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lunedì 4 giugno 2012

IL MONACO VOLANTE DI COPERTINO

I casali non si costruiscono sulla costa. Ed infatti Mollone, Casole, Cigliano e Cambrò con la costa non hanno proprio niente a che vedere. Ma sono comunque troppo vicini al litorale. E soprattutto a tutte le insidie che tra il VI ed il VII secolo possono venire dal mare. A ben vedere, di pericolo qui ne basta uno solo. I Saraceni. Che altro non sarebbero se non musulmani del Nordafrica, o tutt’al più originari del Mashriq, l’Oriente che per tradizione reclamano come loro lontana patria. Nel 500 dopo Cristo i Saraceni sono conquistatori consolidati. Ed hanno per le mani una flotta capace di dare filo da torcere tra i flutti del Mediterraneo perfino a Bisanzio. Ben più tolleranti dei cristiani d’oriente, e capaci di instaurare un regime fiscale più snello e meno inviso rispetto allo stillicidio gabellare che vige a Costantinopoli, hanno vita facile nell’islamizzare mezzo mondo, di nome o di fatto. Ma qualcosa se la concedono anche loro. Incursioni. Razzie. A volte massacri. Sempre in angoli remoti. Dove il potere passa di rado. Dove il guanto di ferro dell’Impero fa più fatica ad arrivare. Arrivano. Colpiscono. Spariscono. Dunque, i casali di Mollone e Casole, di Cigliano e Cambrò, nonostante mura spesse e cancellate possenti, non sono più un valido rifugio per i contadini della zona. Meglio radunarsi, che l’unione fa la forza. Meglio spingersi più all’interno, nel mezzo di quella penisola nella penisola che è il Salento per evitare che, fuggendo, si finisca per avvicinarsi troppo ad un altro mare e ad altri pericoli. Così, all’inizio del 600 nasce Copertino. Il paese degli sfollati. La speranza degli scampati in una terra che è confine tra le picche dei Longobardi ed il potere dei bizantini. Nel 1200 la zona diverrà feudo svevo, per poi passare di mano divenendo dominio angioino, aragonese ed, infine, avamposto dei principi d’Epiro, gli albanesi Castriota Scanderbeg dalla cui casata emergerà secoli dopo il Giorgio che dopo la battaglia di Kosovo è eroe nazionale celebrato a Tirana. Ma il tempo passa, e coi mesi passano anche i padroni. Copertino diventa prima proprietà degli Squarciafico, poi dei Pinelli, infine dei Pignatelli. E’ il 1600 quando sui discendenti delle vittime dei pirati d’Oriente si scatena ancora una volta l’anatema divino. Carestia. Terremoto. Peste. Ma i salentini hanno la scorza dura. Temprati dal fuoco celeste, sopportano con buona pace le angherie della sorte. E perfino quelle del potere. All’ombra del castello terminato dagli angioini, che nei giorni più caldi getta un’ombra tanto più lunga dei tre piani di elevazione del suo maschio, coltivano l’arte innaturale della pazienza. Un’arte che qui si sposa col lavoro dei campi, ed ancor più con la fede che, con i suoi edifici, le sue manifestazioni tangibili ed i suoi luoghi sacri, rappresenta il contributo più genuino della popolazione alla storia di questa terra. Dal 1235 è stata innalzata la Collegiata che ha tanti nomi quante sono le mani che, nel tempo, l’hanno ampliata e consolidata e trasformata, rendendola un singolare, piccolo capolavoro di stile rinascimentale ed al contempo barocco. Chiesa Matrice. Collegiata. Basilica della Madonna delle Nevi.
2.    La Chiesa Matrice di Copertino (fonte: salento.us).
Fa il paio con il Santuario di S.Maria della Grottella del secondo Cinquecento, e col limitrofo convento di S.Francesco che, un tempo, la utilizzava da grancia, deposito per il grano mietuto nelle terre circostanti l’abitato. E’ stato, il Santuario, il luogo più caro in vita al vero maestro della tenacia e della pazienza che il popolo di Copertino ha avuto in sorte. Il santo monaco nato in un giaciglio di fortuna proprio come il Cristo bambino, una stalletta in cui la madre Franceschina Panaca trova rifugio dai troppi creditori del padre, Felice Desa. E’ il 17 giugno 1603. Copertino è un tassello minuscolo di un reame sconfinato, il Regno di Napoli. Giuseppe Maria Desa, si chiama. A sette anni inizia la scuola, ma viene subito colpito da una grave malattia che lo costringe ad un repentino abbandono. Resterà in balia del malessere per otto lunghi anni. Un’infinità, specialmente per un bambino che dovrebbe giocare e crescere, non restare confinato in un letto per tutto il giorno. Giuseppe ha 15 anni quando raggiunge la guarigione. Ma non si tratta di un rinvigorimento dell’organismo. Dietro alla riconquistata serenità c’è dell’Altro. 
1.    San Giuseppe da Copertino (fonte: wikipedia.org).
 C’è la Madonna della Grazia che viene venerata proprio nel leccese, non troppo distante da Galatone. E’ stata Lei a liberarlo dalla schiavitù del corpo, ed in fondo era scritto che restasse ammalato tutto quel tempo. Perché ha avuto modo di riflettere come un bambino non avrebbe mai potuto fare. Di riflettere sulla vita e sul mondo. Di concepire una vocazione, addirittura. Il Giuseppe che guadagna la via della guarigione è un adolescente che coltiva dentro di sé la volontà di farsi prete. Francescano. Ma gli manca ancora qualcosa. Qualcosa che, specialmente in quegli anni bui, può fare una gran differenza. Gli manca la dovuta istruzione, che ha perduto per strada proprio a causa della degenza. Il ragazzo possiede, a detta di tutti coloro che nel tempo si prenderanno la briga di stilarne biografie, un’indole smaccatamente testarda. E’ duro di comprendonio, e per di più poco reattivo e pronto; questo fa sì che non riesca ad introiettare conoscenza. Quando tenta di seguire le orme del padre, cimentandosi con l’artigianato e con l’arte del calzolaio, registra anche in questo caso un fallimento. Nemmeno questa la sua strada. Giuseppe ha due zii che hanno seguito la chiamata di Dio, ed una vocazione che gli cresce dentro. Cerca di entrare nell’ordine. Ma anche in questo caso viene respinto. Decide allora di rimettere mano ai libri, ed il suo zelo è tale che presto si fa notare da uno degli zii chierici, padre Giovanni Donato Caputo. Famoso studioso di teologia, ma soprattutto personalità di rilievo dell’Ordine Francescano. Sotto la sua guida Giuseppe Desa si impegna nello studio fino allo spasimo, restando incollato ai sudati tomi per interminabili ore. Ma non gli riesce di affrontare un corso di studi regolari, perché ha sempre dinanzi agli occhi un ostacolo insormontabile nella lingua latina. Capisce che non sarà mai un uomo di cultura. Ma che sarà per sempre un uomo di Dio. Dopo il Capitolo di Altamura padre Caputo, commosso per la dedizione profusa nello studio, intercederà comunque affinché quel nipote gracile ed ancora senza una via venga ammesso all’esame da chierico novizio. A saggiarne la preparazione è il vescovo di Castro, monsignor Giovan Battista Deti. Un osso duro, certo. Che tuttavia, dopo aver esaminato gli altri studenti leccesi, colpito dalla loro eccellenza e giunto di fronte a Giuseppe decide di non interrogarlo e passa oltre. Così, nel marzo del 1627 Giuseppe riesce a fare quel passo avanti che sinora gli era mancato. Riceve gli ordini minori. L’emozione del Frate Minore Conventuale è tanta. Ma dietro l’angolo ci sono nuovi esami, e nuova fatica. Ma supera brillantemente la prova. Perché anche questa volta ha le spalle coperte. Qualcuno ha pensato a lui. Dietro i successi del frate c’è la mano della Madonna. Che gli appare in sogno e gli indica il brano delle Sacre Scritture sul quale verrà poi effettivamente interrogato. Il 28 marzo del 1628 viene ufficialmente consacrato sacerdote a Poggiardo. Ed inizia la parte più misteriosa del suo cammino. Quella per cui viene ricordato ancora, dopo quattrocento lunghi anni, dai vecchi e dai giovani di Copertino. Per 17 anni prende dimora nella Grottella, nell’abbraccio della Madre celeste che lo fa sentire più a casa che tra le stesse mura che l’hanno visto crescere. Qui, la sua fede ha tempo e modo di crescere, consolidarsi, travalicare perfino le soglie del mondo sensibile. Perché inizia il cammino più difficile. Quello verso la santità. Non potrebbe essere altrimenti per l’ultimo figlio di Dio. Il santo nato in una misera stalla che ad oggi custodisce la reliquia del suo cuore indomito. Battezzato presso la vetusta Basilica di S.Maria delle Nevi. Cresciuto nel rigore nella casa dei Desa, e più ancora presso la Grottella fuori dell’abitato che fu culla della sua vocazione e della venerazione della Madre di Dio che, secondo la leggenda, incontrò nei tratti diafani di un’antichissima icona ritrovata per caso tra due candele accese in fondo al minuscolo antro. Da monaco si sottopone a meditazioni dure quanto le flagellazioni cui sovente sottopone il suo corpo da mondare. Presto riceve l’estasi divina. Inizia ad avere visioni. E snocciola profezie. Ma il meglio arriva dopo. Con le levitazioni. Che sono tra l’altro le più spettacolari e documentate che esistano. Una volta in estasi, il venturo santo perde qualsiasi peso - ed ancoraggio al suolo. All’interno della bella chiesa rinascimentale di Copertino riesce a compiere voli cui assiste tutta la popolazione. Una levitazione interminabile ha per testimoni addirittura un medico ed un cerusico intenti a praticare al santo un salasso. Il 10 luglio 1607 si trova a passare presso un casa colonica in quel di Osimo. L’edificio presenta al piano superiore un bel terrazzo, che promette una vista ancor più bella. Il santo vivente insiste con i proprietari per dare uno sguardo e ritemprarsi l’anima. Di fronte a lui, l’immagine candida del Santuario di Loreto, con il minuscolo borgo costruito attorno alle possenti mura della fede. Giuseppe inizia ad ammirare il panorama, accarezza con lo sguardo le linee morbide della campagna, i colori vividi dei poggi marchigiani, fino a perdersi nel complesso del Santuario che si erge in lontananza. Inizia a vedere angeli che salgono e scendono dal cielo, innalzando i loro Osanna di giubilo verso la Casa di Nazareth in cui la Madonna aveva concepito il suo Prodigio di fede, e che ad oggi è custodita proprio presso il Santuario dopo essere stata, si dice, trasportata in quel luogo dalla Palestina proprio da una schiera di cherubini alati. E’ un attimo. Poi spicca il volo. Si posa su di un mandorlo e resta in contemplazione, nella felicità perfetta finché il Padre Segretario Generale, insieme ad altri confratelli presenti sul luogo, non gli ordina di tornare in sé. Questo incredibile episodio appare oggi in una prodigiosa tela settecentesca firmata da Ludovico Mazzanti, che proprio come il suo protagonista vola da un capo all’altro del mondo, immagine di salvezza e richiestissima ospite di tante mostre d’arte sacra. Ma non è tutto. Oltre a questa straordinaria abilità nel volo, Giuseppe risulta completamente insensibile al dolore. Neanche le bruciature riescono a scalfire la sua incrollabile, infinita serenità. Dal suo corpo poi prende ad emanare un profumo dolcissimo. Tanto insistente che, ad anni di distanza dal suo trapasso, è comunque possibile avvertirlo ancora all’interno dell’aria rarefatta della sua cella segreta. Si costruisce pezzo dopo pezzo una certa fama, Giuseppe Desa da Copertino. Una fama di santità in vita che calamita attorno al suo povero vivere folle di devoti. E l’occhio indagatore della Chiesa stessa, che mal gestisce tutte quelle manifestazioni a dir poco innaturali. Lo accusano di messianismo. Ed è sufficiente per farlo deferire al tribunale dell’Inquisizione. Il processo si apre per chiudersi poco dopo. Non ci sono prove sufficienti, e complice un generale declino della vis sanguinaria degli indagatori ecclesiastici viene assolto con formula piena. Ma c’è comunque uno scotto da pagare. Quello della prudenza per un monaco che vive al centro di un mistero profondo. Dunque i Superiori lo costringono al confino in conventi isolati. Così passa dal Sacro Convento di Assisi, dove rimane tra il 1639 ed il 1653, al Convento dei Cappuccini di Pietrarubbia, nel pesarese. Ancora, il singolare francescano passa a Fossombrone, dove resta fino al 1657 per poi tornare definitivamente al suo ordine originario presso Osimo, dopo lunghi anni di peregrinazione che l’hanno visto raggiungere Napoli e Roma, Assisi e Fossombrone, Pietrarubbia e le Marche. E’ il 9 luglio 1663. Ma nel frattempo la sua vita mortale è trascorsa, ed il 18 settembre Giuseppe Desa da Copertino si ricongiunge col Signore. Le sue spoglie vengono conservate in un’urna di bronzo dorato proprio nella cripta del monastero che ha costituito la sua ultima stazione. Non altrettanto può dirsi dei numerosi ricordi che il santo vivente semina nell’anima di coloro che incontra lungo il cammino. E degli straordinari miracoli dei quali si rende protagonista. Quelli non sono riducibili all’interno di nessuna urna, e non c’è contenitore tanto profondo o capiente da poterli racchiudere. Anche perché appartengono alla gente. Ecco, Giuseppe è questo. Un frammento di coscienza di quella gente, la sua gente, cui ha dispensato guarigioni, ma anche sconcertanti episodi di telepatia e addirittura di divinazione. Appena un anno prima che il Mazzanti dia l’ultima pennellata alla sua tela, il 24 febbraio 1753, a Roma qualcosa si sblocca. Quello strano monaco salentino, figlio di un povero artigiano e costretto a cambiare costantemente dimora, smette di essere considerato un semplice parto del variegato folklore locale per diventare qualcosa d’altro. Beato. Le prove dopotutto ci sono, eccome. Anzi, a dire la verità ce ne sono anche troppe. Allora, a Clemente XIII toccherà farlo santo. Con un decreto del 16 luglio 1767. Ma San Giuseppe da Copertino non è un santo canonico. Sembra piuttosto un santo particolare – ma poteva essere altrimenti? Il santo per tutte le occasioni, per la precisione. Degli studenti e degli esaminandi, considerato lo strenuo impegno profuso negli studi e l’abnegazione che tanti ritenevano insensata considerata l’ottusità di fondo dell’umile frate. Ma anche il santo dei voli, e dunque il miglior protettore per gli aviatori italiani – sin dalla Grande Guerra – e non solo, se si considera come statunitensi e perfino argentini vadano fieri delle medaglie con l’immagine del Santo che le rispettive aeronautiche forniscono loro in dotazione. Oggi a Copertino la minaccia saracena non esiste più. Borboni, napoleonici e di nuovo Borboni sono venuti e passati in paese prima che il popolo vedesse discendere da una terra lontanissima ed avvolta nelle nebbie i piemontesi diafani con lo stemma sabaudo sul petto. Il Salento è una terra diversa rispetto al passato. Una terra in cui, tuttavia, tutti conservano un vivido ricordo di quel monaco volante che amava starsene per conto suo in una misera grotta fuori dall’abitato e per il quale si fa festa grande con tanto di fuochi d’artificio dal 16 al di 19 settembre. 
3.    Celebrazioni per la Festa di San Giuseppe (fonte: altervista.org).
S.Giuseppe da Copertino. Il guaritore. Il telepata. Il divinatore. L’aquilone di Dio. Un segno di ruvida contraddizione ed un efficace pungolo di rinnovamento, come l’ha definito qualcuno per quel coraggio insensato ed ottuso di essere e restare strenuamente semplice. Anche nel bel mezzo del Seicento. In un’èra di apparenza cui egli contrappose un’irruenza tanto disarmante quanto trasparente. Un buono a nulla, forse, certo un incolto ed ancor più un illetterato. Ma proprio per questo, tanto più vero e genuinamente poetico nelle esternazioni schiette dell’anima. Oggi a Copertino si incontrano comitive in fila di fronte ad un edificio del primo Settecento che presenta un interno semplice, a pianta centrale, le pareti affrescate con immagini a metà tra il sacro ed il favoloso. Al suo interno è stata poi inglobata la struttura antichissima e ridotta ormai all’essenziale di quella che sembra essere stata una rozza stalla. E’ il primissimo giaciglio di un monaco fin troppo capace di staccarsi dagli affanni del mondo, di quel frate sospeso nel cielo che la sua terra ha voluto ricordare tirando su alla buona, proprio come avrebbe fatto lui un tempo, un santuario semplicissimo. Perché la felicità si nasconde nelle piccole cose. San Giuseppe, il monaco volante di Copertino, insegna.  

Articolo di Simone Petrelli. Tutti i diritti riservati


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