Qui seguono le parole scambiate fra l'Oste e il Mugnaio.
Quando il Cavaliere ebbe così narrato il suo racconto, non vi fu giovane o vecchio in tutta la compagnia, specie se appartenente alla classe gentilizia, il quale non dicesse che quella era una nobile storia, degna d'essere ricordata. Il nostro Oste se la rise e disse: «Finché andiamo così, va benone! Il sacco dunque è aperto. Vediamo a chi tocca narrare un altro racconto ora che il gioco è incominciato così bene. Sentiamo un po' voi, messer Monaco, se siete capace di contraccambiare il racconto del Cavaliere...».
Ma il Mugnaio, tutto pallido per il gran bere, a mala pena reggendosi a cavallo, senza togliersi né il cappuccio né il cappello e senza star dietro per deferenza a nessuno, si mise con voce da Pilato a strepitare e a bestemmiare: «Per le braccia, il sangue e le ossa... lo so io un nobile racconto adatto all'occasione, col quale contraccambiare ora quello del Cavaliere!».
Il nostro Oste, vedendo che aveva bevuto troppa birra, gli disse: «Aspetta, mio caro fratello Robin, prima ce ne racconterà uno, una persona più importante. Aspetta, facciamo le cose con ordine».
«No, per l'anima di Dio!» fece quello. «Adesso parlo io, altrimenti me ne vado per la mia strada!»
«E allora al diavolo, parla!» rispose il nostro Oste. «Sei proprio pazzo, hai perduto la testa ...»
«Ecco, state tutti quanti a sentire!» disse il Mugnaio. «Ma prima voglio farvi una dichiarazione: io sono sbronzo, lo sento dalla voce; perciò, se parlo o m'esprimo male, prendetevela con la birra di Southwark, vi prego... Vi racconterò dunque la vita e la pia storia, d'un falegname e di sua moglie, e come uno studente facesse becco quell'artigiano.»
Lo rintuzzò il Fattore dicendo: «Piantala con i tuoi discorsi! Lascia stare le tue sconcezze da ignorante ubriacone! Peccato e gran follia è ingiuriare o diffamare un uomo, trascinando nella stessa infamia donne sposate. Faresti meglio a parlare d'altro».
Il Mugnaio ubriaco ribatté subito e disse: «Mio caro fratello Osvaldo, solo chi non ha moglie è sicuro di non essere cornuto! Con ciò non dico che tu lo sia... d'ottime mogli ce ne son tante: contro una cattiva, mille ce ne sono sempre buone; e tu dovresti saperlo, se non sei matto. Perché allora te la prendi tanto col mio racconto? Anch'io, perdio, ho una moglie, come ce l'hai tu: eppure, per i buoi del mio aratro, non voglio mica prendermela più del necessario, fino al punto di credermi... uno di loro! Non voglio neppure pensarci. Un marito non deve ficcare il naso nei segreti di Dio, e neppure in quelli di sua moglie: purché trovi il suo ben di Dio, non c'è bisogno che stia a fare tante inchieste».
Che dire di più? Il Mugnaio non volle per nessun motivo moderare le parole, ma narrò il suo racconto da villano pari suo. Ed io credo che sia mio dovere ripeterlo qui tale e quale. Non vorrei però, per amor di Dio, che qualche gentil persona mi ritenesse in mala fede, perché i racconti devo proprio riferirli tutti belli o brutti che siano, altrimenti in parte falserei il mio scopo. Chi perciò non vuol sentire questo, volti pagina e ne scelga un altro: potrà trovarne ancora certi, lunghi o brevi a piacimento, che invece trattano di nobiltà, morale e religione. Non prendetevela dunque con me se scegliete male! Il Mugnaio era un villano, questo lo sapete, e così fra gli altri pure il Fattore, e tutt'e due raccontarono ribalderie. Siete avvisati, non date a me la colpa, e poi, via, non bisogna prendere uno scherzo sul serio!
RACCONTO DEL MUGNAIO.
Qui comincia il Racconto del Mugnaio.
Viveva una volta a Oxford un ricco gaglioffo che teneva ospiti a pensione e di mestiere faceva il falegname. Abitava appunto presso di lui un povero studente, il quale aveva fatto studi da letterato, ma aveva una gran passione per l'astrologia e sapeva con certi suoi calcoli dar risposta a qualsiasi quesito: gli si chiedesse in quali ore il tempo sarebbe stato asciutto e in quali bagnato, o gli si domandasse quel che sarebbe accaduto di tante cose che non sto ora a elencarvi.
Questo studente veniva chiamato Nicola il cortese. Conosceva infatti tutti i segreti dell'amore e del piacere, ma era così cauto e riservato, che a vederlo pareva timido come una verginella. Aveva in quella casa una camera tutta per sé, senza bisogno di spartirla con altri, pulitissima e adorna d'erbe odorose; egli stesso era profumato come un tubero di liquirizia o zenzero! Ben sistemati su alcune scansìe alla testa del letto aveva il suo "Almagesto", con altri libri piccoli e grandi, il suo astrolabio, a lui utilissimo, e le sue tavole numeriche. La cassapanca era ricoperta d'una stoffa rossa, e sopra c'era posato un bel salterio col quale alla sera egli cantava così dolcemente, che tutta la stanza ne risuonava: cantava l'"Angelus ad virginem", e poi cantava l'inno del re... insomma, aveva mille benedizioni il suo allegro gargarozzo! E così si passava beatamente il tempo, quello studente, vivendo della sua retta e dell'aiuto di amici.
Il falegname aveva da poco sposato una donna che amava più della propria vita e che aveva diciott'anni. Gelosissimo, la teneva chiusa stretta in gabbia, perché lei era una giovane scavezzacollo, mentre lui era vecchio e temeva di restar cornuto. Balordo di mente com'era, non conosceva di sicuro Catone, il quale dice che bisogna sposarsi fra pari e che sposandosi bisogna tener conto delle proprie condizioni, giacché spesso gioventù e vecchiaia non si combinano. Ma ormai c'era cascato, e doveva perciò sopportare i propri guai, come fanno tutti.
Bella era la mogliettina, con il corpo snello e agile come un furetto. Portava una cintura a strisce, tutta di seta, e sui fianchi un grembiule pieghettato, bianco come il latte fresco del mattino. Anche la sua camicetta era bianca, e tutta ricamata, davanti e dietro e intorno al colletto, di seta nera come il carbone, sia all'interno che all'esterno. Le orlature della sua cuffia bianca erano della stessa foggia del colletto, con un grosso fiocco di seta bello alto. Certo aveva l'occhio vanerello, con due sopracciglia sottili e ben speluzzate, inarcate e nere come una prugnola. A vederla, era più gaia d'un giovane pero in fiore e più morbida della lana d'un agnello. Le pendeva dalla cintura una borsa di cuoio, con tasselli di seta e palline d'ottone che sembravano perle. Nessuno al mondo, neanche a cercare da tutte le parti, avrebbe mai potuto immaginarsi una pupa così graziosa o una donnina come quella. La sua carnagione era più splendente della moneta uscita fresca fresca dal conio della Torre. In quanto a voce, la sua era acuta e armoniosa come quella d'una rondine posata sul granaio. E inoltre sgambettava e giocava come un capriolo o una manzetta che corre dietro alla madre. Aveva la bocca dolce come il rosolio o il miele, oppure come le mele distese sul fieno o nella paglia. Era bizzosa come una vispa cavallina, lunga come un albero maestro e dritta come un fuso. Portava in basso sul colletto una spilla grossa come la borchia d'uno scudo; le scarpe affibbiate in alto lungo la gamba. Insomma era una mammola, una pupillina, degna di stare nel letto d'un signore e di sposare un ricco possidente.
Ebbene, messeri e signori miei, volle il caso che un giorno il cortese Nicola si mettesse a scherzare e a trastullarsi con questa donnina, mentre il marito si trovava ad Osney. Gli studenti, si sa, son birbe e furbacchioni... Ad un certo punto quello, quatto quatto, l'acchiappò per quella cosa e le disse: «Presto, se non me ne tolgo la voglia, con tutta questa mia passione nascosta, amor mio, io scoppio!». E stringendola forte alle cosce, soggiunse: «Amami subito, amore, altrimenti muoio e che Dio mi salvi!». Lei spiccò un salto come un puledro chiuso in un recinto e, voltando via velocemente la testa, disse: «Non ti bacerò mai, parola mia! Basta, smettila... smettila, Nicola, altrimenti griderò e chiamerò aiuto! Via, togli le mani, per cortesia!».
Nicola allora incominciò a chiederle scusa, e le parlò così abilmente e fu così efficace nelle sue proposte, che lei alla fine gli promise il suo amore e gli giurò, per San Tommaso di Kent, che si sarebbe messa a sua disposizione appena avesse trovato il momento buono. «Mio marito è così geloso, che se tu non sai aspettare e te ne fai accorgere, io sono spacciata» disse; «bisogna che tu sia molto prudente in questa faccenda.»
«Non preoccuparti» disse Nicola; «uno studente avrebbe speso piuttosto male il suo tempo, se non riuscisse a darla da intendere a un falegname!»
E si misero dunque d'accordo, ripromettendosi, come vi ho già detto, d'aspettare il momento buono. Avendo così stabilito tutto, Nicola la palpeggiò bene per le anche e dolcemente la baciò, poi prese il suo salterio e attaccò a suonare e a cantare.
Accadeva poi che alla festa questa brava moglie si recasse in parrocchia per le sue pratiche cristiane, con la fronte che le risplendeva chiara come il giorno, tutta lavata dopo il lavoro... Ebbene in quella chiesa c'era un sagrestano che si chiamava Assalonne. Aveva infatti i capelli ricci che brillavano come l'oro, slargati a forma di grosso ventaglio aperto, con la sua bella riga dritta e precisa; la carnagione rossa, e gli occhi chiari come quelli delle oche. Sulle scarpe portava intagliato il rosone di San Paolo e andava elegantemente a spasso in brache rosse. Era sempre tutto lindo e attillato, con una tunica di color chiaro e una fila bella spessa di occhielli, e sopra, una leggera cotta, bianca come un fiore sul ramo. Che Dio m'abbia in gloria, era un ragazzo sempre allegro! Sapeva inoltre praticar salassi, tagliare i capelli o fare la barba, e compilare un contratto di terreni o una ricevuta. Era capace di ballare alla moda di Oxford in una ventina di maniere, dimenando le gambe per tutti i versi; suonava canzoni col ribechino, accompagnandosi talvolta con una vocetta acuta, e sapeva suonar bene anche la chitarra. Non c'era in tutta la città birreria o bettola dove lui non bazzicasse con piacere, specie se la locandiera era una donna allegra. Ma, a dir proprio la verità, gli facevano un po' schifo le scoregge, e di parlare non gli andava tanto...
A parte ciò, Assalonne era un tipo vivace e gaio, e alla festa andava con l'incensiere a dar l'incenso alle donne della parrocchia, lanciando a tutte sguardi amorosi, specialmente alla moglie del falegname. Solo a guardarla, la vita gli pareva bella: era così attraente, dolce e appetitosa... vi assicuro che se lei fosse stata un topo e lui un gatto avrebbe fatto presto ad acchiapparla! Così vivo era il desiderio nel suo cuore, che ad un certo punto quest'allegro sacrista, Assalonne insomma, non volle più saperne delle offerte di altre donne e cortesemente disse di no a tutte.
Una notte che la luna splendeva bella chiara, Assalonne si prese la chitarra e pensò di stare a veglia del suo amore. Tutto felice e innamorato, se ne andò in giro finché non arrivò alla casa del falegname, poco dopo il canto del gallo, e si appoggiò vicino ad un balcone contro il muro. Poi incominciò a cantare col suo vocino delicato:
«Bella signora,
Se questa è la tua volontà,
Abbi, ti prego,
di me pietà!»
E intanto s'accompagnava con la chitarra. Il falegname si svegliò e, sentendolo cantare, si rivolse subito alla moglie e le disse: «Oh! Alison! lo senti Assalonne che canta sotto il muro di casa nostra?».
E lei pronta replicò al marito: «Sì, Giovanni, perdio se lo sento!».
La cosa passò liscia... meglio di così, come volete che andasse?
Da allora l'allegro Assalonne si mise a corteggiarla senza più darsi pace: rimaneva sveglio tutta la notte e tutto il giorno, si pettinava i suoi grossi boccoli facendosi bello, le mandava dietro mezzani e terze persone giurando che sarebbe stato suo schiavo, cantava gorgheggiando come un usignolo, le inviava vin dolce, idromele, birra aromatica e cialde tolte croccanti dai tizzoni e, siccome lei era in città, le offriva anche dei soldi perché si comprasse qualcosa. A questo mondo c'è chi si vince con la ricchezza, chi con le botte e chi con la gentilezza... Una volta, per dimostrarle la sua destrezza e la sua bravura, salì perfino in cima a un palco a recitare Erode. Ma a che gli serviva tutto questo? Lei era talmente innamorata del cortese Nicola, che Assalonne poteva giusto suonare il corno del caprone... Con tutto il suo da farsi, non riceveva che scherno: lei lo trattava da gonzo e tutta la sua serietà prendeva in ridere. Eh, non sono storie, ha ragione quel proverbio che dice: «Chi è astuto e vicino, riesce sempre a fare odiare chi è lontano». Infatti per quanto Assalonne impazzisse e infuriasse, trovandosi lontano dagli occhi di lei, Nicola a lei vicino lo metteva in ombra. Ed ora, forza, cortese Nicola! Assalonne intanto può giusto frignare e cantar lamentele!
Un sabato capitò che il falegname fosse di nuovo ad Osney. Allora il cortese Nicola e Alison, mettendosi d'accordo, stabilirono che Nicola avrebbe organizzato uno scherzo per prendere in giro quel balordo marito geloso: se la burla fosse riuscita bene, lei avrebbe dormito tutta una notte fra le braccia di lui, giacché in fondo era questo il desiderio di tutt'e due... E subito, senza tante parole e senza perdere tempo, Nicola quatto quatto si portò in camera sua da mangiare e da bere per un giorno o due. A lei raccomandò che, se mai il marito le domandasse di lui Nicola, gli dicesse che non sapeva dov'era, che non lo aveva visto apparire in tutto il giorno e che anzi credeva fosse ammalato, perché la serva, per quanto avesse chiamato, non l'aveva sentito e non c'era stato verso di farlo rispondere.
Per tutto quel sabato le cose andarono lisce: Nicola se ne rimase zitto in camera sua, mangiando e dormendo e facendo gli affari suoi fino alla domenica al tramonto.
Quel balordo di falegname ebbe allora una gran preoccupazione per Nicola o per ciò che poteva essergli accaduto, e disse: «Per San Tommaso, ho paura che Nicola non stia bene davvero... Dio non voglia che improvvisamente sia crepato! Certo, a questo mondo non c'è mai nulla di sicuro: proprio oggi ho visto portare morto in chiesa uno che lunedì scorso avevo visto al lavoro...». E ad un tratto disse al suo garzone: «Va' un po' su dalla porta a chiamarlo, e picchia con un sasso: guarda che succede e poi corri subito a dirmelo».
Il servo andò su difilato e, piantandosi davanti alla porta della stanza, si mise a gridare e a bussare come un matto: «Ehi, ehi, che cosa fate, mastro Nicola? Come potete dormire tutto il santo giorno?».
Tutto inutile, non ebbe una parola di risposta. Però giù in fondo a un'asse della porta trovò il buco dove di solito passava il gatto e, mettendosi a guardare intentamente da quel buco, alla fine riuscì a vedere Nicola, il quale stava seduto con la bocca spalancata per aria, come se dovesse scrutare la luna nuova. E allora scese giù di corsa a dire al suo padrone in che stato aveva trovato quel cristiano!
Il falegname si fece il segno della croce e disse: «Aiutaci tu, Santa Frideswide! Non si sa mai che cosa ci deve capitare. Questo qui, con la sua astronomia, è diventato matto o è caduto in delirio... lo sapevo che sarebbe andata così! Gli uomini non dovrebbero mai indagare i segreti di Dio: beato l'ignorante che conosce solo il Credo! Già un altro studente andò a finire così con la sua astronomia: camminava per i campi per vedere, dalle stelle, quello che sarebbe successo, e andò a finire in un pozzo, perché quello non l'aveva visto! Ma adesso, San Tommaso benedetto, mi rincresce proprio per il cortese Nicola. Bisogna che gliene dica due, per via di tutti questi suoi studi, ma chissà se farò ancora in tempo, Cristo re del cielo!... Robin, cercami un bastone: io farò leva sotto, e tu tirerai su la porta... Vedrai che la smetterà di almanaccare!». E andò di corsa alla porta della camera.
Il garzone era un pezzo d'uomo, proprio quello che ci voleva, e in un attimo sollevò dai cardini la porta, che in quattro e quattr'otto sbatté per terra. Nicola era ancora là seduto, fermo come un sasso, sempre con la bocca in aria, spalancata.
Il falegname, pensando che fosse spiritato, lo afferrò di peso per le spalle e si mise a scuoterlo forte e a gridare a squarciagola: «Ehi Nicola, ehi, ehi! Ma via, guarda un po' giù! Svegliati e pensa piuttosto alla passione di Cristo... Io ti segno col segno della croce contro le streghe e gli spiriti maligni!» E andò di corsa intorno ai quattro canti della casa e sugli scalini della porta, a recitare lo scongiuro della notte:
«Gesù e San Benedetto
liberate questo tetto
dagli spiriti maligni!
E tu, sorella di San Pietro,
la nera notte manda indietro
con un bianco Paternoster!».
Alla fine il cortese Nicola si mise a sospirare penosamente e disse: «Ohimè! Ma proprio tutto il mondo dev'essere improvvisamente sterminato?».
Il falegname gli rispose: «Ma che dici? Ehi, pensa piuttosto a Dio, come facciamo noi che lavoriamo!».
Nicola continuò: «Portami da bere... poi voglio dirti in segreto una certa cosa che riguarda me e te... non ne parlerò con nessun altro, sta' tranquillo!».
Il falegname andò giù e ritornò portando un litro abbondante di birra, di quella forte; e quando ognuno ebbe bevuta la sua dose, Nicola chiuse ben bene la porta e si fece sedere il falegname vicino. E gli disse: «Giovanni, mio caro amato padrone di casa, tu mi devi giurare, sul tuo onore, che a nessuno rivelerai questo segreto; perché quello che ti dico è un segreto di Cristo e, se vai a raccontarlo in giro, sei perduto. Difatti, se mi tradisci, la punizione che avrai sarà quella di diventar matto!». «No, Cristo, per il suo santo sangue, me ne liberi!» fece quell'insensato. «Io non sono un pettegolo e ti assicuro che non mi piace andare in giro a far chiacchiere. Dimmi pure quello che vuoi... non andrò certo a riferirlo a delle donne o dei bambini, in nome di Colui che discese all'inferno!»
«Dunque, Giovanni» disse Nicola «non ti racconto storie, ma con la mia astrologia ho scoperto, mentre scrutavo la luna chiara, che lunedì prossimo, passato il primo quarto della notte, verrà un acquazzone, ma così furioso e scatenato, che sarà come due volte il diluvio di Noè! Sarà un rovescio così terribile, che in meno di un'ora il mondo intero verrà sommerso e tutto il genere umano annegherà e perderà la vita.»
Fece il falegname: «Oh, povera moglie mia! annegherà anche lei? Ahimè, mia povera Alison!». E per poco non cadde a terra per il dispiacere, e soggiunse: «Ma non c'è proprio nessun rimedio?»
«Sì, perdio che c'è!» disse il cortese Nicola «basta che tu voglia agire con cognizione e con giudizio, senza metterti a fare di testa tua. Anche Salomone, ch'era così sapiente, dice: 'Agisci con giudizio e non te ne pentirai'. Se dunque avrai buon senso, ti assicuro che anche senza trinchetto e senza vela riuscirò a mettere in salvo lei e te e me. Non hai mai sentito raccontare come si salvò Noè, quando nostro Signore lo avvertì che il mondo intero sarebbe stato distrutto dall'acqua?»
«Sì» fece il falegname «tanti anni fa.»
«Non hai mai sentito parlare» disse Nicola «della fatica di Noè e dei suoi compagni, prima di riuscire a far entrare nell'arca sua moglie? Ci scommetto che in quel momento avrebbe dato via tutte le sue belle pecore con la lana nera, purché lei avesse avuto una barca per sé sola. Sai perciò qual è la miglior cosa? Far presto; e per far presto non si può stare a predicare e a far chiacchiere... Cerca dunque per la casa una tinozza o un barile per ciascuno di noi, ma bada che siano belli grandi, in modo che vi si possa galleggiare come in barca, e che c'entri da mangiare almeno per un giorno... al diavolo tutto il resto! Intanto il mattino dopo l'acqua farà presto a calare e ad andar via... Ma di tutto questo il tuo garzone Robin non deve saper niente, e neppure posso mettermi a salvare la tua serva Gille: non chiedermi perché, tanto, anche se me lo chiedi, non ti dirò mai ciò che è un segreto di Dio. A meno che tu non sia matto nel cervello, dovrebbe bastarti d'aver ricevuto una grazia grande come quella di Noè... Sta' tranquillo, tua moglie la metterò in salvo io: tu va' dove devi andare e sbrigati. Quando hai trovato queste tre tinozze, una per lei, una per te e una per me, appendile al soffitto, bene in alto, ma senza che nessuno s'accorga dei nostri preparativi,. Quando hai fatto come t'ho detto e in ciascuna hai messo ben bene da mangiare, ficcaci dentro anche una scure: con essa, appena verrà l'acqua, taglieremo in due la corda e ce n'andremo, aprendoci un varco in alto sul tetto, dalla parte del giardino, sopra la stalla. E appena il grande acquazzone cesserà un po', via liberi per la nostra strada! Vedrai, navigherai allegro come l'anitra bianca che corre dietro al maschio! Allora mi metterò a chiamare: 'Ehi, Alison! Ehi, Giovanni! State allegri, la piena passerà presto!'. E tu risponderai: 'Salute, mastro Nicola, buon giorno! Ti vedo benissimo, è già chiaro...'. E per tutta la vita saremo ormai padroni del mondo intero, come Noè e sua moglie!... Ma di una cosa ti devo mettere bene in guardia: la notte che saliremo a bordo delle nostre barche, nessuno di noi potrà dire una parola, né chiamare o far schiamazzi, ma ciascuno dovrà starsene in preghiera; bada che questa è la sacrosanta volontà di Dio! Tu e tua moglie dovrete stare ben separati l'uno dall'altra, affinché fra voi, come dice il comandamento, non vi sia peccato, non soltanto con gli atti, ma neppure con gli occhi... Ora va', e che Dio t'accompagni! Domani sera, quando tutti dormiranno, noi c'infileremo dentro le nostre arche e ce ne staremo là seduti ad aspettare la grazia di Dio. Va', dunque, non ho più tempo di star qui a predicare. Dice il proverbio: 'Datti da fare e non chiacchierare...'. Tu comprendi, non c'è bisogno che ti spieghi. Va', salvaci la vita, ti supplico!» E quello stupido d'un falegname, gemendo in continuazione «ahimè» e «povero me!», se ne andò di corsa a spifferar tutto a sua moglie, la quale, già informata, sapeva meglio di lui che cosa volesse dire tutta quella strana storia. Tuttavia, facendo finta d'aver una paura da morire, gli disse: «Povera me! Va' subito dove devi andare e aiutaci a filar via, altrimenti siamo tutti perduti... io sono la tua fedele e legittima moglie... va', mio caro sposo, e aiutaci a mettere in salvo la pelle!».
Eh, sì, gran cosa è la fantasia! Uno può talmente impressionarsi, da morire per solo effetto d'immaginazione... Quel balordo falegname incominciò a tremare credendo di vedere veramente il diluvio di Noè, che, a ondate come il mare, veniva a sommergere la sua dolce e cara Alison; e si mise a piangere e a lamentarsi e a far la faccia triste, senza mai smettere di sospirare. Andò poi a comprare una tinozza, un barile e una botte; di nascosto li mandò a casa e, sempre in gran segreto, li appese al soffitto. Costruì con le proprie mani tre scale, in modo da poter salire per mezzo dei loro staggi e piuoli dentro i tre recipienti appesi ai travi, e rifornì tinozza, barile e botte di pane, formaggio e un buon boccale di birra, più che sufficienti per un giorno. Ma prima di mettere in atto tutto questo, aveva mandato il garzone e la serva a fargli alcune commissioni a Londra...
Il lunedì, cominciò appena a far notte ch'egli chiuse la porta di casa e, senza neppure accendere la candela, sistemò ogni cosa al suo posto. Subito dopo salirono tutti e tre ai loro posti. Rimasero per un bel po' seduti senza muoversi, poi Nicola disse: «Ora, un "Paternoster" e... silenzio!».
«Silenzio!» ripete Giovanni.
«Silenzio!» replicò Alison.
Il falegname disse la sua orazione rimanendo fermo accovacciato; recitata la preghiera, si mise in ascolto aspettando che arrivasse la pioggia. Ma verso l'ora del coprifuoco, credo, o poco più tardi, sfinito dalla stanchezza, fu preso da un sonno mortale e, avendo l'animo tutto in subbuglio, si mise a russare lamentandosi... anche perché stava con la testa storta. Allora Nicola se ne scese per la scala, e svelta lo seguì Alison in silenzio. E senza una parola se ne andarono a letto, proprio in quello dove di solito dormiva il falegname. E là vi furono feste e canti... Insomma, Alison e Nicola se ne rimasero coricati insieme fra sollazzi e allegrezze finché non suonò la campana del mattutino e i frati non si recarono nel coro a cantare.
Nel frattempo quello scaccino cascamorto di Assalonne, che in amore era sempre così sfortunato, proprio quel lunedì si trovava ad Osney per stare allegro e distrarsi un po' in compagnia; e gli capitò di chiedere in segreto notizie di Giovanni il falegname ad un monaco. Costui lo tirò in disparte fuori della chiesa e gli disse: «Non so, qui non l'ho più visto a lavorare fin da sabato. M'immagino che sia andato a prendere del legname per commissione del nostro abate. Ci va spesso per legname, e si ferma nella masseria per un giorno o due. Se no dev'essere a casa, senz'altro. Ma di preciso non so dove sia».
Assalonne fu contento e sollevato di sentir ciò, e fra sé disse: 'È la volta che potrò stare a veglia tutta la notte, perché da stamattina non l'ho visto aggirarsi intorno alla porta di casa... Che bellezza! Al canto del gallo andrò quatto quatto a bussare alla finestra di camera sua che è bassa sul muro; dirò ad Alison tutto il mio desiderio d'amore, e se non altro non perderò l'occasione per lo meno di baciarla... insomma, qualche soddisfazione l'avrò. E' tutto il giorno che mi prude la bocca, e questo è un segno che indica baci; ho anche sognato tutta la notte d'essere a una festa... Andrò dunque a dormire un'oretta o due, così poi stanotte starò su a spassarmela!'.
Appena il primo gallo si mise a cantare, Assalonne, felice e innamorato, s'alzò e si fece tutto bello. Per prima cosa, prima ancora di pettinarsi i capelli, masticò alcuni granelli di liquirizia per profumarsi l'alito; poi, per rendersi ancora più piacente, si mise sotto la lingua una fogliolina d'amor sincero. S'incamminò così verso la casa del falegname e, appostandosi sotto il balcone (era tanto basso, che gli arrivava al petto), si mise tutto mite a tossicchiare a mezza voce: «Che fai, bocca di miele, mia dolce Alison? Mio vago uccelletto, mia dolce cirillina, svegliati, amoruccio mio, e parlami! Ben poco tu pensi al mio dolore, mentre dovunque io vada mi sciolgo d'amore per te. E per forza mi sciolgo e mi consumo: piango sempre come un agnello dietro alla poppa! Sì, amor mio, il mio desiderio è così forte, ch'io gemo come una tortorella e non mangio più d'una fanciulla!».
«Vattene dalla finestra, Checco balordo!» rispose lei. «Dio me ne liberi, non ti dirò mai di venire a baciarmi! Io amo un altro (se no, starei fresca ...) che, per Cristo, è molto meglio di te, Assalonne! Vattene per la tua strada o ti prendo a sassate, e lasciami dormire, corpo di venti diavoli!»
«Ahimè» disse Assalonne «ahimè, l'amore sincero è sempre stato trattato male!... Se non posso aver niente di meglio, almeno dammi un bacio, te lo chiedo per amor mio e per amore di Gesù!»
«Ma poi te ne andrai per la tua strada?» gli chiese lei.
«Ma sì, certo, amore!» rispose Assalonne.
«Allora preparati» disse lei «io vengo subito.» E sottovoce disse a Nicola: «Ora zitto, avrai da ridere fin che vuoi!».
Assalonne si mise in ginocchio e disse: «Ormai sono un signorone, perché, dopo questo, verrà dell'altro! Amoruccio mio... la tua grazia, il tuo favore, mio dolce uccellino!».
Lei aprì in fretta la finestra e disse: «Tieni, via, e sbrigati, che non ti vedano i vicini!».
Assalonne s'asciugò per bene la bocca. La notte era buia come la pece o il carbone: lei si sporse col sedere dalla finestra e Assalonne, senza rendersene conto, la baciò saporitamente con la bocca né più né meno che in mezzo alle chiappe nude.
Ma subito sobbalzò indietro, pensando che qualcosa non andava: sapeva di certo che una donna non ha la barba, e invece lui aveva sentito un affare tutto ruvido e peloso. «Puh, puh!» disse «ohimè, che cosa ho combinato?»
«Ah, ah!» fece lei, e chiuse la finestra, mentre Assalonne s'allontanava tutto avvilito.
«Una barba! una barba!» si spanciava il cortese Nicola. «Corpo di Dio, questa è stata bella davvero!»
Quel poveraccio di Assalonne, sentendo tutto questo, si morse con rabbia le labbra e disse fra sé: 'Me la pagherai!'. E si mise a fregarsi e a strusciarsi le labbra con la polvere, con la sabbia, con la paglia, con pezze e con trucioli, e intanto non faceva che ripetere:
«Ohimè... ohimè... Darei l'anima a Satana anche senz’avere in cambio tutta questa città, purché mi vendicasse di questa beffa! Ohimè» continuava a dire «ohimè, mi fossi girato dall'altra parte!». Tutta la sua ardente passione ormai s'era raffreddata e spenta: dall'istante che le aveva baciato le chiappe, non gl'importò più un fico della sua bella... ormai era bell'e guarito del suo male! E continuava a imprecare contro tutte le ragazze e piangeva come un bambino che, le ha buscate. A passi lenti attraversò la strada finché non arrivò da un fabbro che si chiamava mastro Gervasio e che nella sua fucina costruiva arnesi per arare. In quel momento era tutto indaffarato ad affilare vomeri e lame. Assalonne bussò piano e disse: «Aprimi, Gervasio, presto!».
«Perché, chi sei?»
«Sono io, Assalonne!»
«Ma come, Assalonne! Per la santa croce di Cristo, perché mai ti alzi tanto di buon'ora, eh? "Benedicite!" Cos'é che non va? Eh sì, lo sa Dio che qualche donnina allegra ti ha mandato qui di premura! Per San Neot, sai bene quello che voglio dire!»
Ad Assalonne non importava un cavolo di tutte quelle burle e neanche gli rispose. Aveva molto più filo da torcere di quanto Gervasio credesse, e gli disse: «Mio caro amico, prestami quel ferro rovente che hai lì dentro il fornello: ne ho bisogno un momento e te lo riporto subito».
Gervasio rispose: «Certo, neanche fosse oro o una borsa di soldi ancora da contare... certo che lo puoi prendere, quant'è vero che faccio il fabbro! Ma, corpo di Cristo, che te ne vuoi fare?».
«Sia come sia» disse Assalonne «quel che me ne faccio, te lo dirò domani!» E, preso il ferro dalla parte ch'era freddo, se la squagliò quatto dalla porta e se ne andò sotto il muro di casa del falegname. Si mise prima a tossicchiare, e poi bussò alla finestra, come aveva già fatto una volta. Alison disse: «Chi è che bussa a questo modo? Scommetto che è un ladro!».
«Oh, no!» disse lui «Dio non voglia, mio dolce tesoro, sono io, il tuo Assalonne, mia cara!» E soggiunse: «Ti ho portato un anello d'oro. Che Dio mi salvi, è un dono di mia madre, ed è molto bello, tutto ben lavorato. Se mi dai un bacio, te lo regalo!».
Nicola, che in quel momento s'era alzato per orinare, pensò che l'opera sarebbe stata davvero completa se anche a lui, prima d'andarsene, quello avesse baciato il sedere. Salì in fretta sulla finestra, e al buio sporse fuori il deretano, dai lombi fin sotto l'osso delle cosce.
Disse in quell'istante il sacrista Assalonne: «Parla, mio dolce uccellino, non so dove sei!». E Nicola, svelto, gli mollò una gran scoreggia con uno schianto come quello d'un tuono... l'altro per poco non rimase accecato dal rombo, ma pronto, col ferro rovente, colse Nicola proprio in mezzo alle chiappe! Il ferro era ancora così infuocato, che gli portò via quasi una spanna di pelle, ed egli credette di morire dal dolore e, come impazzito, si mise a gridare: «Aiuto! acqua! acqua! aiuto, per amor di Dio!».
Il falegname allora balzò dal sonno e, sentendo che qualcuno urlava «acqua!» come un forsennato, pensò: «Ah, ecco che arriva il diluvio di Noè!». E senza dir altro saltò su, tagliò in due la corda con la scure, e tutto precipitò: non fece davvero in tempo a liberarsi del pane e della birra prima d'arrivare a terra, sul pavimento... e là rimase svenuto.
Alison e Nicola si slanciarono sulla strada gridando: «Aiuto! Accorrete!». E subito tutti i vicini, dal primo all'ultimo, corsero a vedere quell'uomo che giaceva ancora in deliquio, pallido e smorto, perché nella caduta s'era rotto un braccio. Ma il suo male dovette tenerselo: appena cercò di parlare, venne sopraffatto immediatamente dal cortese Nicola e da Alison, i quali dissero a tutti che lui era impazzito e nella sua fantasia s'era talmente fissato col diluvio di Noè, da comprare per scempiaggine tre tinozze, e le aveva appese lassù al soffitto, pregando anche loro due d'andare, per amor di Dio, a sedersi nel solaio per fargli compagnia! Tutti si misero a ridere di quella sua fantastica idea, e guardarono e contemplarono il soffitto, prendendo tutto il suo male in burla.
Anche più tardi ebbe un bel dire quel falegname: nessuno volle mai sentire le sue ragioni; tanto si scalmanò intorno a bestemmiare, che alla fine tutta la città lo credette davvero pazzo. Gli studenti poi, facendo lega l'uno con l'altro, andavano in giro a dire: «Quello lì, mio caro fratello, è matto!». E tutti si mettevano a ridere di quel baccano.
Così, pur con tutte le sue precauzioni e la sua gelosia, il falegname ebbe la moglie disonorata, a lei Assalonne baciò l'occhio di dietro, e Nicola rimase col sedere scottato. Questa storia è finita, e Dio salvi tutta la compagnia!
Qui finisce il Racconto del Mugnaio.
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