talamo, muta come un sasso; e appena il prete ebbe benedetto il letto, tutti uscirono dalla camera.
E Gennaro, stringendo finalmente fra le braccia la sua fresca Maggiolina, il suo paradiso, la sua consorte, se la cullò baciandola ripetutamente, e con le fitte setole della sua ispida barba, simile al cuoio d'un pescecane e pungente come un rovo (raso di fresco come era, secondo il costume), le si strofinò contro il tenero viso e le disse: «Ahimè, ora debbo abusare di te, sposa mia, e farti un po' soffrire, prima che venga il momento di calarmi... Però devi considerare questo: non c'è artigiano, per bravo che sia, il quale possa fare un lavoro in fretta e bene! Il nostro, poi, va fatto con la più perfetta tranquillità. Non importa quanto c'impieghiamo; noi due siamo ormai congiunti col santo matrimonio, e sia benedetto il giogo che portiamo, perché nei nostri atti non possiamo ormai commettere peccato. Un uomo non può peccare con sua moglie, come non può ferirsi col proprio coltello... noi abbiamo per legge il permesso di sollazzarci!».
E lavorò così fino allo spuntar dell'alba; si fece poi una zuppa di buon chiaretto, e si mise a sedere dritto sul letto e a cantare a voce spiegata e chiara, baciando sua moglie e facendo il matto... Era tutto puledrino, pieno di libidine e di chiacchiere come una gazza maculata; e mentre cantava strillando e gracchiando a quel modo, la pelle gli ciondolava flaccida intorno al collo. Dio solo sa che cosa pensasse in cuor suo Maggiolina, vedendolo sedere in camicia, con la cuffia da notte e il collo grinzoso! A lei certo non importavano un fico tutte le sue buffonate... Alla fine lui disse: «Voglio riposarmi; ormai è giorno, non ce la faccio più a rimanere sveglio...». E buttò giù la testa, dormendo fino al mattino inoltrato. Poi, quando gli sembrò che fosse ora, Gennaro sì alzò. La fresca Maggiolina, invece, se ne rimase in camera per quattro giorni, com'è ottimo costume d'ogni sposa... ogni fatica deve ben avere il suo riposo qualche volta, altrimenti a lungo andare nessuno vi resisterebbe! E questo vale per ogni essere vivente, sia esso pesce o uccello, animale o uomo...
Torniamo ora al dolente Damiano che, come avete ormai sentito, stava languendo d'amore, e al quale, perciò, io parlo e dico in questo modo: «Ah, povero Damiano, rispondi, infelice, a questa mia domanda: come farai a rivelare le tue pene alla fresca Maggiolina, che ora è la tua padrona? Lei ti risponderà sempre di no; anzi, se parlerai, denuncerà la tua passione. Dio t'aiuti: è tutto ciò che di meglio posso augurarti!».
Il povero Damiano dunque era talmente preso dal fuoco di Venere, che di desiderio stava ormai per morire: tanto valeva mettere a repentaglio la vita, in questo modo non poteva più continuare! Si fece perciò portare una penna, e in una lettera alla bella e fresca dama Maggiolina descrisse, in forma di lamento o "lai", tutto il suo dolore; poi mise la lettera in un borsellino di seta appeso alla camicia e se la tenne ben stretta vicino al cuore.
La luna, che a mezzogiorno quando Gennaro aveva sposato la fresca Maggiolina si trovava nel secondo grado del Toro, era ormai entrata nel Cancro; e per tutto questo tempo Maggiolina era rimasta in camera sua, secondo l'usanza di tutte le nobildonne. Una sposa non deve pranzare in sala finché non siano passati almeno tre o quattro giorni; soltanto allora può andare a banchetto. Compiuto dunque il quarto giorno da un mezzodì all'altro, al termine della messa grande, Gennaro finalmente poté sedersi in sala con Maggiolina, rigogliosa come una splendida giornata estiva.
Improvvisamente il brav'uomo si ricordò di Damiano, e disse: «Maria Santa, come mai Damiano non è qui a servirmi? E' ammalato, o che altro è successo?».
Gli scudieri che gli stavano ai lati scusarono il giovane, dicendo che non stava bene e che questo gl'impediva d'accudire ai suoi doveri: nessun'altra ragione avrebbe mai potuto trattenerlo!
«Mi dispiace» fece Gennaro «perché veramente è un nobile scudiero! Se dovesse mancarmi, sarebbe una disgrazia... E' saggio, discreto e fidato come pochi che conosco del suo grado; e poi è coraggioso,servizievole e abilissimo a far economia. Dopo pranzo, appena potrò, andrò a trovarlo con Maggiolina, per recargli tutto il conforto che mi sarà possibile.»
E tutti lo benedissero per quelle sue parole, per la bontà e la squisitezza di voler confortare nella malattia il proprio scudiero: si trattava d'un atto veramente cortese.
«Madonna,» disse poi Gennaro «abbiate cura, dopo mangiato, appena vi sarete ritirata dalla sala da pranzo in camera vostra, di radunare tutte le vostre donne e di andare con loro a trovare Damiano. Fategli animo... è un gentiluomo; e ditegli che gli farò visita, appena mi sarò un po' riposato. Fate presto, perché v'aspetto a dormire stretta al mio fianco.» Detto questo, chiamò lo scudiero che era maresciallo della sala e gli parlò di certe cose che desiderava...
La fresca Maggiolina dunque si recò, con tutte le sue donne, da Damiano; e sedendosi sulla sponda del letto, cercò di confortarlo meglio che poteva.
Damiano, atteso il momento buono, le mise in mano di nascosto il borsellino con la lettera nella quale aveva dato sfogo alla sua passione, e senza muoversi, esalando solo un sospiro straordinariamente profondo e doloroso, le disse a bassa voce queste parole: «Pietà! Non traditemi, perché se si viene a sapere questa cosa sono morto!».
Lei si nascose il borsellino in seno e se ne andò; non vi aggiungo altro. Ritornò da Gennaro, adagiato mollemente sulla sponda del letto, il quale la prese, la baciò e la ribaciò, e poi si mise subito giù a dormire. Lei allora fece finta di dover andare in quel posto dove sapete che han bisogno d'andare tutti e, letta la lettera, la fece a pezzettini e di nascosto la buttò giù nel privato.
Chi fantasticava, ora, più della bella e fresca Maggiolina?... Si coricò accanto al vecchio Gennaro, che continuò a dormire finché la tosse non lo svegliò. Allora la pregò di spogliarsi tutta nuda, perché aveva voglia di sollazzarsi un po' con lei, disse, e le vesti gli davano fastidio... e lei, volente o nolente, obbedì. Ma perché la gente a modo non se la prenda con me, non sto a dirvi quello che lui fece, né se a lei sembrasse d'essere in paradiso o all'inferno. Io li lascio lì a sbrigarsela un po' come volevano, tanto poi suonò il vespro e dovettero per forza alzarsi.
Fosse destino o puro caso, fosse un influsso misterioso o un effetto naturale, o dipendesse dalla disposizione stessa delle stelle... proprio non vi saprei dire perché il cielo si trovasse in condizioni tanto propizie alla consegna di biglietti d'amore alle donne; è vero che, come dicono i dotti ogni cosa ha il suo tempo adatto, ma solo il gran Dio, che sta in cielo e sa che non c'è effetto senza causa, potrà giudicare; io, per me, non parlo. Il fatto è che quel giorno la fresca Maggiolina rimase così commossa per il povero Damiano, da non riuscir più a togliersi dall'animo il desiderio di recargli conforto. 'Non mi preoccupo certo' pensò 'a chi possa far dispiacere questa cosa. Io so soltanto che l'amo più d'ogni altro essere al mondo, quand'anche non avesse indosso che la camicia!' Ecco, vedete a cuor gentile pietà corre veloce! Di qui si può vedere quanta squisita generosità vi sia nelle donne, a guardarle bene da vicino. Un uomo, essendo quasi sempre tiranno e avendo il cuore duro come una pietra, l'avrebbe lasciato là a morire piuttosto che concedergli la propria grazia; anzi, avrebbe goduto della propria crudeltà e del proprio orgoglio, senza preoccuparsi d'essere un omicida... La gentile Maggiolina, invece, piena di compassione, scrisse di suo pugno una lettera, nella quale gli prometteva senz'altro i suoi favori: non mancavano che il giorno e il luogo in cui lei avrebbe appagato ogni suo desiderio, ma tutto sarebbe stato come lui voleva.


Così un giorno, quando il momento le sembrò opportuno, Maggiolina andò a far visita a Damiano, e con scaltrezza gli mise la lettera sotto il guanciale, perché con comodo la leggesse. Gli prese poi la mano e gliela strinse forte di nascosto, senza che nessuno se ne accorgesse, esortandolo a guarir presto di tutto il suo male, e non se ne andò finché Gennaro non la mandò a chiamare.
Il mattino dopo, Damiano s'alzò: tutto il suo male e il suo dolore erano scomparsi! Si pettinò, si pulì e si lisciò, fece tutto, insomma, pur di piacere e di riuscir gradito alla sua dama; e poi si presentò a Gennaro, mogio come un cane davanti allo scudiscio. E si mostrò in seguito così garbato (un po' d'astuzia è tutto, per chi sappia farne uso!), che ognuno era sempre pronto a dirne bene, mentre lui era ormai completamente nelle grazie della sua signora. Lasciamo così Gennaro alle sue faccende e proseguiamo nel racconto.
Sostengono alcuni dotti che la felicità consista nello star bene, ed ecco che il nobile Gennaro cercava con tutte le sue forze, ma in modo onesto, come s'addice a un cavaliere, di passarsela meglio che poteva. Aveva una casa e certi arredi che, rispetto al suo grado, erano splendidi come quelli d'un re; e fra le altre stupende cose, aveva fatto fare un giardino, chiuso tutt'intorno da un muro di pietra, un giardino bello come al mondo non s'era mai visto. Penso veramente che neppure chi ha scritto il "Romanzo della rosa" avrebbe saputo descriverne bene la bellezza; e non sarebbe bastato Priapo, che pure dei giardini è il dio, a dire lo splendore di quello, e della fonte che vi sgorgava sotto un alloro sempre verde... Si narra perfino che molto spesso, intorno a quella fonte, andassero a divertirsi, suonando e danzando, Plutone e la sua regina, Proserpina, con tutto il seguito delle loro fate. Il nobile cavaliere, il vecchio Gennaro, poi, era così contento d'andarvi a passeggiare e a sollazzarsi, che non permetteva a nessuno di tenerne la chiave all'infuori di lui; e portava sempre con sé una chiave d'argento piccolina, con la quale poteva aprirne il cancelletto quando voleva. Così, quando nella stagione estiva aveva voglia di pagare il suo debito alla moglie, andava là, con la sua Maggiolina, loro due soli, ed egli si affrettava a sbrigare, nel giardino, quelle faccende che non aveva sbrigato a letto. In questo modo Gennaro e la fresca Maggiolina passarono molti giorni felici. Purtroppo, però, la gioia di questo mondo non può sempre durare, per Gennaro come per ogni altra creatura...
O sorte improvvisa, o instabile fortuna, insidiosa come lo scorpione, che con la testa lusinghi, quando invece vuoi ferire, e nella coda porti la morte col tuo veleno! O fragile gioia, o dolce delirante veleno, o mostro, che sai così abilmente dipingere i tuoi doni col colore della stabilità, e inganni invece tutti quanti! Perché hai tradito in questo modo Gennaro, che prima avevi accolto come tuo amico? Ecco, gli hai strappato tutt'e due gli occhi, ed egli per il dolore non desidera ormai che la morte!
Ahimè, il nobile e generoso Gennaro, in mezzo al piacere e alla prosperità, all'improvviso era diventato cieco. Piangeva e si lamentava miseramente, mentre il fuoco della gelosia, il timore che sua moglie commettesse qualche follia, gli bruciava talmente il cuore, che ormai lui non desiderava altro che d'essere ucciso insieme con lei; non avrebbe mai voluto che dopo la sua morte, o mentre lui fosse ancora in vita, lei diventasse la moglie o l'amante di qualcun altro; se mai avrebbe voluto che rimanesse per sempre vedova in gramaglie, sola come la tortora che ha perduto il suo compagno... Alla fine però, dopo un mese o due, cominciò in verità ad abituarsi al suo dolore: visto che non gli rimaneva altro, prese la sua disgrazia con rassegnazione, senza cessare, naturalmente, d'essere sempre geloso nello stesso modo; anzi, la sua gelosia diventò adesso così intensa, da non permettere a lei neanche di spostarsi per la camera, né di andare in casa d'altri o in qualsiasi altro posto, sia a piedi che a cavallo, senza che lui la tenesse sempre per mano. E di ciò spesso piangeva la fresca Maggiolina, la quale era sempre così innamorata di Damiano, che le pareva di morire se non l'avesse avuto come desiderava, e s'aspettava che da un momento all'altro le si spezzasse il cuore.
Damiano, d'altra parte, era diventato l'uomo più infelice che fosse mai esistito, perché non c'era notte né giorno ch'egli potesse dire una parola alla fresca Maggiolina sui suoi progetti, senza che non sentisse anche Gennaro, il quale le teneva continuamente una mano addosso... Però poi, un po' scrivendosi a vicenda e un po' per mezzo di segni nascosti, lui riuscì a capire quali intenzioni avesse lei, e lei venne finalmente a sapere quali piani avesse ideato lui.
O Gennaro, che ti servirebbe se tu potessi anche veder lontano fin dove può arrivare una nave? Un uomo può essere ingannato quand'è cieco come quando ci vede. Pensa, Argo aveva cento occhi, eppure, per quanto guardasse e scrutasse continuamente, venne accecato, e Dio solo sa quanti, pur essendo ciechi, credono di non esserlo! Occhio non vede, cuore non sente... non aggiungo altro.
La fresca Maggiolina, proprio lei di cui tanto parlo, prese dunque con un po' di cera calda l'impronta della chiave del cancelletto, che Gennaro portava sempre con sé e della quale si serviva per andare nel giardino. Damiano poi, ormai al corrente delle intenzioni di lei, fece fare di nascosto una chiave simile a quella... E per ora non vi dico altro, ma fra non molto questa chiave produrrà meraviglie: aspettate e sentirete.
O nobile Ovidio, Dio sa che tu hai ragione: quale astuzia, per lunga e complicata che sia, l'amore non è capace d'escogitare? Impariamo da Piramo e Tisbe che, pur essendo rimasti prigionieri al chiuso per tanto tempo, trovarono il modo di parlarsi perfino attraverso un muro, senza che nessuno s'accorgesse del loro stratagemma!
Ma veniamo al punto. Prima che fossero trascorsi otto giorni dei mese di giugno, accadde che Gennaro, solleticato da sua moglie, fosse preso da tanta voglia d'andare a sollazzarsi nel giardino, loro due soltanto, che una mattina a Maggiolina disse: «Alzati, moglie mia, amor mio, mia benefica signora! Senti la voce della tortora, dolce mia colomba! Ormai l'inverno se n'è andato con tutto l'umidume delle sue piogge. Vieni fuori coi tuoi occhi da piccioncina! I tuoi seni sono più prelibati del vino! Il giardino è chiuso tutt'intorno: vieni, candida mia sposa! Tu mi hai proprio ferito al cuore, moglie mia! In vita mia non ho mai trovato nessuno senza difetti come te... Vieni, spassiamocela: ti ho scelto appunto per moglie e per mia consolazione!».
Ecco che parole le disse quel vecchio libertino. Allora lei fece segno a Damiano di andare avanti con la sua chiave. Damiano aprì il cancello ed entrò, senza farsi vedere o sentire da nessuno, e rapido s'acquattò sotto un cespuglio.
Quindi Gennaro, cieco come un sasso, con Maggiolina per mano, entrò con lei sola nel suo fresco giardino e chiuse subito il cancello.
«Ecco, moglie mia,» disse «qui non ci siamo che tu ed io, e tu sei la creatura ch'io amo di più al mondo. Per Dio che sta su in cielo, preferirei morire d'una coltellata, piuttosto che fare un torto a te, mia cara e fedele moglie! Tieni sempre presente, per amor di Dio, che t'ho scelta, non per lussuria, t'assicuro, ma solo per l'amore che ti portavo. E anche se sono vecchio e non ci vedo, restami fedele; ti prego perché... perché senz'altro ci guadagnerai tre cose: innanzi tutto l'amore di Cristo, poi il tuo onore ed infine tutta la mia eredità, casa e terre comprese. A te lascerò tutto, prepara pure tu le carte come credi... anzi, Dio s'abbia in gloria la mia anima, sarà fatto domani stesso prima che tramonti il sole!... Per prima cosa, intanto, suggella il patto con un bacio, e non rimproverarmi se sono un po' geloso! Tu mi sei così profondamente impressa nel pensiero, che, pur considerando la tua bellezza e insieme la mia eccessiva vecchiaia, ormai, a costo di morire, non posso fare a meno della tua compagnia... e tutto per puro amore, ti assicuro. Su, moglie mia, dammi un bacio, e poi passeggiamo.»
Sentendo queste parole, la fresca Maggiolina rispose affettuosamente a Gennaro, ma prima si mise a piangere. «Anch'io» gli disse «ho un'anima da salvare come avete voi, e poi il mio onore, e quel tenero fiore di femminilità che affidai alle vostre mani, quando il prete legò a voi il mio corpo; e perciò, col vostro permesso, mio buon signore, risponderò così: prego Iddio che non spunti mai l'alba del giorno in cui debba morire da svergognata, per aver recato oltraggio alla mia famiglia o per aver altrimenti macchiato il mio nome d'infedeltà; se mai dovessi commettere una simile mancanza, spogliatemi nuda, mettetemi in un sacco e annegatemi nel fiume più vicino. Ma io sono una gentildonna, non una sgualdrina... perché mi parlate in questo modo? Son gli uomini che sempre sono infedeli... e a noi donne tocca ancora sopportare le vostre sfuriate! Voialtri, credo, non sapete far altro che accusarci d'infedeltà e rimproverarci.»
Così dicendo, avendo visto il cespuglio dove Damiano se ne stava acquattato, si mise a tossire e a fargli segno col dito d'arrampicarsi sopra un albero ch'era pieno di frutta, e lui vi salì. Infatti ormai lui comprendeva ogni movimento o gesto che lei faceva meglio di Gennaro, suo marito, giacché in una lettera lei gli aveva spiegato tutto ciò che all'occorrenza avrebbe dovuto fare... E così lasciamolo là in cima a un pero, mentre Gennaro e Maggiolina continuavano a passeggiare.
Il giorno era splendido e il cielo azzurro; Febo mandava giù i suoi raggi d'oro a rallegrare ogni fiore col suo calore: pare che allora egli fosse nel segno dei Gemelli, ma a poca distanza dalla declinazione del Cancro, dove Giove ha il suo massimo potere. E così accadde, in quella radiosa mattinata, che nell'angolo più remoto del giardino, Plutone, il re delle fate, accompagnato da molte dame ch'erano al seguito di sua moglie, la regina Proserpina, che lui aveva rapito presso l'Etna mentre stava cogliendo fiori nel prato (potete leggere nelle storie di Claudiano in che modo la portasse via sul suo tremendo carro), accadde, dunque, che il re delle fate si sedesse su una panchina di zolle fresche e verdeggianti, e d'improvviso così parlasse alla sua regina:
«Moglie mia» le disse «nessuno lo può negare: l'esperienza ci dà ogni giorno prova dei tradimenti che le donne commettono contro l'uomo. Potrei citare centomila storie sulla vostra incostanza e sulla vostre fragilità. O saggio Salomone, ricco d'ogni ricchezza, colmo d'ogni sapienza e d'ogni gloria al mondo, le tue parole meritano proprio d'essere ricordate a chiunque abbia intelletto e ragione. Ecco com'egli loda sempre la bontà dell'uomo: 'Un uomo fra mille, l'ho trovato; ma una donna fra tutte, non l'ho trovata'. Ecco che cosa dice quel re che certo doveva intendersene della vostra cattiveria!... E mi pare che anche Gesù, "filius Syrak", parli di voi con ben poco rispetto... Ma vi prendesse stanotte per tutto il corpo una gran vampa e una schifosa pestilenza! Guardate là, quel nobile cavaliere: siccome, ahimè, è cieco e vecchio, sta per essere fatto cornuto dal suo servo. Guardatelo, quel vizioso, là sull'albero! Ebbene, con la mia potenza, farò in modo che quel vecchio e valoroso cavaliere cieco riprenda a vedere, proprio quando sua moglie starà per disonorarlo... così si renderà conto di quanto sia spudorata, e con lei verranno beffate anche parecchie altre!»
«Davvero?» fece Proserpina «farete questo? Ebbene giuro per l'anima del genitore di mia madre, ch'io fornirò a lei la risposta giusta, per amor suo e di tutte le donne dopo di lei; di modo che, anche se colte in fallo, sappiano difendersi a viso aperto e demolire chi voglia accusarle. Nessuna morirà per non saper che cosa rispondere. Anche se un uomo vede qualcosa con i suoi occhi, noi donne riusciremo sfacciatamente a camuffarla, a piangere, a giurare e a contestare così abilmente, che voi uomini rimarrete ingozzati come tante oche. Che m'importa dei vostri autori? So bene che quel giudeo di Salomone non trovò che insensate fra noi donne. Ma se lui non riuscì a trovarne neppure una che fosse buona, ci sono stati molti altri uomini che hanno trovato donne onestissime, ottime e virtuose. Prova ne siano quelle che vivono nella casa di Cristo e che hanno confermato col martirio la loro costanza. Anche la storia romana serba ricordo di molte mogli oneste e fedeli... Del resto, signor mio, non arrabbiatevi se le cose stanno così, perché, anche se quello disse di non aver trovato una sola donna buona, cercate per piacere di capire in che senso quell'uomo parlava: lui intendeva dire che di bontà sovrana non c'è che Dio, e nessun altro, uomo o donna che sia. Ma andiamo, quant'è vero che Dio è unico e solo, perché v'infervorate tanto con Salomone? Che importa se costruì un tempio per dare una casa al Signore? Che importa s'era ricco e glorioso?... Però costruì anche un tempio per gli dèi che sono falsi. Come avrebbe potuto fare una cosa più empia? Insomma, per quanto cerchiate di lustrarne il nome, lui non era che un libertino e un idolatra, e nella sua vecchiaia rinnegò il vero Dio. E se Dio, come dice la scrittura, non lo avesse risparmiato per amore di suo padre, avrebbe perduto il regno prima del tempo desiderato... Per me, tutte le calunnie che voialtri scrivete sulle donne non hanno il peso d'una larva! Io sono una donna e devo parlare, altrimenti mi si gonfia il cuore fino a scoppiare. Quello ha detto che siamo pettegole: ebbene, finché avrò trecce in testa, non potrò fare a meno di dir male, senza nessun riguardo, di chi ha voluto recarci offesa!»
«Madonna,» disse Plutone «non siate più in collera: mi arrendo! Però, siccome ho giurato che gli avrei restituito la vista, manterrò senz'altro la mia parola, io vi avverto. Sono re, e non sta bene ch'io racconti frottole!»
«Ed io» disse lei «delle fate sono regina! e vi assicuro che lei avrà la sua risposta. Ed ora basta con le parole, perché veramente non ho più voglia di discutere con voi»,
Torniamo dunque di nuovo a Gennaro, che cantava nel giardino con la sua bella Maggiolina, più allegro d'un picchio: «Nessun altro amo e amerò più di te!...». E se ne andava a passeggio per i viali finché ritornò presso quel pero su cui Damiano se ne stava beatamente seduto, in alto tra le foglie verdi e fresche.
La fresca Maggiolina allora, pur così splendida e radiosa, incominciò a sospirare e a dire: «Ah, il mio fianco!... Ecco, messere» fece «non ne posso più, devo avere qualcuna di quelle pere che vedo, altrimenti muoio dalla voglia di mangiarle... quelle piccole pere verdi. Aiutatemi, per amor di Colei che è regina del Cielo! Vi assicuro che una donna nelle mie condizioni può anche morire dalla voglia di frutta, se non ne può avere».
«Ahimè» fece lui «non ho qui neanche un garzone che possa arrampicarsi! Ahimè» si lamentò «che disgrazia esser ciechi!»
«Eh, signore, non importa» disse lei «per amor di Dio... basterebbe che voi vi abbracciaste al pero, visto che di me non vi fidate, e allora io potrei benissimo salire... mi basterebbe appoggiare un piede sulle vostre spalle.»
«Ma certo» disse lui «non mancherò... darei via il sangue dal cuore pur di aiutarti!»
Lui dunque si chinò e lei, montandogli sulle spalle, s'attaccò a un ramo ed eccola salire, e poi... (vi prego, gentili signore, non andate in collera: non so usare perifrasi, sono un uomo alla buona io!...) insomma, in un attimo Damiano le tirò su la gonna e glielo cacciò dentro.
Appena Plutone s'accorse di questo affronto, subito ridonò la vista a Gennaro, che riprese a vederci meglio di prima: nessuno era più felice di lui, ora che aveva riacquistato gli occhi! E, col pensiero sempre fisso sulla moglie, sollevò immediatamente lo sguardo all'albero... e vide che Damiano gli aveva conciato la moglie in un modo che non potrei descrivere senza parlare con poco rispetto. E allora mandò un ruggito e un grido come d'una madre a cui sia morto un figlio: «Ah!... aiuto, ahimè, soccorso!» si mise a urlare «...che fai, svergognatissima donna?».
E lei subito: «Signor mio, cosa gridate? Calmatevi, invece, e ragionate col cervello! Ecco che vi ho guarito tutti e due gli occhi dalla cecità... A costo di dannarmi l'anima, non lo nascondo, mi fu detto che, per guarirvi gli occhi, non c'era nulla di meglio, per farvi riacquistare la vista, che mettermi a lottare con un uomo in cima a un albero. Dio sa che l'ho fatto a fin di bene!».
«Lottare!» disse lui «già, ma quello ti si era cacciato dentro! Dio vi mandi a tutti e due una morte infame! Lui se la spassava con te, l'ho visto con i miei occhi: ch'io sia appeso per il collo se non è vero!»
«Ma allora» disse lei «la mia medicina non è servita, perché, se veramente foste in grado di vedere, non verreste a dirmi queste cose. Voi soffrite d'allucinazione e non avete vista buona!»
«Ci vedo benissimo» disse lui «con tutti e due gli occhi, grazie a Dio! e, parola mia, mi pareva proprio che lui facesse quel lavoro.»
«Pazzo, pazzo, signor mio!» disse lei «questo è il ringraziamento per avervi ridonato la vista. Ahimè!» soggiunse «m'ero data tanto da fare!»
«E va bene, madonna» disse lui «non pensiamoci più. Scendete, mia cara, e se ho parlato a torto, Dio m'aiuti, son pronto a pagare... Ma per l'anima di mio padre, avrei giurato d'aver visto che Damiano se ne stava con te e la tua gonna gli arrivava fino al petto.»
«Certo, messere» disse lei «voi potete immaginarvi quel che vi pare. Ma, signor mio, un uomo appena si sveglia dal sonno, non può afferrare immediatamente una cosa e vederla alla perfezione finché non è del tutto sveglio. Così un uomo, che è stato per molto tempo cieco, non può improvvisamente, appena gli torna la vista, veder bene, e questo per almeno un giorno o due... Finché gli occhi non si siano un po' ristabiliti, potrebbero ingannarvi più d'una volta. State attento, vi prego: per il Re del cielo, molta gente crede di vedere una cosa e invece ne vede un'altra. E chi male intende, peggio risponde!» E così dicendo, saltò giù dall'albero.
Chi era adesso più felice di Gennaro? La baciò e l'abbracciò più volte e, accarezzandole dolcemente il ventre, la ricondusse al suo palazzo, a casa... Ed ora, buona gente, vi prego di stare allegri; qui termina il mio racconto su Gennaro, e Dio ci benedica, come pure sua madre Maria Santissima!

Qui termina il Racconto del Mercante su Gennaro.

Epilogo AL RACCONTO DEL MERCANTE.

«Alt, divina misericordia!» disse allora il nostro Oste. «Dio mi guardi da una simile moglie! Pensate che astuzie e che imbrogli combinano le donne! Quando si tratta d'ingannare noialtri poveri uomini, diventano operose come api e non seguono mai il cammino della verità: lo dimostra chiaramente il racconto del Mercante. Ma, per fortuna, io ho una moglie schietta come l'acciaio, anche se è povera; però, in quanto a lingua, è una maledetta chiacchierona ed ha un mucchio d'altri difetti... Non c'è niente da fare; è meglio lasciar perdere. Volete proprio saperlo? Sia detto fra noi, sono amaramente pentito d'essermi legato a lei. Se stessi a farvi il conto di tutti i difetti che ha, sarei un minchione: sapete com'è, qualcuno della compagnia andrebbe subito a riferirglielo; non c'è bisogno che vi dica chi, perché le donne riescono sempre a smerciare questa roba, e poi non basterebbe il mio ingegno per raccontarvi tutto; e perciò, basta con le mie chiacchiere!»

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