La dominazione bizantina della Liguria ebbe la durata di poco più
di cento anni (538-643), una sessantina circa dei quali trascorsi nel periodo
del governo dell’esarco d’Italia. Nel corso del secolo bizantino l’assetto territoriale
della regione fu sottoposto a ripetute modificazioni a causa del ripiegamento
sotto la pressione dei Goti e successivamente dei Longobardi. I Goti, si erano tuttavia inseriti nell’organizzazione
amministrativa bizantina mantenendola inalterata, mentre i Longobardi, da veri
e propri conquistatori, scardinarono il quadro precedente. Lo sconvolgimento fu
tale che la loro venuta determinò l’esigenza di un nuovo assetto dei territori
rimasti ai Bizantini, avviando un processo di trasformazione della situazione
esistente. Come altre regioni, nel periodo esarcale anche quella che oggi
chiamiamo Liguria era solo una parte residua di ciò che era stata la Liguria al
tempo della riconquista di Giustiniano. Il periodo bizantino-longobardo è stato oggetto di studi a
proposito della peculiarità della frontiera, per la sinuosità dei limiti tra
domini bizantini e domini longobardi e per il carattere militare del controllo
di tutto il territorio, constatandosi invece la mancanza di una linea di
confine ben definita. Ciò vale anche per il contesto ligure, dove le rispettive aree di
influenza sono state descritte come separate da un’ampia “zona franca”,
corrispondente alla dorsale alpino-appenninica. La posizione di estrema propaggine del mondo romano su quello
barbarico in cui venne a trovarsi la Liguria–esposta già negli anni della
guerra gotica anche alle scorrerie franche–merita di essere esaminata per
decifrarne la funzione rispetto alla situazione che si era imposta nella
Penisola. Le condizioni che avevano determinato l’istituzione dell’esarcato si
leggono immediatamente nella situazione dell’Italia settentrionale all’indomani
della penetrazione longobarda, quando il governo di Costantinopoli, per
affrontare lo stato di precarietà militare in cui si trovava la provincia
italiana, avvertì l’esigenza di trasformare la strategia autocratica, in un
organo istituzionale definitivo preponendo al governo della Penisola la nuova
figura dell’Esarco, in grado di coordinare gli sforzi militari e di avere
autonomia di potere nelle trattative con alleati e nemici.
La Liguria era il settore dell’impero confinante con i territori dei re merovingi. Occupava la parte
orientale del regno merovingio, sulle due sponde del Reno, della Mosa e della Mosella) e della Borgogna, i cui sovrani furono coinvolti nelle vicende
italiane al tempo della conquista longobarda.
Tanto Gregorio di Tours quanto il più tardo Paolo Diacono hanno
raccontato i rapporti tra Franchi, Longobardi e Bizantini per l’area di comune
interesse. Una prima osservazione riguarda lo stato in cui si trovava la
porzione ligure rimasta bizantina, che possiamo ipotizzare ben protetta. Non è
certo che le difese bizantine del settore alpino sud-occidentale incentrate sul
castello di Auriate siano crollate
quando i Longobardi invasero la Gallia, devastando Nizza, e successivamente
anche i Sassoni transitarono per la Valle Stura, mentre sappiamo che il magister militum Sisinnio poté controllare per i Bizantini ancora fino al 575-577 i
transiti dalla val di Susa verso la Gallia e contenere la pressione longobarda
nella pianura. Nei piani dell’imperatore Maurizio l’alleanza col re Childerico doveva portare alla sconfitta dei
Longobardi.
Negli anni 583-585 corsero ambascerie tra la corte di
Costantinopoli e quella merovingia. In particolare Paolo Diacono, nel descrivere
la proposta bizantina a Childerico per un’alleanza contro i Longobardi in
cambio di 50.000 solidi, racconta della venuta del re in Italia con uno sterminato
esercito di Franchi, che però
rientrarono in patria essendosi riconciliati con i Longobardi.
Sembra probabile che fino a questi anni i Longobardi, più che a
dilagare nella pianura controllata dai Bizantini, avessero mirato al controllo
del tratto alpino, spesso in concorrenza con le altre popolazioni, soprattutto
con i Franchi. Il territorio bizantino della Liguria, comprendente grossomodo
l’attuale Liguria e il basso Piemonte, confinario, ben protetto da nette
barriere naturali, come il mare e il fiume e, dopo l’ultima riduzione della sua
estensione, l’arco appenninico, non appare peraltro marginalizzato poiché, come
vedremo, il governo imperiale vi rivolse attenzione e impegno, inviando truppe
e funzionari bizantini e sostenendo la vitalità dei contatti e del commercio.
La fluidità dell’ordinamento della regione è significativa della
ricerca, attraverso successive fasi, di un assetto che arginasse lo
smembramento del territorio a causa dell’invasione longobarda.
Il settore subpadano, dove si trovavano le città di Acqui,
Tortona, Bobbio, Genova e Savona, che rimase ai Bizantini, viene denominato Alpes Cottiae. La regione si aggregò allora intorno a un sistema difensivo che
faceva capo alla linea del Po, protetta finché fu possibile, da una parte, da
una serie di avamposti oltre la linea del fiume, dall’altra, da un complesso di
fortificazioni da Ventimiglia a Ravenna, che collegavano il territorio
dell’Italia nord-occidentale con l’Appennino tosco-emiliano. Sta di fatto che
con la presenza longobarda si impose la necessità di una articolata
militarizzazione del territorio italiano. Gli studi compiuti sulle opere strategiche di questo periodo, che
hanno delineato la guerra flessibile, condotta adattando tecnica e strategia
alle condizioni contingenti, consentono di ipotizzare l’applicazione di precise
direttive bizantine nella guerra difensiva contro i Longobardi, potendosi così
confermare l’attenzione rivolta all’area ligure, tutt’altro che abbandonata dal
governo centrale. Ma c’è di più: la presenza bizantina si fa sentire anche a livello
di insediamento nelle aree militari, come la piazzaforte di Tortona, che
accolse gruppi di lingua e cultura greca. E ancora si possono ipotizzare
specifiche disposizioni per l’edificazione dei castra,
riferibili all’ iniziativa bizantina. Il caso ben studiato del castrum di
Sant’Antonino di Perti dell’ultimo quarto del VI secolo è stato ricondotto
all’intervento di un potere centrale, in modo diretto o mediato attraverso le
gerarchie provinciali. Vale la pena di evidenziare inoltre che la presenza di
chiese di piccole dimensioni, documentata o ipotizzata altrove e anche in
alcuni castra liguri, si potrebbe collegare, da una parte, all’eusebeia,
virtù del comandante di fortezza, che opera nel quadro della fedeltà
all’imperatore e al proprio servizio, non priva forse in riferimento allo Strategikon di anonimo del VI secolo, di valenze semantiche legate alla sfera
del comportamento religioso, dall’altra, all’imporsi di pratiche religiose come
carattere essenziale del codice di comportamento militare nei trattati
strategici bizantini.
Lo sfondamento longobardo su Piacenza e Parma (594), poi
completato con l’occupazione di Brescello, Mantova, Cremona e forse Reggio
(603), determinò il crollo di Tortona e dell’area limitrofa (599),
probabilmente in concomitanza con il collasso delle difese del Piemonte
meridionale.
Iniziava l’ultima fase della Liguria bizantina, da tempo non più
indicata col nome di Liguria e ora ridotta a una fascia costiera delimitata a Nord
dall’Appennino, compresa tra Ventimiglia e Luni, definita provincia maritima Italorum. La perdita di alcuni nodi chiave, tra cui i castra di
Suriano-Filattiera e Bismantova , tagliò i collegamenti della regione con
Ravenna e il resto dei domini bizantini d’Italia.
La regione, esposta lungo la dorsale appenninica al confronto
diretto con i Longobardi e protetta da una linea difensiva di insediamenti
fortificati in stretto collegamento con le postazioni marittime, manteneva
tuttora contatti via mare con i paesi del Mediterraneo. Il castrum Perti,
controllando l’itinerario della via Iulia
Augusta dalla
base navale di Varigotti verso il Piemonte, rappresenta allo stato attuale
della ricerca archeologica il caso più approfondito di complementarietà tra la
costa e la linea appenninica nella Liguria occidentale.
In questa fase emerge la vitalità degli avamposti marittimi come Noli,
Porto Maurizio e la citata Varigotti. Città come Ventimiglia, Albenga, Genova,
Luni, pur avendo subito contrazione dell’habitat rispetto all’impianto romano,
com’è logico in un periodo segnato da carestie, pestilenza, guerra, si
mantennero tuttavia vitali.
Sembra addirittura che Savona si fosse estesa nell’area di pianura
e il risveglio di Albenga costituisce un dato ormai rilevato. Le notizie
provenienti dalla ricerca archeologica hanno consentito un notevole
approfondimento del periodo bizantino della Liguria. La datazione attraverso il
blocco cronologico dalla seconda metà del VI secolo alla prima metà del VII
secolo, per quanto imprecisa e insoddisfacente per le esigenze dello storico,
consente di comprendervi appieno il periodo esarcale ligure e di cogliervi i
segni di una continuità bizantino-longobarda laddove una realtà, incontrandosi
con l’altra, a poco a poco si sfuma. Se aggiungiamo che i due mondi avevano
ripetute occasioni di incontrarsi lungo molteplici aperture e che tra di loro
esistevano scambi e contatti, la permeabilità, che il più delle volte impedisce
di tracciare nette linee di demarcazione, è la chiave di lettura di questo
periodo. È significativo che veri e propri traffici esistessero lungo le strade
di antica percorrenza, come dimostrano i manufatti in pietra ollare di
provenienza alpina rinvenuti lungo l’intero arco costiero nelle zone di Luni,
Savona, Finale, Albenga, Ventimiglia.
Ma per cogliere il legame tra la Liguria e il mondo bizantino
nell’età esarcale in primo luogo è opportuno soffermarsi sulle cariche di cui
si abbiano notizie. Ad Albenga nel 568 c’è notizia del comes et tribunus Tzittas, probabilmente il capo del presidio locale;26 a Luni, se
effettivamente l’epistola di riferimento si rivolge a Venanzio, vescovo di
questa città, nel 599 rileviamo la presenza del magister militum Aldio; a Genova, dove si erano trasferti il vicario del prefetto e
il metropolita milanese, conosciamo appunto un agens vices, Giovanni, succeduto nel 599 a Vigilio; nella stessa città nel 590
era di stanza il miles Magnus, appartenente al numerus
felicium Illyricorum.
L’ulteriore informazione proveniente dalla bolla plumbea rinvenuta a Varigotti,
reca la menzione del nome di un comandante militare, Basilio stratelates, titolo da ritenersi equivalente a quello di magister militum. L’attuale scarsità dei dati a nostra disposizione offre un
quadro tutt’altro che completo. Si può solo constatare la continuità delle
cariche civili ai vertici e la presenza di ufficiali con prevalenti competenze
militari a livello locale. Un ulteriore fattore caratteristico di questo
periodo è la vitalità dei centri urbani.
Albenga come centro episcopale ebbe rapporti con la sede
metropolitica milanese. Sulla base dei suoi monumenti religiosi si può
affermare che nel VI secolo era un centro episcopale fiorente e interessato a
manifestare la propria osservanza ortodossa.
Anche Luni nel VI secolo si impegnò nell’abbellimento dei propri
edifici ecclesiatici. La cattedrale di S. Maria fu ristrutturata riducendo
l’ampiezza delle navate laterali, pavimentate ora con mosaici policromi, e
abbellita con la ben nota epigrafe del famulus
Christi Gerontius,
opere che dimostrano la vitalità marittima della città, che poteva disporre di
maestranze provenienti dall’Africa.
Genova ebbe vantaggi dall’occupazione bizantina. Di certo la
chiesa genovese trasse impulso dal trasferimento del metropolita Onorato nel
569, accompagnato da molti altri notabili. Dotandosi di una propria chiesa
intitolata a S.Ambrogio, la comunità milanese si insediò urbanizzando l’area
del Brolium e vi rimase sino alla occupazione della città da parte
dell’esercito di Rotari.
Riconosciuta come un importante scalo marittimo utilizzato dalle
milizie bizantine per lo sbarco in Liguria durante la guerra gotica, Genova
aveva ottenuto una posizione prioritaria come sede del vicario del prefetto,
ricoprendo una sorta di ruolo sostitutivo nei confronti di Milano occupata dai
Goti, ma segni di decadimento dell’assetto urbano con diradamento della maglia
abitativa sono stati indicati già nel periodo tra VI e VII secolo. Per tutte le
città di cui si è parlato, a un diffuso regresso demografico, con arretramenti
o diradamento dell’habitat, corrisponde una concentrazione di dati
significativi dal punto di vista della storia religiosa e dell’edilizia
ecclesiastica. Di certo
l’epoca esarcale coincide con la ripresa di antichi dibattiti
dottrinari, che trovano terreno fertile anche in Italia nel clima esasperato
del rapporto con gli invasori. L’organizzazione religiosa delle comunità dei
domini bizantini, minacciate da un hinterland eretico, diviene esigenza
primaria. Ortodossia religiosa e ortodossia politica si incontrano. La sede
genovese, ospite e soggetta al metropolita milanese, soffre la dicotomia fra i
territori settentrionali della diocesi, sottoposti ai Longobardi scismatici, e
quelli della Maritima, inclini alla comunione con Roma, Ravenna, Costantinopoli. La
forza del lealismo politico genovese si manifesta con la relativamente rapida
conclusione della questione dello scisma tricapitolino nella diocesi ligure.
Ma se guardiamo ai legami tra Genova e la Maritima,
da una parte, e la capitale dell’esarcato, dall’altra, ci troviamo di fronte a
una notevole carenza di dati, in parte dovuta anche alla breve durata del
dominio esarcale in questa regione rispetto ad altri
contesti. Alla morte del vescovo milanese Lorenzo, in esilio con
la sua chiesa a Genova, nell’aprile 593 Gregorio I, rispondendo ai voti del clero locale,
intervenne per insediare un successore sulla sede vacante, inviando il
suddiacono Giovanni con il compito di verificare il consenso generale
sull’elezione e di manifestare l’approvazione del pontefice alla consacrazione.
Nel contempo inviava una missiva anche all’esarco di Italia Romano per
informarlo, assolvendo al «debitum salutationis
officium»,
di consentire alla consacrazione e per chiedere la benevola attenzione
dell’esarco nei confronti del consacrando metropolita. La procedura seguita per
approdare alla consacrazione di Costanzo in osservanza della consuetudine è
rilevante non solo dal punto di vista della storia ecclesiastica (per il
rapporto, da una parte, tra pontefice e sede milanese, dall’altra, tra
pontefice ed esarco), ma anche dal punto di vista della storia politica.
Attraverso l’intermediazione del pontefice si colgono la presenza nella Liguria
dell’autorità dell’esarco e il richiamo a comuni intenti tra il metropolita
ligure e la massima autorità presente sul territorio italiano sottoposto ai
Bizantini. Il quadro modesto dei contatti istituzionali con Ravenna, che nel
contesto rarefatto delle fonti del tempo si riconducono, da una parte, alla
presenza di cariche militari e supposti interventi per la difesa e, dall’altra,
emergono specificamente in rapporto alle relazioni
ecclesiastiche, potrebbe riflettere il non facile compito
dell’esarco nel coordinamento dei territori sottoposti alla sua giurisdizione,
laddove il lealismo all’impero rispondeva
soprattutto a spinte di natura religiosa e i quadri ecclesiastici
ne erano il tramite privilegiato. Del resto la rete degli interessi mercantili
non legava la Liguria a Ravenna, bensì all’esarcato d’Africa. Non si dovrebbe
trascurare che l’aspetto caratterizzante di quest’epoca è legato alla
valorizzazione dell’esposizione ligure sul mare. L’appartenenza al mondo
bizantino aveva creato le condizioni per un risveglio marittimo della regione,
evidenziato non fosse altro dall’uso militare dello scalo genovese durante la
guerra gotica. In seguito, la costituzione della Maritima aveva determinato il potenziamento dei presidi militari marittimi
e appenninici che oggi sono oggetto dell’attenzione degli archeologi. Una buona
parte del materiale rinvenuto è pubblicato in relazioni sugli scavi, monografie
e cataloghi. Le fonti materiali, in continuo accrescimento, confermano la
vitalità della Maritima nel VI e VII secolo. Importanti reperti come iscrizioni su marmi
orientali rivelano il probabile reimpiego di manufatti o resti di manufatti
antichi e, dunque, sono indizi della consapevolezza del valore di quel
materiale pregiato da parte di una componente sociale tuttora in grado di
apprezzarlo (per esempio, le iscrizioni funerarie dagli scavi di San Paragorio
a Noli, datate tra il VI e VII secolo, di un vescovo Teodoro su marmo greco e
di Lidoria su marmo definito genericamente orientale; ancora più particolare,
proveniente da Perti, la gemma di forma ellittica decorata con aquila
sormontante una saetta del I-II secolo, che si ritiene riutilizzata in età
bizantina).
Ornamenti e utensili parlano di una società che si serve di
oggetti di una certa qualità, prodotti localmente (ad esempio, gli oggetti di
oreficeria a Luni, dove presso il bacino fontana intorno al Capitolium è stata rinvenuta una matrice per gioielli del VI-VII secolo;
probabilmente i pettini in osso inciso e intagliato, della stessa epoca,
rinvenuti a Luni nella zona nord del Capitolium, a Genova, presso il chiostro di S. Lorenzo, a Noli, presso S.
Paragorio) o importati, come anfore e oggetti in materiale fittile (ad esempio,
le lucerne in terra sigillata africana di Genova, dall’area di “Mattoni rossi”,
della prima metà del VII secolo e la lucerna africana, decorata con conchiglia,
dagli scavi di S. Clemente di Albenga, del V-VI secolo). Più specificamente è
stata constatata la «presenza di alcuni reperti della
fase finale della produzione di sigillata africana» del VII secolo ad Albenga, Genova, Luni e inoltre a S.Antonino
di Perti, Savona e Varigotti.
La dimensione mediterranea del contesto ligure è confermata dai
rinvenimenti di monete, che si concentrano intorno all’età esarcale, di
Giustino II (565-578), di TiberioI Costantino (578-582), di Foca (602-610), di
Eraclio (610-641) a S. Antonino Perti, di Maurizio (582-602) a Luni e Genova,
di Costante II (641-668) a Finalmarina.
L’archeologia impone di riflettere sul fenomeno della continuità
dei rapporti mediterranei della Liguria, che assolutamente con la conquista di
Rotari non subirono un taglio netto, ma probabilmente seguirono l’andamento
generale. Un «progressivo restringimento del
raggio distributivo»,
a partire dall’ultimo quarto del VII secolo. Indubbiamente non si possono
trascurare le conseguenze della separazione del legame con l’impero e la
forbice che progressivamente si apriva fra i domini ancora bizantini e quelli
longobardi, laddove Costantinopoli, a differenza del regnum,
manteneva e rinnovava nelle sue province gli assetti amministrativi e
istituzionali che favorivano la continuità urbana e l’inserimento nel circuito
mediterraneo.
Ma è possibile che per il litorale ligure, sottratto al governo esarcale
dopo alcuni decenni di dominio, il discorso dei contatti marittimi si debba
articolare ulteriormente, spingendolo più avanti, finché è possibile, nell’età
longobarda.
Con questa premessa resta da inquadrare la conclusione della
dominazione dell’esarcato sulla Maritima.
L’impresa di Rotari è stata ricostruita nei dettagli. Il re,
bloccato sul Panaro dall’esarca Isaacio, che vi perse la vita, e costretto ad
abbandonare la presa su Ravenna, aveva
deviato il suo esercito sulla Liguria dalla parte della Garfagnana
isolando le difese bizantine intorno a Luni e procedendo verso occidente nella
conquista della regione. La manovra vincente, attribuita al 22 novembre 643, fu
probabilmente agevolata dalle condizioni dell’esercito bizantino, che aveva dispiegato
energie e subito perdite per salvare Ravenna e l’esarcato, di certo più
importanti di una regione periferica e distaccata dal resto dei possessi nella
Penisola.
Tuttavia un avvenimento come la conquista della Liguria, per le
caratteristiche intrinseche della regione, impone un confronto con gli
equilibri tra le coste del Mediterraneo.
A quel tempo gli scali liguri interessavano probabilmente assai
più come supporto per i traffici diretti alla Gallia e talvolta anche in
direzione dell’hinterland longobardo che come avamposto marittimo delle altre
regioni dell’Italia bizantina, dalle quali a un certo punto dell’avanzata
longobarda la costa ligure si era trovata separata. Sulla base dei reperti è
provato che una rete di traffici collegava la Maritima
con la costa nord
africana ancora bizantina, se pure per poco. Nel 642 l’avanzata degli Arabi
progredì sino all’Egitto e immediatamente i Bizantini mollarono la presa sulla
Liguria. Questi fatti meritano una riconsiderazione alla luce del tessuto
complesso in cui si collocava la realtà ligure del tempo.
In primo luogo c’è da domandarsi se la conquista longobarda della Maritima sia stata la causa dell’arretramento bizantino dal bacino
nord-occidentale del Mediterraneo o, invece, se la consapevolezza bizantina
della vulnerabilità della costa africana e della rete di traffico connessa
abbia determinato la rinuncia al dominio sul litorale ligure. Sono quesiti
tutt’altro che astratti, perché affondano le radici nei rapporti
intermediterranei. L’Africa settentrionale, organizzata intorno a Cartagine,
appare sempre di più il fulcro della continuità dei traffici bizantini nel
Tirreno, rappresentando il fattore che giustifica la vitalità della Liguria nel
periodo esarcale e spiega gli sforzi indirizzati alla sua difesa. La presenza
degli Arabi in Egitto e le maggiori difficoltà di mantenere il collegamento con
il centro dell’impero, dopo il loro iniziale avanzamento lungo la costa verso
occidente, probabilmente generarono irregolarità dei flussi commerciali ma,
come pare dalle evidenze archeologiche del periodo longobardo, senza
interromperli nella seconda metà del secolo, addirittura sino al momento della
conquista islamica dell’esarcato africano (698) e probabilmente anche oltre.
Ciò significa che i collegamenti non furono compromessi dalla conquista
rotariana della Maritima, bensì dal cedimento del dominio bizantino nel Tirreno, quando
intorno al 703 incominciarono le incursioni arabe in Sicilia e Sardegna. In
seguito anche i Longobardi promossero azioni nel Tirreno, verosimilmente
coinvolgendo forze marittime liguri. Il racconto del trasferimento delle
spoglie di S. Agostino dalla Sardegna a Pavia con scalo a Genova intorno al
725,
Le spedizioni marittime organizzate a Genova per conto del Regnum concorderebbero
con la rinnovata attenzione della monarchia longobarda nei confronti della
città, che è stata ipotizzata anche a proposito della fondazione genovese di S.
Damiano (chiesa successivamente dedicata ai SS. Cosma e Damiano, senza del
tutto annullare il ricordo della precedente dedicazione).
Le evidenze descritte permettono di avanzare qualche conclusione
su una serie di argomenti: la continuità del legame tra l’impero e la Sardegna
e le mire longobarde sull’isola tirrenica; l’esistenza di mezzi navali,
probabilmente liguri, anche oltre la fine della dominazione bizantina sulla
costa del Tirreno settentrionale e l’utilizzazione di tali mezzi per conto dei
dominatori longobardi, per necessità occasionali di trasporto o spedizioni
militari. Nulla, invece, è possibile dire di traffici mercantili, che su questa
base, però, si possono postulare, se pure ai livelli minimi. Ma è possibile che
l’incapacità del regno longobardo di coordinare condizioni di sviluppo
marittimo abbia infine creato uno iato tra la situazione dei Liguri, e quella
di Amalfitani e Veneziani. Più a lungo inseriti nel ben diverso contesto
dell’Italia esarcale, poi favoriti dal mantenimento del vincolo formale con
l’impero, questi ultimi avrebbero ritagliato assai prima dei Genovesi il
proprio ruolo di protagonisti sul mare, tra Bisanzio e l’Islam.
Articolo di Luigi Caliendo. Tutti i diritti riservati
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