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venerdì 3 ottobre 2014

LE DONNE, I CAVALIER, L'ARME GLI L'AMORI, LE CORTESIE, L'AUDACI IMPRESE


I tornei e le giostre cavalleresche sono diventati nel tempo elementi spettacolari essenziali del “ tempo della festa” laica che ricorre nella vita di ogni comunità, con la sua portata di rottura della routine e di consolidamento del corpo civico nel rito.  All’origine di questa pratica vi eratuttavianient’altro che un’esigenza dei nobili di allenarsi alla guerra nei mesi invernali, quando le campagne militari e le battute di caccia erano sospese. Fu in un secondo momento, a partire dalla fine dell’XI secolo, che questa esercitazione assunse i modi e i fasti dello spettacolo, sotto l’impulso di un mondo –quello feudal-cavalleresco- al crepuscolo, che legava la propria supremazia, nonché raison d’être, alle armi alla terra. È proprio nel momento in cui  emergono nuove realtà sociali più dinamiche, in grado, pertanto, di minare l’ordine esistente (ad esempio il ceto mercantile, i ceti comunali, la crescente autorità delle monarchie nazionali centralizzate), che va collocato il “canto del cigno” del mondo cavalleresco, ad esempio con i romanzi cortesi  e l’istituzione dei tornei in quanto spettacoli. L’inattualità di tale autoesaltazione nostalgica, sottrae la nobiltà all’hic et nunc della storia per consegnarla direttamente all’immaginario fantastico e senza tempo dei popoli.  D’altra parte, un pubblico vario e vasto si dimostrò velocemente ricettivo nei confronti di queste dimostrazioni pseudo-marziali, così che i tornei assunsero un aspetto sempre più spettacolare e allo stesso tempo rituale (con tanto di cerimoniale), e furono, pertanto, organizzati per celebrare vittorie, ma anche ricorrenze d’altro tipo, persino feste religiose. Questo intreccio di rievocazione storica, spettacolo, culto e festa sotto l’egida della magnificazione del potere era un costume particolarmente in auge presso i sovrani normanni dell’Italia meridionale e Sicilia, attenti a ricreare, come ci ricorda lo studioso S. Tramontana,  «l’atmosfera della grandiosa e sfarzosa rappresentazione, curata da un rigido cerimoniale, quella di un avvenimento ufficiale: la dimostrazione del potere, l’arte cioè di combinare la logica del dominio con la festa, il cui compito era quello di suscitare sentimenti di persuasione, di venerazione, di sottomissione […]Non diversamente, del resto, da quanto, in termini più riduttivi, mettevano in opera, nelle varie aree del regno, feudatari laici ed ecclesiastici con un programma iconografico che riservava […] parte preponderante alla tematica del potere, nella cui espressione simbolica, è stato recentemente osservato, trovava il suo giusto posto sia l’introduzione di motivi tratti dalla cultura dei signori normanni, sia la massiccia presenza di modelli profani, e, appunto, più precisamente politici, che si riallacciavano a precise situazioni storiche di cui la Chiesa stessa si faceva partecipe» (S. Tramontana, L’effimero nella Sicilia normanna, Palermo, Sellerio, 1984, pp. 15-7). In particolare, sembra che i Normanni amassero dar sfoggio dell’opulenza delle proprie corti mediante cavalcate dei cortei regi in occasioni particolarmente importanti (un esempio su tutti, le due cavalcate per le vie di Palermo in occasione dell’incoronazione di Ruggero II). Ed è proprio col nome di “Cavalcata” che nei secoli è stata tramandata, nel comune siciliano di Piazza Armerina (En), la corsa di cavalli in onore di Maria Santissima delle Vittoriea partire dal 1952 “Palio dei Normanni”. Nella “Cavalcata” piazzese culto religioso, rievocazione storica e leggenda si fondono, dato che la Madonna protettrice della città non è altri che quella raffigurata sul sacro vessillo o palio (dal latpalliumun drappo dipinto, si pensada San Luca, e raffigurante la Madonna con Gesù bambino) donato da papa Alessandro II a Ruggero d’Altavilla in occasione della trentennale (1061-91) “crociata” di liberazione della Sicilia dal giogo saraceno, cui venne attribuita la vittoria del fronte normanno. A guerra finita, Ruggero I affidò il signum victoriae alle truppe aleramiche, fatte insediare  nella città saracena di Iblâtasa o Iblâtana (molto probabilmente la Ibla Elatson o Elatton di cui ci parla il geografo Idrisi, corrispondente all’antica Ibla Geleate mezionata da Tucidide), ribattezzata Placia o Platza (in quanto piazza d’armi delle milizie normanne) Anche un’altra prodigiosa “liberazione” è all’origine del culto della Madonna: la liberazione dalla “peste nera” del 1348, grazie al rinvenimento del Vessillo fatale, che nel 1161 i “lombardi” (gli Aleramici) seppellirono, sottraendolo così alla furia distruttrice di re Guglielmo I, detto “il Malo” (nipote di Ruggero I, resse la Sicilia dal 1154 al 1166). Fu la Beata Vergine, apparsa in sogno al sacerdote Giovanni Candilia, a guidare i piazzesi nella badia fortificata sull’eremo di Santa Maria, i quali, rinvenuta la sacra effigie della Madonna Santissima delle Vittorie, la riportarono in città (ricostruita nel 1163, dopo la distruzione ad opera del “Malo”, sulle pendici del colle Armerino) e furono liberati dalla pestilenza A seguito di questi fatti, dunque, tra storia e leggenda, in occasione dei festeggiamenti in onore della patrona della città, nasce Il Palio dei Normanni di Piazza Armerina.  È parimenti in concomitanza con la celebrazione della Santa patrona di Motta S. Anastasia (Ctche ha luogo un poderoso carosello, a sua volta elemento di spicco delle feste medievali più note dell'isola. A differenza del Palio dei Normanni, d’altra parte, i festeggiamenti del comune etneo non sono legati alla rievocazione puntuale di un episodio storico significativo, o almeno a un primo impatto: in alto, infatti, la torre basaltica presidia la festa, opera dello stesso Ruggero I che abbiamo incontrato nella prima tappa del nostro viaggioe la sua evidenza da sola ricolloca nella storia la piacevole atmosfera medievale creata dalla sapiente maestrìa di musici, artisti, sbandieratori -i famosi sbandieratori di Motta-, danzatrici, saltimbanchi. Già nel nome, Motta porta con sé il marchio normanno, che ne ha definitivamente plasmato la geografia di avamposto difensivo della piana di Catania. Un modello insediativo, quello della motta sopraelevata, che i Normanni applicarono capillarmente nei loro domini, dall’Inghilterra all’Italia meridionale, e cheparimenti, si può scorgere nella topografia di  Buccheri (Sr). Analogamente agli altri comuni “normanni” del nostro itinerario, anche questo piccolo borgo dei monti Iblei, ad agosto, è teatro di una festa d’ispirazione medievale, il Medfestla cui peculiarità è rappresentata dai rinomati tamburini, che ai piedi delle rovine del castello infondono l’energia dei loro strumenti alla festa.

Articolo di Eros Reale. Tutti i diritti riservati

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