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mercoledì 15 ottobre 2014

INTERVISTA A BARBARA FRALE SUL "GRAN RIFIUTO" DI CELESTINO V - ARTICOLO DI FEDERICA GAROFALO

Non è soltanto una preparazione di tipo liturgico quella che la chiesa di San Pietro in Camerellis, immersa tra i locali di Via Roma, ha dedicato al suo santo patrono apostolo e primo dei pontefici, festeggiato insieme al suo “collega” Paolo il 29 giugno; agli appuntamenti di spiritualità si susseguono anche iniziative culturali, come la conferenza “Il ritrovamento della tomba di San Pietro”. Relatrice d’eccezione, Barbara Frale, membro del comitato scientifico dell’Archivio Segreto Vaticano, e una dei maggiori specialisti in Europa della storia dell’ordine templare (quella seria), sul quale ha sfatato molti miti. Il suo aspetto semplice e riservato non deve trarre in inganno: essendo a contatto diretto, da anni e anni, con scartoffie papali di almeno un millennio, Barbara Frale conosce fatti e misfatti dei successori di Pietro dal Medioevo ad oggi, soprattutto quelli privati, quelli che al grande pubblico restano tuttora poco conosciuti. E due dei suoi ultimi libri mirano proprio ad aprire (metaforicamente) le porte degli appartamenti pontifici medievali, e svelare cose che finora solo gli specialisti hanno potuto guardare quasi dal buco della serratura. Il titolo del primo libro, uscito lo scorso ottobre, parla quasi da solo: L’inganno del gran rifiuto. La vera storia di Celestino V, papa dimissionario. Le chiediamo il perché di questo libro.
«È un libro che mi fu commissionato dalla casa editrice UTET in seguito alle dimissioni di Benedetto XVI, che i media subito paragonarono al “gran rifiuto” di Celestino V. E, in effetti, ci sono molte somiglianze fra i due casi. Di Celestino V, al secolo Pietro da Morrone, ci viene presentata una immagine molto appiattita, e abbiamo anche nome e cognome dei “colpevoli” di questa distorsione: Dante, che lo considerava causa delle sue disgrazie perché dovette andare in esilio proprio per colpa del successore Bonifacio VIII, e Filippo IV re di Francia, detto il Bello, che intentò un processo postumo contro papa Bonifacio VIII accusandolo di eresia, e per metterlo nella peggior luce possibile, fece presentare il suo predecessore come un santo. In realtà, Pietro da Morrone aveva un’ampia fama di santità anche prima di diventare papa, e infatti oggi per la Chiesa è beato. Ha commesso un solo errore: quello di accettare la porpora, per obbedienza. Lui non era affatto un uomo di governo: era un eremita, estremamente ascetico, completamente inadatto a muoversi nel complesso ambiente della Curia romana, e difatti commise molti errori, rilasciò privilegi in maniera sconsiderata, si dimostrò insomma un sant’uomo ma un pessimo politico. Ed egli stesso se ne rese conto, tanto che, con un atto clamoroso, lasciò il pontificato e tornò alla sua vita eremitica.»
Dunque non fu Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, a costringerlo ad abdicare, lui che tra l’altro è stato anche accusato di aver fatto morire di fame e di sete il suo predecessore nella prigione di Fumone?
«Fumone non era una prigione, ma un castello, in una delle cui torri si era sistemato Celestino V, e non ci si poteva aspettare altro da lui, dato il suo temperamento ascetico. In più aveva 87 anni e un’ulcera al polmone: con questi dati alla mano, non stupisce affatto che sia morto in poco tempo. A proposito di questa faccenda, c’è un particolare grottesco: Filippo il Bello, durante il processo postumo contro Bonifacio VIII, voleva dimostrare a tutti i costi che fosse stato lui a far assassinare Celestino V, anche a costo di truccare le carte; ne fece riesumare lo scheletro e fece piantare un chiodo nel suo cranio, in modo da esibirlo come “prova inconfutabile” dell’omicidio».
Ed è invece proprio sul suo controverso successore, Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, forse il papa più odiato dopo Alessandro VI Borgia, che ruota il romanzo Il Papa, primo della saga Respice Arcanum, pubblicato dalla Edizioni Penne & Papiri di Tuscania uscito il 30 giugno 2014.
«In realtà si tratta del racconto romanzato dello scontro tra Bonifacio VIII, Filippo il Bello e i Templari, – anticipa. – È stato un modo di poter utilizzare una “storia a porte chiuse” che ho scoperto e accumulato negli anni, studiando le carte sul processo contro i Templari. Una storia che, purtroppo, non trova spazio in un saggio: un saggio storico deve essere asettico e obiettivo, un romanzo storico invece non solo lascia liberi di descrivere la vita quotidiana delle persone concrete, ma apre la strada per entrare all’interno stesso delle persone, e di ricostruire anche le dinamiche psicologiche che hanno portato alle scelte i cui risultati leggiamo sui libri di storia. È facile giudicare con il senno di poi, ma noi, al loro posto, cosa avremmo fatto?»
Barbara Frale ci anticipa inoltre che Salerno occupa un posto importante nel suo romanzo:
«Non tutti sanno che Bonifacio VIII fu un grande appassionato delle scienze, medicina compresa, ed ebbe al suo servizio intellettuali del calibro del medico catalano Arnaldo da Villanova, che, per un certo periodo, studiò e insegnò a Salerno; e a Salerno sarà in buona parte ambientato il secondo romanzo della saga, ma non voglio rovinarvi la sorpresa. Questo perché già da tempo ero affascinata dalla Scuola Medica Salernitana e dalle tracce rimaste in città di cui avevo letto, come il Giardino della Minerva. E il vederla per la prima volta di persona, dai Giardini della Minerva, al Centro Storico con le sue dimore patrizie, al Duomo, è stata per me un’esperienza stupenda. Senza dubbio mi sarà molto d’ispirazione».

Articolo di Federica Garofalo. Tutti i diritti riservati

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